1.5 Quod mihi vix unus toto liber exeat anno: l’auto-cronologia d’autore
1.5.2 La percezione del successo
Complemento fondamentale allo studio della cronologia dell’opera di Marziale sono poi le valutazioni fatte dal poeta stesso circa la sua fama: la percezione della propria notorietà, che in Marziale raramente è distorta o inutilmente poco obiettiva282, è una tematica fortemente presente in tutti i libri, spesso di grande aiuto nella ricostruzione delle vicende editoriali dell’opera stessa.
È infatti proprio sulla base di tali affermazioni che, come si è già visto, gli epigrammi I 1 e I 2 vengono considerati il proemio di un’edizione successiva e verosimilmente in formato codex, degli Epigrammaton libri; il fatto che l’autore si proclami toto notus in orbe e che finga maliziosamente di prevedere il desiderio del lettore di avere costantemente a portata di mano suoi libretti presuppongono un livello di notorietà che difficilmente Marziale poteva aver raggiunto dopo aver pubblicato soltanto Spectacula, Xenia e Apophoreta283. Se si escludono questi due epigrammi, che come si è visto sono verosimilmente seriori, le prime osservazioni di Marziale circa l’avanzare della propria notorietà si hanno qualche libro dopo, con l’epigramma V 10. Si tratta di versi in cui il poeta ironizza sulla fama che tarda a venire: rivolgendosi a Regolo, Marziale osserva scherzosamente che se essa giunge dopo la sepoltura – come è successo a Ennio, a Menandro, a Ovidio –, lui non ha alcuna fretta di diventare famoso284.
281 Obstat, care Pudens, nostris sua turba libellis / lectoremque frequens lassat et implet opus. / rara iuvant: primis sic maior gratia pomis, / hibernae pretium sic meruere rosae; / sic spoliatricem commendat fastus amicam / ianua nec iuvenem semper aperta tenet. / saepius in libro numeratur Persius uno / quam levis in tota Marsus Amazonide. / tu quoque de nostris releges quemcumque libellis, / esse puta solum: sic tibi pluris erit.
282 «Io credo che questo rafforzarsi della sua coscienza di artista possa essere in parte condizionato dall’aumentare del
suo successo di pubblico: abbiamo visto del resto che ogni volta che egli più chiaramente afferma la validità della propria produzione, sente anche il bisogno di ricordare la fama che ormai si era acquistato. Ciò non deve stupire in alcun modo: per Marziale, come in generale per gli autori antichi, la fama è la misura della validità dell’opera d’arte come, in fondo, di ogni altra opera umana» (Citroni 1968, 277). Un utile parametro di riferimento, nella misurazione effettiva della fama goduta dal poeta di Bilbili, può essere l’incidenza del suo peso poetico sulle epigrafi coeve; vd. almeno Morelli 2005; sul rapporto di Marziale con le epigrafi metriche vd. anche Gamberale 1993.
283 Ammesso che la pubblicazione di tutte e tre queste raccolte abbia effettivamente preceduto la pubblicazione del libro I; vd. infra, 109-125. Probabilmente gli epigrammi I 1 e I 2 non erano inclusi in tutte le edizioni di Marziale, e un importante indizio in questo senso è fornito dal fatto che essi mancano nei testimoni della seconda famiglia (vd. Lehmann 1931, 55 e Citroni 1970, 82).
