Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal
DELLA PENA: IL CASO «PROBLEMATICO» DEL 41-BIS O.P.
2. I princìpi costituzionali e gli obblighi convenzionali di tutela dei diritti uman
Lo statuto costituzionale dell’esecuzione penitenziaria, che, da sempre connota in termini garantistici l’espiazione della pena e la sua consequenziale restrizione della libertà personale, ha subìto una profonda trasformazione (in un’ottica di potenziamento di tutela a favore del detenuto) con l’intrecciarsi ed il sovrapporsi degli standard di protezione offerti dalla Cedu e dalla giurisprudenza evolutiva della Corte di Strasburgo8.
Con i leading case Torreggiani e altri c. Italia (in relazione all’umanità della pena)9, Öcalan c. Turchia (n. 2) e Trabelsi c. Belgio (in relazione al principio di proporzionalità
6 Nonostante il testo legislativo riporti un’accezione più ristretta di proporzionalità, non può comunque escludersi che con ciò il legislatore, indicando espressamente una parte (il giudizio di necessità), abbia inteso richiamare il tutto (c.d. sineddoche), ovverosia il principio di proporzionalità, inteso come giudizio complesso, così come è avvenuto, grazie all’interpretazione evolutiva della dottrina e dalla giurisprudenza tedesca per la nozione di proporzionalità in relazione al diritto pubblico. Sul punto, cfr., per tutti, S. COGNETTI, Profili Sostanziali della legalità amministrativa. Indeterminatezza della norma e limiti della
discrezionalità, Giuffrè, 1993, 65-68.
7 Operazione ermeneutica che dovrebbe essere chiamata, quindi, a svolgere ex ante l’Amministrazione penitenziaria stessa (nei margini di discrezionalità sull’an oppure sul quid o quomodo di attuazione dei propri poteri), in relazione alle peculiarità del caso concreto, direttamente in applicazione dei princìpi costituzionali della pena (ex artt. 3, 13, 24, 25, co. 2, 27, co. 3 Cost.), letti in combinato disposto con i parametri convenzionali di cui agli artt. 3, 6, 7, 8 Cedu. L’operatività del principio di proporzionalità quale criterio d’azione amministrativa dovrebbe assicurare un corretto e dialogico rapporto con le valutazioni, operate, ex post (a lesione del diritto soggettivo avvenuta), dalla Magistratura di sorveglianza: il sindacato giurisdizionale rispetto all’operato dell’amministrazione dovrebbe essere imperniato, a sua volta, sul canone della proporzionalità, così da poter assicurare un’omogeneità applicativa «flessibile» del medesimo istituto penitenziario, modulata (ex ante o ex post) in ragione delle circostanze concrete, connesse alla situazione soggettiva del detenuto e dei suoi diritti fondamentali. Sul punto, cfr. G. M. NAPOLI,Il regime penitenziario, Giuffrè, 2012, 204 ss.; ID., Il principio di proporzionalità nell’esecuzione penitenziaria.
Poteri amministrativi autoritativi e diritti della persona detenuta, in Dir. pen. cont., 6 febbraio 2015. Sia
consentito il richiamo a V. MANCA, Il diritto di permanenza all’aria aperta in regime di 41-bis O.P.: una
riflessione costituzionalmente orientata tra proporzionalità, finalismo rieducativo ed umanità della pena,
in Arch. pen. web, 2, 2017.
8 Si consenta il rinvio a V. MANCA,La finalità preventiva del 41-bis O.P. tra misure di prevenzione e
custodia di sicurezza: suggestioni de iure condendo, in Arch. pen. web, 1, 2018.
