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Intermezzo: note critiche sulla figura dell’id quod plerumque accidit

Gli elementi di differenziazione

3. Gli automatismi e il vizio di irrazionalità

3.1. Il vizio di irrazionalità degli automatismi che si fondano sulla presunzione

3.1.2. Intermezzo: note critiche sulla figura dell’id quod plerumque accidit

Preliminarmente bisogna rilevare che le presunzioni sono criticabili anche quando inglobano correttamente la realtà fattuale che disciplinano e, quindi, superino positivamente il controllo di evidenza condotto mediante lo strumento della comune esperienza. In questo caso, infatti, il meccanismo presuntivo non ha nessuna giustificazione pratica ed è addirittura viziato di illogicità: quanto più il fatto preso in

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

considerazione dalla norma è supportato da una inconfutabile evidenza empirica, tanto più, infatti, sarà semplice per la magistratura individuare quei casi che la norma rappresenta in termini presuntivi come inconfutabilmente esistenti.

Sotto un altro e ben più pregnante profilo, però, il ricorso alle presunzioni è oltremodo pericoloso e genera diversi problemi di compatibilità costituzionale. Ciò accade tutte quelle volte in cui esse non hanno un adeguato contenuto predittivo e limitano ingiustificatamente la libertà di soggetti che, se il giudice avesse mantenuto intatto il suo potere di accertamento e valutazione del caso concreto, sarebbero potuti essere esclusi dal campo di applicazione della norma.

Si può ritenere, pertanto, non azzardato affermare che le presunzioni oscillino fra l’inutilità e la pericolosità: da un lato, perché l’incontrovertibile esistenza, esattamente certificata dalla presunzione, ben potrebbe essere individuata dalla magistratura nella sua ordinaria funzione di accertamento dei fatti e, dall’altro, perché l’erronea attestazione legislativa – dell’incontrovertibile esistenza di un determinato dato di esperienza – estende oltremisura l’ambito di applicazione della norma con conseguenze tanto più dannose quando si verte in materia di diritti fondamentali.

È soprattutto in queste ultime ipotesi, peraltro statisticamente preponderanti, che è possibile scorgere la vera natura delle presunzioni di pericolosità: sono uno strumento che annulla qualsiasi potere valutativo del giudice per perseguire un fine che, a volte, è volutamente discriminatorio20 o, altre volte, è diverso rispetto a quello al quale la norma sarebbe naturalmente e dichiaratamente deputata. E su quest’ultimo punto è ancora emblematico il caso dell’art. 4-bis ord. penit., e specificamente i reati c.d. di prima fascia, quale meccanismo teso ad ottenere la collaborazione del detenuto, così da inserirlo in una più generale strategia di lotta al crimine organizzato21.

L’errata rappresentazione del reale, come confermano anche gli altri casi passati in rassegna, è, pertanto, la conseguenza di una precisa scelta del legislatore, il quale, parafrasando il pensiero di un illustre maestro del diritto costituzionale, decide di

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Come avviene quando viene prevista la neutralizzazione di determinate categorie di soggetti.

21 Nel sottoporre a critica la presunzione di pericolosità dei soggetti condannati o, addirittura, detenuti per reati legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso, non sottovalutiamo il problema della criminalità organizzata e nemmeno ignoriamo il forte legame che spesso lega i consociati alle organizzazioni criminali di appartenenza. In queste pagine, inoltre, come non ricorreremo a ricostruzioni di carattere sociologico o criminologico alternative a quella fatta propria dalla Corte e dal legislatore, perché il nostro intento non è quello di dimostrare l’inconsistenza empirico-fattuale della presunzione, ma soltanto indagare le conseguenze giuridiche che si legano ad essa e la loro (in)sostenibilità costituzionale.

LEONARDO PACE

“coercire e non di comandare”22

, poiché utilizza la presunzione come strumento per evitare che la precisa scelta di politica legislativa, così imposta, possa essere turbata dal potere di accertamento del giudice. Non si tratta, allora, di stabilire se la dimidiazione o la soppressione dei poteri valutativi di quest’ultimo sia giustificata da un’evidenza empirica e dall’esattezza con la quale quest’ultima è configurata dalla norma, ma di valutare se il fine che essa persegue sia conforme alla tavola di valori costituzionali e, solo dopo che questa verifica abbia avuto un esito positivo, se il modo mediante il quale questo fine viene perseguito sia giustificato dalla Costituzione.

Del resto, già molti anni fa Alessandro Pace – in merito alle presunzioni legali in materia di misure di sicurezza – aveva evidenziato come «sotto il manto delle presunzioni legali si nascondono non già comuni esperienze ma astratte scelte di politica legislativa»23.

Sulla base di quanto appena rilevato è opportuno, allora, ripensare all’utilizzo, dell’id quod plerumque accidit, sul quale non a caso si sono appuntati i rilievi della dottrina costituzionalistica più accorta. È stato evidenziato, infatti, che tale figura non può essere ritenuta un vero e proprio criterio statistico, per mezzo del quale indagare scientificamente la realtà sottostante alle scelte legislative, ma si sostanzia semplicemente in un ricorso generico e apodittico a certi dati di comune esperienza24.

