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Gli automatismi legislativi e il “potere di comprensione” del giudice

Una rappresentazione unitaria del fenomeno

1. Il necessario equilibrio fra riserva di legge e riserva di giurisdizione

1.5. Gli automatismi legislativi e il “potere di comprensione” del giudice

La giurisprudenza costituzionale in tema di automatismi si muove proprio nella direzione della valorizzazione del potere di iuris-prudentia del giudice comune e, in alcuni casi, di soggetti che svolgono una funzione ad essa assimilabile. Come dimostra la giurisprudenza in tema di sanzioni disciplinari, infatti, il pieno ed effettivo potere di comprensione delle caratteristiche del caso concreto può essere predicabile più in generale per le funzioni giudicanti latamente intese.

Se si pone mente, infatti, alle decisioni passate in rassegna in questo lavoro, si vede che il vizio del rigido meccanismo legale, sanzionato dalla Corte, risiedeva nella soppressione o limitazione del potere di connotazione. E ciò a prescindere dal fatto che l’incostituzionalità fosse generata dal contrasto diretto fra norma impugnata e Costituzione, per la contraddittorietà della prima rispetto ad una regola o principio

26 Cfr. L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 142. 27 L. FERRAJOLI, Diritto e ragione, cit., 145.

Gli automatismi legislativi nella giurisprudenza costituzionale

costituzionale, o, viceversa, dall’inadeguato livello di tutela apprestato dalle norme legislative ad un principio costituzionale, pur in assenza di un diretto contrasto fra esse e la Costituzione.

Il comune denominatore di tutte le ipotesi dichiarate incostituzionali dalla Corte è rappresentato dall’impossibilità per il giudice, e non solo, di valutare le caratteristiche specifiche, singolari e accidentali del caso concreto; che altro non significa se non l’impossibilità di verificare la giusta corrispondenza fra quanto astrattamente previsto dal legislatore e la fattispecie concreta28.

La chiave di lettura che qui si propone, sul fondamento della giurisprudenza costituzionale riguardante gli automatismi legislativi, ci permette di far emergere due elementi affatto particolari del fenomeno di cui stiamo trattando.

In primo luogo serve a spiegare, seppur non a giustificare, l’atteggiamento meno deciso di condanna degli automatismi espulsivi degli extracomunitari, che limitano il potere discrezionale della pubblica amministrazione.

Salvo, infatti, la sentenza n. 302 del 2013, in cui la Corte sembra applicare, alla fattispecie sottoposta al suo scrutinio, la stessa logica espressa per gli automatismi che influivano negativamente sulla funzione giudiziaria, nelle altre decisioni in materia è riscontrabile un diverso atteggiamento.

E ciò è confermato, in primo luogo, nella sentenza n. 148 del 2008, nella quale, come abbiamo già visto, la Consulta si è addirittura trincerata dietro il principio di legalità per giustificare il rigido meccanismo espulsivo e non accogliere la questione di legittimità costituzionale. Ma lo stesso può dirsi per la sentenza n. 172 del 2012, a leggere la quale sembra che il profilo dirimente per dichiarare l’incostituzionalità non sia stato tanto quello della compressione dei poteri di valutazione della pubblica amministrazione, bensì un profilo indiretto, vale a dire la compressione degli interessi dei soggetti terzi ai quali i lavoratori extracomunitari prestavano attività di assistenza.

In secondo luogo, spiega il perché il terreno di elezione degli automatismi legislativi sia il diritto punitivo, perché è proprio in questo settore dell’ordinamento che lo Stato è maggiormente portatore di una visione totalizzante e pervasiva.

28 In altri termini, in queste ipotesi, il soggetto chiamato ad applicare la norma poteva soltanto individuare gli elementi essenziali del caso concreto, essendogli preclusa l’analisi delle caratteristiche concrete e accidentali che avrebbero permesso di dare al fatto una diversa connotazione.

