• Non ci sono risultati.

Il criterio assiologico-sostanziale

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 85-98)

CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO

3. I criteri diagnostici delle c.o.p.: il criterio letterale

3.2. Il criterio assiologico-sostanziale

Nelle pagine precedenti, si è più volte qualificato il reato come “fatto offensivo”, dotato di una carica di disvalore tanto profonda quanto più incidente sull’assetto di valori condivisi dalla collettività. Ciò spiega perché sul rispetto del principio di

115 I dubbi interpretativi crescono laddove l’espressione “se dal fatto deriva” venga impiegata più

volte i un medesimo contesto normativo, come dimostra l’art. 571 c.p.. In quest’ultima disposizione, accanto alla previsione contenuta nel primo comma «se dal fatto deriva pericolo di una malattia nel corpo», il secondo comma ricorre alla medesima espressione ipotetica per introdurre due altri eventi, rispettivamente la lesione personale e la morte del soggetto passivo. Se sufficiente aderire al solo criterio formale, se ne dovrebbe desumere l’assimilazione delle ipotesi summenzionate, qualificandole tutte come condizioni di punibilità o come forme aggravate di reato dal momento che il pericolo della malattia nel corpo, la lesione personale e la morte si prestano parimenti ad integrare altrettanti eventi del reato, eziologicamente legati alla condotta.

83

offensività si fondi la costruzione della norma penale, facendo sì che il bene giuridico rappresenti lo strumento più affidabile nell’interpretazione e nell’applicazione, oltreché nella costruzione, delle fattispecie penale.

Individuato il bene oggetto di tutela all’interno della singola fattispecie, la corretta applicazione del criterio assiologico porterà a ritenere “significativo” quell’elemento che accentri su di sé l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, qualificando come condizione di punibilità gli eventi appartenenti ad un piano di interessi tendenzialmente “esterno” al reato116. Il criterio che valorizza la carica

offensiva del singolo elemento consentirebbe di delimitare doppiamente l’ambito di operatività delle condizioni di punibilità, differenziandole sia dagli elementi stricto sensu costitutivi, sia dai reati aggravati dall’evento, e incoraggerebbe a predicare la correttezza del regime oggettivo di funzionamento previsto dall’art. 44 c.p., non integrando le stesse ipotesi di responsabilità oggettiva117.

Tornando all’esempio dell’art. 571 c.p., rilevata l’insufficienza del criterio formale - strutturale, occorre volgersi al criterio assiologico per cogliere l’effettiva funzione

116 Realmente esterne rispetto al piano di disvalore del reato si mostreranno le condizioni c.d.

estrinseche; diversamente occorrerà verificare quale spazio residui per le condizioni intrinseche nell’attuale assetto normativo dal momento che, in accordo alla comune ricostruzione, le condizioni intrinseche partecipano al disvalore della fattispecie appuntando o approfondendo l’offesa. Si è già anticipata un possibile soluzione alternativa, che prevede la sottrazione delle condizioni intrinseche dall’area di operatività dell’art. 44 c.p. per ricondurle alla categoria delle condizioni di esistenza del reato con conseguente applicazione del regime degli elementi essenziali. Detta ricostruzione verrà illustrata ampiamente nel successivo capitolo.

