4. Evento condizionale ed evento del reato: il problema del nesso di causalità.
4.1. Segue: il problema del nesso causale
In ordine al complesso tema del rapporto tra reato condizionale e nesso di causalità si rinvengono tre correnti dottrinali, distinte tra chi sostiene che l’avvenimento condizionale “debba” sempre essere causato materialmente dalla condotta del colpevole, e non per questo necessariamente causato dalla sua volontà, chi invece ritiene che l’evento “possa” ma non debba essere legato da causalità materiale all’azione e chi in ultimo afferma che nessun legame causale debba intercorrere tra azione e condizione di punibilità. Per comodità espositiva si procederà ad una trattazione unitaria dei primi due orientamenti.
Passando in rassegna il primo orientamento, esso risulta particolarmente variegato al proprio interno, dovendosi distinguere la posizione di chi ritiene la presenza del nesso di causalità necessaria a fronte di chi ritenga il legame eziologico una mera possibilità. Ad essere più precisi, sostengono la prima soluzione quanti individuano nelle condizioni obiettive di punibilità non un mero elemento accidentale, bensì una componente essenziale di una struttura più ampia ed unitaria, quale il reato condizionato. Eppure, aderendo a tale tesi, risulta arduo riuscire a spiegare tutti i casi in cui l’evento condizionale sia riconducibile alla condotta di un terzo soggetto, come nel caso della declaratoria di fallimento nei reati di bancarotta ovvero del pubblico scandalo nel delitto di incesto; ed inoltre, la necessità di un nesso di derivazione eziologica, oltre a non essere esplicitamente richiesto dall’art. 44 c.p., rischierebbe di creare una netta sovrapposizione tra gli elementi essenziali, risultando difficile individuare il requisito specializzante delle c.o.p. e la ragione pratica che sta a fondamento del predetto istituto.
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Le obiezioni cui si è appena fatto riferimento hanno giustificato l’emersione di un secondo sotto-orientamento affermato da quanti evidenziano che in taluni casi l’esistenza di un legame causale tra condotta ed evento condizionale venga richiesta dallo stesso legislatore, come dimostra la struttura di alcune disposizioni normative sottoposte a condizione di punibilità. Da notare che tale tesi in dottrina risulti sostenuta tanto dai teorici della costruzione unitaria della fattispecie condizionale, quanto dai teorici della condizione come filtri della punibilità: per i primi l’eventuale assenza del nesso può essere supplita da forme di causalità c.d. indiretta, mentre i secondi fanno leva sulla sostanziale indifferenza mostrata dall’art. 44 c.p. al nesso di causalità. Ed in effetti, l’ampia formulazione della disposizione in tema di condizione di punibilità lascia spazio alla costruzione degli eventi condizionali: il creare o meno un nesso di derivazione causale tra condotta e l’evento condizionale rappresenta una scelta unicamente del legislatore, come tale sindacabile entro limitati margini71. La diversità di orientamenti, cui si lega un differente inquadramento generale dell’istituto condizionale, sebbene labile in
71 Frequenti riflessioni ed approfondimenti vengono riservati dalla dottrina al fondamento ed ai limiti
dell’incriminazione, tuttavia altrettanto rilevante risulta il dibattito sulla ragion d’essere e sui criteri che devono ispirare il legislatore nel creare cause lato sensu di non punibilità. Sebbene la questione sembra molto distante dal tema oggetto della presente trattazione, come si vedrà in seguito, il meccanismo di operatività delle condizioni obiettive di punibilità non si allontana dal funzionamento delle cause di non punibilità, sebbene operino in modo speculare: mentre in presenza delle cause di non punibilità risulta paralizzata l’irrogazione della sanzione, al contrario, l’avveramento della condizione attualizza l’esigenza di pena. Sul tema si veda il contributo significativo di D. PULITANÒ, La “non punibilità” di fronte alla Corte costituzionale, in Foro it. 1983, parte I, p. 1806. La riflessione del citato A. risulta sollecitata dalla sentenza della Corte costituzionale, sent. del 3.06.1983 n. 148, in Foro it., 1983, p. 1797. La Corte, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 3 gennaio 1981, n. 1, causa di non punibilità per le opinioni espresse dai componenti del CSM nell'esercizio delle funzioni e concernenti l'oggetto della discussione afferma che le cause di non punibilità «abbisognano di un puntuale fondamento (…) il legislatore ordinario può bene operare al di là delle ipotesi espressamente previste dalle fonti sopraordinate, purché le scriminanti così stabilite siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco». Più di recente, G. DE FRANCESCO, Punibilità cit., p. 25 ss. Sul medesimo tema, G. COCCO, Punibilità e pene, in Trattato breve di diritto penale. Parte generale - Vol. II (a cura di G. Cocco – E. M. Ambrosetti), Pavia, 2015, p. 111 ss.; C. PATERNITI, Contributo allo studio della punibilità, Torino, 2008; S. CORBETTA, voce Cause di non punibilità, in Enc. giur., III, Milano, 2008; G. D. PISAPIA, Fondamento e limiti delle cause di esclusione della pena, in Riv. it. dir. pen., 1952, p. 24.