284 “Esse quid hoc dicam vivis quod fama negatur / et sua quod rarus tempora lector amat?” / hi sunt invidiae nimirum, Regule, mores, / praeferat antiquos semper ut illa novis. / sic veterem ingrati Pompei quaerimus umbram, / sic laudant Catuli vilia templa senes; / Ennius est lectus salvo tibi, Roma, Marone, / et sua riserunt saecula Maeoniden; / rara coronato plausere theatra Menandro; / norat Nasonem sola Corinna suum. / vos tamen o nostri ne festinate libelli; / si post fata venit gloria, non propero. Si noti che Marziale seleziona volutamente esempi letterari diversi tra loro (cf. il
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Il discorso è ripreso nella stessa raccolta con uno strano cambiamento di prospettiva rispetto alla propria notorietà, che sembra improvvisamente cresciuta in V 13:
sum fateor, semperque fui, Callistrate, pauper, sed non obscurus nec male notus eques, sed toto legor orbe frequens et dicitur “hic est”;
quodque cinis paucis, hoc mihi vita dedit.
at tua centenis incumbunt tecta columnis 5
et libertinas arca flagellat opes,
magnaque Niliacae servit tibi gleba Syenes, tondet et innumeros Gallica Parma greges. hoc ego tuque sumus: sed quod sum non potes esse;
tu quod es, e populo quilibet esse potest. 10
Nonostante la tendenza di molti lettori a evitare i poeti contemporanei, lamentata in V 10, la fama di Marziale è ampia e tangibile; V 13 ne è orgogliosa rivendicazione285. Nello stesso libro V si collocano poi due altri epigrammi in cui Marziale fa riferimento all’avanzare inesorabile della propria fama: in V 15 ricorda come, in accordo con quanto si era prefissato nell’epistola proemiale al liber I, nessuno sia stato mai offeso dai suoi versi e anzi di come in generale esser citati in uno dei suoi epigrammi sia cosa ambita e apprezzata; in V 16 il poeta si rivolge ai suoi lettori rimproverandoli per la prima volta della loro indifferenza nei confronti del suo benessere economico286. Con il crescere dell’ordinale della raccolta di riferimento cresce la consapevolezza della propria notorietà a Roma; l’affermazione laudat, amat, cantat nostros mea Roma libellos, dell’epigramma VI 60 è forse una delle più smaccate vanterie del poeta a questo proposito.
commento di Howell1995, 86-88 e Canobbio 2011, 158-170); il poeta, qui, sta semplicemente criticando la mania di privilegiare la lettura dei classici rispetto a quella dei poeti contemporanei. Per un attacco scherzoso ai gusti ostentatamente arcaizzanti vd. anche XI 90 (e il relativo commento di Kay 1985, 250-253).
285 «Il fatto che la controparte di M., il quale si presenta come eques Romanus (v. 2) prima ancora che come poeta
affermato (vv. 3-4), sia rappresentata da un liberto che porta un nome greco avvicina l’epigramma alla protesta sociale di impronta ‘nazionalistica’ di Giovenale» (Canobbio 2011a, 259).
286 V 15: quintus nostrorum liber est, Auguste, iocorum / et queritur laesus carmine nemo meo; / gaudet honorato sed multus nomine lector, / cui victura meo munere fama datur. / “quid tamen haec prosunt quamvis venerantia multos?” / non prosint sane, me tamen ista iuvant. La rivendicazione del carattere innocuo dei propri epigrammi è anche nell’epigramma V 16: seria cum possim, quod delectantia malo / scribere, tu causa es, lector amice, mihi, / qui legis et tota cantas mea carmina Roma: / sed nescis quanti stet mihi talis amor. / nam si falciferi defendere templa Tonantis / sollicitisque velim vendere verba reis, / plurimus Hispanas mittet mihi nauta metretas/ et fiet vario sordido aere sinus./ At nunc conviva est commissatorque libellus/ et tantus gratis pagina nostra placet. / sed non et veteres contenti laude fuerunt, / cum minimum vati munus Alexia erat. / “belle” inquis “ dixti: iuvat et laudabimus usque.”/ dissimulas? facies me, puto, causidicum. Sull’insoddisfazione di Marziale vd. anche Borgo (2003, 108); il tema si inscrive nella macro- questione della condizione precaria del poeta e della sua paupertas, per cui vd. Nauta 2002, soprattutto 148-189.
