• Non ci sono risultati.

L’aggravante della transnazionalità Il principio di proporzionalità e le scelte di politica criminale

Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal

IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ QUALE CANONE DI LEGITTIMITÀ

2. L’aggravante della transnazionalità Il principio di proporzionalità e le scelte di politica criminale

La legge 16 marzo 2006, n. 146 costituisce l’adattamento dell’ordinamento interno ad una norma di diritto internazionale pattizio, realizzato attraverso il cd. ordine di esecuzione (cfr. art. 2 l.146/2006) consistente in un atto di produzione giuridica ad hoc «che statuisce norme giuridiche il cui contenuto è determinato indirettamente mediante rinvio al trattato»10. Tale rinvio presuppone che il legislatore non si limiti a riprodurre le norme del trattato ma ne crei necessariamente di nuove ricavandole dalla norma internazionale cui si fa rinvio.

Una premessa imprescindibile dovrebbe guidare l’operatore del diritto i.e. la norma interna prodotta attraverso l’ordine di esecuzione11:

- deve essere coerente con l’intentio legis della fonte internazionale di cui costituisce ratifica ed esecuzione12;

- non deve porsi in contrasto con principi fondamentali di diritto interno (proporzionalità, legalità, determinatezza, prevedibilità)13.

Quanto al primo requisito, la Convenzione non mira a colpire la natura transnazionale del reato in quanto tale, bensì intende «promuovere la cooperazione» (mutual legal assistance) nella lotta a fenomeni particolarmente pericolosi di criminalità organizzata (art. 1 della Convenzione) attraverso una reciprocità tra sistemi nazionali degli Stati-parte, che in tal modo si trovano ad essere garanti l’un l’altro dell’effettiva incriminazione di determinati crimini.

L’art. 3 della Convenzione precisa ulteriormente tale “dichiarazione d’intenti” prevedendo che vi sia cooperazione interstatale (mutual legal assistance) i) per una serie di reati espressamente indicati agli artt. 5 (partecipazione ad un gruppo criminale organizzato), 6 (riciclaggio di proventi di reato), 8 (corruzione) e 23 (intralcio alla giustizia) della Convenzione, dei quali si chiede l’incriminazione interna, nel caso gli Stati non abbiano già provveduto e ii) per tutti i reati già previsti dagli ordinamenti interni con una precisa consistenza sanzionatoria (le cui modalità concrete vengono arricchite dalla natura transnazionale e dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato14).

10 T. PERASSI, Lezioni di diritto internazionale, II, Padova, 82. 11 Cfr. art. 2 l. 146/2006.

12 Coerenza rinforzata dalla modifica dell’art. 117 comma 1 Cost. ad opera della l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3 in base alla quale «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Mancata coerenza che, fin da subito, è stata rilevata cfr. intervento dell’On. C. Taormina, Relatore per la II Commissione, il quale ha rilevato come «la maggior parte delle disposizioni del disegno di legge non sembrano essere in rapporto di stretta consequenzialità con la Convenzione che tale disegno di legge mira a ratificare», Resoconto del 7 febbraio 2006 Commissioni riunione II e II sede referente.

13 All’art. 34 par. 1 della Convenzione di Palermo «Each State Party shall take the necessary measures, including legislative and administrative measures, in accordance with fundamental principles of its domestic law, to ensure the implementation of its obligations under this Convention». Si veda anche il preambolo della Decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008 relativa alla lotta contro la criminalità organizzata che ricorda come: «L’obiettivo del programma dell’Aia è di migliorare le capacità comuni dell’Unione e dei suoi Stati membri al fine, segnatamente, di lottare contro la criminalità organizzata transnazionale. Tale obiettivo deve essere perseguito in particolare mediante il ravvicinamento delle legislazioni. (…) La presente decisione quadro si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità».

E qui emerge il secondo obiettivo della Convenzione: l’introduzione in ciascun ordinamento di specifici obblighi di incriminazione, a prescindere dalla natura transnazionale, che si presenta come elemento accessorio ma la cui presenza torna indispensabile per far scattare la cooperazione15.