Questo criterio, privo di qualsiasi contenuto di scientificità, è oltretutto pericoloso quando viene adoperato per valutare la legittimità delle presunzioni legislative in materia penale o nel diritto punitivo in generale; basti pensare che proprio in materia di

22 Il riferimento è alla celebre espressioni di C. ESPOITO, Lineamenti di una dottrina pura del diritto, in Annali dell’Univ. Camerino, IV, Fabriano, 1930, 61 ora in ID., Scritti giuridici scelti, I, Napoli, 1999, il quale scriveva che «il diritto, quando comanda non coercisce quando coercisce non comanda».

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A. PACE, Misure di sicurezza e Costituzione, cit., 193.

24 L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale d’eguaglianza, cit., 657. Sul punto R. BIN, Atti normativi e norme programmatiche, cit., 324, lucidamente scrive che questa «serve a richiamare una realtà “media” dei comportamenti sociali o delle relazioni economiche: si assume, quindi, un criterio di tipo statistico, operando però esclusivamente sulla base dei dati generici di comune esperienza». E l’Autore ancora più caustico in ID., «Al Cuor non si comanda». Valori, regole, argomenti e il “caso” nella motivazione delle sentenze costituzionali, in A. RUGGERI (a cura di), La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Torino, 1994, 330, in un discorso più generale sulle strategie argomentative per fissare le regole di prevalenza di un interesse sull’altro al riguardo della figura dell’id quod plerumque accidit e non solo. L’Autore fa riferimento ai casi specifici in cui tale strategia viene utilizzata per rigettare la questione, ma a parere di scrive il giudizio negativo riservato a tale figura è valido per il suo generale utilizzo: «la pregevolezza di queste figure è molto bassa, la loro incidenza nella configurazione della “regola di prevalenza” è pressoché nulla. Sono formule stereotipate, ripetute con grande frequenza e che troppo spesso occupano lo spazio che avrebbe dovuto essere destinato a qualche ragionamento più calzante, volto a giustificare il perché una certa deformazione [percepita nel “caso”] sia assunta come irrilevante».

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

misure di sicurezza questo è stato lo strumento per respingere numerose questioni di legittimità costituzionale e salvare in più punti una normativa sulla cui portata discriminatoria non si nutrivano dubbi in dottrina e in giurisprudenza25. E sebbene la miopia giustificazionista, riscontrata per le misure di sicurezza, non abbia colpito la Corte per le ipotesi di custodia cautelare obbligatoria in carcere26, lo stesso non può dirsi per la giurisprudenza in merito all’art. 4-bis.

In definitiva, con la figura dell’id quod plerumque accidit si corre il rischio di ammantare cert’une disposizioni di una scientificità che in realtà è inesistente e, in tal modo, di riconoscere ad esse un acritico salvacondotto che si risolve in una legittimazione ex post di scelte che sono il frutto di una precisa opzione di politica criminale, la cui compatibilità a Costituzione, invece, dovrebbe essere oggetto di verifica, seppur nei limiti che la Corte stessa riconosce alla discrezionalità legislativa in questa materia27.

Volendo, allora, tirare le fila di queste nostre riflessioni interlocutorie su un tema tanto complesso, qual è quello del rapporto tra le statuizioni legislative e il potere di accertamento del giudice, si può concludere dicendo che il legislatore non dovrebbe adoperare le presunzioni legali fondate su di una comune esperienza e la Corte costituzionale, dal canto suo, non solo dovrebbe compiere uno stretto scrutinio di costituzionalità, ma a fortiori non dovrebbe ricorrere alle massime di comune esperienza per valutare la costituzionalità di scelte legislative, tanto più se la norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità comporti una restrizione della libertà personale.

Al contrario, la Corte dovrebbe valutare la compatibilità a Costituzione delle presunzioni solo in base alla loro conformità a parametri formalmente costituzionali, diversi dall’art. 3, il quale – come abbiamo visto – si risolve nella porta attraverso la quale le valutazioni di comune esperienza, qui criticate, trovano ingresso nelle valutazioni di costituzionalità28.

25 Non a caso Alessandro Pace ha condotto le riflessioni qui richiamate proprio in merito alla prima decisione di rigetto della Corte costituzionale in materia di misure di sicurezza.

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Forse anche perché in relazione all’art. 275 c.p.p. il Legislatore aveva osato troppo, in termini di discriminatorietà della disciplina.

27 Cfr. A. MANGIONE, La misura di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale, CEDAM, Padova, 2001, 95.

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Sia chiaro, qui non si vuole sostenere che nella motivazione non possano entrare valutazioni di fatto, in quanto si ritiene inconfutabile che ogni disposizione legislativa deve essere interpretata alla luce della realtà sociale nella quale è chiamata ad operare. Quello che si vuole affermare è che valutazioni di tale tipo dovrebbero assumere la veste di argomenti retorici, che dovrebbero adiuvare l’argomentazione

LEONARDO PACE

3.2. Ancora sugli automatismi irrazionali: quando l’incostituzionalità c’è anche se

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