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1.3 Aliter non fit liber: l’organizzazione del libro come raccolta

1.3.4 I carmina di dedica

Altra questione di estrema rilevanza, sempre a proposito di dispositio complessiva delle raccolte, è la presenza di un gran numero di epigrammi dedicati ai più cari tra gli amici e i patroni, che hanno tutta l’aria di esser nati come accompagnamento di materiale poetico inviato privatamente. Il primo epigramma discusso a questo proposito da White è XI 106:

Vibi Maxime, si vacas havere,

hoc tantum lege: namque et occupatus et non es nimium laboriosus.

transis hos quoque quattuor? sapisti201.

Per White, il dimostrativo hos al v. 4 si riferisce senza alcun dubbio a questi versi in particolare e non al libro XI nel suo complesso; la sua collocazione nella raccolta pubblicata va immaginata in

199 1932, 63-79; un’analisi dei vari cicli individuati (nelle raccolte di Marziale ma anche nel liber catulliano) è in Id. 1958,

284-318. Citroni (1975, XXVI-XXVII), pur riconoscendo una certa attenzione da parte del poeta alla varietà e alla disposizione degli epigrammi, nega l’appartenenza, effettivamente macchinosa, della quasi totalità degli epigrammi di Marziale a un ciclo o ad un altro, come vogliono Barwick e, a suo modo, Berends (1932). Le tesi di Barwick sono state riprese in considerazione, con il dovuto equilibrio, da Grewing (1997; 1998) e da Garthwaite, che si limita a riconoscere, per l’architettura complessiva del liber, l’importanza dei cicli in quanto «epigrams written as elaborations on a particular theme and spread intermittently throughout the volume» (1993, 72); per altri studi sulla composizione dei libri di

Epigrammi vd. supra, 55, n. 210.

200 1975, XXVII. D’accordo con Citroni, Merli (1998) ha immaginato che nella strutturazione del liber e nella

progettazione dell’architettura della raccolta il ruolo principale fosse giocato dall’ordine in cui i componimenti erano presentati al lettore.

201 Al v. 1 havere è congettura di Gruter, a fronte dell’habere della terza famiglia e dell’habuere di β. Interessante anche

la versione riportata al v. 4 da β, che legge si sapis invece di sapisti (scartato da tutti gli editori). Sul testo vd. il commento di Kay 1985, 284-285.

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un secondo momento, poiché è veramente poco probabile che Massimo dovesse faticosamente srotolare il volumen fino al terz’ultimo epigramma per leggere i pochi versi che Marziale gli aveva riservato202. Dal canto suo, Fowler203 pensa all’ennesimo caso in cui White legge troppo alla lettera quanto scritto dal poeta. Lo studioso ritiene che prima di soffermarsi su considerazioni circa l’origine e il posizionamento di questo epigramma bisognerebbe comprenderne la natura paradossale, poiché esso costituisce allo stesso tempo testo e sermo: se Marziale dipinge una situazione fittizia, in cui ferma per strada l’amico domandandogli se abbia tempo per un saluto, a sua volta l’epigramma costituisce il saluto stesso, cristallizzato nella dimensione del verso poetico.

Non si può comunque negare che questo, come numerosi altri204, potrebbe esser stato il componimento che Marziale scriveva per accompagnare l’invio in forma privata di suoi brevi omaggi poetici; il poeta, che come si è visto difficilmente rinunciava al riciclo del materiale prodotto, avrebbe preso l’abitudine di inserire e pubblicare tali carmina nella prima raccolta in via di edizione. In particolare, è interessante l’opposizione tra componimenti come l’appena citato XI 106, che sembra dar per scontato che i versi figurino nel contesto della raccolta, ed epigrammi come il successivo XI 107 che sembra invece tratteggiare un lettore “in anticipo”205:

explicitum nobis usque ad sua cornua librum et quasi perlectum, Septiciane, refers. omnia legisti. credo, scio, gaudeo, verum est.

perlegi libros sic ego quinque tuos206.

