CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO
4. Alcune considerazioni provvisorie
La necessità di fronteggiare l’incertezza derivante dalla distinzione tra condizione di punibilità ed elementi essenziali ha indotto gli studiosi ad elaborare la molteplicità di criteri discretivi passati in rassegna nelle pagine precedenti; la pratica, tuttavia, ha mostrato come ciascuno di essi, seppur necessario, da solo risulta insufficiente a risolvere completamente le perplessità interpretative. Pertanto, facendo applicazione dei canoni della buona e corretta interpretazione, si rivela proficuo l’impiego congiunto dei diversi criteri, in modo da valorizzarne le potenzialità individuali e colmare i rispettivi evidenti limiti149.
Quando l’utilizzo delle rituali formule introduttive condizionali si scontra, vanificando la propria portata, con una costruzione di per sé condizionale della norma, è alla struttura della fattispecie che ci si rivolge. Ma anche in questo caso, sebbene imprescindibile si rivelino l’analisi strutturale della disposizione e la sua collocazione nel sistema, ci si trova in una zona in cui la linea dell’incertezza supera quella della certezza: tale risulta il dubbio, a tutt’oggi non fugato, sul significato da attribuire all’«anche se» di cui all’art. 44 c.p. e che inevitabilmente si riverbera sul tipo di legame che deve (o non deve) sussistere tra l’evento condizionale e la
149 Così G. PANEBIANCO, Le condizioni obiettive di punibilità, in Trattato teorico pratico di
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condotta150. Pertanto anche quest’ultima soluzione interpretativa si rivela di per sé incompleta, se non fuorviante, dal momento che rischia di appiattire le peculiarità delle condizioni obiettive di punibilità sul semplice meccanismo d’imputazione obiettiva, senza comprenderne appieno la loro ampia ed innovativa portata e anzi rendendole quasi indistinguibili da fattispecie finitime quali i reati aggravati da evento151.
Per una corretta comprensione del fenomeno condizionale non si può prescindere da un’ermeneutica in grado di mettere costantemente in contatto la dimensione formale, il piano della lettera, e la dimensione sostanziale, il piano dell’interesse, sebbene tutto ciò non sia ancora in grado di garantire “univocità” di risultati interpretativi, rendendosi indispensabile un’ulteriore indagine chiarificatrice circa la funzione svolta dall’istituto condizionale, nonché la sua unitarietà interna.
150 Con tale affermazione si allude al tentativo, ampiamente sperimentato in dottrina, di spiegare il
fenomeno condizionale, anche al fine di differenziarlo dagli elementi essenziali, sulla base del semplice riferimento al legame causale rispetto alla condotta. Malgrado gli sforzi teorici apprezzabilissimi dal punto di vista formale, tali approdi interpretativi, come si evince dalla predetta analisi circa l’insufficienza dei criteri discretivi uti singuli, non si rivelano sufficienti a ricondurre ad unità l’eterogeneità del fenomeno condizionale. Rinvenendo nel semplice regime dell’obiettività la peculiarità delle c.o.p. si finisce per frustrare l’”autonomia funzionale” di un istituto che presenta molteplici potenzialità applicative. In tal senso, occorre superare la prospettiva strutturale per approdare alla dimensione assiologia (rectius: funzionale) delle condizioni di punibilità come “filtro selettivo”. Così Corte Cost. nella sentenza 16 maggio 1989, n. 247, in Giur. Cost., 1989, p. 834). Sul tema si veda più diffusamente il primo capitolo.
151 Buona parte della dottrina si limita a spiegare il fenomeno delle condizioni obiettive di punibilità
semplicemente sulla base del regime d’imputazione che, appunto, prescinde dall’ordinaria imputazione psicologica; ciò, tuttavia, equivale a limitare la prospettiva di analisi alla sola dimensione formale - strutturale, che, come visto in precedenza, risulta parziale ed insufficiente. Pertanto si potrebbe avanzare qui una nuova interpretazione dell’art. 44 c.p. che valorizzi maggiormente la prospettiva funzionale-assiologica delle c.o.p. per l’interpretazione dell’«anche se l’evento […] non è da lui voluto». Si è iniziato il presente capitolo con un riferimento alla disciplina dell’errore come terreno di evidenziazione della distinzione tra elementi essenziali ed elementi condizionali e, come in una ringcomposition, all’errore si ritorna a conclusione; l’art. 83 c.p. dedicato all’aberratio ictus presenta una formula apparentemente analoga a quella suddetta – esattamente «il colpevole risponde […] dell’evento non voluto», ma il regime sanzionatorio per esso previsto dal legislatore era (ed è) ovviamente diverso perché diversa è la natura dei due eventi, evento del reato in senso nell’art. 83 c.p. ed evento condizionante nell’art. 44 c.p., e dunque la loro funzione, sebbene entrambe le ipotesi facciano difetto della volontà. Ciò dunque dimostra che insistendo sul solo criterio dell’obiettività delle condizioni si finirebbe per compiere un’inaccettabile inversione logica per cui «Non è dal difetto delle relazioni oggettive e soggettive (causalità e volontà) che dobbiamo ricavare l’estrinsecità al fatto di un elemento che si caratterizza come c.o.p., ma è invece proprio dall’estraneità alla materia dell’offesa che dobbiamo dedurre l’irrilevanza delle cennate relazioni rispetto alle condizioni di punibilità»: F. RAMACCI, op. cit., p. 47.
