1.3 Aliter non fit liber: l’organizzazione del libro come raccolta
1.3.2 Alcuni casi (evidenti) di riutilizzo: i proem
È chiaro che nel complesso della raccolta studiata per la pubblicazione i proemi dovevano rivestire un ruolo fondamentale: «all’atto della pubblicazione di una nuova opera se ne rendeva necessaria una presentazione mirata, una prefazione che potesse contenere tutte queste esigenze spesso anche contrastanti tra loro, l’omaggio al personaggio influente e l’orgoglio del letterato che ha coscienza di aver compiuto un’opera innovativa seppur nel solco di una tradizione, l’espressione di autonomia creativa e la necessità di inseguire il successo»163.
Ora, non di rado il rimpasto di componimenti si colloca in apertura di raccolta164; in libri come I, III, V, X o XI i versi di carattere proemiale sono abbastanza numerosi, anche in virtù del fatto che
159 1886, 363.
160 Lascivos leporum cursus lususque leonum / quod maior nobis charta minorque gerit / et bis idem facimus, nimium si,
Stella, videtur / hoc tibi, bis leporem tu quoque pone mihi. Gilbert propose – in apparato, senza poi accogliere l’ipotesi a testo – che I 45 costituisse in realtà la pointe conclusiva del componimento precedente, cui andava pertanto nuovamente saldato: «Ceterum potest hoc distichon epigrammati 44 adiungi» (1896, XIII); così anche Howell (1980, 209), per cui l’epigramma «says much the same as 44». Per Citroni l’epigramma I 44 «ha una sua compatta struttura e in particolare presenta un tipo di pointe che trova riscontro nelle conclusioni di molti epigr. di M.: l’invito ironico all’interlocutore a comportarsi nel modo che la situazione, quale è stata delineata nei versi precedenti, sembra richiedere, costringendolo così a una condizione imprevista o comicamente contraddittoria» (1975, 145). Per il commento cf. ivi, 145-147.
161 1929, 112.
162 Il riferimento sarebbe, secondo Prinz (1929, 112), al “ciclo dei leoni e delle lepri”; pur di non rinunciare neppure a un epigramma, il poeta preferisce sfiorare, nella sua raccolta, la ripetizione all’infinito, proprio come faceva Omero. In generale, non è necessario limitare la riflessione al ciclo delle lepri e dei leoni; siamo certi che il ciclo fu dedicato all’imperatore, ma non possiamo sapere quanti epigrammi di quello che leggiamo come liber primus avessero già circolato; proprio perché era il primus, c’è da aspettarsi che fossero molti.
163 Borgo 2003, 8. Lo studio della Borgo costituisce una preziosissima analisi del contenuto e della struttura stilistica e
retorica dei proemi negli Epigrammi, sia per quanto riguarda le sezioni in versi che le epistole in prosa.
164 «Di lunghezza e di argomento variabili, brevi bigliettini di tono amichevole, dediche formali al principe, ringraziamenti
ad amici potenti, prefazioni vere e proprie per il loro contenuto teorico e per lo sforzo speso nel delimitare caratteri, temi e modelli di un genere al quale il poeta desiderava acquistare dignità, le sue prefazioni mirano a riscattare la contingenza di certi componimenti offrendo la chiave di lettura di una poesia che poteva parere disimpegnata ma che Marziale intendeva presentare fondata su solide basi culturali» (Borgo 2003, 9). Per un’analisi accurata delle sezioni proemiali dei libri di Marziale con particolare riguardo alle “strategie cortigiane” ivi messe in atto, vd. Merli 1993a, Citroni 1988 e Merli 1998.
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si tratta di raccolte dalle circostanze di composizione non ordinarie, ed è verosimile che l’autore si sia trovato a riutilizzare versi già composti per altre occasioni165.
