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Condizioni di punibilità, dolo specifico e pericolo

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 98-104)

CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO

3. I criteri diagnostici delle c.o.p.: il criterio letterale

3.2. Condizioni di punibilità, dolo specifico e pericolo

Guardando con attenzione alle fattispecie di reato richiamato nelle pagine precedenti, potrebbe risultare utile evidenziare la relazione spesso ricorrente tra condizioni di punibilità, dolo specifico e paradigma di pericolo, emersa proprio

135 In dottrina non mancano le voci di Autori che affermano l’esigenza di una revisione critica della

criminalizzazione dell’incesto, in considerazione dell’evoluzione sociale e culturale dell’odierna società. Per tutti, cfr. P. VIOLANTE, Condizioni di punibilità, cit., p. 588. L’A. rileva come «né sembra ai giorni nostri poter lo scandalo assumere rilevanza tale da divenire di per sé motivo di tutela penale», proponendo il mantenimento della tutela penale esclusivamente per le ipotesi di incesto che coinvolgono i minori ed auspicando quindi la creazione di nuove fattispecie aventi ad oggetto la congiunzione carnale in caso di rapporti sessuali tra ascendente e il minore. Un simile orientamento apprezzabile nelle premesse per via del disagio mostrato nel far dipendere la valutazione di illiceità di una condotta dal un elemento aleatorio quale lo scandalo, finisce per scontrarsi con la posizione mostrata dalla giurisprudenza interna ed internazionale. Recentissima è la pronuncia in cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si esprime nel senso della compatibilità della sanzione penale dell’incesto con l’art. 8 CEDU, pur precisando che una simile tutela possa essere «…giustificata da molteplici finalità specifiche, tra cui la salvaguardia della famiglia, l’autodeterminazione e la salute pubblica». Viene così fornita un’interpretazione “autentica” del bene giuridico da tutelare: certamente non la buona reputazione della famiglia ma, un interesse all’integrità al patrimonio di valori (l’ordine familiare, la libertà sessuale e l’integrità genetica, per dell’eventuale prole nata da tale relazione) su cui la turbatio sanguinis avrebbe sicure ricadute. Guardando all’assetto normativo interno, pur mantenendo in vita la sanzione penale, il legislatore probabilmente potrebbe decidere di attivarsi conformando la disposizione dell’art. 564 c.p. ai canoni ermeneutici sanciti a livello internazionale per offrire una lettura “ragionevole” della norma in esame. Cfr. Corte E.D.U., sent. 12 aprile 2012, ric. n. 43574/08.

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dall’analisi grammaticale e strutturale delle fattispecie condizionali136.

Raffrontando le ipotesi descritte dagli artt. 424 c.p., 434 c.p., 641 c.p. e 388 c.p. è possibile notare che gli eventi condizionali si accompagnano alla presenza dello schema del pericolo, astratto o concreto, e del dolo specifico. Si tratta di tre istituti profondamente differenti per collocazione nella fattispecie e per compatibilità con il complesso sistema del diritto penale.

Il paradigma del pericolo, tradizionalmente contrapposto al danno, non richiede l’effettiva lesione del bene giuridico tutelato dalla norma, dal momento che l’idoneità offensiva della condotta e, di conseguenza, la meritevolezza della pena si attestano su un livello anticipato, quello della semplice esposizione a pericolo appunto. Di contro, tra le specie di dolo, quello specifico rappresenta una proiezione finalistica del soggetto e, pur essendo di natura soggettiva, rientra tra gli elementi costitutivi dell’illecito, senza che però risulti necessaria la concretizzazione del proposito criminoso.

