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Esigenza di una nuova legge sul Governo del territorio

Nel documento Riutilizziamo l'Italia. Report 2013 (pagine 37-39)

La legge fondamentale urbanistica (legge 17 agosto 1942, n. 1150), a tutt'oggi in parte vigente, riserva alla valutazione dell'autorità pubblica le decisioni circa gli assetti di conservazione e trasformazione del territorio (cfr. art. 7 della l. n. 1150/1942). Ne discende un piano regolatore, espressione dell'attività autoritativa della pubblica amministrazione, che determina gli assetti urbanistici in modo unilaterale, finendo per imporre regole di conformazione del territorio o della proprietà. Tuttavia, e qui si profila un primo problema, il suddetto potere di conformazione non opera sulle trasformazioni già avvenute ma su quelle consentite in futuro. Pertanto, se la riqualificazione, il recupero, la trasformazione del costruito sono estranei al potere conformativo si profilano due alternative: o l'attivazione dei poteri di tipo espropriativo che però, date le difficoltà in termini di cassa e procedurali, appare una via sempre più difficilmente praticabile; oppure cercare di coinvolgere il titolare del bene da convertire o riqualificare attraverso il ricorso alla perequazione, alla compensazione quali strumenti di una nuova urbanistica estranei alla legislazione del 1942. Se poi si pensa che, per esempio, la perequazione urbanistica è ormai diventata la modalità ordinaria attraverso cui acquisire le aree necessarie alla collettività - a seguito della sentenza n. 348/2007 della Corte costituzionale che, imponendo indennità espropriative commisurate al valore di mercato, ha, di fatto, sancito la crisi definitiva dell'esproprio - si comprende la necessità di una nuova legge nazionale sul governo del territorio per l'introduzione di principi fondamentali alla legislazione regionale. Tutto questo perché la legge urbanistica fondamentale del 1942, pur continuando a costituire il quadro di principi entro cui sviluppare la legislazione e la pianificazione regionale, non costituisce il fondamento dell'istituto perequativo che si è andato sviluppando, in modo disomogeneo, mediante l’attività delle Assemblee legislative regionali. Infatti, pur non essendo questa la sede per un’analitica e sistematica comparazione delle diverse legislazioni urbanistiche regionali, tuttavia è difficile individuare un modello con caratteristiche omogenee. Ad esempio, è assolutamente differente la disciplina concernente le aree dove possono essere esercitati i diritti edificatori generati attraverso l’urbanistica consensuale: si va dalla libera commerciabilità prevista dalla legislazione veneta e lombarda all’ipotesi trentina per cui l’impiego è possibile solo nelle aree di perequazione mentre nei casi diversi è necessaria una specifica deliberazione del consiglio comunale. Con una decisione del 2010 il Consiglio di Stato (sez. IV, 8 giugno 2010, n. 4545) si riconosce l’ammissibilità dello strumento perequativo solo nell’ambito di contesto di pianificazione definito che consenta lo spostamento di volumi tra zone omogenee definite e mediante forme di cessione di volume alla parte pubblica solo all’esito di processi di natura negoziale. Dunque si ribadisce la centralità del piano con ciò ridimensionando quella dottrina che sottolinea la necessità di “smitizzare il piano” e di riconoscere l’affermazione di una “urbanistica

consensuale”. Se è vero che le scelte di pianificazione urbanistica sono spesso in ritardo rispetto ai frenetici mutamenti sociali, economici che caratterizzano la contemporaneità, a tale innegabile situazione di fatto si può far fronte mediante il riconoscimento, a livello di normativa nazionale, di quanto già previsto nella legislazione regionale, la quale distingue tra piano strutturale e piano operativo. Per superare il modello della legge fondamentale di urbanistica del ‘42 incentrata, come detto, sui vincoli espropriativi imposti dal piano regolatore e soggetti a una limitata durata temporale, le leggi regionali introducono un sistema a doppio livello: con il piano strutturale che non detta specifiche destinazioni d’uso ai suoli (in quanto non conformativo né della proprietà né del territorio rinvia ad una successiva pianificazione attuativa assumendo così i caratteri di uno strumento di indirizzo) e un piano operativo al quale compete la definizione del progetto urbanistico di trasformazione del territorio.