Una rifusione di materiale abbastanza evidente si trova nell’esordio del liber I, che si apre con una prefazione in prosa in forma di epistola, chiusa da due distici e seguita da ben quattro componimenti proemiali166. La sezione in prosa, come è noto, chiarisce al lettore alcuni punti fondamentali della poetica di Marziale: l’utilizzo di un linguaggio spregiudicato, che il poeta giustifica mettendosi al riparo dei suoi modelli amati – primo fra tutti Catullo –, e l’intenzione di colpire vizi e stranezze senza far nomi né accuse aperte; l’ansia di critica da parte dei vari “Catoni” è tradìta abbastanza chiaramente dal breve epigramma che la conclude167.
All’epistola segue un epigramma che la sospetta dichiarazione toto notus in orbe Martialis lascerebbe immaginare come appartenente a un’edizione successiva del liber I (o di più libri accorpati)168.
Anche l’epigramma I 2 sembra appartenere quasi certamente a un momento successivo; come si è visto, gli studiosi hanno individuato in tali versi la pubblicizzazione “ufficiale” della prima edizione di Marziale in formato codex, che includeva probabilmente più di una raccolta. Significativa la situazione dei codici: i testimoni della seconda famiglia169 omettono i due componimenti, mentre i rappresentanti di γ li inseriscono nel bel mezzo dell’epistola proemiale, dopo la l. 17170. Immisch171 riteneva che la nostra tradizione si fosse generata da un esemplare in codice che riportava, nel primo foglio, sul recto il ritratto del poeta172 e i due epigrammi I 1 e I 2, mentre sul verso continuava la parte in prosa dell’epistola. La situazione dei testimoni si spiegherebbe immaginando che la seconda famiglia derivi da un esemplare che recava illeggibile il verso della prima pagina, mentre la terza famiglia deriverebbe da un codice in cui la pagina, caduta, era stata reinserita al contrario. Secondo Birt173 i primi due epigrammi, insieme alla praefatio in forma di epistola, dovevano essere considerati l’introduzione a un’edizione in formato codex che doveva comprendere una selezione di epigrammi osceni e satirici (secondo lui particolarmente adatti all’intrattenimento da viaggio). Lehmann174
165 «Nel III libro Marziale deve giustificare la pubblicazione di un libro a Imola; il V è il primo libro dedicato direttamente all’imperatore; il X fu pubblicato in due edizioni successive e Marziale deve dar ragione di questo fatto, e inoltre può aver mantenuto nella seconda edizione anche i proemi della prima» (Citroni 1970, 81).
166 Per un’analisi del contenuto e dei modelli impliciti a tale sezione del liber vd. Borgo 2003, 61-75.
167 Nosses iocosae dulce cum sacrum Florae / festosque lusus et licentiam vulgi, / cur in theatrum, Cato severe, venisti?/ an ideo tantum veneras, ut exires?
168 Vd. infra, 85-86. Ma è abbastanza verosimile che Marziale fosse già noto a Roma; vd. Citroni (1970, 81-82).
169 Con l’eccezione di f, verosimilmente contaminato. 170 Secondo la numerazione dell’edizione Lindsay (19292). 171 1911, 483.
172 L’ipotesi sembrava supportata dall’iniziale hic est. Marziale si riferiva forse a un’edizione dei suoi libri corredata di
ritratto in VII 84 (cf. Galán Vioque 2002, 455, che menziona prudentemente «an edition of his work»); lo stesso poeta allude a un codex di Virgilio che ne includeva il ritratto in XIV 186.
173 1882, 348-349. 174 1931, 55.
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imputa la situazione allo stato del testo di Marziale prima dell’allestimento delle tre edizioni antiche: il curatore del prototipo comune avrebbe allestito il suo testo basandosi su edizioni in rotolo; accortosi poi della presenza dei due epigrammi in un’edizione in codex li avrebbe segnati a margine, vicino all’epistola prefatoria; il copista di β li avrebbe ignorati, mentre chi si occupò del testo alla base di γ li inserì fuori posto. In realtà non è affatto detto che il curatore del prototipo comune si sia necessariamente basato su edizioni in rotolo; il punto di partenza poteva essere una versione codex basata su differente trasmissione – o trattamento – di edizioni in rotolo. In ogni caso, è verosimile che gli attuali I 1 e I 2, che hanno senso di esistere solo nell’ambito di un’edizione-codice, non avessero un posto preciso nella composita e fluttuante versione del testo sulla base della quale le antiche edizioni degli Epigrammi furono allestite; nulla può poi far escludere che almeno il ramo β si sia originato da una versione dell’opera che non ne prevedeva l’inserimento.
