CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO
1. Elementi essenziali e condizioni di punibilità: ragioni di una distinzione
Si è soliti affermare che la materia sia governata da un principio di conservazione per cui “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”; questo stesso enunciato, seppur senza la medesima pretesa di rigore scientifico, invero può costituire un utile punto di partenza nell’analisi delle condizioni di punibilità e del loro rapporto rispetto agli elementi essenziali del reato, tema oggetto di analisi nel presente capitolo.
Per una comprensione della disposizione sulle c.o.p., non è possibile prescindere dal riferimento all’art. 47 del Progetto Preliminare al Codice Rocco, che costituisce l’archè, norma da cui l’art. 44 c.p. trae la sua origine e in cui inevitabilmente si risolve. Senza voler indugiare sulle diverse dispute dottrinali divampate nel corso dei Lavori preparatori al Codice Rocco, basta in questa sede ricordare che nella versione provvisoria della disposizione sul reato condizionale compariva la distinzione tra condizione «per l’esistenza del reato o per la sua punibilità», evidentemente emendata nella formulazione definitiva dell’art. 44 c.p. che si esprime solo in termini di «condizioni per la punibilità del reato»83. Se il
83 Si è già avuto modo di ripercorrere la genesi della disciplina delle c.o.p. con particolare attenzione
all’evoluzione della rispettiva disciplina codicistica. Si veda sul punto l’Introduzione e più precisazione il paragrafo dedicato all’origine ed evoluzione storica delle c.o.p. In questa sede non si poteva prescindere da un riferimento all’art. 47 del Progetto Preliminare, in quanto da esso origina la questione della distinzione tra elementi costitutivi del reato e condizioni di punibilità. Più che legittimo pare interrogarsi sulla scelta del legislatore di pretermettere, nell’attuale formulazione dell’art. 44 c.p., il riferimento alle condizioni per l’esistenza del reato. Tale decisione non può che interpretarsi come una presa di coscienza dell’impossibilità di assimilare i due tipi di elementi sia
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mantenimento della formula originaria avrebbe condotto all’intollerabile conseguenza di assimilare e assoggettare alla medesima imputazione obiettiva gli elementi di esistenza del reato e quelli relativi alla punibilità, il rimedio, se non peggiore, è stato sicuramente pari al male date le difficoltà, a tutt’oggi esistenti, di discriminare condizioni di punibilità ed elementi essenziali84. Tuttavia, come già evidenziato nel ricostruire la definizione delle condizioni di punibilità, per poter comprendere in cosa esse si differenzino rispetto agli elementi costitutivi è opportuno anzitutto avere un’idea chiara e definita dei confini di questi ultimi. Dal momento che il codice non contiene un esplicito riferimento agli essentialia, circa la loro dimensione concettuale o la loro specifica individuazione, ancora una volta è l’interprete a dover farsi carico delle suddette operazioni ermeneutiche avvalendosi dello strumento codicistico e delle acquisizioni giurisprudenziali sul tema.
Già alla vigilia dell’entrata in vigore del codice Rocco la dottrina prevalente rinveniva la differenza tra condizioni di esistenza del reato e condizioni di punibilità nel fatto che le prime risultano indispensabili a fondare la c.d. pretesa punitiva risultando essenziali alla configurabilità stessa del reato, le seconde invece risultano idonee a condizionare la tipica conseguenza giuridica dell’illecito85. In effetti una
sotto il profilo tipologico, sia sotto il profilo della disciplina. Ed in particolare, se le condizioni di punibilità fossero state elementi essenziali per l’esistenza del reato, sorgerebbe spontaneo chiedersi quale necessità ci sarebbe stata di creare il suddetto sdoppiamento categoriale. Non sfugge, infatti che l’art. 42 comma 3 disciplina i casi in cui l’evento «è posto altrimenti a carico dell’agente» e che pertanto, se il legislatore con l’art. 44 c.p. avesse voluto semplicemente creare una deroga all’imputazione dolosa, le condizioni di punibilità, concepite come elementi essenziali e obiettivamente imputate sarebbero state già di diritto ricomprese nell’art. 42 comma 3 c.p., senza necessità di prevedere altra apposita norma.
84 Così F. BRICOLA, Punibilità, cit., p. 589, secondo il quale «incerti appaiono i confini della
categoria che taluno amplia al punto da inglobare in essa tutti gli elementi del fatto che sono imputati oggettivamente al soggetto, o vengono ritenuti tali, mentre altri restringe in guisa da ricomprendere soltanto elementi che presentano notevoli affinità con le condizioni di procedibilità».
