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L’incerta natura delle condizioni obiettive di punibilità al vaglio della disciplina dell’errore

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 69-74)

CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO

2. L’incerta natura delle condizioni obiettive di punibilità al vaglio della disciplina dell’errore

Il corretto inquadramento di un elemento all’interno della fattispecie penale non rappresenta una questione meramente teorica dal momento che implica una molteplicità di ripercussioni di ordine pratico ravvisabili nel regime d’imputazione soggettiva, sub specie di compatibilità costituzionale con il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., ovvero nella presenza di un legame eziologico rispetto alla condotta. Qualificare con precisione un requisito della fattispecie finisce per condizionare l’operatività (o la non operatività) nei loro confronti di taluni istituti, primo fra tutti l’errore disciplinato dall’art. 47 c.p., che possono fungere da valido momento di verifica della natura delle condizioni obiettive di punibilità94.

disvalore venga conferita all’illecito unicamente dalla condizione di punibilità, evento per definizione futuro ed incerto.

93 Il dibattito sulle condizioni di punibilità, per quanto risalente, spesso è stato ricondotto

esclusivamente e frettolosamente al rapporto con il principio di colpevolezza senza considerare le potenzialità che l’istituto potrebbe spiegare nell’attuale sistema penale. Affermare la sovrapponibilità con gli elementi essenziali priverebbe di qualunque utilità la figura delle condizioni di punibilità. Diversamente, effettuandone un’approfondita analisi della loro funzione e attribuendo alla oro presenza specifiche ragioni di opportunità politico-criminale si potrebbe conferire nuovo lustro ad un istituto sottovalutato e che, invece, potrebbe risultare idoneo a costituire «veri e propri limiti edittali dell’illecito ossia limiti legislativi della punibilità»: così E. ANTONINI, op. cit., p. 1211 e G. PANEBIANCO, Le condizioni obiettive di punibilità, in Trattato teorico pratico di diritto penale, vol. I: La legge penale. Il reato. Il reo. La persona offesa (a cura di G. de VERO), Torino, 2010, p. 254. Per la posizione della giurisprudenza, seppur datata v. Corte Cost. sent. 16 maggio 1989, n. 247, in Giur. Cost., 1989, p. 834. Di avviso contrario, P. PETROCELLI, Reato e punibilità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, p. 689.

94 Norma cardine nell’attuale assetto penale si rivela l’art. 47 c.p., che reca l’articolata disciplina

dell’errore essenziale, così distinguendosi dall’errore su norma penale di cui all’art. 5 c.p. e dalle ipotesi di errore inabilità di cui agli artt. 82 c.p. e 83 c.p.. Già la denominazione di errore essenziale fa desumere che la distorta percezione riguarda gli essentialia delicti, gli elementi che

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Il fondamento logico-giuridico della disposizione in materia di errore risiede evidentemente nella irragionevolezza ed inopportunità di irrogare una sanzione nei confronti di un soggetto, il quale abbia elaborato una rappresentazione carente o distorta della realtà in relazione ad un elemento essenziale del fatto: la scelta dell’ordinamento di non punire l’agente riposa nel difetto del disvalore soggettivo d’azione. L’errore, incidendo sugli elementi essenziali del reato, viene comunemente definito “essenziale” ed esclude la configurazione stessa del reato, venendo a mancare l’elemento psicologico che sorregge il fatto di reato. Se dottrina e giurisprudenza concordano nel ricomprendere nel novero degli elementi essenziali la condotta, il nesso di causalità e l’evento, a simili conclusioni difficilmente si potrebbe pervenire con riguardo alle condizioni obiettive di punibilità: l’estensione ad esse della disciplina dettata in tema d’errore risulta fortemente condizionata dal loro regime d’imputazione e dal loro rapporto rispetto al disvalore della fattispecie. Ammettendo che le condizioni obiettive di punibilità si collochino fuori dal fatto, attribuibili oggettivamente poiché non identificabili con gli elementi significativi di fattispecie, idonei ad incidere su una condotta già di per sé penalmente rilevante, la disciplina in tema di errore ex art. 47 c.p. non