117 La dottrina in modo pressoché unanime riconosce la bontà ma al tempo stesso l’insufficienza del

solo criterio letterale per discernere gli elementi essenziali dalle condizioni si punibilità. In tal senso si veda il contributo fornito da F. MANTOVANI, op. cit., p. 794 ss.. Secondo detto A. «va abbandonato il criterio letterale- formale e va accolto il criterio sostanziale-funzionale, [che] riabilita le condizioni di punibilità alla luce del principio di necessarietà della pena. […] Debbono considerarsi condizioni di punibilità innanzitutto gli accadimenti estranei alla sfera dell’offesa del reato». Nella stessa direzione opera il criterio definito “normoteoretico” che qualifica come essentialia delicti i fattori strutturati come materia del divieto. Cfr., per tutti, S. CANESTRARI, L. CORNACCHIA, G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Bologna, 2007, p. 266 ss. Come si accennava, il criterio suddetto permette di far chiarezza non soltanto riguardo alla distinzione tra elementi essenziali e condizioni di punibilità ma anche relativamente alle ipotesi in cui risulta incerto il confine tra condizione di punibilità e reati aggravati da evento, che integrano ipotesi di responsabilità oggettiva, più precisamente di versari in re illicita.

84

svolta dal «pericolo di una malattia nel corpo e nella mente» ed evidenziare le differenze rispetto agli eventi descritti nel secondo comma del medesimo articolo, anch’essi introdotti dalla formula “se dal fatto”. Un primo ausilio per comprendere la dimensione sostanziale della disposizione citata si coglie nella rubrica dell’art. 571 c.p., che esplicita quale sia il bene oggetto di tutela della norma, seppur ricorrendo ad una categoria ampia, e probabilmente non adeguata, quale l’assistenza familiare118. Sicuramente, la genericità del bene non aiuta a chiarire se

la carica offensiva del reato si concentri nella condotta di abuso della potestà, posta in essere dal soggetto attivo, tanto da risultare di per sé meritevole di sanzione ovvero se la stessa lo diventi con l’insorgenza del pericolo di lesione nei confronti del soggetto passivo119.

Tentando un approccio critico a tale norma, essa rappresenta il contemperamento di diverse e variegate esigenze: quella di garantire la libera esplicazione al diritto di educare ed esercitare lo ius corrigendi da parte dei legittimi titolari ed al tempo stesso l’inaccettabilità di condotte distorsive e abnormi rispetto al fine per cui sono

118 Particolare importanza, ai fini dell’individuazione del bene giuridico da tutelate, è

l’inquadramento sistematico delle norme in esame; nel caso di specie, il legislatore ha previsto la collocazione della fattispecie appena citata nel capo dedicato ai «delitti contro l’assistenza della famiglia», lasciando così intendere come il bene giuridico tutelato dalle norme in questione non debba necessariamente avere consistenza “materiale-fisica”, potendo ben consistere in una lesione dell’integrità psichica e dell’equilibrato sviluppo del soggetto passivo. Si può rilevare infatti che il disvalore della condotta sia già contenuto nel concetto di «abuso dei mezzi di correzione», potendo invece il pericolo di malattia identificarsi come condizione obiettiva di punibilità e non come elemento essenziale. Dello stesso avviso R. ZANOTTI, I reati contro la persona nei rapporti familiari, economici, ambientali, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto, 2016 p. 265; M. ROMANO, op. cit., p. 479; F. MANTOVANI, op. cit., 795; T. PADOVANI, op. cit., p. 355. Contra, F. ANTOLISEI, op. cit., p. 760.

119 In relazione all’art. 571 c.p., più che nelle altre disposizioni di parte speciale, si avverte la

necessità di interpretare la norma tenendo conto delle imprescindibili istanze di tutela del minore derivanti dal diritto internazionale; come si legge nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino del 1989, «al bambino [si riconosce] il diritto al pieno ed armonico sviluppo della personalità, ad essere allevato, istruito e curato nello spirito di pace, dignità e tolleranza». A ciò si aggiungono le considerazioni di ordine strutturale che impongono di interpretare le diverse disposizioni, conferendo loro una portata differente e non sovrapponibile. Se evento del primo comma è rappresentato dal mero pericolo di insorgenza della malattia, l’effettiva derivazione della patologia nel minore consente di ritenere integrata l’ipotesi disciplinata dal secondo comma, che prevede, evidentemente, un incremento di pena rispetto alla prima disposizione.