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apparenza, finisce per acquistare senso e significato laddove si consideri che solo la seconda ricostruzione consentirebbe di ravvisare nel nesso di causalità il criterio distintivo rispetto agli essentialia delicti: ammettendo come eventuale il nesso eziologico, le condizioni obiettive si differenzierebbero nettamente dagli elementi essenziali in cui il legame causale, ex art. 40 ss., risulta necessario. Per quanto tale ultima tesi, fondata sulla distinzione tra necessarietà ed eventualità del nesso, tenda a mantenere ben salda la distinzione tra i due gruppi di elementi, essa presenta una scarsa potenzialità euristica, costringendo l’interprete ad un’ulteriore ricerca di tratti differenziali. Da qui il ricorso ad ulteriori criteri distintivi per cui, stando ad alcuni Autori, si avrebbe condizione di punibilità allorché operando mentalmente l’eliminazione di essa il fatto conservi la sua offensività ed in ogni caso laddove tale avvenimento non fosse riconducibile alla volontà del reo72. Tuttavia evidenti risultano i limiti che incontra una simile ricostruzione, specie laddove si considera che i criteri discretivi da ultimo individuati, quello dell’eliminazione mentale e dell’assenza di dominio psicologico della c.o.p., si rivelano insufficienti dal momento che non offrono una prova certa della natura condizionale dell’evento. Come fatto osservare da illustre dottrina il criterio dell’eliminazione mentale, fondandosi su un giudizio di “persistenza” dell’offensività dell’illecito, rischia di tramutare in elementi essenziali tutti i casi dubbi di elemento condizionale. Inoltre, quanto al secondo elemento, si è già evidenziato che si risponde dell’avvenimento condizionante «anche se non voluto», al pari di quanto avviene per le ipotesi di responsabilità oggettiva in relazione agli elementi costitutivi del reato73. Passando
72 Le obiezioni qui riportate sono rivolte principalmente al pensiero di O. VANNINI, Lineamenti di
diritto penale, Firenze, 1932, p. 55 ss.
73 La principale criticità nella formulazione dell’art. 44 c.p. viene ravvisata nel regime oggettivo,
che incoraggia l’assimilazione del fenomeno condizionale all’ipotesi di responsabilità oggettiva, prevista dalla lettera dell’art. 42 comma terzo ed ormai incompatibile con il canone della responsabilità colpevole. Data l’equivocità della formula di cui all’art. 44 c.p., dal momento che la
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ad illustrare il secondo orientamento, esso tende ad individuare nell’esclusione del rapporto di causalità materiale necessaria tra evento condizione e condotta il criterio fondante l’art. 44 c.p., seppure sulla base di argomentazioni molteplici e diverse. Stando ad una prima ricostruzione, l’assenza del suddetto legame di causalità, tanto psichico quanto materiale, si evincerebbe direttamente dall’art. 44 c.p. in base a diversi ordini di ragioni74. Anzitutto per l’inscindibilità tra nesso psicologico e nesso di causalità materiale, posto che, secondo l’opinione comune, si può volere solo ciò che si può produrre ed inoltre per quel principio di conservazione immanente al sistema normativo che impone di differenziare le ipotesi condizionali da quelle di responsabilità oggettiva. Non potendosi rinvenire nel regime di elementi essenziali, la necessità di differenziare le due categorie rende indispensabile costruire solo i secondi e non le prime sul rapporto di causalità necessario. Nonostante le autorevoli obiezioni ad essa rivolte, la tesi suesposta si è affermata come prevalente, corroborata dall’apporto di altri rilievi di carattere sistematico75. La principale argomentazione altro non è che un’estrinsecazione del canone dell’ubi voluit dixit, per cui, si osserva, laddove il legislatore abbia voluto predicare la necessità del nesso causale tra condotta ed evento, lo ha fatto con una specifica norma, come nel comma 3 dell’art. 42 c.p.; al contrario dovrebbe
regola dell’attribuzione obiettiva pare assimilare e non differenziare le condizioni di punibilità da altri elementi di fattispecie, occorre cercare altrove l’elemento differenziale dell’istituto di cui all’art. 44 c.p.. Da qui, l’orientamento che ravvisa nell’assenza del nesso di causalità tra condotta ed evento condizionale il criterio discretivo. Malgrado l’utilità di simile soluzione, essa non pare dirimente, stante il carattere eterogeneo delle fattispecie condizionali; più di recente, si è diffusa la tesi per cui l’elemento differenziale tra i predetti elementi vada ravvisato non nel criterio ovvero nel nesso di causalità, quanto nella funzione e nel rapporto rispetto all’offensività della fattispecie.