contribuiscono a tracciare la fisionomia del reato. La disciplina dell’errore potrebbe rappresentare un valido momento di verifica sulla natura delle stesse: affermare la sua estensibilità alle condizioni di punibilità implicherebbe una qualificazione delle stesse in termini di elemento essenziale, diversamente potrà predicarsene l’estraneità. A tale scopo risulterà particolarmente interessante procedere al confronto tra il regime delle condizioni di punibilità e quello delle circostanze aggravanti e delle cause di non punibilità contenuto nell’art. 59 c.p. Per una trattazione dell’errore cfr. G. DE FRANCESCO, Strutture normative e dinamiche dell’errore nello specchio degli elementi differenziali del reato, in Studi in onore di M. Romano, Napoli, 2011, p. 847; A. FIORELLA, L’errore sugli elementi differenziali del reato, Tivoli, 1979; A. PAGLIARO, Il reato cit., p. 87 ss.; D. PULITANÓ, “Ignoranza” (dir. pen.), in Enc. dir., vol. XX, Milano, 2006, 1970, p. 23 ss.; ID., L’errore di diritto nella teoria generale del reato, Milano, 1976; C. F. GROSSO, voce Errore (dir. pen.), in Enc. giur., Roma, 1990, p. 2 ss., F. PALAZZO, L’errore su legge extra-penale, Milano, 1974, p. 132 ss., R. A. FROSALI, voce Errore, in Noviss. dig. it, vol. VI, 1960, p. 672 ss.. Per la manualistica v. G. de VERO, Corso cit., p. 567, G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale cit., p. 292 ss., F. MANTOVANI, Diritto penale cit., p. 377 ss.

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risulterebbe applicabile95. A sostegno di tale conclusione si potrebbe invocare una risalente argomentazione, che contesta in radice la riconducibilità dell’errore su condizione di punibilità all’art. 47 c.p., optando per l’applicabilità dell’art. 5 c.p. Ad essere precisi, non incidendo su di un elemento essenziale, l’errore sull’evento condizionale risulterebbe circoscritto alla sola fase dell’irrogazione delle pena e dunque vizierebbe «l’idea che ci si è fatta della conseguenza giuridica dell’azione»96: secondo quanto sostenuto da questa dottrina, l’errore sulla

condizione di punibilità si tradurrebbe in un’ipotesi di errore su legge penale, da ricondurre alla disciplina dettata dall’art. 5 c.p. e dunque “tendenzialmente” irrilevante97.

95 F. RAMACCI, op. cit., p. 211: «il venir meno della punibilità del soggetto non esclude che restino

integri tutti gli elementi del fatto delittuoso, il quale non cessa di essere illecito anche penalmente, giacché la mancata punizione è voluta dal legislatore per particolari motivi politico sociali».

96 D. SANTAMARIA, Lineamenti di una dottrina delle esimenti, Napoli, 1961, p. 32. L’Autore

nella suddetta opera si mostra favorevole ad un’assimilazione, quanto ad operatività, delle c.o.p. rispetto alle cause di esclusione della punibilità. Detta assimilazione nell’attuale sistema penale non risulta particolarmente agevole in conseguenza della modifica del regime delle circostanze ex art. 59 c.p., introdotta dalla legge primo luglio 1990, n. 119. Tale riforma ha introdotto un regime d’imputazione soggettivo per le circostanze aggravanti - prima imputate obiettivamente - e ha disciplinato i limiti di rilevanza dell’errore sulle circostanze che escludono la punibilità, come evidenzia il quarto comma dell’art. 59 c.p.; di contro, nessuna riforma è intervenuta a modificare il regime delle condizioni obiettive di punibilità, lasciando praticamente invariato il dettato dell’art. 44 c.p.. Una simile volontà potrebbe essere letta come riprova della peculiare natura e funzione assunta dal fenomeno condizionale. Lo stesso A. afferma inoltre che l’eventuale errore su condizione di punibilità si tramuterebbe in un errore su legge penale dal momento che, ragionando diversamente, si arriverebbe a sostituire il convincimento sbagliato del soggetto alla valutazione di opportunità espressa nella legge.