È chiaro che si tratta di una contraddizione solo apparente: probabilmente la dedica di preziosi omaggi poetici in anteprima fu praticata dal poeta per tutta la sua carriera, e gran parte dei “bigliettini” di accompagnamento saranno confluiti, tanto per ossequio al destinatario quanto per abitudine al riutilizzo di versi, nella prima raccolta maior disponibile; allo stesso tempo il bigliettino di dedica sarà diventato una sorta di sotto-genere caro a Marziale, di tanto in tanto sfruttato senza alcun pretesto reale, o comunque già in vista della pubblicazione del libro207.

202 1974, 47. Naturalmente nulla impone di credere che Vibio Massimo avesse per le mani un volume: al tempo del liber

XI l’edizione in codex doveva essere ormai consuetudine, e probabilmente il sistema iniziava a subire un’inversione di tendenza per cui il codice era sfruttato per la maggior parte delle edizioni, mentre il rotolo era riservato a quelle più ricercate.

203 1995, 47.

204 Come in parte visto supra, White prendeva in esame, oltre a XI 106, anche gli epigrammi IV 82, V 80 e VII 26.

205 Sono altri esempi in questo senso II 6, II 77, III 99, IV 81 (in cui Marziale fa allusione alle reazioni di un lettore a un

epigramma della medesima raccolta e quindi “anticipa” in qualche modo il pubblico), VII 90.

206 Al v. 4 N. Heinsius suggerisce un Quinte in luogo del numerale quinque.

207 Così lasciano supporre le dinamiche sussistenti tra molti di questi componimenti e l’aspetto complessivo della raccolta

in cui sono pubblicati: la strategia generale che regola la gran parte di tali “intermezzi” dedicatori pare inequivocabilmente d’autore.

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Un aspetto che val la pena di tenere in considerazione, per quanto i componimenti che possiamo sospettare accompagnassero varie forme di omaggio privato208, è la tendenza di Marziale a raccoglierli preferibilmente nella parte finale della raccolta, o comunque ben oltre la metà209: è così per II 93, III 100 e X 104 che sono addirittura i componimenti di chiusura della raccolta di riferimento210; così anche per I 70211, IV 82 e 86, V 80, VII 68, 80, 84 e 97, VIII 72 e 82, IX 99, XI 106. La spiegazione più naturale di questa tendenza è che tali versi, effettivamente nati per accompagnare raccolte private, venissero poi inseriti nei libelli al fine di omaggiarne il destinatario212. Ora, è chiaro che le sezioni della raccolta in cui aveva senso raccogliere gli epigrammi cui si voleva dare una rilevanza particolare erano quella iniziale e quella finale, ma è altrettanto chiaro che il proemio della raccolta, specie nei “domizianei” libri V-IX, doveva esser consacrato alla celebrazione del dedicatario ufficiale; la parte conclusiva, pertanto, restava l’unica alternativa.

In ogni caso, un gruppetto di epigrammi evidentemente composti come formula di omaggio, trova, in contraddizione alla tendenza appena presa in esame, una collocazione all’interno della raccolta che non è forse del tutto casuale. Il caso di I 52, dedicato a Quinziano213, è facilmente spiegabile: questi versi non sono dedica vera e propria ma si inseriscono in un discorso più generale sul plagio214 che Marziale sta sviluppando attraverso il breve ciclo di epigrammi contro Fidentino (I

208 Non soltanto i libelli messi insieme e inviati in privato ad amici e patroni (di cui si è discusso supra), ma anche l’invio

di doni preziosi e ricercati come l’edizione dei primi sette libri di Epigrammi corretti a mano dal poeta cui pare alludere VII 17. Si tratta, insomma, di tutti i componimenti che presuppongono dialogo con un interlocutore privilegiato che non sia il dedicatario ufficiale del liber.