Pare in ogni caso evidente che i primi due epigrammi della raccolta non siano stati parte del liber I fin dall’inizio. I 3, apparentemente, ha tono più dimesso:
Argiletanas mavis habitare tabernas,
cum tibi, parve liber, scrinia nostra vacent. nescis, heu, nescis dominae fastidia Romae:
crede mihi, nimium Martia turba sapit.
maiores nusquam ronchi: iuvenesque senesque 5
et pueri nasum rhinocerontis habent. audieris cum grande sophos, dum basia iactas,
ibis ab excusso missus in astra sago. sed ne tu totiens domini patiare lituras
neve notet lusus tristis harundo tuos, 10
aetherias, lascive, cupis volitare per auras: i, fuge; sed poteras tutior esse domi.
Non pochi studiosi hanno ritenuto di poter individuare in questo epigramma il proemio autentico e originario del liber I: così Dau175, Friedländer176 e Immisch177, per quanto più recentemente Citroni abbia tentato di dimostrare, sulla base di una serie di osservazioni concernenti stile e contenuto di tali versi, che anche in questo caso modestia e trepidazione sono senz’altro simulate178.
175 1887, 80. 176 1889, col. 1206. 177 1911, 487.
178 A prescindere dalla ripresa abbastanza puntuale di Orazio Epist. I 20, 1-3 (Vertumnum Ianumque, liber, spectare videris / scilicet ut prostes Sosiorum pumice mundus. / odisti clavis et grata sigilla pudico) e di I 20, 5 (...fuge quo descendere gestis), che devono comunque mettere all’erta lo studioso, Citroni nota un’inflessione ironica nell’espressione
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In ogni caso, anche tenendo in considerazione il tono fortemente ironico giustamente sottolineato da Citroni, risulta chiaro il cambiamento rispetto al solenne orgoglio di I 1; è abbastanza verosimile una stratificazione cronologica dei componimenti, riutilizzati e giustapposti dal poeta al momento di curare una seconda edizione del liber I179.
Il terzo libro conta ben tre epigrammi proemiali180, con l’aggiunta di un ulteriore in cui il poeta raccomanda la sua raccolta, in procinto di recarsi a Roma priva della protezione del suo autore, all’amico Giulio Marziale; anche qui il numero straordinario di epigrammi di apertura è giustificato dalle straordinarie circostanze di composizione. Ma qui è poco verosimile un riutilizzo del materiale: sappiamo con una certa sicurezza che il libro terzo fu composto nell’87 d.C., durante il soggiorno del poeta presso Forum Cornelii; anche se è abbastanza evidente che dovette trattarsi di un soggiorno piuttosto lungo, poiché «se Marziale vi si fosse trattenuto per non più di un paio di mesi, avrebbe rinviato la pubblicazione al momento del rientro a Roma»181, è altrettanto chiaro che si tratta di epigrammi composti solo ed esclusivamente per giustificare l’eccezionalità dell’inviare il proprio liber III dalla Gallia togata, e non ci sono possibilità di immaginare un riutilizzo di materiale prodotto per altri scopi. Lo stesso vale per il liber V, in cui il doppio proemio serve esclusivamente a enfatizzare il fatto che si tratta della prima raccolta ufficialmente dedicata al princeps e per questo motivo assolutamente priva di oscenità e adatta a esser letta senza timore da matronae puerique virginesque182.
