4.1 «Di pensieri, di lagrime e d’inchiostro» 11 : quel che ci insegnano i modern
5. Le antiche edizioni del testo (I): le recensiones a monte di prima e terza famiglia
Si è già avuto modo di illustrare chela presenza di varianti d’autore nella tradizione degli Epigrammi è stata ipotizzata sulla base di un buon numero di divergenze significative tra lezioni che è impossibile spiegare come risultato di errori di copiatura o meri fraintendimenti, e che il punto di riferimento resta il lungo elenco stilato da Lindsay1. Si è anche detto che il punto di partenza nella valutazione di tale elenco, composito quanto sconfortante, può consistere nel raggruppamento delle varianti in macro-categorie che condividano una ratio comune e che consentano di identificare interi gruppi varianti sospette come il risultato dei numerosi interventi che il testo ha incontrato durante la sua trasmissione.
Ora, dal momento che i testimoni che ci restituiscono l’opera di Marziale sono ripartiti in tre famiglie derivanti da altrettante recensiones tardo-antiche del testo, è doveroso tentare di isolare, in prima battuta, le lezioni che è possibile ricondurre alle peculiarità di tali primitive versioni del testo2. Le tre antiche edizioni da cui i manoscritti degli Epigrammi derivano dovevano infatti avere tratti caratteristici piuttosto marcati – ma non necessariamente coerenti – che ad oggi possiamo tentare di ricostruire proprio sulla base dei tipi di varianti presentati.
Converrà chiarirlo da subito: i dati a disposizione sono molto esigui. Siamo piuttosto ben informati sulle circostanze in cui fu allestita l’antica edizione che ha dato vita al ramo β3, ma sappiamo poco o nulla sui prototipi di prima e terza famiglia. Nonostante i pochi dati a disposizione per i rami αγ, l’intento delle prossime pagine è quello di isolare, ove possibile, macro-caratteristiche che permettano da un lato di cogliere un’eventuale coerenza nel modus operandi degli editori che si occuparono di ricostruire il testo degli Epigrammi in età tardo antica, dall’altro di fornire una possibilità di spiegare in modo plausibile alcune delle varianti sospette riportate dai singoli rami.
5.1 Sulla recensio a monte di α
È opinione comune, tra gli studiosi del testo di Marziale, che sia la famiglia α a riportare, tra le tre, il testo più affidabile4. Nel complesso, effettivamente, essa restituisce il numero minore di
1 1903a, 13-3. L’elenco che resta piuttosto nutrito anche dopo l’eliminazione di alcuni casi effettivamente spiegabili come
errori, corruzioni o semplici glosse penetrate nel testo in fase di copiatura.
2 Si è già detto supra, 141-145 – che si tratta di una tradizione i cui tre rami sono contaminati fin dalle origini; è pertanto
possibile individuare tendenze generiche piuttosto che lezioni, per così dire, “autentiche” dell’una o dell’altra famiglia.
3 Vd. infra, 216-219.
4 Vd. Gilbert, «optima est, sed tantum excerpta continet» (1886, IX); Lindsay, «the editor has drawn from excellent
sources. Again and again the best setting of a passage is found in the MMS. which exhibit this text» (1903a, 9) e «dolendum sane est tam tenue de lectionibus primae familiae archetypo (AA) testimonium esse» (19292, II); Pasquali, «la
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lezioni che possono essere interpretate come banalizzazioni o fraintendimenti; ma anche la maggiore antichità dei codici5 e il fatto che sia l’unico ramo a riportare il Liber de Spectaculis ne hanno accresciuto non poco il prestigio.
Di seguito un elenco di lectiones singulares di α che molto probabilmente sono esito di fraintendimento del testo: IV 22: 5 condita βγ : candida T; IV 73: 4 pulla γ: puella T; VIII 3, 12: ages β : agis γ: cites T; VIII 14: 4 faece β : sole R (ove R ha interpolato a partire dalla parola precedente, come anche in X 48, 19, dove scrive fine invece di faece); IX 21: 3 gesserit βγ iusserit T (qui il copista di T ha interpolato da un corrotto iesserit; succede, sempre in T, anche in XII 31, 6, e in XI 22, 2 nel manoscritto X); X 48: 19 fa(e)ce βγ : fine T; XI 27: 13 haec βγ: hoc T; XI 104 : 8 iacet βγ : placet T ; XI 105 : 1 et 3 garrice βγ : carice T (sed garricum in lemm.); XIII 39: 2 iam tener βγ : sed tamen T ; XIII 45: 2 at βγ : tu T ; XIII 48 : 2 mittere βγ : nam mihi T : haec tibi R; XIV 81: 2 tetrico γ : tristi Tβ; XIV 115: 2 quotiens βγ : faciens T ; XIV 116: 1 cellis βγ : versis T6; XIV 145: 2 2 messe γ : esse β : veste T. Si aggiungano i casi di III 60: 5 suillos γ : pusillos Tβ; IV 73:
4 nulla Rβ; XIII 50: 1 quae β : de Tγ (per quanto tenero de vertice sia citazione da Valerio Flacco, Argon. VI 714, qui la lezione giusta deve essere quella di β), in cui α concorda in errore con uno degli altri due rami. Una lista completa delle banalizzazioni della prima famiglia dovuti a errori di copiatura è in Keil7.
