CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO
2. L’estensione della categoria condizionale: condizioni intrinseche ed
2.1. Segue: Le condizioni intrinseche e le condizioni di esistenza del reato
Nella relazione di accompagnamento al codice Rocco, all’art. 47, norma recante la primigenia disciplina delle condizioni di punibilità, si legge che «l'espresso riferimento alla distinzione, condizione di esistenza – condizione di punibilità, che nella dottrina del reato condizionale è oggetto tuttora di dibattito, appare inutile, dopo che il Progetto, nella formula della non punibilità, ha inteso di far rientrare, fra le altre ipotesi, anche l'esclusione del reato».
Sebbene il legislatore del tempo non abbia fornito alcuna specifica definizione, si può facilmente, sulla scorta delle nozioni di teoria generale, cogliere la diversità di funzione tra le due categorie: la prima attiene alla dimensione ontologica del reato, connotandolo sia sotto il profilo strutturale, della tipicità, sia sotto il profilo valoriale-assiologico, dell’offensività, tanto che l’eventuale assenza impedirebbe l’integrazione dello stesso. La seconda categoria, invece, afferendo al piano dell’efficacia dell’illecito ed implicando la sussistenza degli elementi costitutivi, condiziona solo il concreto esercizio del magistero punitivo, lasciando impregiudicata la sussistenza del fatto tipico.
Ed in effetti, sebbene sul piano pratico la mancanza dell’uno o dell’altro elemento di esistenza o di punibilità si traduce in un’impossibilità di irrogare la sanzione penale, dal punto di vista sostanziale oggi l’insussistenza del reato per mancanza di una condizione di esistenza non risulta sovrapponibile a quella per mancanza della
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condizione di punibilità, soprattutto alla luce delle nuove prescrizioni del codice di procedura penale.
Le principali conseguenze si rinvengono sul diverso titolo con cui viene pronunciata l’assoluzione nell’uno e nell’altro caso, nonché sul piano dell’efficacia risarcitoria ovvero della riproponibilità dell’azione penale in conseguenza della pronuncia. Per comprendere la rilevanza pratica della distinzione, può essere utile, anticipando un tema che verrà affrontato successivamente, far riferimento alla natura delle soglie di punibilità previste nei reati tributari ed agli effetti che il mutamento di detti valori produce sulla struttura dell’illecito.
Di recente, la giurisprudenza ha risolto un contrasto interpretativo sorto in ordine alla formula di assoluzione in caso di mutamento quantitativo delle soglie di punibilità, fenomeno riconducibile alla successione di leggi nel tempo ex art. 2 c.p. La sorte del reato in caso di innalzamento delle soglie di punibilità varia a seconda della natura attribuita alle stesse: se di elemento costitutivo ovvero condizione di punibilità.
Secondo l'orientamento maggioritario, seguito tanto dalla giurisprudenza di merito che di legittimità, la soglia di punibilità rappresenta un elemento costitutivo, atteggiandosi ad elemento fattuale che contribuisce a definire il disvalore della fattispecie e che deve pertanto essere coperto da dolo. Un suo mutamento quantitativo comporta l’alterazione della stessa fisionomia della fattispecie penale astratta, tanto da integrare gli estremi di un’abolitio criminis parziale, fenomeno soggetto alla disciplina dettata dall'art. 2, comma 2 c.p., in base alla quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato.
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Tale ricostruzione si riflette sulla scelta della formula assolutoria che il giudice dovrebbe adottare nel caso di assoluzione per intervenuto mutamento della soglia quantitativa: perché "il fatto non sussiste", stante la mancata integrazione di un elemento oggettivo costitutivo del reato, il superamento del limite181. Il ricorso a detta formula, in luogo anche del “fatto non è previsto come reato” rappresenta la soluzione più favorevole per l’imputato dal momento che esclude ogni possibile rilevanza anche in sede diversa da quella penale. Ai sensi dell’art. 652 c.p.p., la sentenza di assoluzione produce effetti nel giudizio civile limitatamente all’accertamento che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di un diritto.