9 La recente casistica giurisprudenziale ha dimostrato come il sovraffollamento delle carceri non sia un episodio legato alla situazione di un singolo Paese (Italia), ma che interessi la maggior parte degli Stati europei: a partire, infatti, dalla sentenza pilota Torreggiani e a. c. Italia, dell’8 gennaio 2013, anche altri Stati, come, ad esempio la Bulgaria, l’Ungheria, la Romania e il Belgio, sono stati colpiti da un
procedimento pilota, con cui la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la natura di patologia strutturale del sistema penitenziario nazionale, invitandoli – su esempio dell’Italia – ad adottare misure generali sia a carattere preventivo, sia di tipo risarcitorio al fine di ripristinare standard di tutela conformi alla Convenzione. Secondo il rapporto Space I – 2014 del 23 dicembre 2015, oltre il 27,5% delle strutture penitenziarie europee è ad oggi interessata dal fenomeno del sovraffollamento. Sono gravati da tale patologia Paesi come Grecia, Macedonia, Bulgaria, Romania, Albania, Belgio ed Ungheria. Con riferimento alla Bulgaria, cfr. Corte EDU, 27 gennaio 2015, Neshkov e altri c. Bulgaria, ric. nn. 36925/10, 21487/12, 72893/12, 73196/12, 77718/12, 9717/13.
del trattamento sanzionatorio)10, e Cestaro e altri c. Italia (in relazione alle ipotesi di tortura)11, si è verificato infatti uno stravolgimento dei rapporti tra Stato (e con esso Amministrazione penitenziaria) e persona reclusa, che, per il periodo dell’esecuzione della pena, viene, di fatto, affidata alla cura ed alla responsabilità degli agenti statali (con
10 Le pronunce Öcalan c. Turchia (n. 2) e Trabelsi c. Belgio hanno, infatti, offerto delle importanti precisazioni in merito al principio di proporzionalità della pena, con specifico riferimento alla pena dell’ergastolo. Nel caso Öcalan, il ricorrente, accusato di terrorismo, era stato condannato alla pena di morte, commutata, in seguito alla sua abolizione in Turchia, in una pena perpetua reale senza possibilità di liberazione condizionale. Secondo la Corte di Strasburgo, nella legislazione turca non vi erano margini di consentire al detenuto forme di reinserimento sociale, né erano previsti meccanismi di riesame della pericolosità dello stesso. Identiche riflessioni sono state formulate in relazione all’affaire Trabelsi, in cui il ricorrente era stato estradato dalle autorità belghe negli Stati Uniti, in cui avrebbe dovuto essere processato. Seguendo i criteri giurisprudenziali, elaborati in seno al caso Vinter c. Regno Unito, la Corte di Strasburgo ha opportunamente valutato, con un giudizio ex ante, l’affidabilità dello Stato terzo in ordine alle prospettive garantite sul piano interno di liberazione dell’interessato e dell’assenza di rischio di subire trattamenti inumani e degradanti. In contrasto con tali precedenti, la Corte è intervenuta di nuovo sul problema dell’ergastolo, facendo un passo indietro rispetto ai princìpi consolidati. Il riferimento corre, in particolare, ai casi Murray c. Paesi Bassi e Hutchinson c. Regno Unito, decisi in prima istanza dalla Camera e appellati innanzi la Grande Camera. Nel caso Murray c. Paesi Bassi, la Corte è stata chiamata a verificare la compatibilità della legislazione dell’isola di Curaçao (Antille olandesi) con l’art. 3 Cedu: il ricorrente era stato condannato all’ergastolo, senza liberazione condizionale, con la sola possibilità di riacquisire la libertà per grazia presidenziale. Nel 2011 una riforma dall’ordinamento giuridico dell’isola di Curaçao ha introdotto la possibilità di riesame periodico della pena dell’ergastolo. Nel 2012, dopo una rivalutazione della pena del ricorrente, le autorità competenti hanno ritenuto che il mantenimento in detenzione fosse ancora legittimo e giustificato. La Corte Edu ha richiamato i criteri Vinter, ricordando l’ampio margine di apprezzamento dello Stato nella determinazione della pena e ha concluso per la non violazione dell’art. 3 Cedu. Diametralmente opposta, invece, la decisione della Grande Camera, la quale il 26 aprile 2016, ha rivalutato le argomentazioni della sezione semplice, decretando la violazione dell’art. 3 Cedu, nella misura in cui, nel caso concreto, l’impossibilità di accedere in corso di esecuzione della pena detentiva ad adeguate cure medico-psichiatriche ha privato il detenuto di qualsiasi possibilità di intraprendere un percorso trattamentale riabilitativo che gli consentisse di beneficiare di una riduzione sensibile ed effettiva della pena dell’ergastolo. Cfr. Corte EDU, GC, 26 aprile 2016, Murray c. Paesi Bassi, ric. n. 10511/10. Nel caso
Hutchinson, la Corte Edu è tornata ad esaminare, per la terza volta, la legislazione del Regno Unito
sull’ergastolo sotto un profilo analogo al caso Vinter: l’impossibilità per i condannati all’ergastolo di ottenere una liberazione anticipata/condizionale e l’assenza di chiarezza del dato normativo quanto ai presupposti per l’esercizio del potere discrezionale del Ministro. L’unica differenza tra la situazione del signor Hutchinson e quelle oggetto del caso Vinter consiste nella sopravvenuta giurisprudenza interna sulla compatibilità del sistema con le esigenze convenzionali. La Corte d’appello, nel caso R. c. Newell: R. v.
