Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ QUALE CANONE DI LEGITTIMITÀ
1. L’espansione dell’operatività del ne bis in idem Nuove tendenze repressive
Le elaborazioni dogmatiche sul principio del ne bis in idem sostanziale1 affondano le proprie radici, a seconda che si segua un approccio valoriale o strutturale, rispettivamente nel principio di proporzionalità tra disvalore del fatto e risposta sanzionatoria ovvero nel principio di certezza delle conseguenze giuridiche2.
In entrambi i casi, la forza di tale principio consiste nell’escludere l’ingiusto moltiplicarsi della sanzione (comminabile o comminata) quando l’apprezzamento negativo di un accadere storico ovvero il disvalore normativo di un illecito appaia già compreso in altra fattispecie, l’unica astrattamente e concretamente applicabile3.
Senza indulgere nella dicotomia tra idem legale e idem factum ovvero tra corrispondenza normativa e corrispondenza storico-naturalistica, è un dato di fatto che il ne bis in idem, inizialmente relegato ad una dimensione meramente processuale (si pensi all’originaria e assai restrittiva interpretazione dell’art. 648 c.p.p.), correlata al valore obiettivo di giudicato e alla mera esigenza di economia processuale, si sia nel tempo arricchito (si pensi alla sferzata interpretativa di cui alla sentenza delle Sezioni Unite Silvestri del 20054, alla introduzione del cd. giudicato cautelare quale applicazione della preclusione del ne bis in idem nel settore cautelare, o ancora alla giurisprudenza sovranazionale che ha esteso la valutazione comparativa all’ambito amministrativo in base al grado di afflittività della sanzione5).
Una graduale rivitalizzazione valorizzata anche dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 200 del 31 maggio 2016 che definisce il ne bis in idem come «principio di civiltà giuridica», dotato di forza espansiva e contraddistinto dalla natura di garanzia personale, «immanente alla funzione ordinante cui la Carta ha dato vita, perché non è compatibile con tale funzione dell’ordinamento giuridico una normativa nel cui ambito
*Il contributo è aggiornato al giorno del convegno.
1 La cui definizione può individuarsi nel brocardo nemo debet bis puniri pro uno delicto (divieto di molteplice pena per il medesimo accadimento criminoso), emancipazione del ne bis in idem processuale inteso quale divieto di plurimo processo per lo stesso fatto (nemo debet bis vexari pro una et eadem causa).
2 Cfr. M. PAPA, Le qualificazioni giuridiche multiple nel diritto penale, Giappichelli, 1997, 42 ss. 3 Cass., Sez. I, 2 marzo 2006, n. 7629, in relazione al rapporto di consunzione, in CED Cass., n. 233135. 4 Cass., Sez. Un., 28 settembre 2005, n. 34655, rel. Silvestri, in CED Cass., n. 231799.
la medesima situazione giuridica possa divenire oggetto di statuizioni giurisdizionali in perpetuo divenire».
Alla luce di tale espansione interpretativa, si può ritenere che un fenomeno di bis in idem sostanziale possa verificarsi anche tra fattispecie incriminatrice da un lato e circostanza aggravante dall’altro; potendo il disvalore della seconda essere già compreso nel primo6.
Un’esigenza di equità che si fa sempre più forte in un contesto – quale quello odierno – caratterizzato da una tendenza alla panpenalizzazione e dall’avvicendarsi di interventi normativi tesi a garantire il massimo effetto repressivo possibile rispetto ai fenomeni di criminalità organizzata transnazionale.
Da un lato il moltiplicarsi delle pretese punitive degli Stati e l’extraterritorialità della giurisdizione hanno aumentato il rischio del cd. ne bis in idem transnazionale.
Dall’altro gli interventi normativi in ambito nazionale (di matrice internazionale) impongono:
- al legislatore italiano particolare attenzione in sede di recepimento all’analisi della ratio della trattato e alle scelte terminologiche al fine di evitare duplicazioni del giudizio di disvalore astratto (nel momento imperativo della norma)7;
- al Giudice un’attenta analisi dell’intentio legis del “legislatore internazionale”, prima ancora di quella del legislatore italiano, al fine di evitare duplicazioni del giudizio di disvalore concreto (in sede di dosimetria della pena).
Oggetto della presente indagine è il secondo degli scenari poc’anzi descritti, potenzialmente realizzabile a fronte di un’applicazione non sufficientemente meditata, per non dire disinvolta, dell’aggravante della transnazionalità8 introdotta con la l. 16 marzo 2006, n. 1469 (in seguito, l. 146/2006).
6 Cfr. A. MORO, Unità e pluralità di reati: principi, Cedam, 1951, 80: «un fatto rientra nell’altro non nella sua struttura, ma solo per il suo intimo significato di disvalore giuridico, per la sua funzione come espressione di disordine sociale». Cfr. anche Cass., Sez. I, 10 febbraio 2015, n. 8163, in CED Cass., n. 262595 «Nell’esercitare la funzione assegnatale dalle norme di ordinamento giudiziario, questa Corte ha più volte evidenziato che il fondamento della aggravante di aver agito con crudeltà è ravvisabile in una maggior meritevolezza di pena lì dove le circostanze concrete dell’azione consentano di identificare un effettivo superamento della ‘normalità causale’ determinante l’evento, con volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto a quelle ‘ricomprese’ nella ordinaria incriminazione del fatto tipico. Ciò perché il sistema penale non consente di considerare punibile più di una volta (anche sotto il profilo circostanziale) la medesima condotta causativa dell’evento preso dì mira e tipizzato dalla norma incriminatrice (divieto del bis in idem sostanziale come corollario del più generale principio di tassatività e determinatezza delle incriminazioni)».
7 Cfr. E. ROSI, La legge n. 146 del 16 marzo 2006 sul crimine organizzato transnazionale. In
particolare, gli aspetti problematici delle definizione di reato transnazionale. Incontro di studi del CSM.
Roma, 5-7 marzo 2007 laddove afferma che «non devono essere sottaciuti i rischi di una legislazione penale, per così dire, di seconda battuta, ossia che si trovi a recepire acriticamente fonti “straniere” divenute vincolanti, senza che sui contenuti delle fattispecie si sia potuto esplicare un indispensabile controllo che è, ad un tempo, garanzia di democraticità e rispetto del principio di legalità».
8 Art. 4 l. 146/2006 aggravante della transnazionalità. Per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato la pena è aumentata da un terzo alla metà. Si applica altresì il comma 2 dell’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
9 Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001.
2. L’aggravante della transnazionalità. Il principio di proporzionalità e le scelte