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Pubblicata la settima delle sue raccolte di epigrammi vari, Marziale è pienamente soddisfatto del livello di notorietà raggiunto: tutta la città conosce i suoi componimenti e, se non tutti li amano, tutti ne sono comunque, in qualche modo, toccati287; si possono addirittura trovare, nelle strade di Roma, ammiratori tanto appassionati da poter recitare a memoria i suoi libri, come il Pompeo Aucto dell’epigramma VII 51288.
Un aspetto particolare e piuttosto significativo del rapporto di Marziale con il proprio successo è dato dalla apologia della propria opera di fronte alle critiche dei detrattori; pare opportuna qualche osservazione, limitata alle critiche – reali, temute o semplicemente previste – del pubblico di Roma inteso nella sua accezione più vasta e impersonale. In apertura dell’ottava raccolta Marziale aveva manifestato – anche se con ogni probabilità allo scopo di farsi acclamare ancor di più – il proposito di smettere di scrivere. Nei libri successivi, il sereno e quasi sempre soddisfacente rapporto con il pubblico pare turbarsi; allo stesso tempo si insinua, nei versi dell’epigrammista, un atteggiamento difensivo rispetto alla critica dei lectores comuni.
287 Quale pubblico dovremmo immaginare, in concreto per gli Epigrammi? Se lo è domandato Best (1969), tentando di
stabilire se i libri pubblicati di Marziale fossero pensati per categorie sociali specifiche. Qualche dato viene dal poeta stesso: nella prefazione in prosa al suo liber I chiarisce subito l’intenzione di rivolgersi a un pubblico che assisterebbe senza imbarazzo ai Floralia, mentre in III 69 ammette che i suoi versi sono pensati soprattutto per ragazze frivole, giovanotti dissoluti, vecchi tormentati dai capricci dell’amante (vv. 5- 6: haec igitur nequam iuvenes facilesque puellae/
haec senior, sed quem torquet amica legat). Difficile, comunque, fare considerazioni precise dal punto di vista sociale: i
mestieri e le posizioni sociali nominate direttamente o indirettamente nei suoi epigrammi sono almeno sessanta (vd. Spaeth 1932a, 244-254) tanto che Best è costretto a concludere piuttosto vagamente: «Martial’s readers are found in all levels of Roman society and throughout the Roman world. They did not need to have a thorough knowledge of Roman literature; but they did need to be literate to understand his poems» (1969-212). Per alcuni dati sull’alfabetizzazione a Roma tra I e II sec. d. C. vd. Harris (1989, 279-317; cf. ivi, 250-257 per la circolazione dell’opera letteraria tra tarda repubblica e alto impero) e le osservazioni in Cooley 2002; per una panoramica sull’età augustea cf. Cavallo 2015.
288 Mercari nostras si te piget, Urbice, nugas / et lasciva tamen carmina nosse libet, / Pompeium quaeres – et nosti forsitan – Auctum; / Ultoris prima Martis in aede sedet: / iure madens varioque togae limatus in usu / non lector meus hic, Urbice, sed liber est. / sic tenet absentes nostros cantatque libellos / ut pereat chartis littera nulla meis: / denique, si vellet, poterat scripsisse videri; sed famae mavult ille favere meae. / hunc licet a decima – neque enim satis ante vacabit – / sollicites, capiet cenula parva duos; / ille leget, bibe tu; nolis licet, ille sonabit: / et cum “iam satis est” dixeris, ille leget. Il tema dell’estrema estensione della fama è ripreso ancora in VII 88, in VIII 61, ove il successo di Marziale è motivo di rancore per l’invidioso Carino, e in X 103; sull’epigramma vd. Buongiovanni 2011, che commenta: «a ben vedere, i veri destinatari dell’epigramma sembrano essenzialmente i lettori romani di Marziale. (…) Ne consegue quindi che il poeta sta rivolgendo un ultimo