Fra i diversi usi proponibili, molte di tali aree, sia di origine ex industriale che provenienti da patrimoni pubblici in dismissione, possono svolgere un ruolo importante per organizzare l’industrializzazione delle attività connesse alla chiusura dei cicli urbani (acque, rifiuti, materia, energia), dando così nuovo senso industriale, articolazione concreta della green economy, ad aree che già ebbero una funzione industriale, pur entro un diverso paradigma di produzione.
Non si tratta di applicare un concetto trendy, come quello di green economy, al tema della rigenerazione e riutilizzazione dei suoli dismessi; l’obiettivo è più ambizioso: è la riconversione ecologica dell’intero sistema industriale e produttivo del Paese, che oggi fatica sempre più a collocarsi entro un quadro di divisione mondiale del lavoro nel quale alcune delle sue maggiori storiche capacità produttive nell’industria leggera trovano agguerriti ed attrezzati competitori, con vantaggi sempre meno colmabili sul piano della struttura dei costi e della flessibilità organizzativa. Si tratta di sfruttare contemporaneamente tutti gli aspetti sistemici della prospettiva della green economy applicata allo sviluppo urbano, lavorando secondo paradigmi euristici e comprendendo la intrinseca produttività logicamente inclusa in un approccio multidimensionale e integrato (cfr. su aspetti simili il contributo di Michele Talia).
Una estensione secondo un paradigma ecosistemico del concetto di chiusura dei cicli alla ricombinazione dei diversi cicli fra loro può portare a mettere pienamente in luce le enormi economie di sistema e di processo che sono realizzabili in tale visione.
Ad esempio è poco noto che quasi un quinto dell’energia totale consumata globalmente, sia nei cicli produttivi che all’interno dei mezzi di locomozione, negli edifici e nelle urbanizzazioni, è riconducibile alle funzioni di pompaggio (spostamento di fluidi). Tale consapevolezza, già presente nella gestione dei bacini idrici e che portò allo sviluppo dell’idroelettrico, applicata ora nel nuovo paradigma ci dice che assai rilevanti sono i recuperi di energia che è possibile realizzare attraverso un’industrializzazione sistematica delle funzioni di pompaggio dei liquidi urbani, dalla adduzione idrica alla raccolta e trattamento dei reflui, fino alla ottimizzazione dei sistemi di teleriscaldamento e teletrasporto pneumatico.
La stessa integrazione fra diverse modalità di produzione energetica da fonti rinnovabili, ove coordinata alla gestione dei flussi di fluidi, può vedere l’impiego di risorse energetiche istantaneamente abbondanti in cicli capaci di assorbire e restituire energia in modo diacronico, sia come quantità di moto che come calore, utilizzando così l’organismo urbano come accumulatore inerziale sul quale tarare i diversi cicli.
Altra applicazione possibile, ed industrialmente interessante, è quella della integrazione del ciclo di raccolta e depurazione delle acque luride con il compostaggio della frazione umida dei RSU, con la produzione di fertilizzante agricolo e biogas attraverso la digestione idraulizzata dei fanghi e con contestuali sistemi di recupero del calore dei reflui.
Ancora, il ciclo in genere tutte le materie prime seconde, come carta e cartone, alluminio, metalli ferrosi, rame, vetro, plastiche, e il riutilizzo del calcinaccio da demolizione come materiale da costruzione.