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In effetti, in ordine alla unitarietà del fenomeno condizionale, vanno evidenziati il carattere compromissorio dell’art. 44 c.p. e l’incertezza sulla sua effettiva collocazione rispetto alla fattispecie di reato, tali per cui le condizioni di punibilità si atteggiano ad istituto a “geometria variabile”, come fra l’altro dimostra la pretesa esistenza della bipartizione tra condizioni intrinseche ed estrinseche, e rischiano di perdere autonoma consistenza dando vita ad un aliud pro alio con gli elementi essenziali.
A complicare l’opera interpretativa e lo sforzo di rinvenire canoni ermeneutici idonei a delineare in modo accettabile la demarcazione tra condizioni di punibilità ed elementi essenziali del reato sono intervenute talune elaborazioni dottrinali, che tendono ad allontanarle dall’orbita del reato doloso per attrarle a quella del reato colposo. Tale ricostruzione risposa evidentemente sull’incompatibilità dell’«anche se da lui non voluto» con l’imputazione dolosa e con la sua vicinanza a quella colposa in cui l’evento non è voluto dall’agente152. Nel tentativo di individuare una
concezione unitaria della colpevolezza, parte della dottrina ha ritenuto di ricondurre
152 Il riferimento è qui ai criteri, formale-strutturale e sostanziale-teleologico, elaborati dalla dottrina,
prevalentemente, per fondare e tracciare la differenza tra elementi condizionali ed elementi essenziali. Nonostante tali criteri, l’incertezza qualificatoria persiste in modo considerevole anzitutto perché alimentata dalla pretesa esistenza di condizioni intrinseche di punibilità, afferenti la lesione del bene protetto dalla norma penale. Inoltre una posizione dottrinale, ormai minoritaria e risalente, portata in auge da talune pronunce della giurisprudenza, ha incoraggiato la costruzione degli eventi colposi in chiave di condizione di punibilità. Cfr., per tutti, O. VANNINI, L’evento colposo come condizione di punibilità, in Riv. pen., 1930, p. 1025. L’A. si rifà alla dottrina tedesca, secondo cui il reato colposo consisterebbe nella «trasgressione intenzionale di un divieto di azioni pericolose, le quali sono minacciate da pena non già di per sé stesse, bensì soltanto sotto la condizione del sopravvenire di certe conseguenze»: così A. THON, Norma giuridica e diritto soggettivo: indagini di teoria generale del diritto, Padova, 1951, p. 85. Ciò dunque condurrebbe ad una sospensione della pena e non dell’illecito per cui l’azione conserverebbe la contrarietà al diritto ma, ricadrebbe sotto la pena solo a condizione del prodursi di un dato effetto giuridico. Per la giurisprudenziali, cfr., per tutte, Cass., 12 luglio 1991, in Foro it., 1992, p. 366. Tale assimilazione risulterebbe supportata dal dettato dell’art. 43 c.p. per cui si definisce colposo il reato il cui l’evento, anche se preveduto non è voluto dall’agente. Tuttavia, sebbene la colpa integri un criterio d’imputazione c.d. normativo, la semplice assenza di volontà non risulta sufficiente a giustificare l’assimilazione tra condizione di punibilità ed evento colposo. Nell’illecito colposo, la lesione del bene tutelando rappresenta la conseguenza e la concretizzazione della violazione di determinate e ben individuate regole cautelari, secondo lo schema della c.d. causalità della colpa. Tale legame difficilmente potrebbe ravvisare rispetto alle condizioni obiettive di punibilità in senso stretto. In questo senso, per tutti, A. PAGLIARO, Il reato cit., p. 121.