85 Così E. MASSARI, Le dottrine generali, Napoli, 1930, p. 67 ss. Dello stesso avviso si mostra la
giurisprudenza come rivela la pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite del 25 gennaio 1958, in Giust. pen.,1958, II, p. 513. Nella citata sentenza, la Corte di Cassazione, nell’affrontare il delicato tema della natura della declaratoria di fallimento nei reati di bancarotta, evidenzia la differenza
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simile soluzione sembrerebbe avallare la configurazione, elaborata nelle pagine precedenti, delle condizioni di punibilità quali elementi accidentali ed “estranei” al reato in grado, cioè, di incidere sul momento dell’efficacia - della produzione degli effetti - di un fatto che è già stato qualificato rilevante per l’ordinamento perché integrante gli estremi di un illecito86. Ma, come è stato affermato, un simile ragionamento non può ritenersi ancora definitivo e pienamente soddisfacente per via dei numerosi punti interrogativi rimasti irrisolti.
Guardando al dato normativo delle disposizioni contenute nell’apparato codicistico, in mancanza di un’espressa formula che definisca in positivo gli elementi costitutivi, come d’altronde si è avuto già modo di constatare in riferimento alle condizioni di punibilità, si può tentare una loro ricostruzione ex adverso assumendo come punto di riferimento la nozione contenuta nell’art. 49 c.p., che detta la disciplina del reato impossibile87. Il suddetto articolo sancendo l’esclusione della
punibilità quando, per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di
concettuale tra gli elementi essenziali e le c.o.p vere e proprie dal momento che, mentre queste presuppongono un reato strutturalmente perfetto, sotto l’aspetto soggettivo e oggettivo, i primi costituiscono condizioni di esistenza del reato, elementi alla cui verificazione risulta collegata l’esistenza del reato stesso.
86 Nella direzione sopra esposta si esprime anche la Cassazione, sent. 28 maggio 2004, n. 30134, in
Cass. pen., 2005, p. 1895. Avallando la distinzione tra momento di rilevanza e momento di efficacia del reato, la Corte di Cassazione precisa che la relazione tra elemento essenziale e condizione di punibilità sottende la differenza tra perfezione ed efficacia del reato, tra rilevanza giuridica e necessario prodursi degli eventi.
87 L'articolo 49 del codice penale al comma 2 prevede la figura del cosiddetto reato impossibile,
escludendo la punibilità quando, per l'inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto di essa è impossibile l'evento dannoso o pericoloso. La figura del reato impossibile, qualificato dalla teoria realististica come teorizzazione del principio di offensività, è stata a lungo oggetto di controversie interpretative a causa della “prossimità” con il delitto tentato, ex art. 56 c.p., a tal punto che talvolta si è qualificato il reato impossibile quale “doppione” del tentativo. Detta soluzione ormai risulta ampiamente superata a favore di una ricostruzione che conferisce autonomia alla fattispecie, individuando l’elemento differenziale nella base ontologica che fonda il giudizio prognostico, base totale nel caso del reato impossibile e parziale nel caso del delitto tentato. Sul tema v. G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, p. 460 ss.; D. PULITANÓ, Diritto penale, 5a ed., Torino, 2013, p. 416 ss.; G. MARINUCCI - E. DOLCINI,
Manuale di diritto penale: parte generale, Milano, 2012, p. 398 ss.; S. SEMINARA, Il delitto tentato, Milano, 2012; G. A. DE FRANCESCO, L’enigma del tentativo: vicende sistematiche ed interrogativi politico-sistematici, in Leg. Pen., 2002, p. 927 ss..; C. FIORE, Il reato impossibile, Napoli, 1959; G. NEPPI MODONA, il reato impossibile, Napoli, 1973; F. C. PALAZZO, Corso cit., p. 482 ss.
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essa, risulta impossibile l’evento dannoso o pericoloso, fornisce un’immagine rovesciata degli elementi costitutivi del reato88. Ad una lettura poco attenta e frettolosa, può sembrare che il legislatore abbia costruito la fattispecie da ultimo richiamata sulla coppia concettuale “impossibilità del reato - assenza della punibilità”, dovendosene trarre che non possa esistere reato senza pena e che, dunque, per l’esistenza stessa dell’illecito penale risulta necessaria l’avvenuta irrogazione della pena. Se fosse questo il modo corretto di leggere l’art. 49 c.p., si finirebbe per corroborare la tesi per cui nell’art. 44 c.p. il verificarsi della condizione, pur interessando solo il momento dell’irrogazione della pena, risulterebbe indispensabile per la venuta ad esistenza del reato dal momento che senza punibilità non potrebbe venire ad esistenza il reato.