Sebbene molto differenti ontologicamente, le fattispecie di pericolo, di frequente, recano la presenza di elementi apparentemente condizionali: basti pensare al pericolo dell’incendio nell’art. 424 c.p., al pericolo per la pubblica incolumità

136 Dalla teoria generale risulta che il nostro legislatore, accanto ai reati di danno, i quali implicano

l’effettiva lesione del bene giuridico, in linea con i crismi dell’ordinamento penale (primi fra tutti i principi di offensività e materialità), ha poi previsto talune fattispecie di pericolo, fondate su un’anticipazione di tutela. Tipico esempio di detta categoria è l’art. 424 c.p., che, in accordo alle prevalenti ricostruzione, contiene l’elemento condizionale. Dall’esame di tale norma si avverte l’impressione che con l’impiego delle condizioni di punibilità il legislatore abbia tentato di recuperare pregnanza oggettiva a fattispecie connotate dal paradigma del pericolo ovvero dalla presenza del dolo specifico. Innanzi ad una simile prospettiva occorre sottolineare non tanto il rischio di una «truffa delle etichette», quanto piuttosto un utilizzo delle condizioni di punibilità in funzione del canone dell’offensività. In tal senso potrebbe leggersi l’intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza del 17 luglio 2002, n. 354, ha dichiarato illegittimo il comma secondo dell’art. 688 c.p., perché integrante un’ipotesi inaccettabile di reato d’autore, nonché la previa opera di depenalizzazione condotta dal legislatore in relazione allo stesso art. 688 c.p., ormai punito con sanzione amministrativa. Dubbi altrettanto consistenti si rilevano da parte della dottrina circa la condotta descritta dall’art. 720 c.p., in relazione al quale si evince l’importanza del criterio assiologico nella comprensione delle condizioni di punibilità e la loro posizione rispetto al disvalore della condotta. E. DOLCINI, Corso di diritto penale, Milano, 2001, p. 657

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nell’art. 434 c.p., e al mancato adempimento del provvedimento del giudice o dell’obbligazione contratta rispettivamente negli artt. 388 c.p. e 641 c.p.

Vero è che l’anticipazione della tutela richiesta dalla costruzione in chiave di pericolo, non dovendosi attendere l’effettiva lesione del bene giuridico, e la previsione di una spiccata connotazione soggettiva, tipica del dolo specifico, comportino la necessità di recuperare un più saldo ancoraggio sul piano oggettivo137. Ma, dalla lettura delle citate norme, sembrerebbe che tale per compensare il deficit di oggettività di dette fattispecie, non completamente offensive o fondate sulla semplice caratterizzazione soggettiva, il legislatore abbia deciso di introdurvi elementi obiettivi e dall’incerta natura. Controverso è se gli eventi sopra citati si atteggiano a mere condizioni di punibilità, posticipando il momento dell’irrogazione della pena o se, invece, essi partecipino al disvalore della fattispecie, atteggiandosi ad elementi costitutivi dell’illecito. L’adesione all’una o all’altra opzione ermeneutica presenta non poche ripercussioni non solo circa il regime di operatività e la compatibilità con i principi penali di rilievo costituzionale, come più volte evidenziato, ma, a sua volta, consente di delineare l’essenza del fenomeno condizionale ed i suoi rapporti rispetto al disvalore della fattispecie. Occorre riflettere sulla possibilità logica ed ontologica di ravvisare una componente offensiva nelle condizioni di punibilità.

Sebbene la qualificazione giuridica dell’istituto sembri incoraggiare la soluzione della totale estraneità delle condizioni al disvalore del reato, la creazione dell’ampia categoria delle condizioni intrinseche condurrebbe ad esiti diversi. Eppure non

137 L. PICOTTI, Il dolo specifico: un'indagine sugli 'elementi finalistici' delle fattispecie penali,

Milano, 1993; G. MUSOTTO, Il problema del dolo specifico, in Studi in onore di F. Antolisei, Milano, 1993, p. 361 ss.; G. de VERO, Corso di diritto penale, cit., p. 496 ss.; ID., Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 93 ss.; M. DONINI, teoria del reato, in Dig. disc. pen., Milano, 1999, p. 264 ss; M. GELARDI, Il dolo specifico, Padova, 1996, p. 259 ss.

