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Il ruolo dell’Amministrazione penitenziaria nelle modalità esecutive del 41-bis O.P.

Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal

DELLA PENA: IL CASO «PROBLEMATICO» DEL 41-BIS O.P.

3. Il 41-bis O.P e il multilevel system of protection of human rights

3.1. Il ruolo dell’Amministrazione penitenziaria nelle modalità esecutive del 41-bis O.P.

L’esigenza di porre in essere un vaglio critico e scrupolo, ancorato al caso concreto, viene ribadita anche dalla Magistratura di sorveglianza, la quale – tramite il reclamo di cui al 35-bis O.P. – ha sollevato numerose perplessità sia in ordine alla legittimità costituzionale di alcune prescrizioni46 (ritenute eccessivamente restrittive ed oltremodo punitive rispetto alla ratio del 41-bis O.P.) sia in ordine all’ammissibilità di prassi amministrative ulteriormente afflittive e peggiorative rispetto al dato normativo, anche nella misura in cui il legislatore non dà delle indicazioni precise, lasciando ampia discrezionalità in capo all’Amministrazione penitenziaria47.

L’attenzione al rispetto dei princìpi fondamentali risulta tanto più rilevante nella misura in cui la disciplina del 41-bis, prevista per legge, è integrata con numerose fonti di rango sub-legislativo: alla previsione normativa fa da pendant, infatti, una cospicua produzione di circolari ministeriali dirette alla definizione delle modalità esecutive del regime48. Formalmente solo circolari ministeriali vòlte alla corretta esegesi delle prescrizioni normative e dirette ad una più efficace riorganizzazione ed uniformazione delle prassi applicative, e, in sostanza, invece, ulteriori strumenti normativi (che, nei limiti dei margini di discrezionalità della dispozione di legge), con cui l’Amministrazione penitenziaria incide sensibilmente sulla qualità dell’esecuzione del regime speciale di detenzione49. L’agire dell’Amministrazione penitenziaria, pur se legittima e lecita,

punto, cfr. D.PULITANÒ, Sicurezza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 547; F.VIGANÒ, La

neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano, ivi, 360. Così di recente A.DELLA

BELLA, Il «carcere duro» tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, cit., 402.

45 La centralità della dignità umana viene evidenziata nella prospettiva offerta da R.ALEXY, in Teoria

dei diritti fondamentali, Bologna, 2012, 130-131: la dignità umana, in sede di ponderazione tra i diritti

fondamentali della persona ed altri interessi di rango costituzionale, un «punto di riferimento e di orientamento», dato che, stante la sua intangibilità, il rispetto della persona umana è limite invalicabile anche quando un interesse pubblico presenti un grado di intensità tale da prevalere sull’interesse dell’individuo alla piena tutela di taluno dei suoi diritti fondamentali.

46 Da ultima, ord. 9 maggio 2017, n. 772 del Magistrato di Sorveglianza di Spoleto (dott. Gianfilippi). 47 Volendo, cfr. V. MANCA, Il diritto di permanenza all’aria aperta in regime di 41-bis O.P.: una

riflessione costituzionalmente orientata tra proporzionalità, finalismo rieducativo ed umanità della pena,

cit., 8.

48 Da ultima, circolare DAP n. 3676/6126 dd. 2 ottobre 2017.

49 A titolo esemplificativo, la recente circolare ministeriale dd. 2 ottobre 2017 prevede modalità di perquisizione personale sia mediante denudamento sia con l’uso di metal detector (art. 25.1, 35); si descrive

presenta delle criticità laddove vada ad incidere direttamente sulla libertà personale e limiti l’area di operatività dei diritti soggettivi del detenuto: esemplificativa di ciò risulta la determinazione ministeriale della modulazione della permanenza all’aria aperta, prevista per legge ai sensi del co. 2-quater lett. f) dell’art. 41-bis O.P. in due ore massime giornaliere. Con circolare n. 0286202 del 4 agosto del 2009, l’Amministrazione penitenziaria ha inteso il limite della permanenza all’aria aperta con un’ora da svolgersi in cortile, all’aperto e un’ora nella sala socialità, in comune con il gruppo (di altri cinque detenuti, sottoposti al 41-bis O.P.), da svolgersi in attività ricreative e sportive50.

A fronte, quindi, della generale previsione normativa di due ore come limite massimo (sulla cui legittimità costituzionale si è profusa copiosamente sia la dottrina sia la giurisprudenza51), l’Amministrazione penitenziaria è intervenuta – sempre in termini generali – a rimodulare il contenuto dello svolgimento della permanenza «fuori dalla cella», accomunando la permanenza all’aperto con le attività ricreative/sportive, senza alcun riferimento testuale o sistematico: il risultato è la compromissione della libertà personale del detenuto (con inevitabili conseguenze sul piano del diritto alla salute), il quale, si vede ad oggi ristretto per ventidue ore al giorno nella propria cella e con la possibilità di rimanere all’aria aperta per un’ora al giorno solamente.