LEONARDO PACE

Senza entrare in un tema dall’elevata complessità, che involge anche l’aspetto della ricerca di nuove forme di legittimazione da parte degli odierni ordinamenti29, possiamo qui limitarci a constatare che la politica criminale ha assunto un marcato valore simbolico: dare risposta all’allarme sociale e far fronte alla paura percepita30

. E nel momento in cui la norma deve esplicare la sua azione essenzialmente sul piano ideologico e culturale31, devono ridursi al minimo le possibilità di intervento di un soggetto terzo come il giudice, che con l’esercizio della sua discrezionalità possa

29 Il tema dovrebbe trovare un’attenzione ben maggiore di quella che in questo lavoro gli si può dedicare, basti qui, pertanto, soltanto ricordare che gli Stati contemporanei, trovatisi nella impossibilità di adempiere alla funzione propria che veniva loro riconosciuta dal modello dello Stato sociale, hanno ricercato una nuova fonte di legittimazione nella protezione dell’incolumità personale dei cittadini (così Z. BAUMAN, Paura liquida, Roma-Bari, 2006, 168), vale a dire nella protezione di questi ultimi da tutta quella serie di fattori che, nelle moderne società, vengono percepiti come una fonte di rischio. Lo strumento prescelto per fondare questo nuovo tipo di legittimazione dello Stato e garantire questo pericoloso diritto fondamentale è lo strumento penale, che ha visto un’espansione dei suoi ambiti di intervento in diversi settori dell’ordinamento (sul punto si veda J. M. SILVA SANCHEZ, L’espansione del diritto penale, Milano, 2004). Questo aumento del tasso di penalità degli odierni ordinamenti è stato efficacemente colto dal H. LAGRANGE, Demandes de sécurité, Paris, 2003, il quale ha affermato che si è avuta «la sostituzione dello Stato sociale con lo Stato carcerario». In questo contesto un ruolo di rilevo è ricoperto, secondo Z. BAUMAN, Paura liquida, cit., 161 ss. e spec. 167 ss, dalle forze del mercato globalizzato ed infatti il sociologo polacco sul punto scrive che «la rinuncia dello Stato alla funzione su cui ha fondato le sue pretese di legittimazione per gran parte del secolo scorso spalanca ancora una volta la questione della sua legittimazione politica […] si sente il bisogno urgente di trovare una legittimazione alternativa all’autorità statale e non sorprende affatto che la si vada oggi a cercare nella promessa dello Stato di proteggere i suoi cittadini dai pericoli per l’incolumità personale» (p. 185). E ancora «esso resta in carica per il mantenimento della legge e dell’ordine sul suo territorio […] Paradossalmente, proprio la sua arrendevolezza oramai quasi totale verso gli altri poteri, interni ed esterni al suo territorio ma in ogni caso sottratti al suo controllo, rende pressoché inevitabile non solo il mantenimento ma l’espansione (sia in senso estensivo che intensivo) della sua funzione di polizia e tutela dell’ordine» (p. 168). Questa rapida analisi non può non chiudersi ricordando quanto lucidamente sostenuto da F. BRICOLA, Crisi del welfare state e sistema punitivo, in Pol. dir., 1982, 68, il quale scriveva che «il neoliberismo odierno, che si affaccia dietro la crisi dello Stato sociale, se è liberista in economia, è singolarmente illiberale sul terreno giuridico e politico».

