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Tempus commissi delicti: la successione della legge nel tempo

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 184-200)

CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO

1. Tempus commissi delicti: la successione della legge nel tempo

Nei capitoli precedenti si è approfondito il tema dei rapporti tra condizioni di punibilità – intrinseche ed estrinseche – e principio di colpevolezza nel tentativo di fornire una rilettura del fenomeno condizionale pienamente rispettosa del dettato costituzionale sulla responsabilità penale. Si è concluso a favore del mantenimento delle sole condizioni estrinseche, che, operando come filtri selettivi della punibilità, sfuggirebbero alle regole dell’imputazione colpevole, essendo chiamate ad intervenire solo sul piano degli effetti dell’illecito, in chiave deflattiva del contenzioso penale.

Detta soluzione, per potersi ritenere accettabile, necessita una verifica sul piano pratico, dovendo passare attraverso il vaglio di una molteplicità di istituti di carattere sostanziale ovvero processuale, che ne assicurerebbero la tenuta. Si tratta, in sostanza, di individuare le coordinate spazio-temporali in cui si colloca il reato condizionato per poi verificarne la resistenza ai mutamenti normativi (c.d. successione di leggi nel tempo).

Iniziando dal primo profilo, l’individuazione del tempus commissi delicti è tematica assai complessa e problematica tanto per l’assenza di un’espressa definizione normativa, quanto per la molteplicità di istituti che ne implicano l’accertamento e

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la rilevanza delle conseguenze268. La loalizzazione il reato dal punto di vista temporale non ha rilievo solo ai fini dell’inizio del decorso della prescrizione ma si traduce nella realizzazione dei principi di legalità ed offensività: cristallizzando gli estremi del reato in un dato momento consente che la norma spieghi la propria funzione imperativa garantendo, allo stesso tempo, piena accessibilità e conoscibilità del precetto ai consociati269.

L’esatta ubicazione temporale del reato rappresenta un’operazione complessa; occorre iniziare dall’analisi dell’espressione tempus commissi delicti nel tentativo di delinearne la portata e chiarire se essa vada identificata con il concetto di commissione, realizzazione ovvero consumazione del reato data la diversità contenutistica intercorrente tra i tre concetti, malgrado spesso vengano utilizzati in forma sinonimica e se, ai fini della sua determinazione, si debba guardare alla condotta ovvero all’evento270.

268 Molteplici i riferimenti al tempo del reato contenuti nel codice sia attraverso la previsione

dell’istituto della continuazione, disciplinata dall’art. 81 primo comma, sia per la presenza una specifica disciplina dettata in tema di decorrenza del termine di prescrizione, distinguendo a seconda che si abbia riguardo al reato istantaneo, permanente, ad effetti permanenti ed a consumazione prolungata, di cui si tratterà nel prosieguo. Cfr. D. FALCINELLI, Il tempo del reato, il reato nel tempo: la scrittura normativa delle coordinate cronologiche criminali, Torino, 2011, p. 15 ss.; A. PAGLIARO, Legge penale nel tempo, in Enc. diritto, XXIII, Milano, 1973, p. 1063.; V. SINISCALCO, Tempus commissi delicti, in Studi Antolisei, III, 1965, p. 231; C.F. GROSSO, Osservazioni in tema di struttura, tempo e luogo del commesso reato della bancarotta prefallimentare, in Riv. it. dir. proc. pen., 1970, p. 576.

269 I termini accessibilità e prevedibilità sono mutuati dalla giurisprudenza della Corte EDU che ne

fornisce una definizione, ravvisandone la base giuridica nell’art. 7 CEDU, che sancisce il principio del nullum crimen sine lege. Sul tema della accessibilità del precetto e della prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie, v. cap. III, § 3. Quanto alla giurisprudenza, cfr. Corte EDU, sent. 14 aprile 2015, Contrada c.Italia (n. 3), ric. n. 66655/13,§ 60 laddove – citando altri pr ecedenti – i giudici di Strasburgo ribadiscono che «la loi doit définir clairement les infrac tions et les peines qui les répriment. Cette condition se trouve remplie lorsque le justiciab le peut savoir, à partir du libellé de la disposition pertinente, au besoin à l’aide de l’int erprétation qui en est donnée par les tribunaux et le cas échéant après avoir recouru à des conseils éclairés, quels actes et omissions engagent sa responsabilité pénale et quelle peine il encourt de ce chef».