McLoughlin (2014), del 18 febbraio 2014, che la legislazione interna ha infatti ritenuto valida e
sufficientemente chiara la legislazione interna, in particolare in relazione alla sussistenza di possibilità – seppur eccezionali – di liberazione per i condannati all’ergastolo. Secondo la Grande Camera, del 17 gennaio 2017, la decisione della Corte inglese avrebbe svolto un ruolo centrale di interpretazione evolutiva della legislazione interna, dissipando dubbi interpretativi circa la compatibilità della normativa inglese rispetto all’art. 3 Cedu. Cfr. Corte EDU, GC, Hutchinson c. Regno Unito, 17 gennaio 2017, ric. n. 57592/08. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo, elaborata in relazione alla compatibilità delle forme di ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata, potrebbe avere un impatto decisivo sulla legislazione interna e sull’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo: come è noto, è, infatti, attualmente pendente il ricorso n. 77633/16, nel caso Viola c. Italia (presentato il 12 dicembre 2016), giudicato rilevante ai fini dell’ammissibilità di una decisione in merito, come risulta dal comunicato diffuso dalla Corte di Strasburgo, del 30 maggio 2017, la cui risoluzione potrebbe condurre ad una dichiarazione di non conformità agli
standard convenzionali della pena dell’ergastolo ostativo.
11 Cfr. Corte EDU, 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, con nota di F. VIGANÒ, La difficile battaglia contro
l’impunità dei responsabili di tortura: la sentenza della Corte di Strasburgo sui fatti della scuola Diaz e i tormenti del legislatore italiano, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2015.
un obbligo positivo, preliminare al servizio pubblico di rieducazione, di protezione dell’incolumità personale dello stesso detenuto), accentuando problematiche ulteriori e diverse rispetto a quelle che tradizionalmente vengono ricondotte all’esecuzione penitenziaria e alla sfera della punibilità, più in generale (vedi, ad es., l’effettività della pena, il finalismo rieducativo, etc.).
