CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO
3. Rapporti tra illiceità, punibilità e antigiuridicità
A voler scomporre la norma penale, che ricalca il modello della proposizione condizionale, è possibile individuare un doppio livello sintattico, il primo dei quali è rappresentato dalla descrizione del fatto di reato, precisamente della condotta tipica (azione, evento e nesso di causalità) e del relativo elemento psicologico, cui segue, logicamente ed ontologicamente, il momento della conseguenza giuridica, consistente nell’irrogazione della pena187. Non vi è dubbio che il precetto primario,
coincidente con la previsione del fatto e del complesso degli elementi significativi, costituisce il momento fondamentale ed indefettibile dell’incriminazione, risultando la descrizione dei connotati di disvalore della condotta indispensabile per la configurazione stessa dell’illecito.
Maggiori difficoltà sorgono invece in relazione al precetto secondario, contenente la descrizione della conseguenza sanzionatoria, dal momento che, già a monte, si
187 In modo più dettagliato, seppur discutibile, K. BINDING, Die Normen und ihre Übertretung.
Eine Untersuchung über die rechtmässige Handlung und die Arten des Delikts, p. 233 ss. L’A. esponente della dottrina imperativista, distingue le norme dalle leggi penali: le prime atte a porre il precetto penale - il comando o il divieto - le seconde necessarie a fissare la punibilità, prevedendo la sanzione in caso di inosservanza del precetto. Stando a tale ricostruzione il momento dell’illecito viene integralmente ad esaurirsi nella previsione della norma, dal momento che solo essa, se disobbedita, determina il verificarsi dell’illecito – l’antigiuridicità viene dunque ricondotta alla contrarietà alle norme – mentre la legge penale si deve tenere nettamente distinta dalla previsione dell’illecito, non essendo connessa rispetto al precetto, e dunque costituisce soltanto un presupposto per la punibilità. Dello stesso avviso, sempre nella dottrina tedesca, F. VON LISZT, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, XX ed., Berlino, 1914, p. 196. In modo più preciso dell’A. citato in precedenza, Von Liszt afferma l’estraneità della condizione al fatto illecito vero e proprio e che pertanto il tempo di decorrenza della prescrizione deve farsi iniziare dal verificarsi del fatto e non dall’avveramento della condizione (discorso completamente diverso, anche per esigenze logiche, si ha in merito alla formulazione dell’art. 158 c.p.). A titolo esemplificativo delle c.o.p., anche nel diritto tedesco, era presente una disposizione, l’art. 172 StGB, ormai abrogato, che subordinava la punibilità dell’adulterio alla condizione che ne fosse derivato il divorzio: situazione estrinseca che «con il fatto delittuoso e le sue parti non hanno a che vedere, sì che debbono essere considerate disgiuntamente da esso», come affermato da F. RAMACCI, op. cit., p. 80 ss.
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rivela particolarmente controverso se la categoria della punibilità possa dirsi parte della struttura essenziale del reato, di modo che l’eventuale sospensione dell’irrogazione della sanzione incida sull’(in)esistenza dell’illecito, venendo a mancare una componente fondamentale. Il discorso si complica ulteriormente guardando, nello specifico, all’istituto delle condizioni di punibilità: in considerazione della loro incerta natura e alla luce del loro modus operandi occorre valutare come le stesse si rapportino alla struttura del reato.
I due profili risultano inscindibilmente connessi o, meglio, sostanzialmente sovrapponibili anche in considerazione della diversità, già precedentemente evidenziata, delle condizioni obiettive di punibilità rispetto agli elementi essenziali dal momento che, l’affermazione dell’estraneità delle prime rispetto al fatto di reato risulterebbe in linea con il disposto della previsione normativa di cui all’art. 44 c.p., che lega esplicitamente il funzionamento dell’istituto condizionale al momento della punibilità188.