fastidia dominae Romae; il sarcasmo parrebbe sempre più marcato nei versi successivi, con la descrizione dei gusti difficilissimi del “nasuto” pubblico di Roma e poi della sua volubilità: «tutt’altro che modestia, dunque, ma anzi caricatura polemica, e infine rifiuto esplicito della tendenza che egli ritiene rappresentata dal pubblico di Roma. E anzi, direi, nel rifiuto di quanto la critica gli oppone, c’è una certa fierezza, sia pure velata da un pizzico di ironia» (1970, 88). Per la critica letteraria nei versi di Marziale vd. soprattutto Preston 1920 e Citroni 1968; ma cf. anche le osservazioni di Pepe (1950, 129-145). Un discorso a parte meritano gli epigrammata longa inseriti dal poeta nelle raccolte, spesso da lui stesso difesi con calore da eventuali accuse di prolissità e inadeguatezza. Fondamentali le riflessioni sull’epigramma longum in generale di Szelest 1980, Citroni 2003, Luque Moreno 2004 e Morelli 2008a; per alcune proposte di classificazione formale di tali componimenti vd. almeno Szelest 1980, Classen 1985, Puelma 1997, Canobbio 2008, Buongiovanni (2012, 15). Per la definizione del “tipo” epigrammatico da parte di Marziale vd. soprattutto Morelli 2008b (con particolare riferimento ai componimenti di contenuto erotico) e 2017, 143-147; Canobbio 2008, in particolare 179-191; Williams 2008. Vd. anche infra, 335, 1449.
179 Cf. Merli 1993a, 239: «la nostra redazione del libro deriva con ogni probabilità da una seconda edizione piuttosto ampliata (e comprendente forse anche altri libri oltre al primo), e ad una specie di stratificazione sono dovuti in questo caso sia l’estensione e la compattezza della serie di apertura (solo con l’epigramma 9 iniziano le composizioni scommatiche), sia gli atteggiamenti contrastanti, di titubanza nel presentare il libro al pubblico e di orgoglio per la propria notorietà, assunti dal poeta negli epigrammi 1-3 ». Non prende in considerazione l’attribuzione di I 1 e I 2 a una seconda edizione del libro Tanner, secondo il quale i due epigrammi costituiscono senz’altro il proemio originario della raccolta; affermazioni iperboliche come il toto notus in orbe Martialis dipenderebbero dalla fama arrivata al poeta da componimenti fatti circolare prima dell’86 – oltre a De Spectaculis, Xenia e Apophoreta, che Tanner colloca prima dell’uscita del liber I – ma non preservati (1986, 2631).
180 Escludendo III 3, che è certamente spurio; vd. Fusi (2006, 129-130; 2011a, 124).
181 Citroni 1987a, 138.
182 In particolare la dedica del libro si sviluppa secondo due direttrici principali: un primo momento di offerta diretta al princeps, seguita da una presentazione indiretta della raccolta tramite intermediari come Partenio o il bibliotecario Sesto; sull’andamento tripartito di tale incipit vd. Merli 1993a, 242-243.
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Più verosimile un rimpasto di proemi nel caso del liber X, che Marziale, costretto dal repentino mutamento della situazione politica, pubblicò due volte: X 1 esprime il timore – un po’ fuori luogo, come ha notato Merli183, per un poeta che dovrebbe ormai aver raggiunto una certa fiducia nella propria fama – di stancare il lettore con la mole eccessiva della raccolta; X 2 è l’ammissione vera e propria di avvenuta revisione dell’opera, opportunamente giustificata dalla festinata edizione precedente184; seguono due epigrammi contro l’anonimo detrattore che attribuisce a Marziale versi ingiuriosi e una dichiarazione di poetica. È possibile, in questo caso, che X 1 comparisse già nella prima edizione del libro185, mentre X 2 è stato innegabilmente aggiunto ad hoc in vista dell’editio altera del 98. Non è semplice collocare cronologicamente la coppia di epigrammi in cui Marziale si difende dall’anonimo calunniatore, che non sono peraltro gli unici della raccolta su questo tema: si potrebbe osservare che essi potevano certo preesistere alla seconda edizione del 98, ma forse vale la pena di notare che al momento della morte di Domiziano la fama di Marziale dovette subire uno scossone significativo. Per un rivale qualsiasi – posto che il rivale fosse solo uno, e posto che esistesse davvero e non fosse piuttosto una proiezione dell’angoscia del poeta ormai orfano di protezione politica – era il momento ideale per tentare di danneggiarlo186.