Ci sono tuttavia casi meno ovvi. La variante in III 24, 2 (sacris βγ : focis T) è probabilmente glossa, per quanto la lezione riportata da βγ richiami un passo di Ovidio (Fast. IV 937, tum mihi cur detur sacris nova victima quaeris) e uno di Lucano (VII 167 nullaque funesta inventa est victima sacris) e potrebbe pertanto rientrare tra le “varianti con citazioni” tipiche di β (su cui vd. infra, 224-240), passata in γ per contaminazione. Nell’epigramma VIII 3 Marziale interroga la Musa Talia sull’effettiva utilità della sua poesia, ricevendo un secco invito a continuare a scrivere; il v. 13, che è parte della risposta della dea, recita: an iuvat ad tragicos soccum transferre cothurnos, e in questo passo la lezione di T è transire. Non c’è dubbio sulla superiorità della lezione riportata da βγ (peraltro in XII 94, 3 Marziale, probabilmente autocitandosi, scriverà
transtulit ad tragicos se nostra Thalia cothurnos): si veda la spiegazione di Keil, per cui «ut enim soccus erat comoedorum
tegmen pedum, ita cothurnus tragoedorum; soccum autem ad tragicos cothurnos transferre poeta hoc loco imagine usus usurpat pro a poematis iocosis transire ad tragica. […] Librarius quidam verba soccum transferre exponens supra vel in margine adscripsit transire, quod postea in contextum irrepsit»8. In XI 29 Marziale deplora gli scarsi effetti delle lusinghe
di Fillide (vv. 3-4): iam cum me murem, cum te tua lumina dicis / horis me refici vix puto posse decem. Al v. 3, la prima famiglia (qui rappresentata da T) trasforma murem in un ben più fiacco vitam; la corruzione del testo non è certo palese, ma il testo di T è molto meno espressivo e pertanto è forse esito di banalizzazione9 (sarebbe ben più improbabile il
processo inverso). In XI 39 Marziale, calato nella persona loquens di un giovane romano, rimprovera scherzosamente la severità del custos Caridemo, ormai sproporzionata rispetto all’età del ragazzo: iam mihi nigrescunt tonsa sudaria barba
migliore di tutte (α), è purtroppo conosciuta soltanto da excerpta» (19522, 416); Izaac (19612, XXXI), «la première
famille, qui plus d’une fois est seule à fournir la bonne leçon, (…)»; Fusi (2006, 78-79) «il suo testo è in genere migliore di quello delle altre due famiglie; non è tuttavia esente da interpolazioni».
5 Tutti e tre i maggiori rappresentanti della famiglia risalgono al IX-X secolo; i due codici più antichi delle altre due
famiglie, L per la seconda ed E per la terza, risalgono rispettivamente a XII e X secolo (vd. infra, 137-138 e 140).
6 Fraintendimento di vasis secondo Lindsay (19292, ad l.). 7 1909, 5-23.
8 1909, 35.
9 La lezione murem, verosimilmente poco chiara, potrebbe aver portato alla chiosa – e poi alla sostituzione – con vitam,
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/ et queritur labris puncta puella meis10. Qui T legge iuncta al posto di puncta; la lezione, oltre a risultare di gran lunga
meno efficace, non tiene conto di un passo plautino che forse Marziale aveva presente: ita quasi saetis labra mihi compugit
barba (Cas. 929). XI 84 è un ironico avvertimento: chi non vuol scendere nell’Ade anzitempo, si tenga lontano dalle
grinfie del barbiere Antioco! Il v. 10 (che descrive il supplizio di Prometeo) recita: carnificem nudo pectore poscet avem;
nudo è in βγ, mentre T legge duro. Qui la banalizzazione non è affatto ovvia, tanto che gli editori, con l’eccezione di Izaac
e Shackleton Bailey, mettono a testo la lezione della prima famiglia (probabilmente ritenendo che nudo fosse influenzato dal nudet del v. 8). Né nudum pectus né durum pectus, peraltro, sono estranei al linguaggio poetico: pectora nuda è nesso frequente in Properzio (II 12, 27; II 24, 52; III 8, 8; IV 8, 47), Ovidio (Met. II 585; Fast. III 864; Trist. I 3, 78), Lucano (III 619; VI 256) e Stazio (Theb. VII 481; XI 418; Ach. I 77; pectora nudata in Ach. 768) e lo stesso Marziale lo usa in X 50, 2; pectora dura è in Ovidio, Met. XIV 693; l’argomento che pare determinante, in questo caso, è che per esprimere la brutalità delle manovre di Antioco, nudo è ben più calzante di duro11. XIII 1 introduce il lettore al clima dei Saturnali,
contesto cui è destinata la raccolta (vv. 4-5): postulat ecce novos ebria bruma sales. / non mea magnanimo depugnat