Tralasciando le diverse implicazioni con il principio di colpevolezza, già da una prima e superficiale lettura dell’art. 44 c.p., risulta che esso, nel subordinare la punibilità al verificarsi di un evento condizionale costituisce un’eccezione al tralatizio brocardo nulla poena sine crimine, formula che, pertanto, assumerebbe il seguente tenore: nulla poena sine crimine et condicione189.
188 Secondo la ricostruzione più risalente, al fatto appartengono come elementi essenziali, l’azione
e l’omissione, l’evento e i presupposti del reato, come sostenuto da G. DELITALA, op. cit., p. 79. Quanto ai rapporti con l’antigiuridicità e la colpevolezza, l’A. precisa che il fatto dell’agente, che a lui si imputa perché è stato da lui voluto o anche semplicemente causato prescinde da esse, afferendo al solo livello della materialità del reato.
189 Tale osservazione viene evidenziata da P. CURATOLA, op. cit., p. 808. Quest’ultimo ritiene che
nel caso di reati sottoposti a condizione «il principio ubi crimen ibi poena si muterebbe nell’altro ubi crimen et condicio ibi poena, per cui, nelle ipotesi in cui è prevista la condizione, la regola nulla poena sine crimine così si modifica: nulla poena sine crimine et condicione». L’A. rientra in quell’orientamento dottrinale che sostiene non soltanto (e non tanto) l’inscindibilità del reato dall’irrogazione della pena, quanto l’equazione reato-fatto punibile: la pena rappresenterebbe l’elemento di differenziazione tra il semplice illecito e il reato. Dello stesso avviso F. BRICOLA, op. cit., p. 593; per un contributo più recente, M. G. MAGLIO- F. GIANNELLI, Le condizioni
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Si è già avuto modo di riflettere sulla complessa questione afferente al ruolo rivestito dalle condizioni di punibilità all’interno del reato, optando per una soluzione differenziata a seconda che si abbia riguardo alle c.o.p. estrinseche ed intrinseche. Le prime, pur connotando la struttura tipica del reato, non appaiono idonee ad apportare alcun contributo all’offensività della fattispecie, incidendo solo sul momento punitivo, a differenza delle seconde, ontologicamente e storicamente assimilabili alle condizioni di esistenza dell’illecito penale.
Ciò posto, una compiuta analisi dell’istituto condizionale, pur limitando il discorso alle sole condizioni estrinseche, presuppone un’ulteriore analisi sulla funzione svolta dalla punibilità all’interno del reato al fine di verificarne i rapporti: precisamente, se possa esistere il reato senza la punibilità, o se, invece, si debba predicare la «reciproca sostituibilità» tra i due concetti, dovendosi individuare nella conseguenza sanzionatoria l’essenza dell’illecito penale190.
Come si è già evidenziato, la norma penale presenta la peculiarità di affiancare ad una proposizione condizionante “prescrittiva” – che dunque contiene il precetto o meglio la norma giuridica, nucleo del disvalore – una proposizione c.d. informativa attinente l’aspetto propriamente sanzionatorio, relativo al quantum della pena. La punibilità, che in concreto rappresenta la reazione dell’ordinamento innanzi alla commissione di un fatto conforme al tipo descritto nella fattispecie astratta ed il cui esercizio spetta lo Stato, si pone al centro di un fitto dibattito dottrinale in ragione
obiettive di punibilità, in Riv. dir. proc. pen., 2003, p. 183 ss., i quali definiscono la punibilità come «unica epifania pratica e concreta dell’antigiuridicità che possa definirsi rilevante per il diritto penale» e pertanto, non potendosi mai scindere il reato dalla punibilità, le c.o.p. ne diventano elementi integranti.
190 Così F. RAMACCI, op. cit., p. 144. Lo stesso mostra di aderire a quella ricostruzione del reato
quale «offesa ad un bene od interesse obiettivamente protetto» sostenuta in dottrina da G. DELITALA, Contributo alla nozione di reato, Roma, 1926, p. 46 ss. Per un simile e recente orientamento in dottrina cfr., per tutti, E. ANTONINI, op. cit., p. 1205.