Una simile interpretazione, invero, risulta già inficiata nell’assunto di fondo anzitutto da un vizio grammaticale: focalizzando l’attenzione sulla formulazione dell’art. 49 c.p., non può sicuramente sfuggire come la connessione che il legislatore abbia voluto creare non riguarda la relazione tra esistenza del reato e punibilità, quanto piuttosto tra impossibilità del reato ed assenza di pena; l’inidoneità dell’azione, l’inesistenza dell’oggetto o l’impossibilità dell’evento si riverberano inevitabilmente sull’integrazione del reato, privando di ogni fondamento logico - assiologico l’irrogazione della pena.
Risulta pacifico in dottrina e in giurisprudenza, che proprio i requisiti appena menzionati integrano gli elementi costitutivi del reato, quegli elementi cioè che ne
88 Prima facie, risulta possibile notare la diversità strutturale dell’art. 49 c.p. rispetto all’art. 44 c.p.,
già in riferimento alla tecnica legislativa di costruzione della fattispecie dal momento che la prima presenta una formulazione in negativo descrivendo ciò che non è reato, la seconda, invece, richiede per la punibilità un elemento ulteriore, l’avveramento della condizione, rispetto agli essentialia. Diverso si rivela soprattutto il livello di disvalore veicolato dalle due ipotesi. È evidente che l’impossibilità del reato richiamata dall’art. 49 c.p. non deriva dall’assenza di punibilità quanto piuttosto dalla mancata realizzazione di un elemento essenziale, che quindi preclude la possibilità di una qualificazione di disvalore penale, precludendo persino la tipicità della fattispecie.
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rappresentano la struttura portante, ragione e modo d’essere, e che, dotati del livello massimo di disvalore, devono per questo essere coscientemente voluti dall’agente e quindi imputati psicologicamente, in quanto interni al processo esecutivo del reato89.
Dalle premesse appena fatte, possono trarsi alcune precisazioni di grande importanza: anzitutto, a conferma di quanto si è già rilevato nel paragrafo dedicato al rapporto tra condizioni di punibilità e nesso di causalità, pare da non condividersi l’assimilazione tra l’evento condizionale ed evento del reato: quest’ultimo potendo solo rilevare come elemento costitutivo dell’illecito al punto da comportarne la relativa impossibilità in caso di mancanza. Se invece, al contrario, il legislatore avesse voluto annoverare le condizioni tra gli elementi indispensabili all’esistenza del fatto criminoso, avrebbe potuto menzionarle esplicitamente nell’art. 49 c.p., rispondendo così alla esigenza di determinatezza nella predisposizione degli elementi di fattispecie (recte: del fatto). La disposizione sul reato impossibile e la sua comparazione con l’art. 44 c.p., forniscono un altro spunto utile a chiarire i rapporti tra elementi essenziali e condizioni di punibilità, in relazione alla diversa funzione e posizione da esse svolte90. L’ultimo comma dell’art. 49 c.p. prevede che sussistendo gli estremi del reato impossibile, il giudice può ordinare che l’imputato
89 L’osservazione appena fatta sulla qualificazione di azione, oggetto ed evento come elementi
essenziali, apparirebbe incompleta e parziale laddove non fosse corredata dalle precisazioni di teoria generale del reato già esposte nel primo capitolo. Come già precisato, a seconda dell’orientamento di adesione ovviamente sarà diverso il novero degli elementi essenziali e la loro individuazione. Nel presente lavoro si cercherà di giungere a conclusioni che siano accettabili e applicabili alle diverse scuole di pensiero e da qui la scelta di far riferimento alle condizioni di punibilità come elementi esterni al processo di realizzazione del reato, analogamente a quanto si rinviene nella giurisprudenza. In questi termini si esprime la Corte di Cassazione, sent. 11 luglio 1967, in Cass. pen., 1968, p. 419, in cui la Suprema Corte qualifica le c.o.p elementi estranei al processo esecutivo del reato.
90 Con tale riferimento alla diversità di funzione e posizione quale criterio per tracciare il discrimine
tra elementi essenziali e condizioni obiettive di punibilità si allude alla posizione espressa in dottrina da M. ROMANO, op. cit., p. 476. Secondo l’A. «la diversità della condizione dagli elementi costitutivi del reato non riguarda la sua natura o la sua essenza ontologico- razionale, ma soltanto la posizione e la funzione che le sono state impresse dalla legge». Sul punto si ritornerà affrontando il tema dei criteri discretivi dei suddetti elementi, ed in particolare l’importanza del criterio assiologico, facente leva sul diverso grado di significatività e disvalore di cui essi sono portatori.