Anche l’undicesimo libro si apre con ben sei carmina proemiali. Il primo si rivolge a Partenio, che fu ancora influente per un certo periodo a corte anche dopo la morte di Domiziano: Marziale constata amaramente che il liberto, che si dilettava di poesia, non ha più tempo per i suoi versi di quanto ne abbia per i propri, e pertanto il liber dovrà rivolgersi agli sfaccendati che ogni giorno indugiano presso il portico di Quirino. L’epigramma XI 2, invece, mette in guardia i lettori più sensibili: scritto per i Saturnalia nonché subito dopo la morte del tiranno, l’undicesimo sarà il libretto più sfrenato e licenzioso mai scritto dal poeta di Bilbili. L’epigramma successivo esprime la lamentela – ricorrente soprattutto nell’ultimo Marziale – dell’assenza di proporzionalità tra fama e guadagno; seguono due componimenti di encomio dedicati a Nerva, forse già parte di una mini-raccolta inviata privatamente al nuovo princeps187. XI 6, infine, riprende il tema di XI 2, con l’esaltazione della Saturnalicia libertas e il conseguente avvertimento al lettore.
183 Merli in Citroni-Merli-Scàndola 20002, 796, n. 1.
184 Su questi versi cf. Merli 2013, 173-178; sulla doppia edizione del liber vd. infra, 102-104. 185 Si tratta in effetti di un timore generico, che Marziale esprime a più riprese nei suoi libri.
186 Vd. infra, 73 e 360-361. Sulle “strategie cortigiane” del proemio di tale raccolta, straordinariamente simili a quelle messe in atto nel liber I, vd. Merli 1993a, 251-252 e Lorenz 2002, 209-219; cf. anche Morelli 2017a, 128-131.
187 Si tratta di XII 4, 11 e 5+6 1-6 (secondo la numerazione Lindsay). Per Immisch (1911, 497) i versi 7-12 sarebbero da
accorpare all’epigramma XII 3. Si noti che gli epigrammi tratti da tale antologia mancano nella terza famiglia: omissione casuale per Immisch, che ricordava che γ trascura spesso, qua e là, gruppetti di epigrammi; secondo Lehmann (1931, 48) e Citroni (1988, 30, n. 5 = 20002, 50), l’assenza dei componimenti sarebbe una spia del fatto che la terza famiglia
rispecchia, dal punto di vista editoriale, uno stadio dell’opera in cui gli “avanzi” di tale antologia non erano ancora stati rimpastati nella macro-raccolta. In generale, c’è grande differenza nell’assetto della dodicesima raccolta così come riportata nei rami βγ: la plenior riportata da β comprende più epigrammi ma presenta forti disomogeneità dal punto di vita tematico e metrico-formale; l’edizione ridotta di γ, invece, appare più breve e in qualche modo più compatta. Quasi
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Si è già detto di come XI 4 e 5 siano con ogni probabilità materiale già prodotto in occasione di qualche timido tentativo di contatto privato con l’imperatore188 e confluito nell’insieme della raccolta maior: si noti tuttavia che XI 5, pur nascendo da una contingenza concreta, si adatta benissimo alle dinamiche del libellus come raccolta edita189. Anche XI 1 potrebbe essere un riadattamento di un componimento di dedica originariamente rivolto a Partenio – sarebbe insensato, altrimenti, il riferimento ai perdigiorno cui Marziale finisce per inviare i suoi versi – inserito come epigramma incipitario nella prima raccolta utile.