270 Sul punto si veda l’approfondita analisi condotta da A. PAGLIARO, Il reato, in Trattato di diritto

penale, parte generale, a cura di T. Padovani, A. Pagliaro, C. F. Grosso, Milano, 2007, p. 331 ss. In tale opera l’A. traccia le differenze contenutistiche esistenti tra consumazione e i concetti affini di perfezione, commissione ed esaurimento. Con il primo s’intende «il momento in cui la realizzazione raggiunge, nel suo contenuto concreto, la sua massima gravità». Esempio, classico e d’immediata intuizione, di coincidenza tra momento consumativo e momento commissivo si ravvisa nel delitto

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Sebbene, talvolta, non si può escludere la loro sostanziale coincidenza, la consumazione, da intendere, sotto il profilo valoriale, quale raggiungimento del massimo grado di disvalore nella fattispecie delittuosa, di regola, identifica un “momento” ben diverso da quello della commissione, che implica la venuta ad esistenza del complesso degli elementi che connotano la condotta esteriore richiesta per la sussistenza del reato271. Come efficacemente affermato da parte della dottrina, la commissione rappresenta il momento ultimo il cui la norma penale avrebbe potuto esercitare la sua efficacia di prevenzione generale negativa. Ne consegue che nella sua determinazione non assumono rilievo il tempo nel quale si è verificato l'evento, che potrebbe verificarsi anche dopo, senza che il momento commissivo ne venga influenzato, né le eventuali azioni tenute dall’agente successivamente alla condotta, idonee ad aggravare o diminuire il rimprovero penale.

Diversamente, perché un reato possa dirsi realizzato è sufficiente che vengano adempiuti i requisiti minimi della fattispecie penale di riferimento, senza che giungano a completamento l’azione o l’omissione prevista, risultando invece indispensabile il raggiungimento di quel livello minimo di offesa tipica (lesione o pericolo); in tal senso, perché il reato possa dirsi realizzato è necessario che si verifichi anche l‘evento. Così definita, la realizzazione si lega strettamente alla

di omicidio (ex art. 575 c.p.) con contestualità di condotta dell’agente e morte del soggetto passivo (ex adverso, laddove tra i due momenti intervenisse un distacco temporale, verrebbe meno anche la coincidenza tra consumazione e commissione).Come osservato da G. NEPPI- MODONA, op. cit., p. 11 «la nozione di tempus commissi delicti svolge differenti funzioni a seconda degli istituti cui si riferisce». Dello stesso avviso N. D’ASCOLA, Reato e pena nell’analisi delle condizioni obiettive di punibilità, Napoli, 2004, p. 359 ss. Per ulteriori approfondimenti sul tema in generale cfr., per tutti, M. SINISCALCO, Tempus commissi delicti, in Studi in onore di F. Antolisei, III ed., Milano, 1965, p. 235 ss.

271 Così A. PAGLIARO, op. cit., p. 333. In modo più dettagliato, l’A. precisa che a differenza della

“consumazione”, espressione solitamente utilizzata in antitesi al delitto tentato, di commissione si può parlare sia con riferimento al delitto tentato, sia con riferimento al delitto consumato: anche in quest’ultimo, infatti, è riscontrabile un momento di esecuzione esteriore.

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nozione di consumazione, coincidente con il massimo livello di approfondimento dell’offesa prevista dall’illecito.

È intuitivo che la diversità tra i predetti momenti non rappresenta questione di poco conto, finendo per influenzare l’operatività di diversi istituti; senza troppo anticipare, basta specificare che, se il momento della consumazione viene in rilievo in caso di decorrenza del termine di prescrizione, per il quale la cessazione della permanenza è richiamata esplicitamente dalla legge (art. 158 c.p.), per l’operatività dell’amnistia e l’indulto occorre guardare al momento della commissione, per la querela, invece, il termine “essenziale” d’esercizio non prende in riferimento la "commissione", quindi il completarsi dell'azione, bensì la "realizzazione" del reato272.