97 L’art. 5 c.p. va oggi reinterpretato alla luce della sentenza della Corte Cost. 1988, n. 364 che ha

sancito l’incostituzionalità del suddetto articolo nella parte in cui non prevedeva la scusabilità dell’errore inevitabile. La generale tematica dell’errore va rapportata al delicato principio di colpevolezza, finalizzato a garantire una responsabilità penale autenticamente personale. Nel caso delle condizioni obiettive di punibilità non può celarsi che esse, consistendo molto spesso in eventi futuri ed incerti posti in essere da soggetti terzi, dunque estranei alla condotta, apparirebbe comunque difficile ammettere l’operatività dell’errore. Ed in ogni caso non possono celarsi i rischi dell’estendere la disciplina dell’errore dal momento che potrebbe giungersi alla paradossale conseguenza di escludere sempre la punibilità, vuoi per la pendenza della condizione, vuoi per l’eventuale errore dell’agente su di essa. Per un approfondimento sull’art. 5 c.p. v. A. CADOPPI, Error iuris: coscienza dell’antigiuridicità penale e ritardo nel versamento delle ritenute, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1989, p. 83 ss.; G. FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: «prima lettura» della sentenza 364 del 1988, in Foro it., 1988, p. 1385, G. FLORA, la difficile penetrazione del principio di colpevolezza: riflessioni per l’anniversario della sentenza costituzionale sull’art. 5 c.p., in Giur. it., 1989, p. 337 ss.; F. MUCCIARELLI – MAZZOLA, L’art. 5 del codice penale: problemi applicativi, in Foro ambr.., 1999, p. 377; T. PADOVANI, L’ignoranza inevitabile della legge penale e la declaratoria d’incotituzionalità

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Invero, dal rapporto con la disciplina dell’art. 47 c.p. si potrebbe ricavare l’autonomo spazio di rilevanza delle condizioni obiettive di punibilità; rispetto agli elementi essenziali, gli eventi condizionali denotano una certa indifferenza nei confronti del controllo fisico e psichico dell’agente, neutralizzando la necessità di una specifica disciplina sull’errore. In questa indifferenza delle c.o.p rispetto al nesso causale e psichico potrebbe consistere l’essenza della rappresentazione della natura oggettiva delle stesse ed il loro elemento caratterizzante: la declaratoria di fallimento ovvero il pubblico scandalo rilevano come fatti a prescindere dalla percezione più o meno distorta che possa averne l’agente, contribuendo così a sancire l’irrilevanza della disciplina dell’errore. Ed infatti, risulterebbe difficile conferire rilievo all’errore che ricade su di un elemento futuro e dominato di per sé da incertezza, quale la condizione. Il pubblico scandalo nel reato di incesto ovvero la declaratoria di fallimento nel reato di bancarotta rappresentano eventi successivi alla condotta e non di sicura realizzazione, pertanto, difficilmente potrebbe avere efficacia scusante la loro distorta o mancata rappresentazione. Anzi, proprio perché conferiscono attualità alla sanzione, l’agente ben potrebbe rimuovere in radice l’idea di una loro verificazione per evitare ogni conseguenza sanzionatoria.

Naturalmente l’esistenza di uno scarto tanto netto tra condizione di punibilità ed elementi essenziali rende ancor più problematica l’operazione di qualificazione per l’interprete, come evidenzia la questione, ancora altamente problematica, della natura dell’omesso adempimento dell’obbligazione nella fattispecie di insolvenza fraudolenta98. A fronte di una disposizione a prima vista scarsamente offensiva,

parziale dell’art. 5 c.p., in Leg. pen., 1988, p. 449; G. VASSALLI, L’inevitabilità dell’errore come causa generale di esclusione della colpevolezza, in Giur. Cost., 1988, p. 3 ss.