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della difficoltà di giungere ad una univoca ricostruzione della stessa categoria nella teoria generale191.
Richiamando i principali orientamenti sorti sul tema, possono individuarsi due diverse ricostruzioni, a seconda che la punibilità venga costruita come un requisito intrinseco di fattispecie ovvero se ne affermi l’estraneità rispetto agli elementi del reato.
Nello specifico, nell’ambito della prima ricostruzione occorre differenziare la posizione di quanti guardano alla dimensione punitiva come ad un apprezzamento di carattere assiologico ovvero teleologico la cui sussistenza, aggiungendosi ai tradizionali requisiti del fatto (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza), rende la condotta bisognosa oltreché meritevole di pena da quanti, invece, ravvisano nella punibilità il quarto elemento del reato, dotato di una propria autonomia strutturale
191 Lo ius puniendi è stato oggetto di studio non solo della disciplina giuridica, ponendosi al centro
anche di interessanti elaborazioni in settori culturali diversi da quello giuridico: in particolare, l’idea che un illecito non possa restare impunito e meriti il giusto castigo si rinviene già nelle remote concezioni etico- religiose, in cui tra i sinonimi dell’espressione pena si può sicuramente annoverare la vendetta. Questa è la concezione che si desume da opere letterarie “pagane”, quali la Triade dell’Orestea di Eschilo, in cui Oreste viene perseguitato dalle Erinni sino a che non abbia compiuto la “vendetta” contro il padre Agamennone o anche dall’immaginario religioso del “Giudizio Universale” – a cui di necessità ciascuno sarà soggetto. Sul tema F. OST, Mosè, Eschilo, Sofocle. All’origine dell’immaginario giuridico, Bologna, 2007, p. 129. Depurata da ogni implicazione di carattere religioso è la visione della pena nell’età dei lumi in cui, anche sotto l’influenza della teoria contrattualistica, si configura la violazione della legge come “inadempimento” di un contratto la cui conseguenza è la privazione della libertà che, tra tutte, è la più preziosa: quella personale. Facendo un ampio salto cronologico si arriva alla concezione, elaborata dalla dottrina tedesca, di un “diritto di punire” configurato quale autentico diritto soggettivo all’obbedienza preteso dallo Stato, a cui fa da pendant l’obbligo del cittadino autore della violazione ad assoggettarsi alla pena prevista; così K. BINDING, op. cit., p. 230 ss. Sempre nell’ottica del diritto soggettivo (recte: diritto assoluto) viene ricostruito lo ius puniendi per la dottrina italiana che però, a differenza di quella tedesca, avverte l’esigenza di non configurare il diritto all’obbedienza come comando puro e astratto dalla funzione effettiva di tutela, conferisce ad esso maggiore consistenza agganciandolo agli interessi concreti da difendere per garantire l’esistenza dello Stato. Significativo risulta quanto affermato da A. MORO, La subiettivazione della norma penale, Bari, 1942, p. 88. Secondo quest’ultimo «il diritto all’obbedienza non è già, come vorrebbe K. BINDING, un diritto privo esso stesso di un contenuto sostanziale, ma, come ogni altro diritto, ha per base materiale un interesse». Da qui ha inizio quella lunga tradizione giuridica che vede l’indissolubilità tra reato e pena. Più di recente cfr. A. PAGLIARO, Profili dogmatici delle cause estintive di reato, in Riv. it. dir. pen. proc., 1967, p. 472: la punibilità rappresenta il «dover essere della pena dopo la commissione del reato».
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in quanto traduzione di motivi di opportunità cui l’ordinamento subordina l’irrogazione della sanzione192.