accorato appello ai cittadini dell’Urbe per rivendicare la propria autorevolezza letteraria, collegandola ai grandi classici della poesia augustea, per dimostrare di essere ancora ‘degno della città’, di possedere ancora le qualità che fino ad allora gli avevano consentito di ottenere fama e onori. (…) Peraltro, l’epigramma 10.103, penultimo del libro e preludio alla dolorosa e sofferta partenza, non registra la scelta convinta del poeta di abbandonare e ripudiare Roma; al contrario, esso evidenzia tutte le perplessità e le remore del caso, esplicitate soprattutto nell’ultimo distico, dove Marziale si dichiara disposto a tornare in patria soltanto se sarà accolto con animo benevolo (placida mente), mentre se Bilbilis mostrerà il cuore duro (aspera corda), redire licet» (ivi, 245). Si tenga presente che X 103 è l’ultimo appello dell’epigrammista al pubblico della decima raccolta, ma non l’ultimo scritto di Marziale, poiché nuovi riferimenti al proprio successo sono nel libro XII. Tra questi, è di una certa importanza XII 2: ad populos mitti qui nuper ab Urbe solebas, / ibis, io, Romam nunc peregrine liber / auriferi de gente Tagi tetricique Salonis, / dat patrios amnes quos mihi terra potens. / non tamen hospes eris, nec iam potes advena dici, / cuius habet fratres tot domus alta Remi. / iure tuo veneranda novi pete limina templi, / reddita Pierio sunt ubi tecta choro. / vel si malueris, prima gradiere Subura; / atria sunt illic consulis alta mei: / laurigeros habitat facundus Stella penatis, / clarus Hyanteae Stella sititor aquae; / fons ibi Castalius vitreo torrente superbit, / unde novem dominas saepe bibisse ferunt: / ille dabit populo patribusque equitique legendum, / nec nimium siccis perleget ipse genis. / quid titulum poscis? versus duo tresve legantur, / clamabunt omnes te, liber, esse meum. Su questo epigramma vd. il commento di Craca (2011, 53-65).
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Un buon esempio ne è l’epigramma IX 81:
lector et auditor nostros probat, Aule, libellos, sed quidam exactos esse poeta negat. non nimium curo: nam cenae fercula nostrae
malim convivis quam placuisse cocis.
L’indifferenza alle critiche dei lettori troppo pedanti è ribadita in epigrammi raccolti nei libri successivi: in X 4, 21 e 59 Marziale sviluppa variamente la tematica, finendo in ogni caso per concludere rivendicando la dignità contenutistica e formale della sua poesia289.
Al di là del fastidio causatogli dall’insistenza della critica, negli ultimi libri l’autore finisce per cambiare atteggiamento anche rispetto al suo pubblico. Nei primi epigrammi del liber XI, ad esempio, egli si dice più volte deluso dai suoi lettori e dalla sua notorietà, e il tema dell’estensione della propria fama si mescola all’amara consapevolezza che il successo non gli vale alcun profitto; è noto, a questo proposito, l’epigramma XI 3290:
non urbana mea tantum Pipleïde291 gaudent
otia nec vacuis auribus ista damus, sed meus in Geticis ad Martia signa pruinis
a rigido teritur centurione liber,
dicitur et nostros cantare Britannia versus. 5
quid prodest? Nescit sacculus ista meus. at quam victuras poteramus pangere chartas
quantaque Pieria proelia flare tuba cum pia reddiderint Augustum numina terris,
et Maecenatem si tibi, Roma, darent! 10
Il vastissimo pubblico dell’Urbe292 divenne per Marziale, alla fine della sua carriera, una figura ambivalente: a volte ostile, esattamente come i critici pretenziosi e i plagiari disonesti che lo avevano
289 Nello specifico, Marziale si difende dagli amanti di poesia epica e in generale di letteratura di argomento mitologico in X 4 e risponde a coloro che criticano i suoi epigrammata longa in X 59.