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anche la colpa ad una volontà, quella del fatto pericoloso, subordinando la punibilità al verificarsi del fatto lesivo: per tale sospensione “condizionale” della punibilità, l’evento colposo è stato assimilato al modus operandi delle condizioni di punibilità. Un simile orientamento, sorto come espressione delle teorie imperativiste del diritto e dunque risalenti, ha conosciuto una fase di nuovo vigore in talune pronunce della giurisprudenza, ma nonostante le soluzioni ermeneutiche proposte, esso non può sicuramente accettarsi153.
A precludere la suddetta soluzione non interviene semplicemente la causalità materiale che, nel caso delle condizioni di punibilità, come si è evidenziato precedentemente, non rappresenta un criterio decisivo per la loro identificazione e che nei reati colposi si atteggia in modo peculiare, quanto piuttosto lo specifico significato che l’evento assume all’interno dell’illecito colposo154. Esso infatti appare incentrato su una “relazione qualificata” tra la condotta e le norme definite
153 Sul punto in modo molto critico si pone P. P. EMANUELE, Controversie dottrinali e distorsioni
giurisprudenziali in tema di condizioni obiettive di punibilità cit., p.1139, il quale denuncia nell’atteggiamento della giurisprudenza «di non saper resistere alla tentazione di far uso dell’aumento del rischio togliendo spazio ad un eventuale giudizio di evitabilità del danno ex post e di accontentarsi di punire in base al mero pronostico che il comportamento diligente del medico avrebbe comportato la diminuzione del rischio di verificazione dell’evento».
154 G. MUSOTTO, Colpevolezza, dolo, colpa, Palermo, 1939, p. 89, secondo il quale la negligenza
rappresenta una categoria relazionale che non può determinarsi in sé stessa, ma va rapportata all’evento cui dà luogo. Tale conclusione viene confermata anche da A. PAGLIARO, op. cit., p. 317. Secondo il citato A. «l’evento nel delitto colposo, pur rimanendo estraneo all’azione illecita, opera come un momento essenziale per la determinazione del contenuto di questa: e ciò contrasta in pieno con le condizioni obiettive di punibilità, che mancano di ogni idoneità ad influire sul significato dell’azione. Tanto è vero che il significato della condotta illecita rimane identico sia nel verificarsi della condizione che nell’assenza di essa». Per una piena comprensione del rapporto tra reato colposo - oggi non più semplicemente riducibile al rango di “fratello minore” del reato doloso, ma divenuto autentico caposaldo dell’attuale sistema penale - non è possibile prescindere da valutazioni attinenti la colpevolezza e che per tanto si riprenderanno nel capitolo ad essa dedicato. In questa sede basta sottolineare i rischi insiti nell’imputazione colposa di un ritorno alla responsabilità in base al criterio del versari in re illicita, oggi incompatibile con gli approdi in tema di colpevolezza. Oggetto di ampie critiche da parte della dottrina si rivela il ricorso alla teoria dell’aumento del rischio, come fondamento della responsabilità colposa, che, facilmente potrebbe tradursi in un’ipotesi di “responsabilità oggettiva occulta”. Ad esiti diversi si arriverebbe configurando l’evento colposo come la risultante. Cfr, per tutti, P. P. EMANUELE, op. cit., pp. 1147 ss.
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appunto “cautelari”, la cui osservanza avrebbe dovuto impedire la verificazione dell’evento155.
Lasciando da parte le considerazioni generali sulla qualificazione della colpa come criterio d’imputazione normativa e non meramente psicologica, nell’illecito colposo la previsione dell’evento, oltre a far parte del “tipo” di reato, non attiene unicamente al meccanismo sanzionatorio, sancendo l’applicabilità/inapplicabilità in concreto della pena, ma interviene “attualizzando e qualificando” una lesione che già in potenza si concentra nella violazione di regole di cautela e che però, anche per esigenze di conformità al principio di materialità ed offensività, necessita di essere tradotta in atto156.
