Discrezionalità sanzionatoria all'interno delle cornici edittal
IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ QUALE CANONE DI LEGITTIMITÀ
3. Quando la norma entra in sofferenza Paradossi sanzionatori e nuove esigenze di tutela
I maggiori profili problematici – in sede di applicazione concreta dell’art. 4 – sono emersi allorquando si è trattato di applicare l’aggravante della transnazionalità ai fenomeni associativi nostrani (in particolare all’art. 416 c.p.).
Le Sezioni Unite sono pervenute alla conclusione per cui la locuzione «dare il contributo» ex art. 4 «postula “alterità” tra i soggetti interessati, ossia tra soggetto agente (il gruppo organizzato) e realtà plurisoggettiva beneficiaria dell’apporto causale»24. Pertanto, «dalla sfera di operatività della circostanza aggravante deve quindi essere espunta l’ipotesi in cui il gruppo organizzato sia esso stesso associazione per delinquere». «Deve pure essere espunta l’ipotesi che l’associazione abbia sue articolazioni periferiche in altri stati od anche l’ipotesi che parte dei sodali della stessa consorteria operino all’estero oppure gli effetti sostanziali dell’attività della stessa consorteria si producano oltre confine».
In questi casi, infatti, il reato associativo assume, di per sé, connotato di transnazionalità, ai sensi dell’art. 3 l. 146/2006, ma la sua commissione non è il risultato dell’apporto contributivo di un gruppo organizzato transnazionale “esterno”, unica circostanza che il legislatore ha ritenuto di tale gravità da comportare una più grave lesione del bene protetto e di conseguenza la necessità di un aggravamento di pena.
D’altronde – hanno puntualizzato le Sezioni Unite – all’applicabilità dell’aggravante osterebbe, sul piano formale, il chiaro disposto normativo dell’art. 61 c.p., secondo cui le circostanze, positivamente previste, aggravano il reato «quando non ne sono elementi costitutivi». Ne discende il principio secondo il quale la speciale aggravante di cui qui si tratta «è applicabile al reato associativo, sempreché il gruppo criminale organizzato transnazionale non coincida con l’associazione stessa»25.
Tale pronuncia rappresenta il tipico esempio di come il principio di proporzionalità abbia guidato l’opera dell’interprete.
Tuttavia, vi sono casi nei quali l’aggravante – seppur esclusa per la fattispecie associativa stante l’immedesimazione con il gruppo transnazionale – sia stata poi applicata al reato-fine commesso dal soggetto partecipe dell’associazione.
In tale ipotesi si è generato il seguente paradosso: la partecipazione all’associazione costituisce elemento costitutivo di un reato (associativo) e, al tempo stesso, circostanza aggravante di altro reato (reato-fine) commesso avvalendosi di un gruppo di cui il
24 Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2013, n. 18374, Adami e altro, in CED Cass., n. 255034.
25 Allineandosi alla sentenza delle Sez. Un., la Suprema Corte ha affermato che «l’aggravante della transnazionalità prevista dall’art. 4, legge 16 marzo 2006, n. 146, può trovare applicazione (…) solo a condizione che non ricorrano elementi di “immedesimazione” fra le due strutture criminose, ciò in quanto la immedesimazione delle due strutture è incompatibile con l’esistenza dell’apporto causale esterno all’associazione richiesto dalla norma e dà luogo, invece, al carattere transnazionale dell’associazione medesima ex art. 3 della legge n.146 del 2006» (Cass., Sez. III, 4 dicembre 2013, n. 7768, in CED Cass., n. 258849, fattispecie di traffico internazionale di stupefacenti in cui la Corte ha escluso di poter ravvisare la circostanza aggravante della transnazionalità).
soggetto agente è esso stesso componente (stante il rapporto di immedesimazione con l’associazione)26.
La giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite ha, infatti, affermato che «ai fini della configurabilità dell’aggravante della transnazionalità prevista dall’art. 4, legge 16 marzo 2006, n. 146, occorre che la commissione del reato sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte, dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello cui è riferibile il reato, impegnato in attività illecite in più di uno stato»27.
Si tenga presente che analoga problematica è stata sollevata da autorevole dottrina rispetto alle aggravanti associative “nostrane” che spesso portano a «situazioni in cui dapprima si punisce il partecipe dell’associazione “per ciò solo”, poi perché ha attuato parte del programma criminoso dell’associazione di cui è partecipe, realizzandone un reato-fine, ed infine ancora una volta mediante l’aggravante»28.
