IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ NEL DIRITTO PENALE IL CASO DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
5. La responsabilità “da reato” degli enti: dai Compliance programs ai Codici etic
Alla luce di quanto esposto, per quel che in questa sede interessa, appare utile analizzare, seppur brevemente, la disciplina dei modelli di organizzazione gestione e controllo esistenti (c.d. compliance programs) - architravi del sistema di responsabilità da reato degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001 - anche al fine di verificare se tramite tali modelli sia possibile introdurre nella responsabilità da reato delle persone giuridiche nuovi e diversi canoni organizzativi, ispirati al “nuovo volto” dei doveri costituzionali di solidarietà151.
Più precisamente, come brevemente anticipato e come meglio si vedrà in seguito, non va esclusa la possibilità di predisporre modelli di organizzazione e gestione che incorporino necessariamente, al loro interno, comportamenti virtuosi tipici della responsabilità sociale; in questo contesto, un modello evoluto per realizzare tale finalità potrebbe passare attraverso l’integrazione in moderni piani di adeguamento, i compliance programs, regole maggiormente dettagliate di cui la persona giuridica si avvale al fine di prevenire i reati d’impresa.
Invero, i modelli organizzativi possono svolgere un ruolo importante ai fini dell’affermazione della RSI, in modo che le condotte che tipicamente caratterizzano la responsabilità sociale possano assumere anche una valenza ai fini penali152.
150 L’integrazione dei codici nei modelli di organizzazione, disciplinati dal d. lgs. n. 231/2001 al fine della prevenzione dei reati-presupposto, e l’innestarsi di principi etici all’interno di in un contesto caratterizzato da una maggiore cogenza e specificità regolativa, garantirebbe una maggiore efficacia dei codici etici e consentirebbe altresì, come auspicato dalla relazione ministeriale al d. lgs. 231/2001, di
favorire «il progressivo radicamento di una nuova cultura aziendale della legalità». Tali considerazioni, a
parere di alcuni Autori, non possono peraltro andare disgiunte rispetto ad una valutazione in merito all’opportunità che l’etica trovi espressa integrazione nel diritto; v, in tal senso, tra gli altri, G.M. GAREGNANI, Etica d’impresa e responsabilità da reato. Dall’esperienza statunitense ai “modelli
organizzativi di gestione e controllo, Giuffrè, 2008, 25 s.
151 Sulla natura dei Modelli si sono sviluppate principalmente due ipotesi. Per parte della dottrina essi appaiono assimilabili alle fattispecie scusanti, cause di esclusione della responsabilità “collettiva”, in quanto si esclude la colpevolezza dell’ente, per mancanza di rimproverabilità, al verificarsi di determinate condizioni, rispetto ad un fatto, che oggettivamente resta illecito. (G. DE VERO, Struttura e natura giuridica
dell’illecito di ente collettivo dipendente da reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1137).Altra parte della dottrina (D.PULITANÒ, La responsabilità “da reato” degli enti, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, 430), invece, sostiene trattarsi di cause di non punibilità dell’ente collettivo. In tal caso, si pone l’accento sulla “fattispecie di esonero” di cui all’art. 6 d.lgs. n. 231/2001. La disciplina de quo, infatti, nel silenzio della delega, indice «sulla sanzione e non sulla responsabilità», non rientrando, pertanto, «nella sfera delle scusanti soggettive».
152 Per un approfondimento in materia di responsabilità degli enti e modelli organizzativi v., tra gli altri, BRICOLA, il costo del principio “societas delinquere non potesse” nell’attuale dimensione del fenomeno
societario, in Riv .it. dir. proc. pen., 1970, 951; V. MILITELLO, La responsabilità penale dell’impresa e dei
suoi organi in Italia, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1992, 101 ss.; V.MILITELLO, Prospettive e limiti di una
responsabilità della persona giuridica nel sistema penale italiano, in Studium Juris, 2000, 779; G.DE
VERO, La responsabilità penale delle persone giuridiche, Giuffrè, 2008, 83 ss.; G. DE SIMONE, Persone
giuridiche e responsabilità da reato, Edizioni ETS, 2012, 118 ss.; G. MARINUCCI, La responsabilità penale
delle persone giuridiche: uno schizzo storico-dogmatico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 445; S. GIAVAZZI,
Orbene, il meccanismo di imputazione dell’illecito penale all’ente ex d.lgs. n. 231/2001 presuppone la realizzazione di un fatto di reato da parte di un soggetto, persona fisica, che agisca nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
A seconda dell’autore dell’illecito, il quale può essere rappresentato da un vertice dell’azienda o da un suo sottoposto, sono diversamente disciplinate le condizioni al ricorrere delle quali possa escludersi la responsabilità dell’ente.
In entrambi i casi, tuttavia, è richiesta la preventiva adozione e l’efficace attuazione di un modello idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi153.
Introdotti nel 1991 con l’approvazione delle Federal Sentencing Guidelines, i modelli di organizzazione e gestione prevedono notoriamente un sistema di commisurazione della sanzione parametrato alla culpability dell’ente, ovvero alla c.d. colpa di organizzazione, espressa in termini di “rimproverabilità” della condotta, che viene valutata sia alla luce dei criteri individuati dalle Guidelines, sia in base alle precauzioni assunte dall’impresa prima e dopo la verificazione dell’illecito.
