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Una integrazione tra i codici etici e i modelli di organizzazione?

IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ NEL DIRITTO PENALE IL CASO DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

6. Una integrazione tra i codici etici e i modelli di organizzazione?

Come anticipato, i principi sottesi alla responsabilità sociale d’impresa, in quanto espressione di valori generali, integrati nell’ambito dell’attività di azienda sulla base di una decisione di natura volontaria, non sono in grado di assumere portata cogente e, di conseguenza, il sistema di responsabilità “sociale” spesso non riveste particolare efficacia deterrente.

Tuttavia, data l’importanza dei valori di cui la RSI è espressione, assume rilevanza centrale ricercare una soluzione che possa garantire che la gestione aziendale sia necessariamente improntata anche al rispetto di principi etici e sociali e, in questo contesto, sia in grado di attribuire ai modelli di organizzazione e gestione, integrati dai principi sociali, l’efficacia deterrente di cui sono privi.

indicati dal decreto 231. La seconda fase consisterebbe invece nella progettazione del sistema di controllo preventivo, ossia la progettazione di «specifici protocolli diretti a programmare la formazione, l’attuazione e il controllo delle decisioni e dei comportamenti doverosi dell’ente in relazione ai reati da prevenire». In questa fase si assiste alla valutazione e descrizione del sistema già esistente all’interno dell’ente, al fine di un’eventuale implementazione ed adeguamento.

162 Per un approfondimento sul sistema disciplinare previsto in caso di mancato rispetto delle misure indicate dai modelli di organizzazione v., tra gli altri, G.LASCO -V.LORIA -M.MORGANTE, Enti e

Orbene, premessa la difficoltà di evincere degli obblighi in capo agli operatori aziendali direttamente dai principi generali contenuti nei codici etici, e al fine di fornire una risposta alle questioni avanzate, si è suggerita l’ipotesi, nei paragrafi precedenti, di elaborare nuovi modelli di organizzazione e controllo che introducano obbligatoriamente, al loro interno, comportamenti tipici della responsabilità sociale.

In questo modo, l’efficacia del codice etico si manifesterebbe con il suo inserimento all’interno di un modello organizzativo che ne rappresenti la naturale evoluzione e sede di concreta attuazione, definendo compiti e responsabilità all’interno dell’ente163.

Secondo la tesi proposta, dunque, il codice etico si inserirebbe nel novero delle previsioni del d.lgs. n. 231/2001, con la funzione di indicare i principi generali in materia di gestione, vigilanza e controllo ai quali i modelli di organizzazione dovrebbero successivamente ispirarsi; in accordo con la natura della soft law quale «diritto reattivo»164, inoltre, ciò consentirebbe un più agevole e costante aggiornamento del modello in ragione dello specifico settore di attività, dell’evoluzione normativa, tecnologica e, in generale, dello «stato dell’arte»165.

D’altra parte, a loro volta, i modelli di organizzazione potrebbero rappresentare la sede privilegiata in cui specificare e delimitare il contenuto degli impegni e degli obiettivi sociali contenuti nei codici.

Inoltre, considerato l’obiettivo del modello di organizzazione di consentire una consapevole ed effettiva attività di prevenzione, attraverso l’individuazione dei settori più vulnerabili e la regolamentazione delle attività a rischio di reato, il codice etico, ispirato ai valori di legalità, trasparenza, correttezza ed equità potrebbe rappresentare lo strumento idoneo a favorire il perseguimento di tale obiettivo166.

Le prospettive segnalate trovano peraltro conferma nelle Linee Guida di Confindustria del 2014, relative all’adeguamento da parte delle imprese al d.lgs. n. 231/2001, le quali propongono l’adozione di un codice etico o di un codice di comportamento, in qualità di possibile elemento qualificante di un modello organizzativo e gestionale167.

Orbene, in ragione di quanto esposto, pur avendo constatato che la RSI appartiene originariamente ad una dimensione diversa rispetto a quella di cui fanno parte i modelli ex d. lgs. n. 231/2001, seppur entrambe appartengano alla dimensione volontaristica dell’organizzazione aziendale, essa potrebbe concorrere a realizzare una strategia propedeutica ai fini dell’adozione ed efficace attuazione dei modelli stessi, ciò

163 Un richiamo all’esigenza che i protocolli, contenuti nei modelli, costituiscano concreta attuazione dei principi contenuti nel Codice etico, v. anche C.PIERGALLINI, Paradigmatica dell’autocontrollo penale

(dalla funzione alla struttura del modello organizzativo ex d.lgs. 231/2001), in Cass. Pen., 2013, 376 ss.

164 A.BERNARDI, Sui rapporti tra diritto penale e «soft law», in Studi in onore di Mario Romano, cit., 14.

165 In questi termini anche P.MAGRI -M. DE PAOLIS, Modelli di organizzazione ed esenzione di

responsabilità: aspetti pratici ed operativi, in Diritto penale delle società. Profili Sostanziali, t. I, a cura DI

G.CANZIO -L.D.CERQUA -L.LUPÀRIA, Cedam, 2014, 957.