Un ruolo decisivo è stato rivestito dalla cd. teoria degli obblighi positivi elaborata dalla Corte di Strasburgo in linea con la dottrina e la giurisprudenza costituzionale tedesca12, che trova la sua massima esemplificazione nell’interpretazione evolutiva degli artt. 2 Cedu in tema di tutela del diritto alla vita e 3 Cedu in relazione alla protezione dei diritti fondamentali dei detenuti (i.e.: compatibilità della detenzione con lo stato di salute del
12 Sul tema, A. R. MOWBRAY, The Development of Positive Obligations on Human Rights by the
European Court of Human Rights, Oxford-Portland Oregon, 2004, a cui si rinvia per ulteriori riferimenti
giurisprudenziali. Vedi anche F. VIGANÒ, Obblighi convenzionali di tutela penale?, in AA. VV., La
Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento penale italiano, a cura di V.MANES -V. ZAGREBELSKY, Giuffrè, 2011, 243 ss.; ID., L’arbitrio del non punire. Sugli obblighi di tutela penale dei
detenuto13; sovraffollamento carcerario e spazio minimo della cella per detenuto14; condizioni inumane e degradanti di detenzione ed ipotesi di tortura perpetrata ai danni
13 Sul tema della compatibilità dello stato di salute con la detenzione, cfr., in primis, Corte EDU, 11 febbraio 2014, Contrada c. Italia (n. 2), ric. n. 7509/08, con nota di V. MANCA, La Corte EDU torna a
pronunciarsi sul divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti: l’inadeguatezza degli standard di tutela delle condizioni di salute del detenuto integrano una violazione dell’art 3 CEDU, in Dir. pen. cont.,
7 novembre 2014. Nel caso Enea c. Italia del 17 settembre 2009, la Corte non ha riscontrato una violazione dell’art. 3 Cedu in quanto non ha ritenuto sussistere un’incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto affetto da tetraplegia rispetto al regime detentivo ex art. 41-bis O.P.: nel caso di specie le autorità competenti avevano correttamente adempiuto ai propri doveri di assistenza e di cura del detenuto sia in fase di diagnosi sia in fase di trattamento delle gravi patologie di cui era affetto. L’appartenenza del soggetto ad un’organizzazione criminale sembra essere stato l’argomento decisivo per non affermare la violazione dell’art. 3 Cedu, nonostante le gravissime condizioni di salute del detenuto: il prolungato regime carcerario a cui era stato sottoposto si giustificava in ragione della sua pericolosità sociale. Ancora, nel caso Cara-
Damiani c. Italia del 27 febbraio 2012, i giudici di Strasburgo hanno riscontrato, invece, la violazione
dell’art. 3 Cedu: il caso di specie interessava un cittadino italiano di età avanzata ed affetto da paraparesi agli arti inferiori, nonché da diversi disturbi cardiaci ed intestinali. Le gravi patologie fisiche, la presenza di barriere architettoniche e la mancanza di un programma riabilitativo all’interno della struttura carceraria comportavano la necessità di un trasferimento dello stesso presso il carcere di Parma. La Corte ha segnalato la violazione dell’art. 3 Cedu, in quanto «mantenere in detenzione una persona tetraplegica o in ogni caso gravemente handicappata in condizioni inadatte al suo stato di salute costituisce trattamento degradante». I giudici di Strasburgo sono tornati nuovamente ad occuparsi del caso Scoppola c. Italia (n. 4) del 17 luglio 2012. Anche in questa circostanza, la Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 3 Cedu in relazione alle condizioni di detenzione cui Scoppola era stato sottoposto nonostante avesse un’età avanzata e fossero presenti patologie gravi quali problemi cardiovascolari, diabete, difficoltà motorie dovute ad atrofia muscolare e alla frattura di un femore, ipertrofia prostatica e depressione. Nello specifico, la violazione dell’art. 3 Cedu sussisteva anche in assenza di una chiara intenzione delle autorità penitenziarie di umiliare il detenuto, essendo sufficiente un negligente ritardo delle stesse nel provvedere alle loro necessità in tempi adeguati. Anche in recentissime pronunce, la Corte ha affermato la violazione dell’art. 3 Cedu: basta ricordare, fra tutte, la sentenza Cirillo c. Italia del 29 gennaio 2013, in cui il ricorrente, un detenuto affetto da una patologia potenzialmente paralizzante, lamentava l’incompatibilità dello stato di detenzione in carcere rispetto alle sue condizioni di salute e l’assenza all’interno della struttura carceraria di un reparto nel quale potesse svolgere uno specifico programma di fisioterapia ed elettrostimolazione presso centri specializzati di riabilitazione. Secondo la Corte, infatti, il persistere dello stato di detenzione e la mancanza di un trattamento specifico di riabilitazione all’interno della struttura carceraria integrava un’ipotesi di trattamento inumano e degradante ex art. 3 Cedu. Sul punto, cfr. F.CECCHINI, La tutela del diritto alla
salute in carcere nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Dir. pen. cont., 23
gennaio 2017.
