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Piano casa e densificazione

Nel documento Riutilizziamo l'Italia. Report 2013 (pagine 53-55)

L’Intesa Stato-Regioni del 2009 finalizzata a “..favorire iniziative volte al rilancio dell'economia, rispondere anche ai bisogni abitativi delle famiglie e introdurre incisive misure di semplificazione procedurali dell'attività edilizia..”impegnava le Regioni alla emanazione di relativi provvedimenti di legge entro 90 giorni. Le Amministrazioni regionali hanno provveduto in forme diverse: talune con l’emanazione di leggi ad hoc, altre integrando le misure di incentivazione nelle leggi esistenti. Altre ancora, come la regione Emilia Romagna o la Regione Piemonte, hanno colto l’occasione per procedere ad una revisione profonda delle loro leggi fondamentali di governo del territorio, anche con l’intento di inserire i provvedimenti di incentivazione straordinaria in un quadro di regole in grado di ricondurli a meno elusive logiche di piano.

L’Intesa del 2009 e le successive norme regionali prevedono, come è noto, due forme di incentivo, entrambe basate sulla possibilità di edificare volumetrie aggiuntive intervenendo sul patrimonio esistente per migliorarne qualità architettonica, prestazioni energetiche e qualità dei materiali. Il primo caso riguarda le casette mono o bifamiliari, grandi protagoniste dello sprawl urbano degli ultimi decenni. E’ possibile ampliare tale tipologia di abitazioni aggiungendo il 20% del volume esistente, fino ad un massimo di 200 mc: soglia che corrisponde più o meno a 60-70 mq di superficie utile.

Il secondo caso riguarda invece la possibilità di demolire e ricostruire, senza alcuna soglia limite di intervento, edifici residenziali aggiungendo il 35% della volumetria esistente, come incentivo al miglioramento della qualità architettonica, dell’efficienza energetica e dell’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili.

In entrambi i casi la carica promozionale di tali provvedimenti gioca principalmente sul fatto di poter derogare dalle previsioni urbanistiche dei piani vigenti. Una deroga appena mitigata dalle

regole di esclusione di specifiche aree, come i centri storici, o di specifici parametri, come ad esempio l’altezza massima, che Regioni e Comuni dovevano provvedere ad individuare. Si tratta dunque di uno strumento di oggettivo indebolimento della capacità dei piani urbanistici di regolare un ordinato sviluppo degli insediamenti. Interventi erratici, aggiuntivi rispetto al dimensionamento di piano, decisi senza alcun coinvolgimento della collettività e con effetti sul complesso della qualità urbana largamente imprevedibili.

Le numerosissime critiche che hanno accompagnato l’introduzione del Piano casa avevano e hanno tuttora ben concreti fondamenti. L’incremento di volumetria delle casette davvero risponde ad un fabbisogno di abitazioni o semplicemente aumenta la dotazione di spazio a chi ne è già ben fornito? La demolizione e ricostruzione fuori da un disegno urbanistico migliora forse l’edificio, ma quanto incide sull’ambiente urbano, quanto aumenta il carico urbanistico e aggrava la già grande difficoltà di reperire nelle aree urbanizzate sufficienti aree per gli standard urbanistici?

Accanto ai numerosi punti critici tuttavia, il “Piano casa” presenta un aspetto interessante ai fini del problema del consumo di suolo: quello della densificazione e delle sue modalità di implementazione.

Non c’è dubbio che una più intensa utilizzazione del suolo nelle aree a bassa densità aiuterebbe a contenere l’urbanizzazione di nuove aree. In alcuni paesi europei si stanno addirittura fissando per legge le densità minime da raggiungere, sul presupposto che maggiori densità hanno l’effetto di ridurre l’occupazione di suolo a parità di abitanti insediati e anche di ridurre in misura significativa il costo delle opere di urbanizzazione, delle reti tecnologiche e della fornitura dei servizi urbani. Ma laddove il tessuto urbano è già edificato e utilizzato è possibile raggiungere densità maggiori? Con quali regole e con quali strumenti? E’ lecito chiedersi se provvedimenti come il “Piano casa” siano in grado di aiutare nel conseguimento di un simile obiettivo o comunque se si possa dedurre dalla attuazione del “Piano casa” qualche utile indicazione in tal senso.

Come è ormai evidente l’attuazione del “Piano” ha conseguito risultati modesti in quasi tutte le Regioni, fatta forse eccezione per il Veneto e la Sardegna, probabilmente anche a causa della netta prevalenza in quelle Regioni di abitazioni mono o bifamiliari. Anche tenendo conto della situazione di crisi economica e finanziaria, occorre prendere atto che la de-regolamentazione estrema non ha aiutato né a rilanciare l’edilizia né a migliorare in misura significativa la qualità del patrimonio abitativo.

D’altra parte la semplificazione burocratica da sola non basta. E neppure la rinuncia della Amministrazione al proprio ruolo di organizzatore e gestore dell’interesse pubblico appare sufficiente a motivare l’azione dei privati, che traggono piuttosto incertezza e diseconomia dalla mancanza di strumenti di piano e di forme attive di intervento pubblico, capaci di orientare il sistema delle convenienze e dunque le trasformazioni.

Anche la modalità di assegnazione della premialità volumetrica casetta per casetta o edificio per edificio prevista dal “Piano casa”, non aiuta. Ai fini della riduzione del consumo di suolo, sono pensabili modalità di densificazione diverse, capaci di intervenire su insiemi di casette, ad esempio passando dalla villetta in mezzo al lotto ad un più complesso layout insediativo? Oppure intervenendo non sul singolo edificio ma su insiemi di edifici attraverso la ricucitura dell’edificato con volumetrie aggiuntive? Forme queste che presuppongono necessariamente il coinvolgimento di molti interessi, processi di progettazione e programmazione partecipati e strumenti di attuazione attrezzati con una pubblica amministrazione capace di un forte ruolo guida. Non sono mancate in passato sperimentazioni in questa direzione, attraverso le STU o i PRUSST o altre forme di programmi complessi. Quello che è mancato è stato l’uso esplicito di queste forme di intervento per

governare le trasformazioni urbane in un’ottica di bilancio della utilizzazione dei suoli, con obiettivi di riduzione del consumo quantificati, con strumenti per raggiungere tali obiettivi, monitoraggi e, se del caso, misure correttive.

Nel documento Riutilizziamo l'Italia. Report 2013 (pagine 53-55)

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