Non è superfluo precisare che il nostro ordinamento interno, al tempo della ratifica, già prevedeva l’incriminazione di tali fattispecie di reato (artt. 416, 416bis, 648bis, 684ter, 318-322, 377 c.p.)16.

Teoricamente, nulla di più ci era richiesto. Erano gli altri Stati a dover eventualmente recuperare il gap.

L’art. 34 par. 2 della Convenzione (rubricato Implementazione della Convenzione) chiarisce il motivo per cui sono state delineate queste due aree di applicazione: «i reati di cui agli artt. 5, 6, 8 e 23 devono essere puniti negli ordinamenti penali nazionali a prescindere dalla natura transnazionale o dal coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato come descritto dall’art. 3 par. 1, ad eccezione dell’art. 5 che richiede espressamente il coinvolgimento del gruppo criminale».

Se l’obiettivo primario della Convenzione è garantire la cooperazione tra Stati nella lotta ai fenomeni di criminalità organizzata, la natura transnazionale rileva principalmente quale segnale d’allarme17 nonché quale presupposto necessario al fine di far scattare un obbligo di cooperazione internazionale18.

15 Cfr. D. ZINGALES, La Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale e

l’introduzione del reato transnazionale ad opera della legge 146/2006 e aspetti problematici alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, 449 ss.

16 Nella relazione accompagnatoria del disegno di legge n. 2351 comunicato alla presidenza il 26 giugno 2003 si legge infatti «il nostro paese si pone già all’avanguardia quanto ai mezzi legislativi di contrasto alla criminalità organizzata (…) si è dunque ritenuto di fornire con il presente disegno di legge, solo gli strumenti di completamento della legislazione nazionale necessari ad una coerente esecuzione della convenzione e dei protocolli (…) in tale prospettiva si è prevista l’applicabilità ai reati definiti gravi ai sensi dell’art. 2 lett. b) della Convenzione, commessi nell’ambito delle attività transnazionali dei suddetti gruppi, dell’aggravante prevista per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 7 comma 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n.152».

17 Circa la valenza del connotato della transnazionalità, inteso quale mero segnale d’avvertimento per desumere la presenza di un crimine commesso da un gruppo criminale organizzato si veda l’opzione 2 dell’art. 2 della Draft Convention redatta durante la First session dei lavori preparatori (Vienna 19-29 gennaio 1999) in cui si affermava che «Tra le circostanze che possono essere prese in considerazione per decidere se esistano ragionevoli motivi per credere che sia coinvolto un gruppo criminale organizzato ci sono le seguenti: a) la natura del reato; b) il carattere transnazionale del reato; c) se vi sia riciclaggio di denaro; o d) se il reato richieda una particolare pianificazione o mezzi per la sua realizzazione».

18 Appare assolutamente chiaro, anche da un’attenta analisi dei lavori preparatori della Convenzione di Palermo, che la mera presenza di un elemento straniero non è sufficiente ad aggravare la condotta ex art. 4. A titolo esemplificativo, basti pensare che era stata prospettata la possibilità che la mera presenza di un elemento straniero non fosse sufficiente neanche a rendere transnazionale l’offesa (impostazione che applicata alla legge di ratifica avrebbe voluto dire escludere che la mera presenza di un elemento straniero potesse soddisfare persino la definizione di reato transnazionale cui all’art. 3). Proposta della delegazione dell’Oman durante la Third session (Vienna, 28 aprile - 3 maggio 1999), e ribadita durante le sessioni successive, sull’art. 2 della Draft Convention che definiva l’ambito di applicazione. Tale articolo inizialmente contemplava un comma 2 che mirava ad escludere l’applicazione della Convenzione laddove il reato fosse commesso in un solo stato, con membri del gruppo di nazionalità dello Stato e persone offese di nazionalità dello Stato («This convention shall not apply where the offence is committed whithin a single State, all members of the criminal group are national of that State and the victims are nationals or entities of that State»). La delegazione dell’Oman propose di sostituire l’espressione «all members of the criminal group» con «all or one of the members of the criminal group» per evitare che la mera presenza di un elemento straniero fosse sufficiente a rendere transnazionale l’offesa.