74 Si vedano sul punto le posizioni di F. BRICOLA, op. cit., p. 598 e P. CURATOLA, op. cit., p.
810 ss.
75 F. ANGIONI, Condizioni di punibilità e principio di colpevolezza, p. 1458. In virtù del principio
dell’ubi dixit voluit, l’art. 44 c.p. dovrebbe leggersi come una precisa e consapevole volontà del legislatore di derogare, con riguardo alle c.o.p., al principio d’imputazione dolosa necessario per gli elementi del reato e di mantenere invariata la regola del rapporto di causalità, che dunque dovrebbe richiedersi anche in relazione all’evento condizionale.
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escludersi che, in mancanza di un’espressa previsione, il vincolo di derivazione causale possa essere richiesto e debba essere accertato in altri casi, tra cui l’art. 44 c.p. In effetti, stante la diversità, anche di collocazione normativa, tra l’evento condizionale di cui all’art. 44 c.p. e l’evento costitutivo imputato obiettivamente dall’art. 42 comma 3 c.p., la necessità di un regime causale tra la condotta e le condizioni obiettive di punibilità andrebbe affermata da un’apposita previsione che richieda il medesimo collegamento causale, data la tassatività delle disposizioni di cui agli artt. 40 e 41 c.p.
La prospettiva teorica cui si è pervenuto, pur risultando ragionevole nelle premesse ed animata da rilevanti esigenze pratiche, come è stato rilevato, si presta ad una doppia critica quanto al primo degli argomenti esposti. Anzitutto, stabilendo l’irrilevanza che la condizione sia o meno voluta dal colpevole, lo stesso art. 44 c.p., implicitamente, ammetterebbe la possibilità di un legame eziologico tra condotta ed evento condizionale. Inoltre, ampiamente superata appare detta simmetria tra nesso psicologico e materiale: se, vero è che si può volere solo ciò che si può causare, non vale il principio inverso per cui si deve volere ciò che si causa. A tale appunto occorre aggiungere un ulteriore rilievo, di natura testuale, rappresentato da tutte quelle disposizioni condizionali in cui la condizione appare legata alla condotta da un nesso di causalità immediato o c.d. mediato. Richiamando a titolo esemplificativo le fattispecie di insolvenza fraudolenta, ex art. 641 c.p., ovvero del nocumento nel caso di illecito trattamento dei dati, ex art. 167 del d.lgs 196/2003 c.p., i rispettivi eventi tipizzati e ritenuti comunemente condizioni obiettive di punibilità, consistenti nel mancato adempimento dell’obbligazione contratta e dell’inosservanza del provvedimento, risultano eziologicamente legati alla condotta. Negando in radice la possibilità di una connessione causale tra c.o.p. e
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condotta si semplificherebbe sicuramente l’opera degli interpreti, ma ne discenderebbe una progressiva interpretazione abrogatrice delle condizioni di punibilità: in presenza di un pur labile nesso di causalità, nel caso di incertezza sulla natura di un elemento, si adotterebbe una lettura in chiave di elementi essenziali in luogo di condizioni di punibilità76. Senza poi considerare che, un recente orientamento dottrinale sta fornendo nuova linfa all’istituto condizionale auspicandone un’applicazione in relazione ai c.d. illeciti di rischio, dotati di talune peculiarità: sul versante soggettivo essi si rivolgono ad un novero indeterminato di soggetti (c.d. vittimizzazione di massa), mentre sul versante oggettivo, a fronte dell’ampio scarto di tempo che intercorre tra la condotta genericamente incauta e l’evento dannoso, in genere identificato con l’insorgere di patologie nella vittima (c.d. lungolatenza delle patologie), ed il carattere multifattoriale dei pregiudizi, si registra un ampliamento delle difficoltà nell’accertamento causale, che diventa più labile, potendosi, di fatto, prescindere da una verifica per ogni soggetto coinvolto,