290 Il motivo è ripreso in XI 24 ove Marziale si lamenta col patrono Labullo di non aver tempo da dedicare alla poesia, impegnato com’è a seguirlo nelle sue passeggiate e a lodare ogni sua parola.
291 La ricostruzione del termine, frainteso dai manoscritti (pipeide γ : pieride β : Pimpleide ς) si deve a Heraeus sulla base
di XII 11, 3: cuius Pipleo lyra clarior exit ab antro?
292 Si tenga presente peraltro come queste e altre affermazioni di Marziale circa la propria notorietà sono anche spia del
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perseguitato fin dagli inizi della sua attività poetica, ma in altre occasioni unico garante del suo successo.
Proprio al lettore Marziale indirizza, in XI 108, un congedo carico di risentimento293, prima di fare mestamente ritorno nella sua Spagna:
quamvis tam longo possis satur esse libello, lector, adhuc a me disticha pauca petis: sed Lupus usuram puerique diaria poscunt.
lector, solve294. taces dissimulasque? vale.
Un secondo asse lungo il quale si articola la progressiva presa di coscienza, da parte di Marziale, della sua notorietà e del suo successo è senz’altro il rapporto con il princeps. È stata opportunamente messa in luce da Citroni295 la strategia di graduale avvicinamento del poeta all’imperatore, attuata mediante l’inserimento di un numero crescente di epigrammi a lui rivolti nelle raccolte man mano pubblicate.
Per quanto il primo libro che Marziale osi dedicare apertamente a Domiziano sia il V, parecchi componimenti che dovevano in un certo senso preparare il terreno erano già stati inseriti nelle raccolte precedenti. Nel primo libro, ad esempio, dopo un’epistola introduttiva e tre epigrammi – ma sarebbe più corretto dire un’epistola introduttiva e un epigramma, se si ragiona in termini di prima edizione – indirizzati al proprio pubblico, figura il primo componimento apertamente rivolto al princeps, in cui il poeta si limita a rassicurare Domiziano circa la natura inoffensiva dei suoi versi e l’integrità dei suoi costumi296. Nelle due raccolte successive il poeta sembra quasi dimenticare il suo dovere di omaggio: nel libro II una celebrazione dell’assunzione da parte dell’imperatore del titolo di Germanicus è inserito in posizione di rilievo in incipit di raccolta (II 2) mentre i due noti componimenti che riguardano lo ius trium liberorum sono posti praticamente a conclusione della raccolta; nel libro III, invece, non ci sono versi che si possano considerare direttamente rivolti all’imperatore, cui Marziale torna a rivolgersi in IV 27297.
293 Non sarà l’ultimo; si veda l’epigramma XII 2 (cf. supra, 79, n. 300).
294 I codici della famiglia β leggono salve, che è tuttavia lezione ametrica e contraria all’uso di Marziale, come già rilevato
da Friedländer (1886, 216).
295 1988, 3-39 = Merli-Citroni-Scàndola 5-54.
296 «Non si tratta di una dedica, ma di una richiesta di tolleranza per i suoi epigrammi lascivi» (Citroni 1988, 18). Nel liber I è peraltro inserito il ciclo delle lepri e dei leoni, pensato per celebrare le doti di sovrannaturale mitezza e autorevolezza di Domiziano.
297 Saepe meos laudare soles, Auguste, libellos. / invidus ecce negat: num minus ergo soles? / quid quod honorato non
sola voce dedisti / non alius poterat quae dare dona mihi? / ecce iterum nigros conrodit lividus ungues: /da, Caesar, tanto tu magis, ut doleat. Si aggiunga la menzione in IV 1, che celebra il dies natalis dell’imperatore, e dal citato IV 27,
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È notevole che dopo tali contatti sporadici Marziale vanti un livello di confidenza simile con Domiziano, e non stupisce a questo punto che la raccolta successiva sia ufficialmente dedicata al princeps: V 1 formula apertamente l’offerta, V 2 chiarisce il contenuto privo di oscenità del libretto, e V 5 rende chiaro, mediante la richiesta al bibliotecario Sesto di collocare la raccolta sugli scaffali dell’imperatore, come Marziale «si ponga ormai apertamente anche di fronte all’imperatore come autore di opere di “letteratura” e non semplicemente “di consumo”»298.