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prosciolto sia sottoposto ad una misura di sicurezza, ipotesi evidentemente non prevista nel caso di reato sottoposto a condizione di punibilità. Constatando la diversità di previsione, parte della dottrina avrebbe buon gioco a dire che essa costituisce la riprova dell’appartenenza e dell’indispensabilità delle c.o.p. alla realizzazione della fattispecie di reato, dal momento che senza il loro avveramento non risulterebbe possibile neppure l’applicazione delle misure di sicurezza, mancando i presupposti di cui agli artt. 199 c.p. e ss.91. Paradossalmente, una simile affermazione ribalterebbe il rapporto assiologico tra le condizioni di punibilità e gli elementi che per definizione espressa di legge, come si evince dall’art. 49 c.p., conferiscono consistenza al fatto nella sua materialità ed offensività: si giungerebbe ad accentrare il disvalore dell’illecito sull’avvenimento condizionale facendolo assurgere a cifra significativa della lesione descritta nella fattispecie con rilevanti conseguenze alla luce dei principi del diritto penale, anzitutto quello di offensività92. Meno problematico risulterebbe affermare che la mancata previsione
91 Le misure di sicurezza, potendo consistere anche in limitazioni della libertà personale, in
attuazione dell’art. 25 Cost., risultano informate al principio di stretta legalità, pertanto la loro applicazione nei casi previsti dalla legge risulta subordinata alla verifica della pericolosità sociale del reo e soprattutto alla realizzazione di un fatto di reato o quasi-reato tassativamente indicato, in cui evidentemente non rientra l’art. 44 c.p. I presupposti applicativi delle stesse vengono disciplinati dall’art. 199 ss. del codice penale. Per un approfondimento sul tema G. de VERO, Corso di diritto penale, p. 58 ss.; B. NOTARO, Le singole misure di sicurezza, in Le conseguenze sanzionatorie del reato, in Trattato teorico/pratico di diritto penale (E. Palazzo-C. E. Paliero), Torino, 2011, p. 39 ss.; M. PELISSERO, Pericolosità sociale e doppio binario, Torino, 2008, p. 326., Id., Il potenziamento delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc., 2008, p. 1352; G. GUARNERI, voce Misure di sicurezza (diritto penale), in Nss. dir. it., 1968, vol. X, p. 778 ss.; E MUSCO, Misure di sicurezza, in Enc. dir. Agg., 1997, p. 137; ID., La misura di sicurezza detentiva. Profili storici e costituzionali, Milano, 1978, p. 3 ss.; A. MANNA, Imputabilità, pericolosità e misure di sicurezza: verso quale riforma?, in Riv. it. dir. proc. pen. 1994, p. 1318 ss.; L. FORNARI, Misure di sicurezza e doppio binario: un declino inarrestabile?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, p. 570; G. DE FRANCESCO, Le misure di sicurezza, in Giurisprudenza sistematica del codice penale. Codice penale (a cura di F. Bricola-G.Zagrebelsky), Torino, 1982, p. 1459. Per una ricostruzione sullo specifico rapporto tra misure di sicurezza e condizioni di punibilità, v. F. BRICOLA, Cond. pun. cit., p. 592 e M. ROMANO, Commentario cit. p. 419 ss..
92 I rapporti tra fattispecie condizionate e principio di offensività, sebbene spesso trascurati,
potrebbero fornire un interessante spunto di riflessione circa il ruolo rivestito dalle condizioni all’interno della fattispecie. Vero è l’assenza della condizione di punibilità preclude la possibilità stessa di applicare una misura di sicurezza, non integrando neppure un’ipotesi di quasi reato, ma far dipendere l’intera esistenza del reato dall’avveramento delle condizioni obiettive rischierebbe di collidere con i principi di materialità ed offensività. Ciò equivarrebbe ad affermare che la nota di
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delle misure di sicurezza consista in un’ulteriore puntualizzazione della funzione svolta dalle condizioni obiettive quale filtro selettivo della punibilità, a prescindere dall’esistenza del reato93. Naturalmente, l’ammissibilità di tale conclusione ancora
prematura, meriterà ulteriore approfondimento.
2. L’incerta natura delle condizioni obiettive di punibilità al vaglio della