76 Il nocumento richiesto dall’art. 167 del d. lgs. 196/2003, illecito trattamento dei dati, presenta una
natura controversa dal momento che si dibatte se esso consista in un elemento essenziale ovvero condizione obiettiva di punibilità, come evidenziano le molteplici pronunce a favore dell’una o dell’altra ricostruzione. V. Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 6 ottobre 2015, n. 40103, la quale riconosce al nocumento il ruolo di evento del reato, attribuibile all’agente solo se voluto e preveduto; di opinione contraria, Corte Cass., ord. del 16.07.2013 n. 7504 e Corte Cass., sent. del 17.02.2011 n. 17215. Stessa incertezza si registra sulla qualificazione del mancato adempimento dell’obbligazione nel delitto di insolvenza fraudolenta: da un lato evento di un illecito misto di azione ed omissione, dall’altro una condizione obiettiva di punibilità. A complicare il lavoro dell’interprete interviene la particolare formulazione dei citati articoli, che pare incoraggiare la presenza di un nesso di causalità tra condotta ed evento: quel nesso che, in accordo a parte della dottrina, risulterebbe di necessità assente nel caso delle condizioni obiettive di punibilità. Delle due l’una: ammettere la presenza del nesso di causalità, riconoscendo la natura di elemento essenziale ai suddetti eventi ovvero riconoscere la qualifica di condizione di punibilità, prescindendo dal nesso per cercare altrove il discrimine tra quest’ultimo ed il primo. V. P. VENEZIANI, Spunti per una teoria cit., p. 30 ss. Per un approfondimento sulle predette fattispecie E. ANTONINI, Il trattamento illecito dei dati nel codice della privacy: i nuovi confini della tutela penale, in Dir. pen. proc., 2005, p. 338; S. SEMINARA, La responsabilità penale degli operatori su internet, in Dir. inform., 1998, p. 645 ss.; A. MANNA, Il quadro sanzionatorio penale ed amministrativo del Codice sul trattamento dei dati personale, in Dir. infor. 2003, p. 729. Quanto alla fattispecie di insolvenza fraudolenta, A. CARMONA, I reati contro il patrimonio, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, 2016, Torino, p. 54 ss.; L. FERLA, Truffa e altre frodi, in Diritto penale: Parte speciale. Volume II. Tutela penale del patrimonio (a cura di D. Pulitanò), 2013, Torino, 123 ss.; L. della RAGIONE, Insolvenza fraudolenta, in I reati contro il patrimonio (a cura di S. Fiore), 2010, Torino, p. 546 ss.
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privilegiando le risultanze delle evidenze epidemiologiche77.Tale affievolimento dell’indagine probatoria finisce per allontanare l’evento di questa categoria di reati, tra cui quelli a tutela dell’incolumità collettiva del VI titolo, dal classico paradigma degli elementi essenziali, per avvicinarlo a quello della condizione obiettiva di punibilità, come notato da attenta dottrina78. Di contro, non manca chi guarda con una certa preoccupazione a tale scelta, ravvisando nell’istituto condizionale un discessus dalle rigide regole della causalità e dall’imputazione dolosa. Ancora una volta si contendono il campo due ricostruzioni antitetiche, rispettivamente volte ad allontanare o avvicinare le condizioni obiettive di punibilità dalla disciplina degli elementi essenziali, al fine di tracciarne una nitida linea di demarcazione evidenziandone le peculiarità. Occorre quindi tentare di risolvere tale impasse cercando solidi appigli argomentativi nelle disposizioni del codice e nel confronto tra le stesse.