In definitiva, l’insufficienza del solo dato linguistico, come spesso sottolineato, impone di compiere un’attenta disamina dei singoli e diversi istituti in cui viene, di volta in volta, in rilievo l’elemento temporale, mettendone anzitutto in evidenza le

272 Si è in precedenza sottolineato (cfr. cap. I, §. 3) l’elasticità (e talvolta l’incoerenza) con cui il

legislatore ricorra ad espressioni quali “fatto commesso e reato commesso”, da cui discende l’impossibilità di rinvenire nel dato letterale un appiglio certo per l’esatta comprensione delle norme stesse. Ancora una volta, per supplire a tale incertezza, si renderà necessario ricorrere ad una lettura sistematica che metta in relazione le espressioni contenute nell’art. 2 c.p. con quanto disposto in materia di prescrizione, ex art. 158 c.p. che fa espresso riferimento, quanto a decorrenza del relativo termine, alle diverse tipologie di reato (rispettivamente: consumato, tentato e continuato). A differenza di quanto avviene con riguardo alla disciplina del locus commissi delicti, la cui problematica d’individuazione trova esplicita soluzione nell’art. 6 c.p., come si specificherà in seguito, le difficoltà in ordine al paradigma temporale non hanno ancora trovato una soluzione unitaria. Sul punto, infatti, si registrano diversi orientamenti dottrinali; ad una parte della dottrina (cfr., per tutti, N. LEVI, Diritto penale internazionale, Milano, 1949, p. 210), che sostiene la necessità di una ricostruzione unitaria della nozione, se ne contrappone altra che privilegia una configurazione “variabile” del fenomeno a seconda dell’istituto cui si riferisce; cfr., ex pluribus, F. BRICOLA, op. cit., p. 604 e M. DONINI, op. cit., p. 480. Quest’ultimo orientamento si pone in favore della relativizzazione della nozione in parola, che dovrebbe essere dedotta dalla ratio sottostante i singoli istituti coinvolti e quindi tratta dal modo che caratterizza l’incidenza del tempo nella loro struttura, dalla peculiare disciplina cui rimangono assoggettati. Al fine di individuare il tempus commissi delicti, la dottrina ha individuato tre distinti criteri: la teoria della condotta che valorizza il reato commesso al momento del compimento dell’azione o dell’omissione, la teoria dell’evento, che privilegia il momento di verificazione dell’evento della condotta e, in ultimo, la teoria “mista”, che guarda indifferentemente alla condotta o all’evento. A rendere ancora più complesso il quadro di riferimento è l’eterogeneità strutturale dei “tipi” di reato (istantaneo, permanente etc.) che condizionano l’eventuale momento di commissione del reato.

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peculiari rationes sottese e senza mai dimenticare la necessità di “contestualizzare” la suddetta analisi all’interno della più ampia riflessione – precedentemente compiuta – sul fenomeno condizionale273. Fra l’altro, occorre precisare, che pochi

sono gli ausili ermeneutici offerti dal codice per fare chiarezza sull’esatta “dimensione temporale” del reato; tra i riferimenti principali si annovera sicuramente l’art. 158 c.p., in tema di prescrizione, che, al di là della singola e specifica indicazione del dies a quo dipendente dalle diverse tipologie criminose, evidenzia la necessità che la collocazione temporale del reato sottenda un contemperamento tra il principio del favor rei - derivante dall’impossibilità di lasciare nell’incertezza a lungo la posizione giuridica dell’imputato - e la tendenziale irrinunciabilità dell’ordinamento alla pretesa punitiva274.

Senza dimenticare, poi, che il tempus commissi delicti finisce per intersecarsi con l’ampia e complessa tematica della successione della legge nel tempo disciplinata all’art. 2 c.p., risultando determinante per la risoluzione degli eventuali conflitti intertemporali tra le norme dell’ordinamento.

273 Nei capitoli che precedono si è svolta una riflessione sui molteplici interrogativi che si addensano

attorno alle condizioni di punibilità, sia in ordine alla loro natura di “elementi accidentali”, sia in relazione alla loro compatibilità con il principio di colpevolezza, che porta a “preferire” le condizioni estrinseche in luogo di quelle intrinseche, con le ovvie ripercussioni sulla loro ratio garantista. Il problema, infatti, si ripercuote sui rapporti con la successione della legge nel tempo, con riguardo all’individuazione della lex mitior (ex art. 2, comma terzo). Per tale ragione, in dottrina vi è chi individua soluzioni differenziate a seconda che si abbia riguardo a c.o.p. intrinseche ed estrinseche; infatti, si distinguerebbe tra «condizioni intrinseche rilevanti ai fini della consumazione e condizioni estrinseche, ininfluenti al suddetto fine» (così T. PADOVANI, op. cit., p. 379). Per ulteriori approfondimenti sul tema cfr., ex multis, F. ANTOLISEI, Manuale, cit., p. 141 ss. e F. BRICOLA, op. cit., p. 604).