La responsabilizzazione diretta dell’ente attribuisce pertanto a tali modelli di organizzazione un ruolo centrale154, sia sul versante del criterio imputativo della responsabilità all’ente, sia su quello della commisurazione e dell’eventuale attenuazione sanzionatoria155.
Tuttavia, nonostante il ruolo cruciale assunto dal modello organizzativo, l’art. 6 d.lgs. n. 231/2001 ne descrive esclusivamente i compiti minimi, richiedendo così una
econ., 2005, p. 593 ss.; C. E. PALIERO, La società punita: del come, del perché e del per cosa, in Riv. it.
dir. proc. pen., 2008, 1516; G. RUGGIERO, Capacità penale e responsabilità degli enti. Una rivisitazione
della teoria dei soggetti nel diritto penale, Giappichelli, 2004, 287 ss.; G. SPAGNOLO, La responsabilità da
reato degli enti collettivi. cinque anni di applicazione del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in Atti del convegno Bari del 26-27 maggio 2006, a cura di G. SPAGNOLO, Giuffrè, 2007, 7 ss.; F. STELLA, Criminalità di
impresa: nuovi modelli di intervento, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, 1254 s; P.BASTIA, I Modelli
Organizzativi, in Reati e responsabilità degli enti, a cura di G. Lattanzi, Giuffrè, 2005, 143. Per uno
specifico riferimento al rapporto tra modelli organizzativi ed etica d’impresa v., tra gli altri, C.MONESI, I
modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001. Etica d’impresa e punibilità degli enti, Giuffrè, 2005, 257 ss.;
N. CERANA, Comunicare la responsabilità sociale. Teorie, modelli, strumenti e casi d’eccellenza, FrancoAngeli, 2009; G. M. GAREGNANI, Etica d’impresa e responsabilità da reato. Dall’esperienza
statunitense ai “modelli organizzativi di gestione e controllo”, cit., 94 ss.; F.BOF - P.PREVITALI, Codice
etico, modelli organizzativi e responsabilità amministrativa, in Riv. dir. ec. sport, vol. IV, n. 1, 2008, 92.
153 A questo proposito, è opportuno ricordare che «l’idea di sanzionare l’ente in quanto tale, mediante il ricorso ad un carrot-and-stick approach, contrapposto al tradizionale command-and-control penalistico, trova la sua fonte d’ispirazione, come riconosciuto nella relazione di accompagnamento al d.lgs. 231, nell’istituto statunitense dei compliance programs» (M.COLACURCI, L’idoneità del modello nel sistema
231, tra difficoltà operative e possibili correttivi, in www.penalecontemporaneo.it, 13 ottobre 2016, 3).
154 Attraverso la valorizzazione della componente auto-organizzativa, peraltro, si possono separare le sorti processuali dell’ente da quelle del soggetto che abbia agito per suo conto, anche laddove quest’ultimo sia il vertice dell’azienda, in genere considerato, invece, espressione della volontà d’impresa. La logica alla base di tale sistema è premiale, dal momento che, a fronte di un onere organizzativo imposto all’ente, è prevista l’esclusione della responsabilità dell’ente stesso o attenuazioni sanzionatorie.
155 Tra gli altri, v. S. MANACORDA, L’idoneità preventiva dei modelli di organizzazione nella
responsabilità da reato degli enti: analisi critica e linee evolutive, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, 49 ss.;
C.E.PALIERO, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corr.
giur., 2001, 846; L. MARTINO, La genesi dei modelli organizzativi, cit., 115 ss.; A.BERNASCONI, Manuale della responsabilità degli enti, Giuffrè, 2013, 85; S. CAVALLINI, Il giudizio di idoneità dei modelli organizzativi: barlumi di colpa nell’eterno meriggio della responsabilità in re ipsa dell’ente?, in Dir. pen. cont. -Riv. trim., n. 3-4, 2014, 157; G. M. GAREGNANI, Etica d’impresa e responsabilità da reato.
compartecipazione, ai fini della sua redazione, da parte delle realtà settoriali in cui il modello è destinato ad operare156, similmente a quanto avviene in altri ambiti dell’ordinamento connotati da una certa complessità tecnica.
Il legislatore dunque, anche in ragione della difficoltà di predisporre schemi unitari rispetto ad una molteplicità di aziende diverse, rinuncia a descrivere, in modo completo, i contenuti157 dei compliance programs, i quali non indicano in modo dettagliato e preciso i comportamenti da tenere nell’esercizio dell’attività aziendale158. A questo riguardo, al fine di evitare che tale indeterminatezza possa causare una difficoltosa applicazione dei modelli e con l’obiettivo di consentirne una maggiore specificazione e concretizzazione nei contenuti, potrebbe risultare utile trarre spunto dalla legislazione prevenzionistica vigente in materia di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e succ. mod. e integr.), la quale descrive in modo dettagliato e puntuale gli adempimenti organizzativi obbligatori ai fini della gestione dei rischi infortunistici.