30 Un esempio in tal senso è il d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 (c.d. pacchetto sicurezza). Sul diritto penale simbolico si veda E. STRADELLA, Recenti tendenze del diritto penale simbolico, in E. D’ORLANDO-L. MONTANARI, (a cura di), Il diritto penale nella giurisprudenza costituzionale, Torino 2009, 237 ss. Scrive A. PUGIOTTO, Il volto costituzionale della pena (e i suoi sfregi), in www.rivistaaic.it 2014, 7, che la paura percepita (l’Autore si rifà a quanto sostenuto da A. CERRETTI- R. CORNELLI, Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica, Milano 2013), è il «vero viagra securitario collettivo che negli ultimi anni i media hanno somministrato, con successo, anche fuori dall’ambito strettamente penale [...] Si tratta di un format collaudato, sempre cangiante eppure sempre eguale: si parte da un’accorta selezione dei casi di cronaca e li si fa oggetto di mirate campagne d’informazione, capaci di trasformare il verosimile in struttura del reale». Così come G. GIOSTRA, Carcere cautelare “obbligatorio”: la campana della Corte costituzionale, le “stecche” della Cassazione, la sordità del legislatore, in Giur. cost. 2012, 4904 mette in evidenza che «soprattutto nell’ultimo ventennio e soprattutto nel settore penale, quasi mai si è legiferato per assicurare adeguata tutela ad un interesse emergente o in effettiva carenza di protezione», ma gli interventi hanno avuto il fine di far «guadagnare popolarità a buon mercato» alla classe politica. Per una critica, dal punto di vista del diritto costituzionale, al diritto alla sicurezza, che è sotteso a questa tendenza del diritto penale, si veda, per tutti, A. PACE, Libertà e sicurezza cinquant’anni dopo, in Dir. Soc. 2013, 177 ss.

31 Come sostiene E. VALENTINI, Sovraffollamento carcerario e custodia cautelare: fotografia del presente e alcuni spunti per il futuro, in Pol. dir. 2011, 291, specificamente in merito alla custodia cautelare.

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rendere inefficace tali funzioni. In altri termini, se deve punirsi l’autore del reato o più in generale il soggetto pericoloso per la collettività32, il giudice non può avere spazio di azione nell’accertamento del fatto e tanto meno nella modulazione delle conseguenze giuridiche33.

Fatte queste premesse di carattere generale, cerchiamo di dare concretezza al discorso che si è finora condotto e vediamo in che modo il rigido meccanismo legale bloccava il potere di connotazione del soggetto chiamato ad applicare la norma.

Nell’applicazione automatica delle misure di sicurezza, il legislatore aveva denotato come socialmente pericolosi i soggetti che venivano prosciolti per vizio totale o parziale di mente e i minori di anni quattordici che avessero commesso un reato. In forza di tale denotazione era prevista l’applicazione automatica della misura di sicurezza e il giudice, il quale prima delle pronunce della Corte costituzionale si trovava a dover giudicare per una di queste due ipotesi, in forza della formulazione rigida della norma, non poteva comprendere le caratteristiche specifiche del caso di specie e, pertanto, poteva solo sussumere (e quindi denotare) la fattispecie concreta in quella astratta.

E lo stesso può dirsi per le ipotesi di applicazione automatica della custodia cautelare in carcere e dell’art. 4-bis ord. penit.

Nel primo caso si denotava come unica misura idonea a contenere la pericolosità sociale degli autori di determinati reati la custodia cautelare in carcere, senza che al giudice fosse consentito verificare se le caratteristiche specifiche del caso concreto avessero degli elementi di rilevanza tali, rispetto alla fattispecie astrattamente prevista, da differenziarla da quest’ultima (il che altro non significa se non l’impossibilità di dare

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Spesso, infatti, come mette esemplarmente in luce M. DONINI, Il cittadino extracomunitario da oggetto materiale a tipo d’autore nel controllo penale dell’immigrazione, in Quest. giust. 2009, 119, nell’odierno diritto penale «la ragion d’essere della punibilità […] non consiste nel fatto commesso, o perché manca il fatto, sostituito da un soggetto antigiuridico, oppure perché il fatto c’è, ma è sintomo di un giudizio sull’autore: è vero che non si vuole la commissione del fatto, ma perché in realtà è il suo autore a risultare indesiderabile».