274 Ferme restando le considerazioni già precedentemente svolte nel capitolo primo, l’art 158 c.p.

richiamando e prevedendo termini di decorrenza diversi per la prescrizione (rispettivamente: il giorno della consumazione per il reato consumato; il giorno in cui è cessata l'attività del colpevole, per il reato tentato; per il reato permanente o continuato, il giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione; il giorno in cui la condizione si è verificata per il reato condizionato) mostra l’impossibilità di disgiungere nell’esame della prescrizione (ma un simile ragionamento vale per ogni altro istituto) l’interpretazione dalla dimensione assiologia (ravvisabile nella ragion d’essere dell’istituto). Alla luce di quanto appena detto si comprende, dunque, la scelta del legislatore di far decorrere la prescrizione di regola dalla consumazione del reato o, nel caso del reato sottoposto a condizione, dal verificarsi di quest’ultima che, per definizione, è idonea ad incidere sul momento d’irrogazione della pena.

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L’art. 2 c.p., norma già prevista nell’originario corpo del codice penale, disciplinando la successione della legge penale nel tempo è stata di recente oggetto di un fitto dibattito tra la giurisprudenza interna ed internazionale (in particolare Corte EDU), che ne ha dilatato l’ambito applicativo in vista dell’effetto favorevole per il reo275.

In tale prospettiva di favore occorre chiarire quale sia l’esatta portata dell’espressione “fatto commesso”, ravvisabile all’interno della predetta norma, che, come si vedrà in seguito, rappresenta il momento di riferimento per la “scelta” della legge da applicare, distinguendola dalla espressione di significato profondamente diverso - sempre contenuta nel medesimo articolo - reato commesso.

Ed in effetti, come già evidenziato sopra nel differenziare i concetti di consumazione, realizzazione e commissione del reato, nell’elaborazione dottrinale della nozione di tempo del reato, talvolta si deve aver riguardo alla condotta, talaltra all’evento ovvero ad entrambe.

275 Il delicato tema della retroattività della lex mitior è stato trattato a più riprese dalle Corti

internazionali, prima fra tutte la Corte Edu, la quale ha duramente sanzionato l’Italia in molteplici pronunce. La pronuncia che ha dato la stura alla riflessione sulla portata del principio di retroattività della legge più favorevole è stato il c.d. caso Scoppola c. Italia, sent. 17 settembre 2009, in cui la Corte Edu, qualificando come sostanziali le disposizioni in tema di giudizio abbreviato, ha sancito l’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole allora introdotta. Per effetto di tale pronuncia la giurisprudenza italiana ha rivisto il fondamento assiologico del principio di retroattività: con le risalenti sentenze nn. 393 e 394 del 2006, la Corte Costituzionale aveva affermato che la rilevanza costituzionale del principio della lex mitior andava ricondotto al canone di uguaglianza e ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost. e, per questo motivo, tollerava talune deroghe, come in occasione della riforma della prescrizione attuata dalla l. 5 dicembre 2005 n. 251 c.d. ex Cirielli. Rinviando ad un momento successivo la trattazione del problema della retroattività della c.d. abolitio criminis, la Corte costituzionale afferma che nell'ambito del diritto penale sostanziale, è proprio l'ordinamento interno a reputare recessivo il valore del giudicato, in presenza di alcune sopravvenienze legate alle modifiche in bonam della disciplina sanzionatoria: un potere del giudice dell'esecuzione, ricavabile dall'art. 30 della legge n. 87/1953, di rideterminare la pena a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sul trattamento sanzionatorio (cfr., ad esempio, quanto affermato nelle sentenze Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 18821, Ercolano e Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 42858, Gatto). In questo senso Corte Cost., sent. 2013 n. 18 luglio 2013, n. 210.

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Se il primo criterio, quello della mera condotta dell’agente, viene in rilievo per la determinazione del tempo di commissione dell’illecito, è all’evento che occorre guardare, di norma, per determinare la fase di consumazione del reato.

Andando ad analizzare specificamente le disposizioni contenute nell’art. 2 c.p., occorre distinguere diversi fenomeni “temporali”. Il primo comma, prevedendo che «nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato», disciplina il fenomeno delle nuova incriminazione o, meglio, del divieto di retroattività della legge penale e, pertanto, impedisce che gli effetti di una disposizione penale possano rivolgersi al passato, incriminando una condotta che, al momento del suo compimento, non costituiva ancora reato. Com’è evidente, tale divieto rappresenta la traduzione normativa del principio di irretroattività vigente nel diritto penale, che risponde ad esigenze garantiste, ponendo un solido argine rispetto ad eventuali abusi di potere nell’esercizio del magistero punitivo ed esso trova consacrazione in una norma di rango costituzionale, esattamente nel secondo comma dell’art. 25 Cost.276. Senza

specificarne ulteriormente la portata, occorre riflettere sulla “reazione” che si innesca mettendo tale principio a contatto con il reato sottoposto a condizione di punibilità.