Le riflessioni da ultimo svolte si propongono di costituire ulteriore riprova della diversità intercorrente tra elemento essenziale (rectius: evento del reato) - sia esso di reato doloso o colposo - ed elemento condizionale: una distanza che va rinvenuta anzitutto sul piano del significato, dunque della funzione, da attribuire a ciascun
155 Si tratta della c.d. causalità della colpa, secondo la quale «l’evento di fatto cagionato deve
appartenere al “tipo” di quelli che la norma di condotta mirava a prevenire. Ove così non fosse, la responsabilità colposa si ridurrebbe a mera responsabilità oggettiva basata sul semplice nesso di causalità materiale». Così, G. FIANDACA- E. MUSCO, Diritto penale, cit., p. 560, Fra l’altro non si possono di certo nascondere le peculiarità su cui si costruisce l’imputazione colposa che, in modo parzialmente diverso da quanto sostenuto da G. MUSOTTO (ut supra, nota 140), afferisce a contesti di attività tendenzialmente lecite ma potenzialmente rischiose: pertanto, laddove si affermasse l’assenza di qualsivoglia connessione di rischio tra condotta ed evento si rischierebbe di sanzionare condotte “inoffensive”. Sulla struttura del reato colposo e sulla causalità della colpa v. C. E. PALIERO, Il tipo colposo, in Responsabilità penale e rischio nelle attività mediche e di impresa (a cura di R. Bartoli), Firenze, 2010, p. 520 ss.; L. RISICATO, La colpa, in AA. VV. La legge penale, il reato, il reo, la persona offesa, a cura di G. De Vero, in Trattato Teorico/pratico di diritto penale (a cura di F. Palazzo - C. E. Paliero), Torino, 2010, p. 209 ss.; D. CASTRONUOVO, La colpa penale, Milano, 2009, p. 5 ss.; G. DE FRANCESCO, Dolo eventuale, dolo di pericolo, colpa cosciente e ''colpa grave'', alla luce dei diversi modelli di incriminazione, in Cass. pen., 2009, p. 501 ss.; D. PULITANÓ, Colpa ed evoluzione del sapere scientifico, in Dir. pen. proc., 2008, p. 647.; C. PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell'età del rischio: prove di resistenza del tipo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 1684, G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Milano, 1990.
156 Il riferimento alla concretizzazione dello scopo della norma cautelare consente, a sua volta, di
differenziare l’evento nei reati colposi rispetto alle condizioni obiettive di punibilità intrinseche, le quali svolgono il ruolo di attualizzare e approfondire l’offesa. Circa l’esistenza di quest’ultime non si riscontra univocità di vedute in dottrina per via della dubbia compatibilità con il principio di colpevolezza: ammettendo la loro funzione di “qualificazione ed attualizzazione dell’offesa” non sarebbe possibile mantenere un regime oggettivo, dovendo le stesse soggiacere al canone della personalità.
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elemento, nel pieno rispetto dei canoni fondanti l’incriminazione penale. In fondo, il piano del rispetto dei principi rappresenta il terreno in cui si rinviene la differenza tra condizioni di punibilità e l’evento dei reati aggravati, che rappresentando una progressione dell’offesa, implicano un incremento sanzionatorio e richiedono un’imputazione conforme al canone della colpevolezza. Proprio la conformità a quest’ultimo principio si assume rappresentare il limite più rilevante alla permanenza delle condizioni di punibilità, specialmente intrinseche, nell’attuale sistema penale. Eppure tale obiezione potrebbe essere ridimensionata notevolmente laddove si recuperi una risalente categoria, quella delle condizioni di esistenza e se ne affermi la diversità rispetto alle condizioni di punibilità, elementi oggi non sovrapponibili attesa l’autonomia del momento dell’irrogazione della pena rispetto al piano dell’illecito.
Una possibile soluzione di sintesi potrebbe ravvisarsi nell’ammettere il regime oggettivo dell’art. 44 c.p. solo per le condizioni estrinseche, caratterizzate dall’assenza di offensività in quanto traduzione di motivi di opportunità al pari delle cause di non punibilità in senso stretto e ricondurre quelle intrinseche alle condizioni di esistenza che, incidendo sul momento valoriale verrebbero assoggettate al canone della colpevolezza, al pari degli essentialia delicti.
La possibilità giuridica e l’opportunità di ricorrere a tale ricostruzione, l’aderenza al principio di colpevolezza e la funzione delle condizioni di punibilità occuperanno la trattazione del prossimo capitolo.
113 CAPITOLO III
LE CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED Il PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA
SOMMARIO: 1. Il principio di colpevolezza e la sua evoluzione concettuale - 2. L’estensione della categoria condizionale: condizioni intrinseche ed estrinseche - 2.1 Segue: Le condizioni intrinseche e le condizioni di esistenza del reato - 3. Rapporti tra illiceità, punibilità e antigiuridicità - 4. Spazio per l’esistenza delle condizioni intrinseche nella nuova concezione della colpevolezza- 5. Condizioni di punibilità e di procedibilità a confronto - 6. Considerazioni conclusive su ratio, funzione ed effetti delle condizioni di punibilità;