209 Sulla struttura dei finali dei libri di Marziale vd. le osservazioni di Canobbio (2007). Secondo lo studioso è possibile

individuare, nelle sezioni conclusive dei libri, due atteggiamenti principali: il primo, sfruttato fino al liber VI, consiste nella ricerca di un contatto col lettore, sia esso figura astratta e generalizzata (come Luperco o Cediciano nel finale del

liber I) o un destinatario reale e illustre (come Regolo nel finale del libro II); «il lettore designato viene chiamato in causa

nell’ambito di situazioni che presuppongono l’avvenuto compimento del libro e l’inizio quindi di quella fase che oggi chiameremo di distribuzione, vale a dire situazioni di omaggio, vendita, diffusione e correzione di un testo ormai licenziato» (213). Tale modalità di chiusura viene sostituita nei libri successivi, dove nella parte conclusiva Marziale suole proporre al lettore versi su tematiche cui si è data una certa rilevanza già nel libro (un esempio è la legislazione di Domiziano in materia morale nel libro VII). La modalità di appello al lettore viene ripresa con il libro X (ovviamente preso in considerazione nella seconda edizione del 98 d. C., l’unica in nostro possesso; il che assegna il libro XI, uscito nel 96, alla categoria precedente). Per alcune riflessioni generali sulla chiusura dell’opera letteraria vd. Fowler 1989.

210 Almeno due di questi sono comunque epigrammi che hanno in sé, oltre alla dedica di un omaggio poetico all’uno o all’altro personaggio, un secondo messaggio, garantendo un finale “a effetto”: II 93 giustifica la presenza di un liber II e dunque l’avvio della pubblicazione sistematica, da parte di Marziale, di raccolte di epigrammi vari (cf. infra, 76 e 89-90) mentre X 104, che era sicuramente una delle novità inserite nella seconda edizione del 98 d.C., annuncia solennemente al pubblico di Marziale la sua intenzione di far ritorno in Spagna (cf. XI 108).

211 Inserito in una raccolta che supera i 110 epigrammi, I 70 in realtà non può dirsi collocato propriamente nella sezione conclusiva della raccolta; forse può esser utile a spiegarlo il fatto che parliamo del liber I, sicuramente ampliato e rimaneggiato da Marziale anni dopo la prima edizione.

212 Il presupposto è che, come riconosce lo stesso poeta in più di un’occasione, esser citati nei suoi libretti costituiva, almeno da un certo punto in poi, un onore; vd. V 15, 3 gaudet honorato sed multus nomine lector e V 60, in cui Marziale nega a un rivale anonimo perfino la soddisfazione di esser citato con un feroce ignotus pereas, miser, necesse est.

213 commendo tibi, Quintiane, nostros – / nostros dicere si tamen libellos / possum, quos recitat tuus poeta – : / si de

seruitio graui queruntur, / adsertor venias satisque praestes, / et, cum se dominum vocabit ille, / dicas esse meos manumque missos. / hoc si terque quaterque clamitaris / impones plagiario pudorem.

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29, 38, 53 e 72, ma vd. anche I 66), spudorato ladro dei suoi versi non ancora protetti dalla sicura notorietà dell’autore.

Non è inserito nella sezione finale neppure IV 10215. Marziale si affida al senno dell’amico Faustino, già dedicatario di III 2216, per ripulire il libro delle numerose inesattezze, e conclude scherzosamente l’epigramma affermando che non possunt nostros multae, Faustine, liturae,/ emendare iocos: una litura potest.