26 Casi di studio: 1) “Processo Telecom Sparkle”: la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Roma in data 17 ottobre 2013 ha escluso l’aggravante di cui all’art. 4 l. 146/2006 per il reato di cui all’art. 416 c.p. in virtù del rapporto di immedesimazione tra associazione e gruppo transnazionale e applicato l’aggravante per il reato di cui all’art. 648bis c.p., reato-fine dell’associazione, entrambi contestati al medesimo soggetto. Nel procedimento di appello essendovi stata assoluzione per il reato di cui all’art. 648bis c.p. con sentenza emessa in data 27 settembre 2017 è venuta meno in astratto l’applicabilità dell’aggravante, e la Corte di Appello di Roma con motivazione depositata in data 22 dicembre 2017 ha ritenuto superflua la trattazione dettagliata del motivo di gravame avente ad oggetto la violazione del ne bis
in idem. Tuttavia ha incidentalmente affermato che l’aggravante, correttamente esclusa in primo grado per
il reato associativo, era incompatibile anche rispetto al reato-fine di riciclaggio data l’assenza di un gruppo criminale organizzato esterno al sodalizio e poiché «la circolazione e la dissimulazione dei beni era fatto costitutivo del circuito associativo, che certamente investiva una dimensione transnazionale ma altrettanto certamente non presentava quei caratteri che sono richiesti per l'applicazione dell'aggravante». Infatti, nonostante l’assorbimento del reato-fine nel reato associativo, «deve comunque evidenziarsi che effettivamente, sotto un profilo squisitamente fattuale, altro è la condotta delittuosa avente carattere intrinsecamente transnazionale, altro è invece la qualificazione di un reato associativo connotato dall'aggravante di cui all'art. 4 L. 146/06, che postula per la sua esistenza la necessaria presenza di più gruppi organizzati operanti in più Paesi e non già di un unico gruppo organizzato avente una articolazione territoriale estesa anche all'estero». 2) “Processo Operazione Pinocchio”: la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Torino in data 23 settembre 2016 ha escluso l’aggravante di cui all’art. 4 l. 146/2006 per il reato di cui all’art. 74 d.p.r 309/90 in virtù del rapporto di immedesimazione tra associazione e gruppo transnazionale e applicato l’aggravante per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. 309/90, reato-fine dell’associazione, entrambi contestati al medesimo soggetto. Nel procedimento di appello essendovi stata assoluzione per il reato di cui all’art. 73 c.p. con sentenza emessa in data 23 novembre 2017 è venuta meno in astratto l’applicabilità dell’aggravante, tuttavia si deve attendere il deposito delle motivazioni per comprendere se la Corte di Appello di Torino si sia comunque pronunciata sulla fondatezza del motivo di gravame avente ad oggetto la violazione del ne bis in idem.
27 Cass., Sez. VI, 2 luglio 2013, n. 31972, in CED Cass., n. 255887, fattispecie in cui la Corte ha escluso di poter ravvisare la circostanza aggravante sulla sola base dell’espansione all’estero dell’attività criminosa;
ex plurimis, Cass. Sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 21888, non massimata, fattispecie in cui la Corte ha escluso
l’applicazione dell’aggravante al reato-fine poiché il gruppo criminale organizzato che vi aveva contribuito era l’associazione per delinquere cui era riferibile il reato-fine.
28 Cfr. G. LATTANZI, Codice Penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Volume IX, I Delitti contro
l’ordine pubblico e i delitti contro l’incolumità pubblica, Giuffrè, 2010, 211; cfr. V. PLANTAMURA, Reati
associativi e rispetto dei principi fondamentali in materia penale, in Ind. Pen., 2007, 396 s.; L. DELLA
RAGIONE, L’aggravante della “ambientazione mafiosa” (art. 7 d.l. 13.5.1991, 152) in AA.VV, La
legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, a cura di V.
MAIELLO,Giappichelli, 2015, 69-70 «L’aggravante (di cui all’art. 7 d.l. 13/05/1991, n. 152) integra una figura circostanziale “a più fattispecie” che si articola lungo una duplice variante: la prima consiste nel fatto che il delitto base sia commesso “avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416bis c.p.” (cd. del metodo mafioso), la seconda connota il “fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”
La inevitabile conseguenza è che la partecipazione all’associazione viene doppiamente sanzionata in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
A scongiurare il rischio di bis in idem sostanziale non potrebbe soccorrere neanche la figura del reato complesso. La Corte Costituzionale con sentenza n. 249 del 2010 ha chiarito, infatti, che nel nostro sistema esistono tecniche di considerazione unitaria delle specifiche condotte «sia nel caso che una circostanza aggravante comune rappresenti un elemento essenziale del reato o ne costituisca una circostanza aggravante speciale (art. 61, prima parte, cod. pen.) […] sia nell’ipotesi di reato complesso, che sussiste quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato». Tuttavia, «la figura del reato complesso, che preclude un fenomeno di bis in idem sostanziale, consiste in un fatto tipicamente inclusivo, sul piano circostanziale, della condotta altrimenti considerata quale reato a sé stante». Pertanto, «la costruzione di un reato complesso deve essere opera del legislatore, e non può quindi risultare dalla combinazione, in sede di applicazione giurisprudenziale, tra le singole figure criminose e le circostanze aggravanti comuni» (Corte cost., 8 luglio 2010, n. 249 in tema di aggravante della clandestinità).
Sul punto è bene ricordare che la Convenzione ha chiaramente affermato all’art. 34 par. 1 che la sua implementazione non deve porsi in contrasto con principi fondamentali di diritto interno29.