1.3.3 I cicli
Numerosi e di argomento vario sono i cicli di componimenti, ovvero tutti i gruppi di epigrammi costruiti attorno al medesimo tema, allo stesso personaggio o alla stessa situazione, disseminati in modo piuttosto uniforme nell’ambito di una singola raccolta ma talvolta dislocati anche tra un liber e l’altro190. È possibile ripartirli in categorie, sulla base del loro contenuto. Un primo gruppo è costituito da quelli riservati alle lodi dell’imperatore, motivo peraltro ignoto a chi, prima di Marziale, aveva inserito nella propria opera carmina tematicamente collegati191: si tratta di gruppi di epigrammi in cui il poeta si congratula per le vittorie ottenute dal princeps (come in VII 1, 2, 4, 6, 7 e in VIII 2, 8, 11, 15, 21, 26, 30, 49, 53, 65, 78), ne elogia i provvedimenti legislativi di ispirazione moralizzatrice (IX 2, 4, 7, 22, 45, 90, 91, o il ciclo che celebra la restaurazione della lex Roscia theatralis, costituito da V 8, 14, 23, 25, 27, 37, 38 e 41)192, spiega con la straordinarietà della sua
impossibile dire quale delle due sia stata confezionata da Marziale e quale dipenda dall’arbitrio di un editore, intervenuto dopo la morte del poeta; per una sintesi della questione vd. Sparagna (2014, 4-6; 2016, 153-154) e Craca (2011, 7-9).
188 Sappiamo da testi come VIII 70 e IX 26 che Marziale conosceva Nerva personalmente; l’approccio tentato con l’invio
dell’antologia prevedeva ovviamente un diverso tipo di rapporto.
189 Per le riprese tematiche che coinvolgono questo e altri epigrammi del liber XI cf. Morelli (2017a, 129-131).
190 È il caso di IV 15 e VI 5, sul denaro chiesto in prestito a (e da) Ceciliano; sulla coppia di epigrammi cf. infra, 189 e
283-285. Merita un discorso a parte il liber XII, la cui storia editoriale, purtroppo non chiara (vd. infra, 105 e 206, n. 52), non ci garantisce che la disposizione degli epigrammi sia dovuta a una volontà dell’autore; ciò nonostante, esempi significativi di quelli che potrebbero apparire cicli strutturati sono stati individuati da Bowie (1988, 5), Rimell (2008) e, soprattutto, da Sparagna (2016).
191 L’epigramma greco, come è noto, si caratterizzava proprio per le sue “variazioni sul tema”, per quanto la produzione poetica articolata su tematiche relativamente standardizzate fosse più che altro utile a mettere in luce «la capacità del poeta di variarne motivi e particolari che non l’intenzione di costruire intorno ad essi una serie di componimenti logicamente concatenati» (Borgo 2005, 8). Si tenga presente che lo sviluppo di componimenti in serie tra loro tematicamente concatenate può avere espressioni varie nell’epigrammatica greca; utilissime considerazioni sul rapporto tra le sequenze tematiche del papiro di Nicarco e la poesia di Marziale in Morelli (2015, soprattutto 54-57). Per quando riguarda la produzione di cicli di epigrammi nell’ambito della poesia latina, l’allusione è principalmente a Catullo; cf. Barwick (1958, 312-318) e Salemme (1976, 81), ma anche Carratello (2001, 73-85), che mette in discussione l’esistenza di cicli veri e propri nel liber catulliano.
192 Per cui si rimanda a Barwick (1958, 30-306) ma soprattutto all’accurato studio di Canobbio 2002. La lex Roscia
Theatralis, proposta dal tribuno Roscio Ottone nel 67 a. C. (ma vd. Scamuzzi 1969, 144-142, che sposta la datazione al
68 a. C.; la proposta, accolta con favore da Beacham 1991, 246, n. 16, è stata rifiutata da Canobbio 2002, 16) riservava le prime 14 file della cavea a personaggi di rango equestre. Al rinnovo di tale legge, che evidentemente ebbe una certa
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mitezza eventi ritenuti eccezionali (come in I 6, 14, 22, 48, 51, 60 e 104, che costituiscono il così detto “ciclo delle lepri e dei leoni”) o sceglie di adularlo sviluppando motivi più leggeri (come avviene in IX 11, 12, 13, 16, 17 e 36, che celebrano la miracolosa bellezza del coppiere Earino)193.
Cicli più brevi sono dedicati ad amici o protettori del poeta194, come quello di Deciano (I 8, 13, 39, 40, 61), quello dedicato a Regolo (I 12, 82, 111), il ciclo di Faustino (III 2, 25, 39, 47, 58) o il ciclo dedicato alla celebrazione del genetliaco del poeta Lucano (VII 21-23)195. Ci sono poi alcuni