La seconda elaborazione, sostenuta con particolare vigore dalla dottrina moderna, segna la rottura con la concezione formalistica dell’illecito penale e si fonda sulla consapevolezza dei “nuovi” fini del diritto penale, primo dei quali il finalismo rieducativo della sanzione, sancito dal comma terzo dell’art. 27 Cost.193. In accordo
al citato orientamento, ad ogni fattispecie di reato sono sottesi una molteplicità d’interessi, taluni in grado di fondare quel giudizio di (il)liceità rispetto all’intero ordinamento comunemente definito come antigiuridicità, altri semplicemente idonei a paralizzare l’efficacia della sanzione, genericamente qualificati come cause di non punibilità194.
Evidentemente, ambo le soluzioni prospettate sono accomunate dalla necessità di far soggiacere la sanzione al rigoroso vaglio del principio di legalità, ma soprattutto di sottrarne l’applicazione all’arbitrio del legislatore per ricondurla a rigorose e razionali esigenze di politica criminale195. Tuttavia, rilevanti sul piano pratico si
192 Per una disamina delle molteplici ricostruzioni della punibilità v. G. COCCO, La punibilità
quarto elemento del reato, in G. Cocco, Punibilità e pene, Padova, 2009, p. 106 ss., G. FIANDACA, Concezione e modelli di diritto penale tra legislazione, prassi giudiziaria e dottrina, in A. Pepino (a cura di), La riforma del diritto penale, Milano, 1993, p. 22 ss.; M. DONINI, voce Teoria del reato, in Dig. disc. pen., XIV, Torino, 1999, p. 420, D. PULITANÒ, La non punibilità di fronte alla Corte costituzionale, in Foro it., 1983, p. 1811 ss.; D. FONDAROLI, Illecito penale e riparazione del danno, Milano, 1999, p. 438., L. STORTONI, Premesse ad uno studio sulla ‘punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 399 ss., M. ROMANO, Meritevolezza di pena, cit., p. 46.
193 L’art. 27 Cost. rappresenta la norma cardine in materia di personalità della responsabilità penale,
come si avrà modo di approfondire nel prosieguo della trattazione: cfr. §.4 di questo capitolo.
194 Su natura, fondamento giustificativo e differenze tra cause di giustificazione, cause di esclusione
della colpevolezza e di non punibilità in senso stretto cfr.: D. PULITANÓ, Corso cit., p. 221 ss., M. ROMANO, Teoria del reato, punibilità, soglie di offensività (e cause di esclusione del tipo), in DOLCINI, PALIERO (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, p. 1721 ss., M. ROMANO, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 55 ss.; F. PALAZZO, Corso cit., p. 115 ss., G. de VERO, Corso, cit., p. 234 ss.
195 Il principio di legalità, nelle sue diverse articolazioni, oltre a permeare il precetto penale, connota
le diverse fasi del ciclo della pena: quella dell’astratta previsione (comminatoria), della concreta applicazione (commisurazione) e della sua esecuzione. Come sostenuto dalla Corte Costituzionale il principio in esame conferisce forma ad un sistema orientato all’adeguamento delle risposte sanzionatorie ai casi concreti per rendere più possibile personale la responsabilità. Ciò da un lato si traduce nella necessità che i consociati, potenziali destinatari del precetto, abbiano effettiva
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rivelano le ricadute dell’adesione all’una ovvero all’altra elaborazione, tanto più che l’eventuale sospensione della conseguenza sanzionatoria nel primo caso impedisce l’integrazione del reato, mentre nella seconda eventualità lascia impregiudicata la sussistenza di quella soglia di disvalore che connota l’illecito penale.