È opportuno ricordare che il libro IV, per quanto sia il primo di Marziale ad aprirsi nel nome di Domiziano, manca di una dedica formale; potrebbe dunque esser significativo il fatto che l’omaggio sia all’amico Faustino, probabilmente ospite di Marziale in Cispadana nel periodo di composizione della terza raccolta217, in ogni caso dedicatario ufficiale del libro. Sistemando l’epigramma per Faustino in posizione anticipata e quindi privilegiata rispetto agli altri due epigrammi di omaggio nel medesimo libro (che sono IV 82, a Venuleio, e IV 86, ad Apollinare) Marziale aveva la possibilità di ribadire la sua riconoscenza e di prolungare l’elogio, articolato in più di un componimento già nel liber III; in un certo senso, stabiliva anche una sorta di corrispondenza tematica tra le due raccolte, apprezzabile anche dal resto del suo pubblico.

Altri due epigrammi che non rispettano la tendenza di Marziale a collocare simili componimenti alla fine delle sue raccolte sono nel settimo libro. Il primo è VII 17, scritto per Giulio Marziale:

ruris bibliotheca delicati, vicinam videt unde lector urbem inter carmina sanctiora si quis lascivae fuerit locus Thaliae,

hos nido licet inseras vel imo 5

septem quos tibi misimus libellos auctoris calamo sui notatos: haec illis pretium facit litura. ac tu munere dedicata parvo218

215 Vd. anche supra, 25.

216 Cf. il commento di Fusi (2006, 113-128).

217 Vd. Fusi (2006, 57-60) e Balland (2010, 39-89). È opportuno notare che le modalità di apertura dei due libri potrebbero

in qualche modo richiamarsi l’un l’altra: se il terzo libro si apriva con la dedica al lettore di Roma (III 1) e una a Faustino (III 2), seguite da un secondo carme – di tono più polemico – rivolto al lector (III 4; sull’epigramma III 3, sicuramente spurio, vd. infra, 145-147) e da un omaggio al patrono Giulio Marziale (III 5), il quarto libro, che si apre nel nome di Domiziano, riporta a rispettosa distanza (IV 10) l’omaggio a Faustino. La strategia di dedica passa dunque dall’alternanza tra lettore “pubblico” e “privato” all’alternanza tra omaggio al princeps e omaggio agli altri patroni.

218 Al v. 9 la famiglia β legge dedicata mentre la lezione di γ, seguita da tutti gli editori con l’eccezione di Heraeus e

Izaac, è delicata. Secondo Munro (1884, 219) era necessario intendere delicata come vocativo, aggiungere una virgola e far dipendere munere…parvo da cantaberis; appoggiarono l’ipotesi Friedländer Duff e Friedrich. Heraeus e Izaac

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quae cantaberis orbe nota toto, 10

pignus pectoris hoc mei tuere, Iuli bibliotheca Martialis.

La biblioteca di Giulio Marziale, che sorgeva sul Gianicolo, era stata esaltata già in IV 64, e Giulio stesso appare molto spesso nelle raccolte varie di Epigrammi: è il dedicatario del liber VI e il poeta lo rende partecipe in più di un’occasione delle sue considerazioni219.

Questo epigramma in particolare ha fatto credere ad alcuni studiosi220 che Marziale avesse, a un certo punto della sua carriera, curato un’edizione complessiva dei libri I-VII, forse la stessa il cui innovativo formato in codex viene esaltato in I 2, e che uno dei primi a essere omaggiato del prezioso volume sia stato proprio Giulio Marziale221. In questa sede, ciò che importa far notare è che l’epigramma, pur essendo con ogni evidenza un biglietto di accompagnamento a un ricercato omaggio privato, si colloca poco dopo l’incipit della raccolta. Una prima spiegazione si potrebbe tentare osservando che il caso è piuttosto simile a quello appena esaminato: Giulio Marziale è, com’era Faustino, il dedicatario del libro precedente; il libro VII è a suo modo, com’era il libro IV, privo di dedica esplicita222. Ancora una volta, forse, Marziale approfittava dell’assenza di un componimento che sancisse formalmente il destinatario della raccolta per rinnovare il suo omaggio al dedicatario del libro precedente, creando un collegamento tematico tra le due raccolte.