A conclusioni opposte si perverrebbe accedendo ad una ricostruzione delle soglie di punibilità come condizioni di punibilità, soluzione affermata dalla giurisprudenza risalente182. In tal caso, l’eventuale modifica del valore limite lascerebbe intatta la sussistenza del fatto, paralizzando l’irrogazione della
181 Pur accomunati dal medesimo assunto della qualificazione delle soglie come elementi costitutivi,
occorre individuare due diversi orientamenti: l’uno che individua ne "non sussiste la formula assolutoria più corretta in caso di modifica del valore soglia, l’altro che, invece, ritiene più appropriata “il fatto non è previsto dalla legge come reato”. Quest’ultima rappresenta il “titolo” assolutorio tradizionalmente utilizzato in caso di abolitio criminis, così come nel caso di difetto di una norma incriminatrice, di dichiarazione di illegittimità costituzionale o di entrata in vigore della norma in epoca successiva al fatto. Di recente la soluzione opposta a quella da ultimo riportata è stata affermata da due sentenze della Cassazione le quali - richiamando sul punto il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite Orlando del 2011, sostengono che la formula "il fatto non è previsto come reato" si applichi ai casi di fattispecie astratta mai esistita, abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima, mentre dovrebbe essere adottata la formula " il fatto non sussiste" ogniqualvolta risulti mancante un elemento costitutivo del reato di natura oggettiva. In questo senso v. Cass. 25.01.2016 n. 3098 e Cass. 16.06.2016 n. 35611. Contra, Cass. 15.02.2016, n. 28934.
182 In relazione al reato di cui all'art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che punisce il datore
di lavoro che omette registrazioni o denunce obbligatorie o esegue denunzie false al fine di evadere i contributi previdenziali, la giurisprudenza ha affermato che il se dal fatto deriva una evasione mensile non inferiore a cinque milioni di lire, costituisce una condizione oggettiva di punibilità, atteso che inerisce ad un limite quantitativo dell'evento. Cfr. Cass., sent. del 10 ottobre 2003 n. 15164. Evidenti le ripercussioni di tale ricostruzione: l’eventuale modifica del limite quantitativo avrebbe comportato l’adozione della formula assolutoria «perché il reato è stato commesso da persona non punibile per altra ragione».
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sanzione, di modo che l’imputato non risulterebbe punibile per altra causa, ravvisabile, appunto, nel mancato avveramento dell’evento condizionale.
Parimenti, il divario tra l’area dell’esistenza del reato e quella della mera punibilità si è accentuato con la recente introduzione nell’impianto codicistico dell’art. 131- bis c.p.
Detta disposizione prevede una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, che presuppone la sussistenza di un reato, integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, ritenuto non meritevole di sanzione in considerazione della esiguità del pregiudizio arrecato dalla stesso. Ferma restando l’offensività della condotta, il riferimento alla tenuità del fatto rappresenta la traduzione normativa di quei principi di proporzione e sussidiarietà che fondano la logica dell’irrogazione della sanzione penale183.
La citata disposizione ben evidenzia lo scarto esistente tra la dimensione astratta dell’esistenza del reato, considerata la presenza di tutti i requisiti di fattispecie, ed il piano concreto della punibilità, governata da motivi di opportunità che, nel caso di specie, paralizzano l’irrogazione della sanzione in presenza di offese di lieve entità, con evidenti intenti deflattivi184.
Tanto premesso, la Corte di legittimità ha ammesso l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 131-bis c.p. ai reati con soglie, affermando che la presenza di limiti
183 A favore della ricostruzione dell’art. 131-bis come causa di esclusione oggettiva della punibilità
v. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., p. 409, T. PADOVANI, Un intento deflattivo dal possibile effetto boomerang, in Guida dir., 2015, n. 15, p. 20. Nella giurisprudenza di legittimità v. Cass., sent. 8 aprile 2015, n. 15449, in Dir. pen. cont., con nota di G. L. GATTA, Note a margine di una prima sentenza della Cassazione in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
184 «Qualora la soglia di non punibilità integri una mera condizione obiettiva di punibilità ovvero,
pur essendo un elemento costitutivo del reato, non afferisca comunque direttamene all'offesa, sembra doversi escludere qualsiasi tipo di incompatibilità all'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. Quando, invece, esse si configurino come 'soglie espresse di offensività sembra altrettanto ragionevole ipotizzare maggiori difficoltà»: così G. L. GATTA, Non punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee-guida della Procura di Lanciano, in dir. pen. cont., 2015, p. 28 ss.