Tutti questi modi di industrializzazione dei cicli urbani, basati sul paradigma dell’integrazione e delle soluzioni per quanto possibile a Km zero, hanno caratteri simili, assai interessanti:
- esprimono rilevanti richieste di luoghi fortemente connessi alle infrastrutture per il trasporto, per l’energia e per i sistemi idrici, dove allestire le principali funzioni di trattamento e di interfaccia pluriciclica;
- richiedono l’allestimento di spazi a caratterizzazione industriale, con significativi livelli di ingegnerizzazione;
- richiedono l’utilizzo di tecnologie applicate, connesse allo sviluppo di appositi filoni di ricerca, che possono a loro volta trovare significative ricadute per la promozione di brevetti innovativi e più in generale nel quadro dell’economia della conoscenza, vero campo di sfida dell’economia futura;
- prevedono funzioni di gestione urbana evolute, con capacità gestionali sia industriali che dell’utenza, e forme di ricomposizione della domanda di servizi e di utenze (energia da FER, teleriscaldamento e teleraffrescamento, ciclo dei rifiuti, gestione collettiva delle acque, manutenzione degli spazi verdi integrata con la produzione di biomasse) che possono sviluppare una nuova sociologia dei consumi di cittadinanza;
- implicano elevati livelli di cooperazione consapevole fra istituzioni imprese e famiglie;
- abbisognano di forme evolute di progettazione ed attuazione di programmi di rigenerazione urbana alla scala del quartiere o della parte di città, con forme evolute di partecipazione della cittadinanza e delle sue forme organizzate;
- sono in grado di produrre occasioni locali di nuovo lavoro “vero” e continuativo nel tempo, e di lavoro con un più alto contenuto relazionale, di socialità, di coesione sociale.
Va però sottolineato come esistano alcune condizioni determinanti, senza le quali tali programmi di rigenerazione rischiano di restare nel limbo delle aspettative degli ambientalisti, anziché divenire opzioni concrete per rilanciare la vita civile sociale ed economica del nostro Paese.
Essi hanno bisogno di una vera e propria rivoluzione fiscale, che metta a disposizione strumenti di incentivo/disincentivo a base fortemente locale, in grado sia di raccogliere quote di risorse derivanti dalle diverse esternalità dei vari cicli in oggetto, che di rendere esplicite e comprensibili alla generalità dei cittadini e delle famiglie le convenienze all’adesione ai comportamenti virtuosi su cui si basano le diverse economie di sistema.
In particolare, abbisognano di sistemi di fiscalità immobiliare che consentano di ricondurre alle amministrazioni locali una parte degli incrementi di valore che si generano nel patrimonio edilizio privato interessato dai programmi di rigenerazione; esso potrebbe esser chiamato a contribuire alla ricapitalizzazione urbana attraverso forme di compartecipazione per via fiscale.
Inoltre si gioverebbero molto di una inversione nella logica di erogazione dei servizi urbani locali, che assumesse la logica di risultato per articolare gli addebiti, uscendo dalle modalità del servizio
generalista per perseguire il coinvolgimento dell’utenza al buon esito delle gestioni, con possibilità di utilizzare la fiscalità locale (IMU, TARES) come elemento incentivante e proattivo.
In questo senso alcune sperimentazioni avanzate nel ciclo dei rifiuti4 già connettono da molti anni la determinazione dell’importo da pagare ai livelli di raggiungimento di più avanzati obiettivi di raccolta differenziata; chiedendo il pagamento in misura prevalente sulla base del peso del rifiuto conferito in modo indifferenziato, e attraverso modalità di gestione fra ente locale e cittadino basate su avanzati servizi informatici e sulla costituzione di un conto corrente on-line sul quale non solo l’utente può sapere in anticipo i livelli di raggiungimento degli obiettivi sulla base dei quali verrà definito il pagamento, ma l’amministrazione può articolare campagne di premialità e di bonus nei confronti degli utenti dal comportamento virtuoso, in grado di produrre ulteriore fidelizzazione dell’utenza e più elevati livelli di coinvolgimento civico nell’azione dell’amministrazione. Analoghi ragionamenti si possono sviluppare a proposito dell’integrazione fra teleriscaldamento, adduzione delle acque, gestione locale delle acque pluviali e grigie e trattamento dei reflui.
Serve quindi che questo approccio euristico ed ecosistemico divenga il focus centrale delle politiche di rigenerazione e riconversione urbana. Acquisizione non banale, visto che le stesse politiche urbane ad oggi stentano drammaticamente a riacquisire quella centralità che la gravità della situazione in cui versano le economie territoriali italiane richiederebbe urgentemente.