33 Illuminanti sul punto sono le parole di L FERRAJOLI, Il diritto penale del nemico e la dissoluzione del diritto penale, in Quest. giust. 2006, 630, secondo il quale nel diritto penale del nemico, che persegue finalità securitarie, ciò che conta è «l'efficienza, insieme alla facile idea, propria del senso comune autoritario, che la giustizia deve guardare al reo dietro al reato, alla sua pericolosità dietro alla sua responsabilità, all'identità del nemico». E continua l’Autore «se il presupposto della pena è rappresentato, più che da fatti delittuosi determinati, dalla sostanziale personalità terroristica o mafiosa del loro autore, il processo decade inevitabilmente da procedura di verifica empirica delle ipotesi d'accusa in tecnica d'inquisizione sulla persona, cioè sulla sua soggettività sostanzialmente nemica od amica quale si esprime non tanto nei reati da lui commessi quanto nella sua identità politica o religiosa, o nella sua condizione sociale o culturale, o nel suo ambiente e nei suoi percorsi di vita».

LEONARDO PACE

ad essa una diversa connotazione) e, di conseguenza, permettere l’applicazione di una misura meno limitativa della libertà personale.

Parimenti può dirsi per i casi riguardanti l’art. 4-bis, per i quali il Legislatore denota come socialmente pericolosi gli autori di determinati reati, tanto da precludere a questi ultimi l’accesso alle misure rieducative, salvo una dimostrazione specifica di rescissione dei legami con l’ambiente criminale di provenienza e quindi di emenda. Anche in questa ipotesi il giudice non poteva concretamente operare quella ricerca delle proprietà e delle caratteristiche del caso concreto che avrebbero potuto condurre alla sua diversa connotazione e, pertanto, alla esclusione di determinati casi dall’ambito di applicazione della norma, così come formulata dal legislatore.

Allo stesso modo, nel consistente filone giurisprudenziale in tema di sanzioni disciplinari applicate automaticamente, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità della normativa nella parte in cui non prevedeva l’irrogazione della sanzione a seguito del procedimento disciplinare, unica sede in cui era consentito al titolare del potere in questione di verificare se le specifiche circostanze del caso concreto fossero tali da giustificare la sua sussunzione nella fattispecie astratta, con la conseguente applicazione della sanzione da essa prevista. Con la dichiarazione di incostituzionalità si afferma, pertanto, la necessità della verifica delle concrete responsabilità del soggetto che subisce la potestà disciplinare e, in via del tutto conseguente, è stata dichiarata l’insufficienza della semplice denotazione, cioè della sola verifica delle caratteristiche essenziali del caso concreto al fine di sussumere quest’ultimo nella fattispecie astratta, e si è riconosciuta come necessaria anche la comprensione delle caratteristiche specifiche, che possono far propendere per l’applicazione di una diversa misura.

Come risulta dalla parte teorica sulla differenza fra denotazione e connotazione, il giudice, nel connotare la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio, può individuare fra le imprevedibili connotazioni del fatto storicamente determinato non solo caratteristiche specifiche, ma anche quelle accidentali. Ed è questo ciò che è emerso nella giurisprudenza sugli automatismi distorsivi della disciplina. In quei casi, infatti, la Corte ha riconosciuto la conformità astratta della norma a Costituzione, risiedendo l’incostituzionalità di questa nell’incapacità di far adeguatamente fronte alle particolarità del caso concreto. Orbene, in questi casi la Corte ha ribadito nuovamente la necessità della connotazione giudiziale, perché solo riconoscendo al giudice la

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possibilità di comprendere il caso concreto e, pertanto, di dare una diversa soluzione interpretativo-applicativa è possibile tutelare adeguatamente gli interessi costituzionalmente rilevanti che entrano nel campo di applicazione di quest’ultima. Anche in questo caso, come in tutti quelli analizzati, la Corte ha aperto le porte al potere di valutazione del giudice delle circostanze concrete, permettendo un’applicazione della legge conforme ad esse ed ai valori costituzionali che queste esprimono34.

1.6. Gli automatismi legislativi non si identificano nella “delega di bilanciamento”

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