14 Giurisprudenza granitica della Corte che rischia di subire un mutamento (anche piuttosto significativo quanto a ricadute sul sistema risarcitorio, ruotante attorno al rimedio di cui all’art. 35-bis O.P.) con il caso
Mursič c. Croazia (cfr. Corte EDU, sez. I, 12 marzo 2015, Mursič c. Croazia, con nota di F. FIORENTIN, Il
vaso di pandora scoperchiato: la violazione dell’art. 3 CEDU per (mal)trattamenti detentivi tra accertamento «multifattoriale» e giurisprudenza europea, in Arch. pen. web, 3/2015). La pronuncia Mursič, il cui caso è stato di recente esaminato dalla Grande Camera (su ricorso del Governo craoto),
introdurrebbe un significativo elemento di novità rispetto all’accertamento dell’avvenuta lesione di cui all’art. 3 Cedu per sovraffollamento carcerario: in altri termini, elemento di valutazione per il giudice non è più limitato al fattore spaziale (sotto i 3 mq, presunzione assoluta di violazione dei diritti umani), ma anche al fattore temporale. Tale pronuncia potrebbe condurre ad un nuovo quadro di riferimento per la valutazione della lesione dei diritti umani: sotto i 3 mq, infatti, non si potrà più parlare di presunzione assoluta di violazione, ma solamente di «strong presumption», da valutare unitamente al fattore temporale (n. x gg. in stato di detenzione inumana). Il 20 ottobre 2016 la Grande Camera, ribaltando parzialmente la sentenza resa dalla Camera semplice il 12 marzo 2015, ha condannato all’unanimità la Croazia per violazione dell’art. 3 Cedu in relazione alla detenzione del ricorrente in 2,62 mq per 27 giorni consecutivi; a maggioranza si è invece confermata la pronuncia della Camera ritenendo non violato l’art. 3 Cedu tanto con riferimento alla detenzione del ricorrente in uno spazio inferiore a 3 mq per periodi non consecutivi di
degli stessi15). Il diritto alla vita ex art. 2 Cedu ha rappresentato, infatti, il vero banco di prova su cui la Corte ha potuto modulare progressivamente l’intensità e la tipologia degli obblighi derivanti dalla violazione delle disposizioni convenzionali, distinguendo dal contenuto «classico» e negativo delle libertà fondamentali in termini di dovere di
più breve durata ed in presenza di cd. «fattori allevianti», quali la libertà di movimento e lo svolgimento di attività all’esterno della cella (10 voti contro 7); quanto rispetto al periodo detentivo nel quale il ricorrente era stato ristretto in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 mq (13 voti contro 4). La Grande Camera ha ritenuto rilevanti, ai fini della decisione sul caso di specie, i seguenti principi: a) quando lo spazio personale scende sotto i 3 mq in una cella collettiva (così come quando il detenuto non dispone di un posto letto o di una superficie tale da consentirgli di muoversi tra il mobilio), la mancanza di spazio è considerata talmente grave che sussiste una «strong presumption» di violazione dell’art. 3 Cedu; b) quando lo spazio individuale in una cella collettiva si attesta tra i 3 e i 4 mq sussiste una violazione dell’art. 3 Cedu se tale condizione risulta combinata ad altri aspetti di inadeguatezza della detenzione. Tali aspetti riguardano, in particolare, la possibilità di svolgere attività fisica all’aria aperta, la presenza di luce naturale e aria nella cella, l’adeguatezza della ventilazione e della temperatura, la possibilità di utilizzare la toilette in privato ed il rispetto dei generali requisiti igienico-sanitari (§106); c) nei casi in cui un detenuto disponga di più di 4 mq in una cella collettiva e, quindi, non si pongano problemi per quanto riguarda la mancanza di spazio personale, rimangono comunque rilevanti altri aspetti riguardanti le condizioni di detenzione ai fini della valutazione di conformità all’art. 3 Cedu (§ 48, 53, 55, 59 e 63-64). Decisione finale in parte non condivisa da