276 L’art. 11, secondo comma, delle disposizioni preliminari c.c. prescrivendo che la legge non

dispone che per l’avvenire, qualifica l’irretroattività come principio generale valevole per ogni branca ordinamento; nel diritto penale – data soprattutto la potenzialità d’incidenza sulla libertà personale, da porre al riparo da forme di “abusi” storicamente perpetrati dai detentori del potere – tale principio è stato consacrato anche in Costituzione; pertanto, accanto all’art. 2 c.p. – che rappresenterebbe un debole presidio per il cittadino, dal momento che, occupando il rango di legge ordinaria, potrebbe facilmente essere derogato – il legislatore costituente ha disposto l’introduzione dell’art. 25 Cost., per cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Invero, solo l’irretroattività trova esplicito ed immediato riferimento nella Carta fondamentale. Pertanto, avendo riguardo agli altri “fenomeni” successori della legge nel tempo, disciplinati dai commi secondo e quarto, non si avrà gioco facile nell’individuazione del rispettivo referente positivo.

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Si ipotizzi nel periodo t il compimento di una data condotta, integrante gli estremi di un reato secondo un paradigma legale che prevede una condizione di punibilità non ancora avverata. Laddove nel successivo periodo t1 venga espunta la componente condizionale con contestuale ampliamento della sfera di rilevanza penale del fatto, occorre valutare se sia possibile, stante l’avvenuta realizzazione della dimensione essenziale dell’illecito, giustificare l’applicazione retroattiva della nuova criminalizzazione.Nel caso di specie la retroazione deriva dall’eliminazione dal paradigma legale dell’elemento condizionale ed inoltre i due momenti t e t1 ospitano segmenti temporali profondamente diversi, l’uno il compimento dell’azione poi divenuta tipica, l’altro, l’eliminazione dell’elemento condizionale. Vero è che non può dirsi che le condizioni di punibilità risultino sufficienti a coagulare l’intero disvalore della fattispecie - tanto più che l’evento condizionale potrebbe anche risultare estraneo alla sfera di controllo dell’agente - alla luce dell’impossibilità di attribuire all’istituto condizionale natura diversa da quella di elementi accidentali, ininfluenti sul disvalore dell’illecito il cui nucleo offensivo è insito nella condotta stessa, che, nell’ipotesi in esame, si è già realizzata277.

Tuttavia, il fondamento e l’ampiezza della portata del principio di irretroattività della legge penale, tanto alla luce della prescrizione di cui all’art. 25 Cost. ed in base alle recenti acquisizioni della giurisprudenza comunitaria - in ordine alla prevedibilità ed accessibilità del precetto penale – impongono di ritenere preclusa

277 Si presti attenzione alla denominazione scelta per aprire il suddetto capitolo, che appunto

definisce tempus et locus commissi delicti quali “momenti di verifica” delle c.o.p.; in tal senso la ricostruzione degli istituti analizzati in queste pagine potrebbe corroborare la tesi delle condizioni obiettive quali elementi accidentali e di natura estrinseca rispetto al reato. Tuttavia, per esigenze di completezza, non si può non dar conto di quegli orientamenti che non soltanto danno consistenza alla distinzione tra condizioni intrinseche ed estrinseche, ma ritengono che tale distinzione condizioni gli esiti applicativi dei rapporti tra leggi nel tempo. Non si dimentichi, precisamente, che le condizioni intrinseche consisterebbero in una progressione dell’offesa espressa dal reato e che per questo sarebbero idonee ad incidere sul disvalore della fattispecie.

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una simile applicazione retroattiva, come del resto dimostra la recente previsione contenuta nella legge 27 maggio 2015 n. 69. Quest’ultima, nel riformare la disciplina del falso in bilancio, prevede che le nuove disposizioni, che ampliano gli spazi di rilevanza penale delle condotte eliminando le soglie di punibilità, prevedendo un trattamento in peius rispetto al previgente sistema normativo, si applica solo ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della predetta legge, vale a dire dal 14 giugno 2015, sempre in ossequio al principio di irretroattività della legge penale278.

Più problematico risulterebbe il caso in cui il legislatore intervenga sottraendo dal paradigma normativo una condizione di punibilità: in tal caso, a prescindere dalla natura attribuita a quest’ultima, ne deriverebbe una significativa riduzione dello

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