85

previste, tanto da diventare illecite e dunque meritevoli di essere sanzionate dall’ordinamento. Da un lato l’istanza che potrebbe definirsi “intranea” alla famiglia e alla società stessa, che ha interesse a recepire cittadini ben formati, dall’altro l’irrinunciabile interesse superindividuale a tutelare l’incolumità psico- fisica degli individui, soprattutto nella fase dello sviluppo120. Da qui la decisione di apprestare una tutela composita nei confronti della famiglia che, partendo dall’abuso di mezzi di correzione ex art. 571 c.p. giunge a sanzionare le condotte di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. La compresenza delle due disposizioni, sebbene generi delle incertezze sui relativi ambiti applicativi, può rappresentare un valido aiuto nella individuazione dei rispettivi beni tutelati dalle stesse, a fronte della genericità adottata dal legislatore.

Affermare la centralità del pericolo della malattia nella fattispecie di abuso di mezzi di correzione, qualificandolo in termini di evento del reato o semplicemente affermandone il carattere costitutivo, implicherebbe la sovrapposizione dell’art. 571 c.p. all’ambito di applicazione dell’art. 572 c.p., che sanzionando i maltrattamenti sui determinati soggetti (familiare ovvero persone sottoposta ad autorità o affidamento) ne tutela l’integrità fisica e psichica. Diversamente, date la qualità dei soggetti passivi e le specifiche ragioni di correzione e disciplina sottese,

120 Interessante risulta la posizione espressa da G. P. DEMURO, Ultima ratio: alla ricerca di limiti

all'espansione del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, pag. 1654. L’A. offre una ricostruzione della meritevolezza e del bisogno di pena come autonomi postulati del diritto penale, dotati di autonomo contenuto di disvalore etico-sociale, identificabile nell'ancoramento dell’illecito al piano dell'etica sociale. Nella fattispecie di cui all’art. 571 c.p., «il pericolo di malattia rende compiutamente meritevole di pena (agli occhi del legislatore) l'abuso dei mezzi di correzione, nel quale abuso si concentrerebbe il fatto moralmente e socialmente biasimevole». Per un approfondimento sul complesso sistema dei reati contro la famiglia, v. A. SPENA, Reati contro la famiglia, in Trattato di diritto penale (C. F. Grosso – T. Padovani – A. Pagliaro a cura), Milano, 2012; F. G. CATULLO, Diritto penale della famiglia, Padova, 2012; R. BARTOLI, Modelli di tutela penale contro la violazione degli obblighi familiari, in Pol. dir., 2008, p. 481; M. BERTOLINO, La famiglia, le famiglie: nuovi orizzonti della tutela penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 572 ss.; G. PISAPIA voce Famiglia (dir. pen.), in Nov. Dig. it., App., 1982, p. 640, G. PECORELLA, voce Famiglia (delitti contro la), in Enc. dir., Milano, 1967, p. 790 ss.; F. COPPI, Maltrattamenti in famiglia, Perugia, 1979.

86

nel reato di abuso di mezzi di correzione probabilmente viene in rilievo una dimensione defisicizzata, quale il sereno ed equilibrato sviluppo del fanciullo o comunque del soggetto affidato. Ne consegue che il disvalore potrebbe dirsi concentrato proprio nell’utilizzo distorto della potestà correttiva di cui si possiede la titolarità, ma che è suscettibile di trovare il limite del dovere punitivo dello Stato, laddove travalichi le soglie del normale e fisiologico uso per trasformarsi in abuso, che nella disposizione in esame si manifesta ed esteriorizza nel pericolo della malattia121. Quest’ultimo sembra atteggiarsi a soglia di rilevanza esterna di

condotte, pensate, realizzate e subite all’interno di contesti, quello familiare ovvero lavorativo, solitamente deputati alla protezione e alla crescita della persona. Pertanto, nell’art. 571 c.p. la previsione di una condizione di punibilità sembra incorporare, meglio che in qualunque altra disposizione, quell’esigenza di equilibrio e contemperamento tra piani diversi di interesse sopra evidenziati: quello interno dei rapporti familiari alla corretta formazione e quello sopraindividuale della piena tutela della persona nelle dinamiche relazionali.

