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La fattispecie condizionata ed il principio di offensività

Nel documento Le condizioni obiettive di punibilità (pagine 104-110)

CONDIZIONI DI PUNIBILITÀ ED ELEMENTI ESSENZIALI DEL REATO

4. La fattispecie condizionata ed il principio di offensività

Le condizioni obiettive di punibilità tradizionalmente vengono analizzate alla luce dei principi di legalità, per via della relazione con l’esercizio dell’azione penale, e di colpevolezza, per via del regime obiettivo di funzionamento142. A ben riflettere,

141 Nel paragrafo in questione si fa riferimento alle condizioni obiettive di punibilità estrinseche,

disciplinate dall’art. 44 c.p. Un diverso discorso andrebbe condotto per le c.d. condizioni intrinseche, assimilabili alla risalente categoria delle condizioni di esistenza del reato, previste originariamente nell’art. 47 del progetto preliminare del codice penale e poi soppresse, almeno formalmente. Nel capitolo terzo di tenterà la ricostruzione, storica e ontologica, delle condizioni di esistenza al fine di comprendere la loro configurabilità all’interno dell’attuale assetto codicistico ed eventualmente il loro regime. Cfr. A. ROCCO, Relazione preliminare al codice penale, sub Art. 47, cit. p. 89.

142 Nulla anticipando sulla relazione con il principio di colpevolezza, cui s’incentra il successivo

capitolo, sul principio di legalità possono risultare utili talune specificazione. Come noto, il principio di legalità, diretta esplicazione de principio di separazione dei poteri, rappresenta una garanzia fondamentale per il cittadino rispetto all’esercizio del magistero punitivo. Constando di diverse articolazioni - riserva di legge, tassatività e divieto di retroattività delle nuove incriminazioni – detto principio offre una tutela rafforzata dalle ingerenze del potere esecutivo, dagli eventuali abusi perpetrati dello stesso legislatore con le introduzioni di incriminazioni c.d. di scopo, ed in ultimo

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il fenomeno condizionale potrebbe presentare notevoli interferenze con il principio di offensività, altro caposaldo dell’attuale sistema penale. Fondamento e limite per il legislatore e per l’interprete, il principio di offensività garantisce ed impone l’ancoraggio delle norme penali alla lesione di un interesse preesistente ed esterno rispetto al piano formale della norma, conferendovi effettività e scongiurando l’emersione di un diritto penale dell’obbedienza ovvero d’autore143. Momento

centrale di una fattispecie autenticamente offensiva va ravvisato nel disvalore oggettivo d’evento che connota l’illecito, delimitandone il potenziale lesivo attraverso l’individuazione del bene giuridico e della modalità di lesione dello

dalle interpretazioni creative del potere giudiziario. Le condizioni obiettive di punibilità presentano una doppia implicazione, positiva e negativa, rispetto al principio di legalità dal momento che storicamente sono state qualificate come strumento di esplicazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Parimenti, non possono celarsi gli eventuali profili di frizione rispetto al principio di legalità nella misura in cui il legislatore non ha determinato con sufficienza i connotati del fenomeno condizionale, demandando all’interprete l’individuazione dei criteri distintivi rispetto agli elementi essenziali e, quindi, legittimando l’adozione di soluzioni interpretative di volta in volta differenti. Ne deriva che competente ad effettuare l’interpretazione di un elemento e stabilire la portata di una data incriminazione risulta il giudice e non invece il legislatore con una rilevante ripercussione sulla prevedibilità ed accessibilità del precetto. Sul principio di legalità v. AA. VV., La crisi della legalità. Il “sistema vivente delle fonti penali” (C.E. Paliero, S. Moccia, G,A. De Francesco, G. Insolera, M. Pelissero, R. Rampioni e L. Risicato a cura di), Napoli, 2016; A. FIORELLA, La legge penale e la sua applicazione: Le strutture del diritto penale, 2016, Torino, p. 58 ss.; F. PALAZZO, Corso, cit. p. 91 ss.; A. CADOPPI, Il valore del precedente nel diritto penale: uno studio sulla dimensione in action della legalità, 2014, Torino, p. 39 ss.; G. MARINUCCI - E. DOLCINI, Manuale, p. 35 ss., G. de VERO, Corso, cit., p. 103; T. PADOVANI, Corso, cit., p. 17 ss;, M. SBRICCOLI, Principio di legalità e diritto penale, 2007, Milano, p. 10 ss., G. MARINI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Enc. giur., Ann. XXVIII, 1978, p. 950, A. PAGLIARO, voce Legge penale, in Enc. Dir., 1961, p. 660.