166 Il Codice costituisce quindi uno “strumento responsabile” complementare che propone una serie di linee guida a cui devono ispirarsi i comportamenti dei membri dell’azienda, affinché possa essere realmente responsabile verso i propri stakeholder.

167 A dicembre 2016, Confindustria e alcune Associazioni Territoriali, hanno condotto un’indagine presso un campione di 100 imprese per verificare il livello di diffusione dei modelli organizzativi. Di queste, soltanto 16 su 45 (il 36%) hanno adottato il modello organizzativo. Il ruolo primario del codice etico non è previsto dal Decreto 231, ma è stato confermato dalle pronunce dei giudici; le imprese, sembrano di ciò consapevoli, come si evince dal dato secondo cui l’88% di quelle dotate di un modello organizzativo, ha previsto altresì un codice etico.

determinando importanti ripercussioni anche sul fronte dei profili di responsabilità “penale” degli enti168.

Invero, una volta integrati i codici etici nei modelli organizzativi, comportamenti che tipicamente caratterizzano la responsabilità sociale assumerebbero altresì una valenza penale169, dal momento che eventuali ipotesi di esclusione della responsabilità “da reato” ex artt. 6 e 7 d. lgs. n. 231/2001, potrebbero anche rappresentare «l’effetto mediato» di una politica aziendale “etica”. In questo modo i modelli di organizzazione, nella prospettiva di un’efficace e concreta attuazione, potrebbero tendere a «contemperare le finalità aziendali dell’obiettivo business, socialmente inteso, con i paradigmi penali» previsti in senso esimente ex artt. 6 e 7 d. lgs. n. 231/2001170. Peraltro, anche ai fini di un accertamento giudiziario in merito ad un’eventuale responsabilità dell’ente, la prova dell’adozione di codici etici ispirati ai principi di RSI, potrebbe rappresentare un elemento di valutazione ulteriore a favore dell’impresa, denotando la tensione virtuosa manifestata dalla politica aziendale.

Le riflessioni esposte, peraltro, lette in una prospettiva più prettamente strategico- imprenditoriale, possono condurre alla considerazione secondo cui risponderebbe a ragioni di convenienza per l’impresa stessa agire nel rispetto dei principi di solidarietà, nel segno di un «egoismo intelligente»171.

Infine, in un’ottica di integrazione dei modelli con i valori espressivi della cultura d’impresa, anche il concetto di colpa di organizzazione dell’ente potrebbe subire delle rivisitazioni; infatti, la cultura aziendale potrebbe finire con il “concorrere” alla commissione dell’illecito e all’ascrizione della responsabilità a carico dell’ente.

Invero, la scelta del legislatore del 2001 di introdurre la disciplina della responsabilità degli enti e di individuare nella colpa di organizzazione il criterio soggettivo di imputazione della responsabilità, scaturisce proprio dalla considerazione che l’ente, in quanto tale, è in grado di esprimere una propria volontà, e che i processi decisionali che si sviluppano al suo interno e la cultura di cui è promotore, gli consentono di seguire una sorte diversa rispetto a quella dei singoli soggetti che operano al suo interno (art. 8 d. lgs. n. 231/2001)172.

Pertanto, ai fini di un’eventuale attribuzione della responsabilità all’ente, occorrerebbe altresì provare che la cultura dell’ente non abbia agevolato la commissione di illeciti.

In altri termini, potrebbe rinvenirsi un’ipotesi di responsabilità dell’ente allorquando il reato presupposto, commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso, sia stato

168 In tal modo, pertanto, nell’esercizio dell’attività d’impresa, si potrebbero imporre agli operatori aziendali, oltre agli obblighi giuridici attualmente previsti, anche ulteriori doveri, ispirati ai principi di solidarietà.

169 Per un’analisi del rapporto tra RSI e responsabilità degli enti v. anche A.MEREU, La responsabilità

“da reato” degli enti collettivi e i criteri di attribuzione della responsabilità tra teoria e prassi, cit. 27.

170 In tal senso v. anche M. A. PASCULLI, Responsabilità sociale versus responsabilità penale

dell’impresa: studio sui modelli di organizzazione, gestione e controllo quali strumenti d legalità preventiva e/o di strategia etico-integrata in ordine alle fattispecie negate e realizzate dal d.lgs. 231/2001 e successive modificazioni, www.rivista231.it, n. 4, 2010, 58.

171 Tale ultima espressione è richiamata da R.DEL PUNTA, Responsabilità Sociale dell’impresa e diritto

del lavoro, Lavoro e Diritto, n. 1, 2006, 55.

172 A questo riguardo, nella Relazione al decreto n. 231/2001 si afferma che il principio di colpevolezza richiede che il reato, oltre ad essere riconducibile all’ente da un punto di vista oggettivo, sia altresì espressione della politica aziendale»; v. Relazione governativa al decreto ministeriale n. 231 del 2001, in

agevolato dalla propria cultura organizzativa deviata173.

In tal modo, potrebbe anche più agevolmente comprendersi se l’illecito contestato

rappresenti un accadimento isolato o se, invece, si iscriva nell’ambito della politica – e della cultura - d’impresa174.

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