L’adozione di tale prospettiva, senza pretesa di esaustività del ragionamento, potrebbe risultare utile a ricostruire l’esatta portata e funzione che la condizione di punibilità di cui all’art. 44 c.p. sarebbe chiamata a svolgere nella fattispecie penale: in linea con quanto avviene nel diritto privato, essa potrebbe utilmente rappresentare un veicolo di “sopravvenienze” e dunque di elementi “esterni” che,

121 Nell’attuale assetto penale si rinvengono molteplici disposizioni costruite sul paradigma

dell’abuso, dal reato di abuso d’ufficio, all’esercizio abusivo professione sino al composito sistema degli abusi di mercato contenuti nel testo unico della finanza. In relazione all’ipotesi di cui all’art. 571 c.p. la previsione del pericolo della malattia non sembra conferire offensività alla condotta, già di per sé rilevante, quanto piuttosto sembra introdurre un limite, una soglia oltre la quale la condotta del soggetto attivo sicuramente si configura come abusiva e meritevole di sanzione. Di recente la giurisprudenza si è espressa sull’art. 571 c.p. affermando che «i concetti di uso e di abuso acquistano una rilevanza giuridica definita se raccordati al diritto soggettivo (o alla potestà) cui si riferiscono, e non già se riportati agli strumenti (mezzi) con cui il diritto o la potestà vengono esercitati»: così Cass., sent. 2 febbraio 2016, n. 4170.

87

senza incidere sulla valutazione di rilevanza della condotta fatta precedentemente dall’ordinamento, intervengono in un momento successivo alla qualificazione condizionando la produzione degli effetti giuridici122. Del resto, nella costruzione

tipica della norma, l’effetto coincide con l’irrogazione della sanzione, che è cosa ben diversa dalla sua astratta previsione.

A supporto della conclusione appena rassegnata, parte della dottrina ha fatto applicazione di una variante della teoria dell’eliminazione mentale, tipica dell’accertamento causale, per effettuare l’indagine sulla consistenza assiologica delle singole fattispecie apparentemente condizionate. Facendo applicazione di detta tecnica, si sarebbe in presenza di una condizione di punibilità, se anche in mancanza di quello specifico elemento, la fattispecie conserverebbe integralmente il proprio disvalore; diversamente si dovrebbe concludere a favore della presenza di un elemento essenziale.

Il criterio teleologico così esposto presenta l’ulteriore pregio di individuare un parametro di differenziazione anche rispetto ai reati aggravati dall’evento, come sopra anticipato.

Ed in effetti, a leggere il comma secondo dell’articolo in esame si evidenzia la presenza di altri eventi che, al pari del “pericolo di una malattia”, vengono introdotti dall’espressione «se dal fatto», ma che a differenza delle condizioni obiettive di

122 Riprendendo un’espressione impiegata in relazione alla materia della frode fiscale, ma

particolarmente efficace, le condizioni obiettive di punibilità potrebbero rappresentare “la misura rilevante” dell’offesa, atta a tracciare il discrimine tra la tollerabilità o meno di una condotta che comunque presenta una indubbia carica di disvalore. Tale configurazione in termini di limite qualitativo potrebbe agevolare la riconduzione alla categoria delle condizioni di punibilità anche delle c.d. soglie di punibilità, istituto ampiamente impiegato dal legislatore e divenuto il centro di un fitto ed articolato dibattito interpretativo. Sul punto si veda G. NEPPI MODONA, op. cit., p. 7; l’A. rileva che «si può ritenere trovarsi di fronte ad un elemento condizionale, [se si] verifica che l’elemento esprima affettivamente un piano d’interessi diverso, o semplicemente esterno rispetto all’offesa contenuto del reato; che la supposta condizione corrisponda effettivamente a ragioni di opportunità e convenienza che consigliano di subordinare la punibilità al verificarsi di eventi esterni al reato». Al fenomeno delle soglie di punibilità si dedicherà un’ampia analisi nel capitolo quarto, cui si rinvia.