Accedendo alla tesi per cui il reato costituisce la somma di ciò che la norma penale prescrive - fatto tipico e sanzione penale - esso potrà dirsi integrato solo se alla condotta offensiva segue l’irrogazione della pena196. Applicando tale ragionamento
alle fattispecie sottoposte a condizione di punibilità si avrà che, nella fase di pendenza della condizione, essendosi in presenza di una situazione che l’ordinamento giuridico prende in considerazione ma che è ancora priva di efficacia difficilmente potrà ritenere perfezionato il nucleo di elementi cui deve attribuirsi la
consapevolezza di esso e delle conseguenze che derivano dalla sua violazione, acquisendo così piena consapevolezza del disvalore delle condotte poste in essere; dall’altro, a tal fine risulta indispensabile che, già a monte, il divario tra minimo e massimo edittale fissato dal legislatore non superi l’elasticità necessaria a consentire al giudice di personalizzare la sanzione, rendendola aderente alle concrete circostanze di fatto. L’esigenza che il principio di legalità permei la sanzione viene avvertita, seppur con delle peculiarità, nel diritto sovranazionale, laddove la Corte EDU ha fatto espresso riferimento ai principi di accessibilità e prevedibilità del precetto. Per un’approfondita trattazione dei criteri appena enunciati cfr. F. VIGANÓ, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in Riv. trim. dir. pen. cont. 2017, p. 7 ss. Per la ricostruzione del principio di legalità della pena in ambito nazionale, cfr. D. PULITANÓ, Diritto penale, cit. p. 165 ss.; F. C. PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Milano, 1979, p. 10 ss., E. DOLCINI, La commisurazione della pena. La pena detentiva, Padova, 1979, pp. 383 ss., T. PADOVANI, L' Utopia punitiva. Il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Milano, 1981, p. 5 ss. Per la giurisprudenza, cfr. Corte cost., sent. 24 giugno 1992, n. 299, in Giur. cost., 1992, 4206 ss., con osservazioni di C.F. GROSSO, Illegittimita` delle pene eccessivamente discrezionali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992, 1474 ss.; Corte cost. sent. 14 aprile 1980 n. 50, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 178; e Corte cost., sent. 10 ottobre 2012, n. 252, in www.cortecostituzionale.it.
196 Cfr. P. CURATOLA, op. cit., p. 809. L’A. afferma che anche gli elementi che accedono al
precetto secondario, proprio perché concorrono a costituire il modello del reato, partecipano all’essenza di questo. Tuttavia, in modo contraddittorio si prosegue affermando che «se [tali elementi] ne condizionano la punibilità, operano, allorché si realizzino, in modo da non incidere sull’antigiuridicità del fatto, che resta giuridicamente illecito perché in antitesi al precetto primario, ma non penalmente antigiuridico».
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qualifica di reato, che verrà ad esistenza solo contestualmente alla verificazione dell’evento condizionale197.
Malgrado l’autorevolezza della tesi, non può tuttavia celarsi che, in tal modo ragionando, si rischia di compiere un’ingiustificata eterogenesi dei fini, apprezzabile sul piano della tecnica di costruzione normativa del reato, per cui il reato da prius viene ridotto ad un semplice posterius rispetto alla sanzione198. Tanto più che, già sul piano della logica normativa, la selezione delle condotte meritevoli di incriminazione rappresenta certamente il frutto di una scelta del legislatore rispondente a ragioni di ordine anzitutto assiologico, relative alla diversa entità e gravità della lesione cagionata dalla condotta, e soggetta al rigoroso vaglio dell’osservanza di chiari e rigorosi principi, anche di rango costituzionale, primo fra i quali quello di offensività199.