143 Nel diritto penale, secondo insegnamento consolidato della Corte di Cassazione, l’offensività si

atteggia tanto a criterio guida del legislatore in fase di redazione del precetto penale, quanto a canone ermeneutico dell’interprete in fase di applicazione della norma penale. Autenticamente offensiva si rileva quella disposizione posta a presidio di un bene giuridico preesistente ed effettivo, che rechi in sé un autentico disvalore, scongiurandole derive soggettivistiche del diritto penale, quali il diritto penale dell’ubbidienza. Per un’approfondita analisi del principio di offensività, sul suo fondamento e sulla sua funzione, D. PULITANÓ, voce Offensività (principio di), in Enc. Giur., Ann. II, 2015, p. 666 ss.; M. DONINI, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2013, n. 4, p. 6 ss.; v. G de VERO, Corso di diritto penale², Torino 2012, p. 118 ss,; M. ROMANO, La legittimazione delle norme penali: ancora sui limiti e validità della teoria del bene giuridico, in Crim., 2011, p. 43; V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, IV, p. 477 ss.; C. FIORE, Il principio di offensività, in Ind. pen., 1994, p. 279 ss.; F. MANTOVANI, Il principio di offensività del reato nella Costituzione, in Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano 1977.

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stesso, secondo un paradigma a forma libera ovvero vincolata144. In tal senso, come si è evidenziato nei paragrafi precedenti, significativi all’interno della fattispecie risultano quegli elementi in grado di apportare il proprio contributo alla lesione del bene giuridico che la norma mira a tutelare, anche solo approfondendola, riverberandosi pertanto sulla determinazione del trattamento sanzionatorio145. A tale categoria risultano riconducibili gli elementi essenziali – condotta ed evento – nonché le circostanze del reato, in particolare quelle aggravanti, idonee a determinare un incremento di pena in ragione della loro idoneità lesiva. Del resto, la particolare natura delle aggravanti si riflette sul regime d’imputazione delle stesse, su cui è intervenuta la riforma del 1990, che ha segnato il passaggio dal regime oggettivo a quello soggettivo, richiedendo una più saldo legame soggettivo con l’agente.

Tali premesse inducono ad interrogarsi sul rapporto tra condizioni obiettive di punibilità ed offensività, attesa l’incerta natura dell’istituto condizionale e considerato che l’evento condizionale, per le ragioni sopra esposte, difficilmente risulta annoverabile tra gli elementi essenziali del reato almeno nella “variante”

144 A tracciare il disvalore della fattispecie intervengono il disvalore oggettivo d’evento ed il

disvalore soggettivo d’azione, identificabili nel pregiudizio, naturalistico ovvero giuridico, sotteso all’illecito penale e la riferibilità psichica dello stesso all’agente. Un ruolo fondamentale, tuttavia, assume anche il disvalore oggettivo d’azione che consente di selezionare le modalità della condotta autenticamente lesive anche in relazione alle fattispecie c.d. a forma libera, senza una predeterminazione dei connotati dell’aggressione al bene giuridico. Di contro, nei reati a forma vincolata, per l’integrazione dell’illecito, occorre che esso si manifesti con le stesse modalità tipizzate dal legislatore. Per una differenza tra reati a forma libera e reati a forma vincolata per tutti, v. G. MARINUCCI – E. DOLCINI, Manuale cit. p. 184 ss.