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quantitativi espressi di rilevanza dell’illecito non osta ad un’ulteriore valutazione del caso concreto, che tenga conto degli indici delle modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo espressamente previsti dal citato articolo. Malgrado le molteplici perplessità avanzate dalla dottrina, la soluzione cui è pervenuta la giurisprudenza, a prescindere dalla natura attribuita alle soglie, dimostra l’inattualità dell’assunto di partenza - contenuto nella relazione di accompagnamento al codice - circa la riconducibilità allo stesso alveo della non punibilità delle categorie delle condizioni di esistenza e di quelle di punibilità. Del resto, la diversità ontologica tra le due tipologie, sebbene formalmente inesistente, non è di certo sfuggita agli interpreti, che ne hanno riaffermato l’esistenza ricorrendo alla bipartizione tra condizioni estrinseche ed intrinseche, rappresentando queste ultime un’eco delle condizioni di esistenza del reato. In accordo alla dottrina dominante dell’epoca, in esse si sarebbero dovute ricondurre «tutte le circostanze (non in senso tecnico) di tempo, di luogo, di attività ecc., note o ignote all’agente in assenza delle quali non si produce la lesione o il pericolo di lesione del bene che la legge protegge con la norma che ipotizza un particolare reato»185. Pur mutando denominazione, le condizioni intrinseche finiscono per mutuare il descritto regime delle condizioni di esistenza. Ed in effetti, esse, come più volte sottolineato, tracciano la fisionomia dell’illecito, completandone il disvalore e risultano, pertanto, assimilabili agli elementi costitutivi del reato: vero è che la loro assenza ostacola l’irrogazione della sanzione, ma ciò avviene come conseguenza indiretta, dal momento che, ancor prima della punibilità, ad essere impedita è la configurazione, strutturale e valoriale, stessa del reato.
185 Così M. PUNZO, Il delitto di bancarotta, Torino, 1953, p. 87 ss. L’A. riconduce a detta categoria,
oltre alla dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta, anche “il tempo di guerra” nelle ipotesi di cui agli artt. 247, 248 e 249 c.p. o il “luogo pubblico” nell’art. 527 c.p.
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Considerata la funzione delle condizioni intrinseche, dunque la loro sovrapponibilità rispetto agli elementi “esistenziali” del reato, l’ulteriore corollario si rinviene nella indubbia necessità che le stesse vengano governate dalle regole dell’imputazione colpevole, secondo quanto imposto dalle teorie sulla colpevolezza e in linea con quanto sostenuto dalla prevalente dottrina.
A conferma di quanto detto basta considerare che la più nota condizione di esistenza, condizione intrinseca secondo la denominazione attuale, veniva ravvisata, almeno fino alla recente pronuncia della Corte di Cassazione, nella declaratoria di fallimento nei reati di bancarotta. Stando all’orientamento maggioritario, con l’accertamento del fallimento in quanto atteneva strettamente all’integrazione giuridica della fattispecie, trasformando in attività trasgressiva del precetto penale atti che, altrimenti, risulterebbero irrilevanti per il diritto penale186. Altro discorso va fatto per le condizioni estrinseche, il cui statuto va costruito in negativo rispetto a quello delle condizioni di esistenza, in considerazione della diversa essenza e della diversa relazione con la punibilità. Esse presuppongono un reato già completo nelle sue componenti strutturale e di disvalore ed intervengono come mero filtro selettivo della pena, traducendo in norma quei motivi di politica criminale che il legislatore pone a fondamento della più generale categoria delle cause di esclusione della pena, che oggi trovano nuova linfa, come dimostra il recente inserimento nel corpo codicistico dell’art. 131-bis, ormai pacificamente qualificato come una causa di non punibilità in senso stretto.
186 Una compiuta disamina delle diverse posizioni dottrinali emerse sul tema può leggersi in AA.
VV., Società e fallimento, in Leggi complementari (a cura di T. Padovani), 2007, Torino, p. 1888 ss. Si tornerà sul tema nel successivo capitolo, in cui si evidenzieranno le incongruenze della dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo.
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Dimostrata la diversità di fondamento e regime, si tratterà di verificare la coesistenza della doppia categoria delle condizioni di punibilità nell’attuale sistema penale.