Per quanto attiene alla complessa e peculiare struttura dei modelli, nella prassi si è soliti distinguere, al loro interno, una parte generale ed una parte speciale; ebbene, l’integrazione tra codici etici e modelli di organizzazione potrebbe attuarsi nella parte generale del modello di organizzazione, che, in via generale, illustra la struttura interna dell’ente e i principi cui si ispira la sua attività159. Invero, i codici etici, seppur non espressamente e specificamente richiamati dal d. lgs. n. 231/2001, possono egualmente divenire parte costitutiva dei modelli organizzativi alla luce della disposizione di cui all’art. 6 del d.lgs. n. 231/2001, il quale fa riferimento alla possibilità di adottare un modello sulla base di Codici di Comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti160.
La norma attribuisce pertanto piena discrezionalità all’ente in merito alla possibilità di introdurre dei codici di comportamento all’interno dei modelli di organizzazione.
Nella parte speciale del modello sono invece indicate le regole e le procedure finalizzate alla prevenzione dell’illecito161, sia attraverso la predisposizione di Protocolli
156 In questi termini v. anche M.COLACURCI, L’idoneità del modello nel sistema 231, tra difficoltà
operative e possibili correttivi, cit., 6.
157 Alle ridotte indicazioni relative al contenuto, si affianca altresì una carente individuazione delle regole formali e sostanziali di adozione del Modello stesso.
158 Parte della dottrina ha peraltro osservato come la tendenza all’autoregolamentazione e l’indeterminatezza che connota tali modelli sia peraltro resa inevitabile in ragione della difficoltà di prevedere regole uguali per tutte le tipologie di aziende; a questo riguardo v., tra gli altri,M.RIVERDITI, La
responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e special-prevenzione. Circolarità ed innovazione dei modelli sanzionatori, Jovene, 2009, 246 e S.ROSSI, Luci e ombre dei codici etici d’impresa, cit., 41, nei quali si evidenzia la difficoltà di individuare criteri e indicazioni precise che prescindano dal contesto di applicazione, dal settore di riferimento e dall’attività esercitata.
159 Nella prassi, invero, il contenuto dei modelli può essere diviso in due parti: un parte generale che illustra la struttura dell’ente e la sua configurazione giuridica e della quale può far parte il codice etico ed una parte speciale che individua le procedure volte alla riduzione del rischio in relazione agli specifici reati- presupposto previsti dal d.lgs. n. 231/2001. Per una ricostruzione della struttura dei modelli di organizzazione v., tra gli altri, G.LATTANZI, Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. Lgs. 8 giugno
2001, n. 231, Giuffrè, 2010, 158.
160 Per codice di comportamento può intendersi, in via generale, un insieme di regole che definiscono responsabilità e comportamenti che individui ed organizzazioni sono tenuti a rispettare.
161 Secondo quanto riportato dalle Linee guida di Confindustria del 2014, si tratterebbe di un procedimento complesso che si suddivide in due fasi fondamentali. Nella prima, di identificazione dei rischi potenziali, si individuano i reati rilevanti per l’ente, le aree o settori di attività esposte a maggiori rischi e le modalità attraverso le quali potrebbero astrattamente verificarsi eventi pregiudizievoli per gli obiettivi
diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire, sia attraverso la predisposizione di strumenti che consentano all’Organismo di vigilanza di cui all’art. 6 del d. lgs. n. 231/2001 di esercitare efficacemente l’attività di controllo e monitoraggio necessaria a dare attuazione al modello.
Un punto qualificante nella costruzione del modello potrebbe essere rappresentato dalla previsione di un adeguato sistema sanzionatorio in caso di violazione delle prescrizioni in esso contenute, sistema che oggi si presenta carente. Ciò è dovuto, il primo luogo, al fatto che, come si evince dall’art. 6 comma 2, lett. e), il legislatore non ha proposto alcun criterio da adottare per procedere all’individuazione delle specifiche condotte che costituiscono infrazione del modello; tale indeterminatezza costituisce fonte di difficoltà applicative, dal momento che non è possibile tipizzare con precisione le condotte censurabili162. In secondo luogo, il legislatore ha ritenuto di prevedere, nel caso di mancato rispetto delle misure indicate nel modello, mere sanzioni di tipo disciplinare, la cui comminazione è rimessa esclusivamente alla valutazione di organi interni all’ente, specificamente a ciò preposti; tale sistema comporta ulteriori ricadute problematiche allorquando a venire in rilievo siano violazioni commesse ad opera di soggetti posti in posizione apicale all’interno dell’azienda.
Orbene, qualora si pensi che la violazione del modello altro non è che una condotta prodromica alla realizzazione di un reato presupposto, a parere di chi scrive, può esprimersi qualche perplessità in merito alla reale funzione deterrente svolta da un sistema sanzionatorio che, oltre a non tipizzare dettagliatamente le condotte censurabili, preveda unicamente sanzioni di natura disciplinare, peraltro comminate da organi interni, a fronte della violazione di modelli il cui rispetto è fondamentale al fine della prevenzione dei reati e delle ripercussioni lesive, spesso di ampia portata, che possono conseguirne.