taluni giudici del Collegio: nella prima dissenting opinion, i giudici Sajó, López Guerra e Wojtyczek hanno ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 Cedu rispetto a tutti i periodi in cui il ricorrente aveva vissuto in meno di 3 mq o in uno spazio compreso tra i 3 e i 4 mq. Con riferimento ai periodi di detenzione in uno spazio inferiore ai 3 mq, i giudici hanno sottolineato che questi periodi andavano considerati – al di là della scarsa durata di ciascuno di essi – per il loro ripetersi in un breve lasso temporale e per l’effetto cumulativo che avevano determinato in capo al detenuto, sostenendo al riguardo che, più si protrae la permanenza in uno spazio vitale insufficiente, più forti sono gli effetti psicologici che si producono. Nella seconda dissenting opinion, i giudici Lazarova Trajkovska, De Gaetano e Grozev hanno ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 Cedu con riferimento a tutti i periodi di tempo durante i quali il ricorrente aveva avuto a disposizione meno di 3 mq, atteso che, applicando un più rigoroso scrutinio sui periodi non- consecutivi durante i quali il ricorrente aveva avuto a disposizione meno di 3 mq di spazio personale, i giudici hanno ritenuto che i fattori compensativi fossero insufficienti per controbilanciare la mancanza di spazio personale. Da ultimo, il giudice Pinto de Albuquerque si è allineato alla prima dissenting opinion (riconoscendo la violazione per tutti i periodi di detenzione sotto i 4 mq di spazio personale), sviluppando però un autonomo iter argomentativo. Il giudice non ha condiviso l’approccio «multifattoriale e cumulativo» come interpretato dalla Corte nei casi di sovraffollamento carcerario: ha infatti ritenuto che, se, da un lato, i fattori che qualificano negativamente la detenzione possono essere determinanti per ritenere violato l’art. 3 Cedu anche nei casi in cui il parametro dello spazio personale è rispettato; dall’altro lato non è condivisibile sostenere che, attraverso l’approccio multifattoriale, l’assenza di un adeguato spazio personale possa essere compensata dalle altre condizioni materiali in cui si svolge la detenzione. Secondo Pinto de Albuquerque, i fattori di compensazione a cui si è riferita la maggioranza dei giudici – la sufficiente libertà di movimento, le attività all’esterno della cella, nonché l’esistenza di un’adeguata struttura carceraria – sono elementi che dovrebbero essere già parte delle normali prerogative di ogni carcere, e come tali non possono giustificare l’abnorme carenza di spazio personale. Cfr. F. CANCELLARO, Carcerazione in meno di 3 metri quadri: la Grande Camera sui criteri di accertamento della violazione dell’art. 3 Cedu, in Dir. pen. cont., 13 novembre 2016; A. MENGHINI, Spazio detentivo minimo e violazione dell’art. 3 Cedu: per
una lettura conforme ai canoni di dignità e umanità della pena, in Dir. pen. proc., 1/2017, 122 ss.
15 Oltre al già citato caso Cestaro c. Italia, cfr. Bartesaghi Gallo e altri c. Italia, sent. 22 giugno 2017, con nota di F. CANCELLARO, Tortura: nuova condanna dell’Italia a Strasburgo, mentre prosegue l’iter
parlamentare per l’introduzione del reato, in Dir. pen. cont., 29 giugno 2017 e Azzolina e altri c. Italia; Blair e altri c. Italia; Cirino e Renne c. Italia, sentenze del 26 ottobre 2017, con nota di F. CANCELLARO,
Bolzaneto e ad Asti fu tortura: tre nuove condanne inflitte dalla Corte di Strasburgo all’Italia per violazione dell’art. 3 Cedu, ivi, 16 novembre 2017.
astensione (Abwerrecht) a carico dello Stato 16 , obblighi a contenuto positivo (Schutzplicht), aventi ad oggetto, non un divieto, bensì la protezione e il godimento del diritto stesso17. In materia di obblighi positivi, la Corte di Strasburgo ha affermato il dovere primario di assicurare all’individuo una adeguata protezione preventiva da