In tal senso, la guida interpretativa per l’implementazione della Convenzione19

afferma che, mentre il carattere transnazionale e il coinvolgimento del gruppo criminale organizzato sono necessari per rendere applicabili le disposizioni relative alla cooperazione, «si deve fortemente enfatizzare che (…) nessuno di tali elementi deve esser tramutato in elemento costitutivo del reato a livello nazionale»20.

Tralasciando la scelta – foriera di confusione - di importare sic et simpliciter nell’ordinamento interno di una disposizione (art. 2 comma 3 della Convenzione tramutato nell’art. 3 della l. 146/200621) che in realtà aveva portata meramente definitoria dell’ambito di applicazione della stessa22, un dubbio sorge spontaneo: il legislatore italiano ha correttamente interpretato la ratio della Convenzione introducendo una specifica aggravante23?

Parrebbe che il principio di proporzionalità, quale criterio di legiferazione, di cui in esordio, abbia ceduto il passo rispetto all’esigenza di fronteggiare con il maggior rigore possibile fenomeni socialmente allarmanti. Potrebbe, viceversa, dirsi che tale principio risulti rispettato considerato il disposto di cui all’art. 34 della Convenzione, laddove

legittima l’adozione di misure più severe (motivate evidentemente da scelte di politica criminale), rispetto a quelle previste dalla Convenzione, al fine di prevenire e combattere il crimine organizzato transnazionale.

19 Circa la valenza di tale fonte si ricordi che, ai sensi dell’art. 32 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati che costituisce norma di diritto consuetudinario, nel caso in cui un’interpretazione meramente letterale lasci margini di ambiguità, si può far ricorso a «mezzi supplementari», di cui tale guida costituisce certamente un esempio.

20 Legislative Guide for the Implementation of the UN Convention against Transnational Organized

Crime, p. 10-11 «It must be strongly emphasized that, while offences must involve transnationality and

organized criminal groups for the Convention and its international cooperation provisions to apply, neither of these must be made elements of the domestic offence (art. 34, para. 2)». «An interpretative note (A/55/383/Add.1, para. 59) indicates that the purpose of this paragraph is, without altering the scope of application of the Convention as described in article 3, to indicate unequivocally that the transnational element and the involvement of an organized criminal group are not to be considered elements of those offences for criminalization purposes. The paragraph is intended to indicate to States parties that, when implementing the Convention, they do not have to include in their criminalization of laundering of criminal proceeds (art. 6), corruption (art. 8) or obstruction of justice (art. 23), the elements of transnationality and involvement of an organized criminal group, nor in the criminalization in an organized criminal group (art. 5), the element of transnationality»; p. 19. «Any requirements of transnationality or organized criminal group involvement would unnecessarily complicate and hamper law enforcement. The only exception to this principle in the Convention is the offence of participation in an organized criminal group, in which case the involvement of an organized criminal group is of course going to be an element of the domestic offence. Even in this case, however, transnationality must not be an element at the domestic level».

21 Art. 3 l. 146/2006 Definizione di reato transnazionale. Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché: a) sia commesso in più di uno Stato; b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato; c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.

22 Ad esempio, il testo inizialmente approvato dal Senato non comprendeva la definizione di reato transnazionale di cui all’attuale art. 3.

23 Aggravante che, oltre all’imposizione di un trattamento sanzionatorio più grave, al comma 2 dell’art. 4 prevede l’applicazione del meccanismo di esclusione del bilanciamento secondo la previsione dettata dall’art. 7, comma 2, del d.l. n. 152 del 1991.

L’attenzione va, dunque, rivolta al principio di proporzionalità quale canone di legittimità della concreta risposta sanzionatoria rispetto all’accadimento storico.

3. Quando la norma entra in sofferenza. Paradossi sanzionatori e nuove

Outline

Documenti correlati