In tutte le raccolte successive, fino alla morte di Domiziano, sarà percepibile la tensione tra l’esigenza di intrattenere il proprio pubblico e quella di adulare l’imperatore senza contrariarlo con l’eccessiva libertà di linguaggio299; ciò che qui importa, comunque, è il fatto che la presa di confidenza con l’imperatore è, esattamente come l’evoluzione del rapporto con il proprio pubblico, uno degli aspetti in cui meglio si riflette l’articolarsi della cronologia interna che l’autore dà alla propria opera.
Resta da considerare un ultimo aspetto, ovvero la percezione che Marziale ha del suo ruolo diacronicamente considerato nell’ambito del canone letterario. Va da sé che si tratta di una tematica che coinvolge questioni estremamente ampie e dibattute, quali la concezione che il poeta ha del genere epigrammatico, in quale tradizione letteraria tenda a inscrivere il proprio operato, perché scelga di dichiarare in particolare dei modelli latini300. In questa sede ci si propone di limitare il campo ai versi in cui Marziale rende visiva la sua possibile collocazione nello spazio letteratura latina, rendendo esplicita la percezione che aveva del valore e delle novità portate dai suoi Epigrammi.
L’epigramma in questione è il V 5, e lo scaffale di biblioteca in questione è nientemeno che quello dell’imperatore (vv. 5-8):
sit locus et nostris aliqua tibi parte libellis, 5
qua Pedo, qua Marsus quaque Catullus erit. ad Capitolini caelestia carmina belli
grande cothurnati pone Maronis opus.
È evidente che l’invito dell’autore a disporre i suoi libretti accanto alle opere di Pedone, Marso e Catullo non costituisce esclusivamente un omaggio ai suoi modelli: in senso più ampio, Marziale si
che costituisce un elogio di Domiziano (pur senza nominarlo direttamente); vd. Moreno Soldevila 2006, 95-103 e 242- 246.
298 Citroni 1988, 22= Merli-Citroni-Scàndola 20002, 36.
299 Vd. Citroni 1988, 23= Merli-Citroni-Scàndola 20002, 39.
300 Temi su cui vd. almeno Citroni 1969 e 1987b, Sullivan 1991 (78-114), Henriksén 1998, Canobbio 2005 e 2011b, Nauta
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auto-percepisce come il continuatore di quanto intrapreso da tali poeti301, e lo sancisce disponendo metaforicamente – e simbolicamente i suoi Epigrammi a fianco dei loro scritti.
Per concludere: Marziale è autore estremamente generoso di informazioni sulla propria attività poetica, sulle modalità di circolazione dell’opera da lui via via prescelte e sulle reazioni del proprio pubblico, e uno studio complessivo di tali dati può risultare utile per più di una motivazione.
In primo luogo, si è visto come da un’analisi a tappeto delle varie occorrenze dei termini liber e libellus sia possibile archiviare con una certa serenità l’aspetto terminologico della “libellus-theory” di White: in Marziale, libellus è termine dalle implicazioni molteplici, ma più che altro legato alla volontà di aderire a una ben determinata tradizione poetica (impossibile non cogliere la vicinanza del termine all’opera di Catullo), o alla necessità di fornire dichiarazioni di poetica improntate a brevitas, leggerezza e disimpegno; alludendo alla propria opera pubblicata, il poeta di Bilbili si serve indifferente sia del termine liber che del termine libellus.
La teoria di White rimane più che valida sul piano della sostanza, per quanto concerne la doppia