Da questo quadro appare evidente l'urgenza di abrogare il quadro legislativo imperniato sulla vecchia legge urbanistica del 1942, anche in ragione della sopravvenuta riforma del Titolo V della Costituzione con il nuovo riparto di competenze tra Stato e regioni, e sostituirlo con una nuova “legge di principi” in grado di garantire un modello di riferimento uniforme su tutto il territorio nazionale al quale vincolare il legislatore regionale soprattutto in riferimento a quegli istituti che incidono su materie di esclusiva competenza statale: fiscalità, ambiente, paesaggio, infrastrutture nazionali.

Fondamentale che la nuova legge nazionale sul Governo del Territorio sancisca il riconoscimento di principi fondamentali ai quali deve soggiacere la normativa regionale e la conseguente attività pianificatoria di area vasta. Tra questi quello del contenimento del consumo di suolo non urbanizzato e di conversione urbana, privilegiando il riuso, il recupero e l'adeguamento di insediamenti e infrastrutture esistenti. A tale proposito deve rimarcarsi la necessità che il legislatore nazionale affidi ad una autorità pubblica il compito di misurare, monitorare e certificare l’andamento del consumo di suolo in Italia e, da questo, fissare delle percentuali di incremento massimo di nuovo suolo urbanizzato.

Altro fondamentale principio che la nuova legge sul Governo del Territorio dovrà contenere è quello della cooperazione tra i soggetti pubblici nella definizione delle linee guida per la programmazione e la pianificazione del territorio attraverso meccanismi di copianificazione e di concertazione delle scelte, soprattutto privilegiando il modello della pianificazione di area vasta. Tale principio appare finalizzato a consentire il superamento del modello gerarchico nei rapporti tra i diversi livelli di piano a favore di modalità di relazioni nel rispetto del ruolo e delle competenze di ogni livello e di ogni settore, con una visione concertativa e collaborativa.

Si faceva poco sopra accenno al principio, attualmente assente dal quadro normativo nazionale, del minor consumo di suolo. Alla soddisfazione di questo principio si deve giungere non solo attraverso lo strumento della pianificazione che costituisce solo una delle modalità attraverso cui si esplica il Governo del Territorio, ma anche attraverso indirizzi di politica generale dello Stato.

In maniera assai timida e non adeguata alla gravità del problema del consumo di suolo in Italia, la recente legge del 14 gennaio 2013, n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” prevede all'art. 6, comma 2, che “ai fini del risparmio del suolo e della salvaguardia delle aree comunali non urbanizzate, i comuni possono: a) prevedere particolari misure di vantaggio volte a favorire il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali e produttivi esistenti, rispetto alla concessione di aree non urbanizzate ai fini dei suddetti insediamenti; b) prevedere opportuni strumenti e interventi per la conservazione e il ripristino del paesaggio rurale o forestale non urbanizzato di competenza dell'amministrazione comunale”. Nella medesima legge, al precedente art. 3, comma 2, lett. c) si attribuisce al neo Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito presso il Ministero dell'Ambiente il compito di provvedere alla proposizione di un piano nazionale, d'intesa con la

Conferenza Unificata, per fissare i criteri e le linee guida per la “realizzazione delle aree verdi permanenti intorno alle maggiori conurbazioni”.

Come si vede il legislatore nazionale, anziché mediante una organica legge sul Governo del Territorio che fissi i principi fondamentali della materia, procede attraverso provvedimenti disomogenei che non hanno la forza di imporsi con la necessaria forza sugli enti locali. Molto più efficace sarebbe se si affermasse il principio normativo secondo cui, per omogenee categorie di manufatti, l'utilizzo di suoli non urbanizzati è subordinato alla verifica dell’impossibilità di interventi di riuso o di riqualificazione. Questo modo di procedere si è di recente ripetuto con il disegno di legge presentato al termine della XVI Legislatura dal ministro delle politiche agricole del Governo Monti al quale va tuttavia riconosciuto il merito di aver comunque proposto una serie di disposizioni finalizzate al contenimento del consumo di suolo (cfr. Disegno di legge n. 3601 del 2012).

Nel documento Riutilizziamo l'Italia. Report 2013 (pagine 37-39)

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