88

punibilità non possono imputarsi obiettivamente all’agente perché incidenti sul disvalore dell’illecito, comportando un incremento della sanzione rispetto al reato base. Non potendo fare completo affidamento sul dato formale, stante l’identità della formula introduttiva, il piano su cui tali reati aggravati si distinguono dalle condizioni di punibilità va ravvisato in quello degli effetti, comportando un aumento di pena rispetto al reato base.

Non sorprende in tal senso che nella Relazione ministeriale sulle proposte di riforma al codice penale, si qualifichino tali eventi come «significativi rispetto alla pena»123. Pertanto non sembra azzardato, almeno con riguardo all’art. 571 c.p., configurare il «pericolo di malattia» di cui al primo comma come condizione di punibilità e ritenere che le previsioni contenute nel secondo comma integrino altrettante ipotesi di delitti aggravati dall’evento124.

Ragionando nei predetti termini, l’analisi appena condotta consentirebbe di acquisire un’altra indicazione utile a chiarire il fenomeno delle c.o.p. e precisamente la loro funzione: posto che le circostanze aggravanti vengono annoverate tra gli elementi significativi in vista della loro incidenza sulla dosimetria

123 La diversa funzione svolta dagli elementi aggravanti l’illecito rispetto alle condizioni di punibilità

presenta rilevanti ripercussioni sul relativo regime di responsabilità: i reati aggravati dall’evento, per comune definizione, rappresentano ipotesi di responsabilità oggettiva, venendo tali eventi imputati all’agente a prescindere da qualunque implicazione di tipo soggettivo, sulla scorta della sola causalità materiale. Nel caso delle condizioni di punibilità, almeno in accordo alla ricostruzione proposta nel presente elaborato, non avrebbe senso parlare di regime di imputazione e soprattutto di responsabilità obiettiva, dal momento che esse esauriscono la loro funzione in una dimensione esterna al reato. Da qui l’esigenza di differenziare l’imputazione obiettiva dal regime della responsabilità obiettiva. Afferma parte della dottrina che «nei reati aggravati da evento, l’evento aggravante obbedisce alla regola dell’imputazione obiettiva, ed in questo senso criterio di attribuzione e forma di responsabilità in un certo senso coincidono. Ma nei reati sottoposti a condizione, l’imputazione obiettiva è l’unica forma di attribuzione logicamente ammissibile di un evento che è al di fuori di qualsiasi nesso psicologico con l’agente. Non c’è relazione biunivoca tra modo d’imputazione obiettiva e responsabilità oggettiva, giacché il primo opera anche fuori del terreno specifico della seconda»: così M. ZANOTTI, op. cit., p. 545

124 In questo senso P. PITTARO, Il delitto di abuso di mezzi di correzione e disciplina, in Stud. Iur.,

1998, p. 1238 ss.; R. ZANOTTI, Reati contro la famiglia cit. p. 266 ss., G. MARINUCCI- E. DOLCINI, Manuale, cit., p. 493.

89

sanzionatoria, per ottenerne una individualizzazione della risposta sanzionatoria125, le condizioni di punibilità, in conformità al dettato dell’art. 44 c.p., non implicano alcuna valutazione sulla condotta o sull’evento; esse, fungendo da cassa di risonanza di fattori sopravvenienti, risultano invece idonee a paralizzare l’an della pena126.