98 Affermare che alle condizioni obiettive di punibilità non risulta applicabile la disciplina dell’errore

importa la necessità di distinguere con precisione il confine rispetto agli elementi essenziali, soggetti alla disciplina dell’art. 47 c.p. Richiamando la fattispecie di cui all’art. 641 c.p., insolvenza fraudolenta, particolarmente controversa risulta la qualificazione del mancato adempimento dell’obbligazione contratta, talvolta qualificata come evento del reato, talaltra come condizione di

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costruita sul proposito dell’agente e sul suo atteggiamento dissimulatorio, che indurrebbe a costruire l’inadempimento come evento del reato, occorre evidenziare una possibile ricostruzione alternativa. Se, come si è più volte evidenziato, la peculiarità dell’evento del reato risiede nella necessaria presenza del nesso eziologico e psichico rispetto alla condotta antecedente, l’inadempimento richiesto dall’art. 641 c.c. potrebbe non soggiacere a questa regola, potendo ben risultare imputabile ad un terzo, previa violazione di un accordo di delegazione o sulla scorta di una modifica dal lato passivo dell’obbligazione, o, di contro, ben possibile è che l’adempimento provenga da un terzo, ex art 1181 c.c., ovvero che l’agente possa errare sulle caratteristiche satisfattive o meno dell’adempimento. Sul punto si avrà modo di riflettere in modo più approfondito nel prosieguo.

In tale sede, riprendendo i fili della trattazione, occorre ribadire l’impossibilità di estendere la disciplina dell’errore, tanto dell’errore essenziale di cui all’art. 47 c.p., quanto dell’ipotesi di cui all’art. 59 c.p. relativo alle cause di non punibilità, in considerazione della peculiare struttura delle condizioni di punibilità e della ratio che governa l’istituto. Da qui la difficoltà di ritenere le condizioni di punibilità partecipi del disvalore del reato e la necessità di rinvenire solidi criteri per distinguere le stesse rispetto agli essentialia delicti.

punibilità. La difficoltà qualificatoria risiede nella particolare struttura della fattispecie, il cui nucleo consiste nello stipulare un’obbligazione dissimulando il proprio stato d’insolvenza e nella presenza di un dolo specifico, il fine di non adempiere: la carente offensività della fattispecie, interamente costruita su un contegno dell’agente non spiccatamente offensivo e sul semplice proposito di non adempiere al vincolo giuridico stipulato sembrerebbe rendere indispensabile la costruzione in termini di evento del reato. Tuttavia, paradossalmente, ad opporsi ad una simile ricostruzione interverrebbero le regole che governano l’imputazione eziologica dell’evento: rispetto al mancato adempimento dell’obbligazione il legame psichico dell’agente risulta solo eventuale e non invece necessario, come impone l’art. 42 c.p. Invero, potrebbe darsi il caso che ad adempiere intervenga un terzo soggetto, ex art. 1181 c.c., ovvero che l’inadempimento risulta attribuibile ad un terzo sulla scorta di un rapporto di delegazione non rispettato ovvero altra forma di sostituzione del titolare passivo del rapporto obbligatorio. A ciò si aggiungono le conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza circa l’irrilevanza penale delle forme di inadempimento non preordinato ovvero sopravvenuto nonché la previsione dell’ultimo comma dell’art. 641 c.p., a norma del quale il pagamento dell’obbligazione contratta estingue il reato laddove avvenga prima della sentenza definitiva di condanna. Così Cass., sent. 03 febbraio 2017 n. 8893 e Cass., sent. 17.02.2015 n. 6847.

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In definitiva, l’inestensibilità alle c.o.p. della disciplina dell’errore risulterebbe conseguenza della loro non essenzialità, della loro inidoneità ad incidere sul disvalore penale del fatto, nonché della loro estraneità rispetto «al comportamento socialmente dannoso o alla sua rimproverabilità»99.

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