tessera talo; al v. 5, T legge telo, che è una banalizzazione del termine (seguita dalla maggioranza degli editori eccetto
Shackleton Bailey)12. Incerto il caso di XIV 197, che accompagna il dono di alcune mule pumilae: his tibi de mulis non
est metuenda ruina / altius in terra saepe sedere soles. Saepe è lezione di T e di f, stampata da Schneidewin, Lindsay e
Shackleton Bailey; non pare tuttavia meno espressiva la lezione di βγ, paene, prediletta da Friedländer, Gilbert, Giarratano e Heraeus. La lezione di βγ è considerata superiore anche da Leary, in quanto accrescerebbe il paradosso e in generale l’effetto comico, mentre il saepe attestato da Tf viene liquidato come «colourless in contrast»13. Tra le banalizzazioni di
α, in questo caso condivisa con i manoscritti della famiglia γ, rientra anche IX 25, 6. In risposta all’assurda gelosia di Afro, che non tollera le occhiate di apprezzamento che i suoi convitati rivolgono al coppiere Illo, Marziale si chiede ironicamente (vv. 5-6): avertam vultus tamquam mihi pocula Gorgon / porrigat atque oculos oraque nostra tegam? Al termine del distico tegam è lezione del solo ramo β; Tγ hanno petat, lezione prediletta dalla maggior parte degli editori eccetto Shackleton Bailey, che ha giustamente osservato: «the Gorgon did not attack faces, she turned people who looked upon her face to stone»14. Nel suo commento al IX libro Henriksén, pur riconoscendo che entrambe le lezioni danno senso
accettabile, è tornato sul petat di Tγ: «petat seems nonetheless preferable, as it implies that is not only Martial that looks at the boy, but also that the boy is giving him inviting glances»15. Una pregevole valutazione delle due lezioni si deve a
Fusi, il quale ha dimostrato che nonostante il riferimento intertestuale implicato dal petat di Tγ (Ov. Met. X, 347-351,
tune eris et matris paelex et adultera patris? / tune soror nati genetrixque vocabere fratris ? / nec metues atro crinitas angue sorores / quas facibus saevis oculos atque ora petentes / noxia corda vident?, che rimanda alla descrizione delle
Erinni pronunciata da Mirra), la lezione di β abbia un ben più valido parallelo nella descrizione ovidiana dell’origine della Gorgone, ovvero il monologo pronunciato da Perseo in Met. IV 793-803: l’eroe narra di come la dea Minerva, mentre la
10 «Martial speaks in the person of the eighteen years old who has outgrown his paedagogus’ tutelage and is intent on
having his fling» (Kay 1985, 153-154). L’epigramma si inserisce in un gruppetto di componimenti, tutti collocati all’interno del liber XI (XI 32; lo stesso 39; 56), che si fanno gioco della gravitas di precettori e filosofi; sul punto vd. anche Morelli 2017a, 124-131.
11 Vd. anche Keil 1909, 47.
12 Si tratta, in effetti, di una banalizzazione che svela il gioco di parole studiato dallo stesso Marziale. Shackleton Bailey
nel suo apparato ad l. ha rilevato la sostanziale appropriatezza della lezione riportata da T («et certe tessera aleatoris telum vocari possit») ma, come rilevato da Leary, «the line would then lose the rivalry between dice and knucklebones, and would be much weaker in consequence» (2001, 40-41).
13 1996, 264. 14 1993, II, 252.
15 2012, 108; tegam è preferito da Parroni nella recensione alla prima edizione (uscita nel 1998-99) del lavoro di Henriksén
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fanciulla subiva lo stupro di Nettuno nel suo stesso tempio, presa da orrore per lo spettacolo distolse lo sguardo e coprì il volto con l’egida: aversa est et castos aegide vultus/ nata Iovis texit. Deporrebbe inoltre a favore di tegam β l’ordo
verborum difficilior, che prevede la disposizione dei due verbi in prima persona, avertam e tegam, a incorniciare il distico;
tanto più che dal parallelo ovidiano risulta chiaro che «averti e vultus tegere rappresenta l’azione indispensabile per sottrarsi al fatale sguardo pietrificatore della Gorgone»16. Un ultimo dato: la tendenza a ricercare, al termine del distico,
una terza persona singolare – evidentemente per influenza del porrigat a inizio verso – e dunque a banalizzare in direzione del petat attestato da Tγ, sarebbe riconoscibile già nell’errore commesso dal copista di L, che avrebbe trascritto, prima di correggersi, un errato tegat17.