145 Nel novero degli elementi significativi risultano riconducibili tanto i c.d. essentialia delicti,

condotta, evento e nesso, quanto ulteriori elementi, tra cui le circostanze del reato, idonee ad incidere sul computo della pena da irrogare. Proprio in tema di circostanze del reato, la Corte Costituzionale nel 2010 ha pronunciato la illegittimità dell’aggravante di clandestinità per difetto di offensività poiché basata sulla sola qualità soggettiva del reo e priva di un sostrato oggettivo ed assiologico. In considerazione dell’incidenza sulla libertà personale del diritto penale, la Corte costituzionale ha precisato che in presenza di un diritto inviolabile, «il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfacimento di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante». Così Corte Cost., sent. 8 giugno 2010, n. 249.

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estrinseca tracciata direttamente dall’art. 44 c.p.; quest’ultima, in accordo alla prevalente ricostruzione, non contribuisce a comporre il disvalore della fattispecie, potendo condizionare esclusivamente il funzionamento della sanzione. Diversamente sembrano atteggiarsi le condizioni di punibilità c.d. intrinseche, in relazione alle quali, seppur frettolosamente ma con l’ausilio dell’argomentazione storica, si è avanzata la tesi della sovrapponibilità rispetto alla figura delle condizioni di esistenza del reato, diversificate dalle condizioni obiettive di punibilità nelle intenzioni originarie del legislatore per poi essere unificate sotto il profilo nominalistico e della disciplina nella versione definitiva del codice: soluzione, questa, non più compatibile con l’attuale configurazione del principio di colpevolezza per via del regime oggettivo previsto dall’art. 44 c.p.

Fatta tale premessa, al di là della problematica implicazione rispetto al principio di colpevolezza e della fondatezza della distinzione tra condizioni intrinseche ed estrinseche, occorre riflettere sulla relazione logica ed ontologica tra il principio di offensività e le condizioni di punibilità, vale a dire se risulti possibile che l’offesa al bene giuridico si concentri su di un elemento per definizione futuro, incerto, per certi versi imprevedibile ed in molti casi identificabile nel fatto di terzi146. La risposta non può che riverberarsi sul rapporto tra l’istituto condizionale e gli essentialia delicti, evidenziando la necessità o meno di tracciarne la distinzione e differenziarne il regime onde evitare una loro indebita sovrapposizione. A dimostrazione delle conseguenze della distinzione può richiamarsi le fattispecie di incendio di cui all’art. 423 c.p.: una medesima espressione, la derivazione del pericolo per la collettività, viene intesa come elemento essenziale ovvero

146 Nel prossimo capitolo si affronterà in modo diffuso il tema della distinzione tra condizioni

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condizione di punibilità. La diversa qualificazione discende dalla necessità di approfondire il disvalore della condotta di incendio di cosa propria, il cui nucleo s’identifica nell’esercizio di una legittima facoltà del proprietario. Pertanto, nella fattispecie di incendio di cosa propria il pregiudizio per la pubblica incolumità costituisce elemento essenziale, mentre nell’incendio di cosa comune esso rappresenta una semplice condizione obiettiva di punibilità. Ne consegue che, nell’esempio appena descritto, proprio il grado di offensività si porrebbe a fondamento del diverso inquadramento delle condizioni di punibilità rispetto agli elementi essenziali147.