Cercando di verificare quanto detto, si può tentare l’analisi di un’ulteriore fattispecie di reato di “dubbia interpretazione”, vale a dire l’art. 564 c.p. che sanziona la fattispecie delittuosa dell’incesto127. Le aporie ermeneutiche, di dottrina

e giurisprudenza, riguardano l’esatta natura del pubblico scandalo richiesto dalla

125 Cfr. A. MELCHIONDA, Le circostanze del reato, cit., p. 660. A dimostrazione della

significatività delle circostanze sul reato può richiamarsi l’intervento riformatore del 1990 con cui il legislatore ha introdotto un regime d’imputazione soggettiva per le circostanze aggravanti, prevedendo anche un peculiare regime in materia di circostanze non conosciute o erroneamente supposte.

126 Degno di particolare interessante si rivela quanto sostenuto con riguardo all’art. 571 c.p. da F.

BRICOLA, op. cit., p. 597. L’A. ricostruisce il pericolo di lesione come «evento naturalistico della fattispecie criminosa [che] deve essere voluto dall’agente» argomentando tale soluzione sulla base della constatazione che «se pure la fattispecie obiettiva di reato è idonea ad integrare gli estremi di un reato più grave - il delitto di lesioni tentate - a realizzare quest’ultimo, da un punto di vista soggettivo non è sufficiente la rappresentazione o la stessa volontà dell’evento di pericolo, ma occorre invece che il soggetto agisca allo scopo di provocare la lesione, ovvero che questa sia la causa della condotta». Come nota lo stesso A., tale ragionamento si mostra coerente fintantoché, ad integrare il tentativo di reato, si ritenga necessario il dolo diretto e non semplicemente il dolo eventuale. E preliminarmente, si può notare la non assimilabilità delle due fattispecie, dal momento che diverse sono le condotte, consistenti rispettivamente nell’abuso dei mezzi di correzione e nella lesione nel corpo o nella mente, nonché dei beni giuridici oggetto di tutela.

127 L’incesto rappresenta una delle fattispecie che maggiormente impegna giurisprudenza e dottrina

sul piano interpretativo per via dell’incerta qualificazione del pubblico scandalo. Molteplici e variegati sono gli orientamenti consolidatisi nel corso degli anni: buona parte della dottrina si pone in modo critico nei confornti della disposizione evidenziandone la spiccata valenza “moralizzatrice”: cfr. G. NEPPI MODONA, op. cit., p. 1 ss.; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, Parte generale, 8ª ed. Milano, 2003, p. 395. Quest’ultimo precisa che il pubblico scandalo rappresenterebbe una condizione estrinseca, poiché «il fatto dedotto in condizione non viene in alcun modo attribuito al reo, ma fa soltanto sorgere l'opportunità di punire un fatto di per sé lesivo». Nello stesso senso v. M. ROMANO, op. cit., p. 479, secondo il quale «il fatto vietato dal legislatore perché riprovato nell’ottica etico-sociale è il rapporto incestuoso, non il rapporto incestuoso scandaloso». In tal senso si esprime la giurisprudenza, seppure richiedendo che il pubblico scandalo sia legato da un nesso di causalità con la condotta incauta dell’agente. Cfr., tra tante, Corte Costituzionale, sent. 21 novembre 2000, n. 518, in Giur. it., 2001, p. 995 con nota di F. Biondi. Ancora sullo stesso tema si è espressa la Corte di Cassazione, sent. 2 febbraio 1951, in Foro it., II, 1951, p. 191. La corte di Cassazione afferma che: «il pubblico scandalo nell’incesto deve ritenersi di natura obiettiva, e non occorre che sia voluto dai colpevoli». Contra, G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale cit., p. 331. In accordo alla posizione da ultimo citata, «l’esigenza di non punire i fatti immorali in sé, ma solo in quanto provocano un turbamento nella sfera sociale, dovrebbe portare a cogliere nel pubblico scandalo un elemento costitutivo del reato di incesto»; nello stesso senso cfr. R. ZANOTTI, I reati contro la famiglia cit., p. 236 ss.

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 85-98)