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possono celarsi le perplessità generate da questa conclusione, specialmente se si considerano il dettato dell’art. 44 c.p., l’assenza di specificazione del regime causale ed il difficile rapporto con i canoni dell’offensività e della colpevolezza. Andando a guardare le singole ipotesi di reato, in particolare l’art. 388 c.p. e l’art. 434 c.p., nella fattispecie di mancata esecuzione del provvedimento del giudice appare ben delineata la distinzione tra il piano del precetto e quello della punibilità, il primo relativo agli elementi costitutivi, il secondo inerente le condizioni di punibilità. Appartiene al primo la descrizione dei connotati fondamentali della condotta, ravvisabili nella presenza del dolo specifico del mancato adempimento, e nel compimento di atti connotati negativamente per via del loro carattere fraudolento ed artificioso. In presenza di tali requisiti, che garantiscono offensività e riferibilità soggettiva all’agente, risulta più semplice comprendere la natura condizionale assunta dalla mancata ottemperanza dell’ingiunzione del giudice. Quest’ultimo, innestandosi in un contesto ben tipizzato e fortemente offensivo, sembrerebbe maggiormente attinente al piano della punibilità, introducendo un elemento ulteriore da cui far dipendere l’innesco del meccanismo punitivo.

Ad esiti diversi condurrebbe l’analisi della fattispecie di cui all’art. 434 c.p., che presenta profili di complessità legati all’esatta portata della fattispecie ed in particolare dell’espressione «se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità». Solitamente il dibattito oscilla tra la ricostruzione in termini di evento del reato ovvero condizione obiettiva di punibilità intrinseca. Per quanto ispirate a ragioni di garanzia, attesa la necessaria conformità al principio di colpevolezza, nessuna delle soluzioni indicate pare pienamente soddisfacente: alla ricostruzione in termini di evento sembrano ostare anzitutto l’espressione impersonale adottata dal legislatore, nonché la nozione stessa di disastro, che prevede come componente

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necessaria la proiezione teleologica del pericolo nei confronti della collettività. Il riferimento esplicito al pericolo pare atteggiarsi a coordinata ermeneutica che, in fase di accertamento, consente di selezionare gli “atti diretti” effettivamente rilevanti ai fini dell’integrazione del reato. In qualità di filtro delle condotte l’espressione “se dal fatto” favorisce l’assimilazione al funzionamento della condizione di punibilità intrinseca dal momento che, lasciando da parte i dubbi sulla stessa configurabilità della categoria in sé, l’arretramento di tutela previsto dal primo comma dell’art. 434 c.p. che non sia accompagnato da una potenzialità lesiva risulterebbe non meritevole di sanzione, ancor prima che non bisognoso di pena. Ad essere precisi, data l’afferenza al piano del disvalore complessivo della fattispecie, si ha quasi l’impressione che la formula impiegata nei reati contro l’incolumità pubblica recuperi la vecchia categoria delle condizioni di esistenza del reato, che, a differenza delle condizioni di punibilità, non intervengono semplicemente ad attualizzare la risposta punitiva, ma attengono direttamente ai rapporti tra tipicità ed offensività, escludendo tutte quelle condotte che non risultino idonee neppure a scalfire il bene giuridico oggetto di tutela138.

Ad esiti differenti si giungerebbe applicando tale ragionamento alla fattispecie di cui all’art. 641 c.p., in cui risulta problematica la qualificazione del mancato adempimento dell’obbligazione contratta con il proposito di non assolvervi. Il tenore letterale della disposizione, interamente incentrato sulla dissimulazione del

138 Ravvisare nel pericolo per la pubblica incolumità l’evento di pericolo dell’art. 434 c.p. si

giungerebbe a notevoli paradossi: si imporrebbe la verifica della volontà e coscienza del pericolo per la pubblica incolumità, verifica non richiesta nella meno frequente ipotesi del secondo comma, per cui risulta sufficiente la coscienza e la volontà del crollo o disastro in sé. Strutturalmente, il disastro si configura come un elemento normativo a doppio parametro, in quanto fondato su di un referente materiale (evento di danno: modificazione materiale di cose) e su di una proiezione teleologica (pericolo per la vita, l'incolumità fisica o la salute di una pluralità indeterminata di persone): Così A. GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica, in Trattato di diritto penale (a cura di C. F. Grosso – T. Padovani – A. Pagliaro), Milano, 2008, p. 469 ss.