Il rischio che si vuole evitare è quello di un’ingiustificata “truffa delle etichette” che induca a qualificare una condizione di punibilità come elemento essenziale al fine di colmare il vuoto di offensività che di base affligge la fattispecie. Invero, come si è tentato di mettere in luce, in talune ipotesi la differenza tra condizione di punibilità ed elemento essenziale risponde alla necessità pratica di conferire ulteriore offensività ad un illecito che, altrimenti, risulterebbe scarsamente lesivo. Ad arginare tale operazione interpretativa, metodologicamente discutibile, intervengono i numerosi limiti individuati da dottrina e giurisprudenza relativi al corretto modo di declinare il principio di offensività. Il citato principio può essere definito in positivo come la relazione che intercorre tra fatto e bene giuridico, un legame potenziale o attuale a seconda che si faccia riferimento allo schema del danno ovvero del pericolo, implicando una connessione qualificata tra le diverse componenti del reato ed il bene giuridico. In negativo, esso non può consistere in particolari status o qualità personali dell’agente148, come l’aver riportato una

147 Cfr. quanto detto nel paragrafo precedente in tema di i reati contro l’incolumità pubblica di cui

al titolo VI e di insolvenza fraudolenta.

148 In tema di offensività delle fattispecie di diritto penale fondamentale è risultato il contributo della

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precedente condanna o l’essere stato destinatario di un qualche provvedimento da parte dell’autorità. Ragionando in questi termini, potrebbe fornirsi una risposta all’incerta qualificazione della dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta, in relazione alla quale difficilmente potrebbe affermarsi la “significatività”: rinviando l’approfondimento del tema ad un successivo capitolo, basta qui riflettere sul carattere doppiamente estrinseco della dichiarazione, di solito sollecitata dai creditori e sempre pronunciata dall’autorità giudiziaria. Parimenti, valorizzando la definizione dell’offensività in termini di relazione qualificata con il bene giuridico potrebbe fornirsi un sostegno alla tesi che ravvisa una condizione di punibilità nel mancato adempimento dell’obbligazione di cui all’art. 641 c.p. Sebbene si leghi strettamente alla condizione di insolvenza ed al proposito inadempiente, il mancato pagamento dell’obbligazione rimane pur sempre un fatto giuridicamente neutro, sicché, venendo a mancare la connotazione fraudolenta, verrebbe esclusa la rilevanza del semplice inadempimento. Così ragionando, tanto la declaratoria di fallimento nel reato di bancarotta che l’inadempimento nell’insolvenza fraudolenta pare che contribuiscano a selezionare le offese anziché fondarle, atteggiandosi quindi a condizioni di punibilità, inidonee a conferire offensività alla fattispecie, e non ad elementi costitutivi.

citata sentenza dell’8 luglio 2010 n. 249: la prima ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 688, comma secondo, c.p., che puniva con l'arresto il reato di ubriachezza, se commesso da chi aveva già riportato una condanna per delitto non colposo contro la vita o l'incolumità individuale; la seconda ha censurato l’aggravante di clandestinità, introdotta dall’art. 61, numero 11-bis, c.p. Dette norme risultavano illegittime perché connotate da intrinseca irrazionalità e lesive del principio di offensività in quanto fondate su condizioni personali del reo, come l’aver riportato una precedente condanna ovvero il possesso di un determinato status, quale la clandestinità. Ragionando in questi termini, gli elementi consistenti in qualità personali dell’agente non risulterebbero idonei a conferire offensività e difficilmente potrebbero integrare essentialia delicti. Applicando tale conclusione alla fattispecie di bancarotta pre-fallimentare non sembrerebbe forzato affermare che la declaratoria di fallimento, rappresentando uno status dell’agente, non integri un elemento costitutivo del delitto, quanto una componente accidentale, una condizione appunto. Orientamento, questo, accolto dalla più recente giurisprudenza: cfr. Corte Cass., sent. 8.02.2016 n. 36386.

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Ritornano, in definitiva, le perplessità enunciate ad inizio paragrafo circa la compatibilità strutturale tra principio di offensività e condizioni di punibilità, almeno quelle estrinseche, che si connotano per l’incertezza ed imprevedibilità, sottraendosi quasi completamente al controllo ed alla volontà dell’agente, in linea con il precetto dell’art. 44 c.p.

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