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Quando la Corte costituzionale spingeva i giudici a fare ricorso all’interpretazione conforme

Una rappresentazione unitaria del fenomeno

2. Gli automatismi legislativi e l’interpretazione conforme

2.1. Quando la Corte costituzionale spingeva i giudici a fare ricorso all’interpretazione conforme

La vicenda dalla quale partiamo è la già citata sentenza n. 208 del 2009 della Corte costituzionale. In questa decisione la Corte dichiara inammissibile la questione sull’art. 219 c.p., in quanto il giudice remittente non è pervenuto ad una interpretazione costituzionalmente orientata, resa possibile da due precedenti decisioni, le sentenze nn. 253 del 2003 e 367 del 2004, più volte qui richiamate56.

Secondo la Corte, in base a queste pronunce, è oramai «presente il principio secondo il quale si deve escludere l’automatismo che impone al giudice di disporre comunque la misura detentiva». Questo principio «dettato in relazione alla misura del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario, vale anche per l’assegnazione ad una casa di cura e di custodia, che è, a sua volta, misura di sicurezza detentiva e quindi segregante». In tal modo è possibile escludere l’automatismo della misura detentiva anche quando una misura meno drastica e più elastica, quale la libertà vigilata, si riveli capace di soddisfare in concreto le esigenze di cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale. Ciò che, in definitiva, la Corte ha chiesto ai giudici, respingendo la questione, è di accantonare il dettato normativo con tale principio contrastante.

56 Le due pronunce hanno riguardato la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico ed avevano ad oggetto rispettivamente gli artt. 222 e 206 c.p., dichiarati incostituzionali nella parte in cui non consentivano al giudice l’adozione di una diversa misura di sicurezza.

LEONARDO PACE

Come è noto, la decisione non è stata accolta in modo unanime in dottrina e su di essa si sono espresse le obiezioni e le difese classiche in tema di interpretazione conforme57.

Dopo questa pronuncia, in altre occasioni la Corte costituzionale ha spinto i giudici a far ricorso all’interpretazione conforme che, sulla scorta di un principio affermatosi nel sistema costituzionale a seguito di una sua stessa pronuncia, avrebbe permesso di superare il rigido sistema legale, senza fare ricorso al giudizio di costituzionalità. Qui, senza nessuna pretesa di completezza, ricordiamo le sentt. nn. 189 e 291 del 2010.

Nella prima delle due vicende è stata sollevata questione di legittimità costituzionale sull’art. 58-quater, I co., ord. penit., che stabilisce il divieto di concessione dei benefici penitenziari ai condannati resisi responsabili di condotte integranti il reato di evasione58. Il giudice delle leggi dichiara inammissibile la questione in quanto ritiene possibile l’esperimento dell’interpretazione conforme a Costituzione, grazie alla presenza del principio che, in materia di benefici penitenziari, esclude «rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata caso per caso». Su queste basi, allora, «a fronte di una interpretazione letterale della disposizione impugnata, che genera i dubbi di legittimità costituzionale prospettati dal giudice a quo, è possibile invece una lettura costituzionalmente orientata, basata sull’ineliminabile funzione rieducativa della pena, sancita dall’art. 27, terzo comma, Cost.». Come ricorda la Corte, i principi della giurisprudenza costituzionale sono «ormai organicamente compenetrati

57 Qui ricordiamo i soli commenti di Modugno e di Rescigno, perché riproducono emblematicamente le opposte posizioni sul tema e tralasceremo volutamente, inoltre, di riportare quelle parti delle loro riflessioni riguardanti il tipo di decisione adottata dalla Corte, non essendo tale tema funzionale all’intento di questo scritto. G.U. RESCIGNO, Del preteso principio secondo cui spetta ai giudici ricavare dalle sentenze della Corte e manipolare essi stessi direttamente le disposizioni di legge per renderle conformi a tali principi, cit., 2009, 2412 ss. e spec. 2417, si è dimostrato critico nei confronti della scelta della Corte, in quanto in tal modo si «introduce nel nostro ordinamento un tipo di controllo diffuso di costituzionalità, che diventa accentrato solo quando è impossibile manipolare i testi del legislatore e dunque non resta che demolirli». In base a questa sentenza, continua l’Autore, i giudici non solo possono, ma debbono ricavare dalle sentenze della Corte i principi costituzionali, in nome dei quali «possono e debbono scavalcare le parole del legislatore», manipolandone i testi al fine di renderli conformi al principio individuato. All’opposto F. MODUGNO, Inammissibilità della quaestio legittimitatis per omessa interpretazione costituzionalmente conforme, cit., 2412, accoglie favorevolmente la decisione della Consulta. La strada indicata dalla Corte in questa sentenza – afferma l’Autore – comporta un’attenuazione del sindacato accentrato, che però risulta legittima, in quanto è la conseguenza del bilanciamento tra i due principi della superiorità globale della costituzione e del monopolio del sindacato sulle leggi attribuito alla Corte. Da questo bilanciamento si ricava che il principio del monopolio del sindacato di legittimità copre solo la dichiarazione di incostituzionalità e non l’interpretazione delle leggi e della Costituzione.

58 La normativa, a parere del giudice rimettente, risultava in contrasto con gli artt. 2, 3, 27, III co., 29, 30 e 31 della Costituzione.

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

con le norme legislative che compongono l’ordinamento penitenziario» e «forniscono le linee guida per l’interpretazione delle singole disposizioni».

Analogamente, nella seconda delle due pronunce, la Corte dichiara l’inammissibilità della questione sollevata sull’art.58-quater, co. VII-bis, ord. penit., nella parte in cui esclude che la misura dell’affidamento in prova al servizio sociale possa essere disposta per più di una volta in favore del condannato nei cui confronti sia stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, IV co., c.p.

Anche in questa decisione viene dichiarata l’inammissibilità della questione, a causa del mancato esperimento dell’interpretazione conforme. La disposizione, infatti, può essere interpretata alla luce del principio che, in materia di benefici penitenziari, esclude rigidi automatismi e richiede una valutazione individualizzata tesa a «collegare la concessione o non del beneficio ad una prognosi ragionevole sulla sua utilità a far procedere il condannato sulla via dell’emenda e del reinserimento sociale»59.

Alla luce di questo principio è possibile interpretare restrittivamente la disposizione ed arrivare ad affermare che l’esclusione del beneficio può operare in modo assoluto «solo quando il reato espressivo della recidiva reiterata sia stato commesso dopo la sperimentazione della misura alternativa, avvenuta in sede di esecuzione di una pena, a sua volta irrogata con applicazione della medesima aggravante». E in questo modo – continua la Corte – verrebbe anche «meno il rischio di una irragionevole preclusione in danno del soggetto che, pur essendo stato condannato con applicazione della predetta aggravante, si trovi nelle condizioni di poter essere valutato dal giudice come meritevole della sperimentazione di un percorso rieducativo, che non può ritenersi escluso a priori, per effetto di una astratta previsione normativa».

2.2. La vicenda della custodia cautelare in carcere per i reati di violenza sessuale di

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