Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ QUALE CANONE DI LEGITTIMITÀ
4. Salvare (ad ogni costo) la duplicazione del giudizio di disvalore?
Gli interrogativi (ed i rischi) di cui al paragrafo sub 3, ad avviso di chi scrive, non trovano risposte soddisfacenti nella giurisprudenza della Cassazione.
In particolare, la Suprema Corte con la sentenza Cass., Sez. VI, 18 novembre 2015, n. 47217, si è mostrata più interessata ad un altro paradosso (l’altra faccia della medaglia di quello individuato al paragrafo sub 3) affermando che «il principio dell’incompatibilità dell’aggravante della transnazionalità con i reati-fine consumati nel contesto programmatico, o con l’apporto, di un gruppo organizzativo criminale transnazionale che sia anche associazione per delinquere» condurrebbe ad una «conseguenza obiettivamente paradossale»: quella per cui l’aggravante finirebbe col potersi applicare solo a chi risponde di un reato-fine, consumato con l’apporto del gruppo/associazione, ma non sia partecipe di tale gruppo/associazione. Secondo la Corte verrebbero a crearsi due alternative possibili, ma sistematicamente insostenibili: «o di fatto mutare la natura di un’aggravante oggettiva in soggettiva (quindi configurabile solo a carico di alcuni dei
(cd. agevolazione mafiosa). Com’è stato rilevato, “Nell’uno e nell’altro caso il supplemento di portata repressive sembra esposto al rischio di una tendenziale disapplicazione dell’aggravante stessa in vista del superiore principio del ne bis in idem sostanziale perché, per un verso, sarebbe iniquo addebitare il ricorso al metodo mafioso come generale connotato del reato associativo ed anche quale concreta modalità attuativa ed aggravante dei delitti-scopo e, per altro verso, sembra altrettanto implausibile imputare la finalità associativa una prima volta come aggravante del delitto attraverso il quale si intende arrecare un contributo al sodalizio mafioso ed una seconda volta come elemento costitutivo della fattispecie associativa” [DE VERO, 42 ss.; VISCONTI, 1303 ss., che parla di “effetto metastatico-moltiplicatore delle
imputazioni penali”]».
29 «Each State Party shall take the necessary measures, including legislative and administrative measures, in accordance with fundamental principles of its domestic law, to ensure the implementation of its obligations under this Convention».
concorrenti in ragione del loro rapporto personale con il gruppo/associazione); o estendere al concorrente non associato la “copertura” che la sovrapposizione/immedesimazione, in ipotesi, offrirebbe, anche per tali reati, al solo associato»30.
Conclude la Corte: «si tratta in realtà di un paradosso che viene a confermare la coerenza sistematica della sola interpretazione secondo cui la circostanza aggravante ex art. 4 legge n. 146 del 2006 si applica anche ai reati-fine consumati, integralmente o in parte, da appartenenti ad associazione per delinquere che si immedesimi nel gruppo organizzato criminale transnazionale»31.
Diversamente, la circostanza per cui – a prescindere dalla prospettiva – la questione generi paradossi sanzionatori, più che confermare la coerenza sistematica di una determinata interpretazione, induce a tornare al dubbio iniziale (l’introduzione di tale aggravante è coerente con l’intentio legis della Convenzione?).
Inoltre, considerato il forte impatto dell’aggravante sul piano sanzionatorio, non sembra peregrina l’ipotesi di adottare un approccio soggettivo nell’applicazione dell’aggravante, proprio al fine di evitare una molteplice valutazione penalistica dello stesso fatto32.
Di diverso avviso, rispetto alla possibile adozione di un approccio soggettivo, è la Suprema Corte nella sentenza Cass., sez. V, 17 novembre 2016, n. 7641 (pronunciata in procedimento cautelare), laddove ha risposto affermativamente al quesito «se sia applicabile la predetta circostanza aggravante al reato-fine nella misura in cui, secondo l’imputazione, sia ritenuto che abbiano concorso alla sua commissione i medesimi soggetti componenti del gruppo criminale organizzato (coincidente con l’associazione per delinquere), operante in più di uno stato».
Ciò poiché «in linea di principio, non può sussistere alcuna incompatibilità sotto il profilo ontologico, tra l’assumere la qualità di componenti del gruppo criminale organizzato (così come la qualità di associati ex art. 416 c.p.) e quella di concorrenti ex art. 110 c.p. nel reato-fine»33.
In sostanza – visto che l’appartenenza al sodalizio non si tramuta in automatico contributo al reato-fine34 – sembra che ci si debba dimenticare che il soggetto sia partecipe dell’associazione di cui al 416 c.p. (e che l’associazione coincida con il gruppo organizzato transnazionale), perché egli contribuisce al reato-fine, non in quanto partecipe all’associazione, ma in virtù del paradigma di cui all’art. 110 c.p.