Un secondo tentativo di spiegare il posizionamento di tale epigramma parte più che altro dal suo contenuto, dall’enfasi posta sul fatto che la revisione è stata curata personalmente dall’autore e sulla preziosità dell’omaggio letterario in questione. In primo luogo, il deposito del prezioso manoscritto presso la biblioteca. Edifici consacrati alla conservazione di autografi e copie erano già sorti in età repubblicana (si pensi alla biblioteca di Silla o a quella di Lucullo)223 ma è soprattutto in età imperiale che, parallelamente all’evolversi del commercio librario, collezionismo e crescita delle

propendevano invece per la lectio tràdita dalla seconda famiglia in quanto individuavano un parallelo in Stat. Silv. 3 praef. 16-20. Shackleton Bailey è stato il primo a porre il termine tra cruces. Impossibile non rilevare il fatto che la lezione della terza famiglia ha tutta l’apparenza di un errore dello scriba condizionato dalla presenza del delicati al v. 1; d’altro canto, se si preferisce dedicata, bisognerà intendere il termine nel significato do consecrare «as a play on ritual expressions permitting Martial to consecrate his friend’s library, as if it were a temple, for a particular mission» (Galán-Vioque 2002, 141).

219 Vd. I 15, III 5, V 20, VI 1, IX 97, X 47, XII 34; cf. Balland 2010, 24-26.

220 In particolare Dau (1887, 76-78), la cui tesi è stata accolta favorevolmente da Immisch (1885) e Lehmann (1931). Su tale questione, vd. supra. 19, n. 60 e infra, 77-79.

221 Si tenga tuttavia presente l’interpretazione di Nobili (2008, 356): «il testo dell’epigramma sembra corroborare l’ipotesi

che Marziale doni le sue opere fino ad allora uscite per rimpinguare la biblioteca dell’amico, che del resto possedeva già altre opere del poeta, quanto meno il terzo libro». Sull’epigramma vd. anche Fabbrini 2007, 117-180.

222 Per quanto si apra con una serie di componimenti rivolti a Domiziano, che per Citroni (20002, 41) costituiscono ad ogni modo una «dedica di fatto».

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biblioteche private conobbero notevole impulso224. Il valore delle opere custodite nelle biblioteche di certo dipendeva in parte dalla rarità dell’opera, in parte dalla sua stessa qualità; eppure «a dispetto del loro valore, non si trattava necessariamente di prodotti perfetti: anzi, il lavoro dei copisti lasciava quasi sempre a desiderare»225. Si spiega dunque il valore dell’offerta fatta dal poeta di Bilbili all’amico: la copia che gli sta inviando è corretta di suo pugno, e costituisce pertanto qualcosa di ben più pregiato. Anche l’invito a riporre il libretto negli scaffali più in basso è falsa modestia: l’autore si aspetta che la sua opera sia spesso sfogliata e suggerisce pertanto di conservarla sui ripiani più a portata di mano226.

Negli ultimi versi Marziale finisce per chiedere protezione alla biblioteca in cui è accolto: «it is physical protection that the author has in mind, since libraries were a means of ensuring the conservation of accurate copies of works corrected by the author themselves, and could be visited to check and correct subsequent copies»227. Si capisce a questo punto che l’omaggio non era del tutto disinteressato, poiché si trattava per l’autore di un modo di garantirsi la presenza di un modello con cui confrontare le copie che circolavano con controllo scarso o nullo; inserire tale epigramma nella raccolta pubblicata poteva significare voler “mettere in guardia” plagiari, editori non autorizzati, copisti troppo distratti.