197 Così si esprimono F. RAMACCI, op. cit., p. 146 e M. GALLO, Il concetto unitario di
colpevolezza, Milano, 1951, p. 29. Entrambi gli Autori rifiutano il rapporto di sinonimia tra reato e fatto punibile, affermando l’inaccettabilità della soluzione che sostiene che «la qualifica di reato non può dunque adattarsi ad una situazione che sia ancora priva di efficacia, sicché le circostanze che condizionano la conseguenza giuridica debbono necessariamente essere pertinenti al reato. […]. Tale soluzione implica tuttavia l’accettazione di un corollario che desta non poche perplessità. È chiaro infatti che, secondo quest’ordine di idee, si finisce per porre sullo stesso piano, nel processo di qualificazione giuridica, causa e condizione, fatto e condizione di punibilità, equiparando al livello concettuale due categorie sostanzialmente diverse, ognuna delle quali riflette finalità ed interessi diversi». In ultimo, osserva F. RAMACCI, ivi, «se al termine fatto viene dato il significato di comprendere tutti gli elementi soggettivi e oggettivi, positivi e negativi, siano essi contemplati dalla norma particolare della fattispecie o da altre norme di categoria generale, che senso ha aggiungervi l’aggettivo punibile? Come si vede l’unica possibilità di far salva l’equazione proposta consiste dunque nel ritenere che la punibilità rappresenti un elemento estraneo alla fattispecie penale».
198 Una delle questioni più controverse cui la dottrina penalistica ha cercato di dare soluzione è stata
quella relativa alla qualificazione del reato e alla sua differenziazione rispetto alle altre tipologie di illecito, fra cui l’illecito amministrativo. Dal momento che la peculiarità della pena consiste nella potenziale incidenza sulla libertà personale, limitandola, occorre riflettere su quale sia la peculiarità che renda il reato meritevole dell’irrogazione di una conseguenza punitiva così invasiva in luogo della semplice sanzione amministrativa, per definizione più tenue (discorso analogo può farsi anche in relazione all’illecito civile). Aderendo all’orientamento più recente, che sancisce l’autonomia tra precetto e sanzione, si potrebbe affermare che la differenza “qualitativa” della sanzione è conseguenza della differenza “qualitativa” dell’offesa realizzata con l’illecito: così ragionando non è la sanzione a condizionare il reato, ma il reato a condizionare la sanzione.
199 In questa prospettiva assiologica si comprendono e si inquadrano le scelte legislative compiute
nel corso degli anni dal legislatore: paradigmatico, anche in relazione al fenomeno condizionale, è stata la depenalizzazione dell’illecito di ubriachezza realizzata dall’art. 54 d. lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, chiaro specchio del mutamento di valori nella società civile.
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Alla luce delle molteplici posizioni dottrinali sorte, per chiarire il rapporto logico- cronologico intercorrente tra pena e reato potrebbe risultare utile fornire una definizione di quest’ultimo anzitutto alla luce delle previsioni costituzionali e dei principi fondanti il diritto penale che trovano in esse consacrazione, cercando di elaborare una ricostruzione unitaria che possa ritenersi soddisfacente sia accedendo alla teoria bipartita, tripartita ovvero quadripartita dell’illecito200.
Invero, prescindendo dalla specifica adesione all’una piuttosto che all’altra teorizzazione, si è soliti definire il reato come un fatto dotato di una carica di offensività apprezzabile nella dimensione esterna e materiale dal momento che, in accordo ad un risalente adagio, cogitationis poena nemo patitur, e soprattutto riconducibile oggettivamente e soggettivamente all’agente, secondo il paradigma della colpevolezza201. Già da questa definizione minima possono cogliersi i
200 Si allude alle differenti costruzioni elaborate dalla dottrina nel tentativo di dare sistematica al
reato; ad essere elaborata per prima è stata la teoria bipartita che s’impernia sulla coppia elemento oggettivo (identificabile nella condotta dell’agente tipizzata dal legislatore nella fattispecie) ed elemento soggettivo (quale requisito psicologico d’imputazione del fatto). A questo modello “elementare” di costruzione ben presto si sostituì una concezione tripartita, probabilmente la più diffusa in dottrina, che, accanto alla tipicità richiede la sussistenza di altri due profili: l’antigiuridicità e la colpevolezza (su cui, nel corso della trattazione, bisognerà soffermarsi per via delle interazioni