Ciò che si contesta è il tasso di inflessibilità e automaticità con cui l’Amministrazione penitenziaria regola le modalità esecutive del regime speciale, non dando modo – in apparenza – alla singola Direzione penitenziaria di agire diversamente, alla luce delle problematicità del caso concreto52. In realtà, il rispetto della dignità del detenuto e dei suoi diritti fondamentali dovrebbe essere una prerogativa della stessa azione amministrativa, considerando che il suo operato è soggetto al sindacato giurisdizionale della Magistratura di sorveglianza e agli ordinari gradi di giudizio, fino al ricorso per Cassazione ex art. 111, co. 7 Cost.: il contemperamento degli interessi antagonistici è un’operazione che dovrebbe essere svolta, caso per caso (e, quindi, ex ante rispetto alla prossimità e/o irreversibilità della lesione soggettiva), dalla Direzione penitenziaria, a cui è stato affidato il detenuto, richiedendo l’intervento ex post della Magistratura di sorveglianza solamente nelle situazioni fisiologiche connesse alla detenzione e non in termini di vera patologia (con un sovraccarico di lavoro, spesso difficilmente gestibile secondo tempistiche celeri ed effettive) e secondo una logica meramente riparatoria e non preventiva (a lesione già avvenuta e in corso).

Un parziale mutamento di sensibilità da parte dell’Amministrazione penitenziaria si è avuta di recente con la circolare n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017, con cui si dà atto della difficoltà di individuare un punto di equilibrio tra l’omogeneità di trattamento (che può essere letta anche in chiave garantistica, per evitare arbitri da parte della Direzione

la disciplina trattamentale da applicare in caso di isolamento disciplinare (con l’accesso quotidiano del solo medico per verificare le condizioni di salute dello stesso detenuto, all’art. 28, 36).

50 Volendo, per un’esposizione approfondita, cfr. V. MANCA, Il diritto di permanenza all’aria aperta

in regime di 41-bis O.P.: una riflessione costituzionalmente orientata tra proporzionalità, finalismo rieducativo ed umanità della pena, cit., 9-14.

51 Cfr. F. DELLA CASA, Interpretabile secundum Costitutionem la normativa che ha dimezzato il

controllo giurisdizionale sulla detenzione speciale?, in Giur. it., 2010, 2517 ss.; in giurisprudenza Mag.

Sorv. Cuneo, ord. 29 maggio 2003, in Giur. merito, 2003, 2456 ss. In senso analogo, cfr. Trib. Sorv. Torino, 11 dicembre 2003, in www.diritto.it.; così, più recente, Trib. Sorv. Roma, (ord.) 29 settembre 2009, n. 313, in www.gazzettaufficiale.it.

52 Cfr., sul punto, G. MELCHIORRE NAPOLI, Il principio di proporzionalità nell’esecuzione

penitenziaria), prevenzione e difesa sociale, da un lato, e l’umanità della pena, dall’altro53. L’esigenza di ripristinare delle modalità esecutive uniformi e sensibilmente più orientate ad un’esecuzione della pena conforme ai princìpi costituzionali viene espressamente dichiarata quale obiettivo dell’azione amministrativa, dato che le regole organizzative devono rappresentare delle precise linee guida per la direzione penitenziaria, a cui viene affidata la gestione materiale del detenuto, «nell’assoluto rispetto della legge e sulla base delle potestà rimesse alla competenza dell’Amministrazione penitenziaria»54.

La loro applicazione deve, inoltre, essere orientata unicamente al fine preventivo e deve essere funzionale ad impedire «la ideazione, pianificazione e commissione di reati da parte dei detenuti e degli internati anche durante il periodo di espiazione della pena e della misura di sicurezza», la cui corretta attuazione – si afferma – «non può prescindere da una valutazione della funzione alla quale sono legate»55.

Si precisa altresì che tali prescrizioni «non sono volte a punire e non devono determinare un’ulteriore afflizione, aggiuntiva alla pena già comminata»56. L’attuazione delle stesse deve, quindi, «rimanere legata al fine preventivo», e – di fondamentale rilevanza – non deve concretizzarsi in una prassi applicativa automatica e generalizzata; in altri termini, la concretezza e l’effettività delle prescrizioni «non deve essere vanificata da atteggiamenti ripetitivi e cadute di attenzione»57.

Sembra emergere, pertanto, una presa di coscienza da parte dell’Amministrazione penitenziaria (così come, più in generale, da parte del Ministero della Giustizia e delle ultime legislature, con gli Stati generali dell’esecuzione penale) della necessità di ripristinare delle regole trattamentali uniformi, omogenee, nel rispetto dei princìpi di legalità, che devono informare, oltre che l’operato del legislatore, anche l’azione amministrativa: notevole è infatti l’attenzione riservata all’esecuzione penitenziaria e alla tutela dei diritti dei detenuti, alle aspettative e diritti soggettivi degli stessi, posti in relazione con i poteri autoritativi dell’Amministrazione penitenziaria e con le prerogative di prevenzione e sicurezza pubblica dello Stato.

4. Prevenzione, sicurezza pubblica vs. umanità della pena: questione di

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