In questo senso, non può prescindere dal collegamento con VII 26, l’altro epigramma del medesimo libro che contraddice la norma generale:

Apollinarem conveni meum, scazon, et si vacabit – ne molestus accedas – hoc qualecumque, cuius aliqua pars ipse est, dabis: haec facetum carmen imbuant aures.

si te receptum fronte videris tota, 5

noto rogabis ut favore sustentet. quanto mearum scis amore nugarum flagret: nec ipse plus amare te possum. contra malignos esse si cupis tutus,

224 Secondo Svetonio e Probo, Persio lasciò al suo maestro Anneo Cornuto una biblioteca contenente, in più 700 rotoli,

tutti gli scritti di Crisippo; Plinio (Epist. IV 28, 1) parla della biblioteca di Erennio Severo; Ateneo (I 3, a-c) descrive la ricchissima raccolta di Publio Livio Larense, costituita soprattutto da esemplari greci. Marziale fa invece riferimento ad un’altra biblioteca, nello specifico quella di Stertinio Avito, in IX praef.. Sulle biblioteche imperiali vd. Bowie 2013; per un approfondimento sull’età flavia vd. Tucci 2013; sul ruolo delle biblioteche come fattori di coesione sociale vd. Nicholls 2015.

225 Fedeli 1989, 372. Vd. anche Pecere 2010, 254-255.

226 Come si è visto, in I 117, 15 Marziale ricorda l’uso dei librarii di tenere i best-seller sugli scaffali più comodi da

raggiungere. Per le indicazioni sulla collocazione del libro inviato si veda V 15, ove Marziale suggerisce a Sesto, bibliotecario imperiale, il punto più adatto in cui deporre il volume nella collezione della princeps.

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Apollinarem conveni meum, scazon228. 10

Anche in questo caso, è necessario tenere a mente che Apollinare non era un dedicatario qualsiasi: si tratta del patrono cui Marziale si era rivolto anche in IV 86229, esaltandone l’erudizione e l’estrema raffinatezza del gusto letterario; il fatto che ci si appelli alla sua competenza in più di un’occasione potrebbe suggerire che, per una volta, l’invito a correggere i suoi versi non fosse vuota retorica. Ora, l’epigramma per Apollinare nel libro VII è preceduto da un gruppetto di epigrammi che hanno in qualche modo come argomento i rapporti di Marziale con il mondo della letteratura: VII 22 e VII 23 sono infatti dedicati a Polla, vedova del defunto poeta Lucano, per la ricorrenza del genetliaco del poeta scomparso; VII 24 mette in guardia un’anonima malalingua che tenta di portare del disaccordo tra l’autore e il caro amico Giovenale230; l’epigramma VII 25, infine, esalta il tono volutamente pungente degli epigrammi di Marziale, paragonandoli ai versi di un ipotetico rivale, blandi e senza mordente231. Siamo pertanto legittimati a credere che la dedica a Apollinare – e forse anche quella a Giulio Marziale – sia stata volutamente anticipata da Marziale, al fine di arricchire la sezione più raffinata del libro, quella di argomento letterario.

Il libro VII in sé è peraltro ricchissimo di componimenti metaletterari e di riflessioni sulla propria poetica232: il fatto che gli accompagnamenti a ricercatezze private (come VII 17) e gli epigrammi di dedica del libretto rivolti a un erudito come Apollinare (come VII 26) fossero collocati in posizione non convenzionale potrebbe non essere una casualità.

Un ragionamento simile si può fare anche per quanto riguarda l’ultimo epigramma di dedica non inserito nella parte conclusiva del libro di cui fa parte; si tratta del celeberrimo X 20 (19), scritto per Plinio il Giovane233:

nec doctum satis et parum severum,

228 Al v. 4 hoc facetae è congettura di Gronovius (accolta da Shackleton Bailey), basata comunque sull’accordo dei codici

umanistici sul dimostrativo hoc. I testimoni delle famiglie βγ (i florilegi della prima famiglia non trasmettono l’epigramma) riportano haec facetum, accolto dalla maggior parte degli editori. Al v. 9, i codici della terza famiglia leggono potes al posto di cupis.