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proprio stato di insolvenza e sul proposito dell’inadempimento, incoraggerebbe una qualificazione in termini di condizione obiettiva di punibilità; occorre verificare che detta soluzione trovi conferma sulla scorta delle considerazioni di ordine sistematico e valoriale. Malgrado la presenza della formula “è punibile qualora”, per espressa previsione normativa il mancato adempimento dell’obbligazione risulta eziologicamente riconducibile alla condotta decettiva dell’agente, al pari di quanto avviene per gli eventi del reato139. Malgrado ciò, la riconduzione alla categoria degli elementi essenziali desta non poche perplessità, come dimostra anzitutto il rilievo sistematico contenuto del secondo comma dello stesso articolo 641 c.p. Quest’ultimo prevede la possibilità per l’agente di adempiere anche tardivamente l’obbligazione, purché avvenga prima della condanna; sebbene la norma faccia esplicito riferimento all’estinzione del reato, si ritiene che tale previsione rappresenti la rinuncia alla pretesa punitiva per motivi di opportunità di politica criminale140. Stessi motivi di opportunità che potrebbero aver indotto il legislatore a ritardare la punibilità, subordinandola al verificarsi della condizione obiettiva negativa dell’inadempimento. Anche dal punto di vista assiologico risulta poco convincente la tesi di chi ritiene il mancato pagamento dell’obbligazione

139 P. VENEZIANI, Spunti per una teoria cit., p. 50 ss.

140 La fattispecie di insolvenza fraudolenta continua a destare molteplici perplessità, sia in relazione

alla utilità del suo mantenimento nell’attuale sistema di tutela penale, sia in relazione alla struttura.

In accordo ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il momento fondamentale del delitto di insolvenza fraudolenta va ravvisato nella dissimulazione dello stato di insolvenza, che deve sussistere nel momento in cui l’agente contrae l'obbligazione. Che l’offensività risieda nel complesso di artifici posti in essere dal debitore per celare la propria condizione di insolvenza viene dimostrato dal fatto che non potrebbe dirsi integrata la fattispecie laddove l'inadempimento sia frutto di uno stato d'insolvenza, ancorché preordinato e imputabile al debitore, che sia però soltanto sopravvenuto. Così Corte Cass., sent. 9 luglio 2014, n. 30022 e sent. 17 febbraio 2015, n. 6847. Interessante risulta notare che il mancato adempimento rappresenterebbe una condizione di punibilità costruita in negativo, modello che non rappresenta un unicum all’interno dell’ordinamento, come dimostra la fattispecie di omessa bonifica ex art. 452-terdecies. Nel senso di condizione obiettiva di punibilità, seppur intrinseca, cfr. C. RUGA-RIVA, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2016, p. 223. In tema di insolvenza fraudolenta v., L. FERLA, I reati contro il patrimonio, in AA. VV. Diritto penale: Parte speciale. Volume II. Tutela penale del patrimonio (a cura di D. PULITANÓ), Torino, 2013, p. 123 ss.; G. AZZALI, voce Insolvenza fraudolenta, in Enc. dir., XXI, Milano, p. 200.

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necessario per l’esistenza del reato, per cui venendo a mancare il primo elemento, lo stesso illecito non presenterebbe alcuna ragion d’esistere. L’inadempimento, elemento normativo tratto dal diritto civile, rappresenta un concetto penalmente neutro, difficilmente idoneo a conferire disvalore alla fattispecie, traendo esso stesso il proprio disvalore dalle particolari connotazioni che qualificano dalla condotta: carattere fraudolento della dissimulazione dello stato d’insolvenza e fine di inadempimento. In tal senso dispone la stessa lettera della norma che sanziona l’insolvenza connotata da modalità fraudolente; anche a voler affermare la necessità di fornire una consistenza offensiva ad una fattispecie che, diversamente, risulterebbe costruita su un semplice contegno, pur fraudolento, e su di un proposito confinato nella sfera interiore, rischierebbe di rappresentare un’inaccettabile forzatura. L’eventuale vulnus di disvalore dell’intera fattispecie risulterebbe censurabile alla luce del principio di offensività e comunque difficilmente potrebbe predicarsi la sufficienza dell’elemento condizionale a colmare detta carenza141.

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