30 Cfr. Cass., Sez. VI, 18 novembre 2015, n. 47217, in CED Cass., n. 265354.
31 Cfr. Cass., Sez. VI, 18 novembre 2015, n. 47217, in CED Cass., n. 265354 e successiva conforme, Cass. sez. IV, 27 settembre 2017, n. 53563, non massimata.
32 Cfr., ad esempio, Cass. sez. VI, 13 ottobre 2016, n. 52321, in CED Cass., n. 268522, «I criteri di valutazione delle circostanze aggravanti, previsti dall’art. 59, comma secondo, cod. pen., riguardano non solo le circostanze antecedenti o contemporanee alla condotta dell’agente, ma anche quelle successive, in relazione alle quali la “conoscenza” o l’ “ignoranza per colpa”, devono intendersi come “previsione” o “prevedibilità” della circostanza medesima. (In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso l’aggravante della transnazionalità di cui all’art. 4, l. 16 marzo 2006, n. 146, rilevando che il concorso dell’imputato nel delitto di corruzione di cinque pubblici ufficiali cui erano stati erogati ingenti importi di denaro in un arco temporale non breve, non costituivano elementi idonei a rendere prevedibile la successiva attività di “ripulitura” all’estero di tali somme, tramite un gruppo criminale organizzato)».
33 Cass., Sez. V, 17 novembre 2016, n. 7641, in CED Cass., n. 269371.
34 Cass., Sez. V, 17 novembre 2016, n. 7641 «il ruolo di partecipe rivestito da taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio».
Se tale conclusione trova la sua unica giustificazione nella compatibilità ontologica tra l’essere componenti del gruppo criminale organizzato (così come la qualità di associati ex art. 416 c.p.) e concorrenti ex art. 110 c.p. nel reato-fine, deve nondimeno rilevarsi come tale regola (volta ad escludere automatismi) sia nata al fine di evitare trattamenti di sfavore35, mentre, nel caso di specie, se ne fa un’applicazione contra reo.
Peraltro, non si dimentichi che per potersi ravvisare l’esistenza di un gruppo criminale organizzato è necessario un quid pluris rispetto al concorso di persone nel reato36.
Una impostazione che, dunque, non pare giustificare la moltiplicazione del giudizio di disvalore.
Dov’è quell’alterità tra soggetto agente e realtà plurisoggettiva beneficiaria dell’apporto causale di cui parlavano le Sezioni Unite? Quale sarebbe il quid pluris in grado di giustificare l’aumento di disvalore e la legittima applicazione dell’art. 4 l. 146/2006?
Certamente non può sostenersi che il disvalore si intensifichi stante la presenza di profili di transnazionalità (unico quid pluris non assorbito da alcuna delle norme applicabili) poiché, come stabilito dalla Sezioni Unite, «non è il reato transnazionale in sé soggetto ad aggravamento di pena»37. Un connotato che, peraltro, non sarebbe privo di conseguenze avendo già come contropartita l’applicabilità della confisca.
Forte è il rischio di cadere nell’errore concettuale di ritenere coincidenti le disposizioni di cui all’art. 3 lett. c) della Convenzione e la previsione che introduce l’aggravante nella legge di ratifica38.
Che non sia arrivato il momento per le Sezioni Unite di tornare nuovamente sul punto? Allo stato attuale e nella particolare casistica analizzata, infatti, l’operatività dell’art. 4 sembra esposta al rischio di una disapplicazione tendenziale in ragione del superiore principio del ne bis in idem; rischio sinora scongiurato solo attraverso un’applicazione della legge che – erroneamente – ha ridotto la portata dell’art. 4 (aggravante della transnazionalità) a quella dell’art. 3 (natura transnazionale del reato) l. 146/2006.
35 Quali l’attribuzione del reato-fine ad un soggetto per la mera partecipazione all’associazione. 36 Cass., Sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 7470, in CED Cass., n. 243038.
37 Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Adami e altro, in CED Cass., n. 255034 e 255035. 38 Si consideri anche la differente formulazione poiché l’art. 3 lett. c) della legge di ratifica richiede ai fini della transnazionalità che il gruppo sia genericamente implicato nel reato, l’art. 4 presuppone invece ai fini dell’applicazione dell’aggravante un quid pluris ovvero un contributo apportato dal gruppo alla commissione del reato. Cfr. D. ZINGALES, La Convenzione ONU contro la criminalità organizzata
transnazionale e l’introduzione del reato transnazionale ad opera della legge 146/2006 e aspetti problematici alla luce delle prime applicazioni giurisprudenziali, cit., 449 ss.
MODALITÀ DI ESERCIZIO DELL'AZIONE PENALE E DISEGUAGLIANZE