1.4 Laudat amat cantat nostros mea Roma libellos: la circolazione dell’opera
1.4.1 La doppia circolazione degli Epigramm
Converrà subito precisare che ogni volta che Marziale allude alle modalità di circolazione dei suoi epigrammi dimostra perfetta consapevolezza del fatto che questa si articolava solitamente su due livelli. L’uscita dei suoi libelli dal parziale anonimato in cui si trovavano fintanto che il loro autore si limitava a divulgarli presso pochi e fidati amici è sempre vissuta con trepidazione, data l’imprevedibile reazione del pubblico237. In questo senso, costituiscono una coppia speculare due epigrammi in cui Marziale riflette sull’opportunità di pubblicare opere poetiche non ancora divulgate: il primo è I 25, in cui l’autore, che si identifica con il pubblico potenziale, incoraggia l’amico Faustino a pubblicare finalmente le sue prove poetiche238.
ede tuos tandem populo, Faustine, libellos et cultum docto pectore profer opus, quod nec Cecropiae damnent Pandionis arces
nec sileant nostri praetereantque senes.
ante fores stantem dubitas admittere Famam 5
teque piget curae premia ferre tuae? post te victurae per te quoque vivere chartae
incipiant: cineri gloria sera venit.
L’invito riflette una situazione estremamente simile a quelle che troviamo, ad esempio, nelle epistole di Plinio il Giovane (ad esempio in II 10, V 10, IX 1), in cui lo scrittore esorta amici e conoscenti affinché si risolvano a pubblicare239. Opposta la situazione descritta in Stazio, Silv. IV, 7,
237 Così, per Vallejo Moreu, «es muy probable que Marcial comenzase a publicar en buena medida para cimentar su
prestigio entre sus benefactores y frente a rivales poéticos, asì como para celebrar públicamente el emperador y ganarse su gratitud» (2008, 22).
238 Si tratta di un modulo che comunque Marziale riprende in IV 33 e in VIII 18 e 70.
239 Nello specifico, II 10 è indirizzata a Ottavio Rufo, mentre V 10 allo storico Svetonio, che Plinio scherzosamente
rimprovera: sum et ipse in edendo haesitator, tu tamen meam quoque cunctationem tarditatemque vicisti (2). Il destinatario di IX 1 è un Massimo che per Sherwin-White (1966, 189) potrebbe Mesio Massimo cui sono già rivolte III
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in il poeta ci informa delle insistenze ricevute da Vibio Massimo perché si decida a divulgare la sua Tebaide: «l’esortazione a pubblicare è soprattutto un elemento della rete di rapporti di amicizia e di clientela che si intreccia tra i letterati del tempo, e che introduce tra essi una sorta di rituale cortese. (…) Offriva la possibilità di elogiare le capacità letterarie, vere o fittizie, di un amico o di un protettore, di auspicare una pronta affermazione della sua fama, mascherando l’adulazione sotto la forma di un consiglio benevolo, di un cortese suggerimento»240.
Un simile rovesciamento di prospettiva è nell’epigramma II 6, dove è Marziale a subire pressioni perché si decida a rendere pubblici i suoi epigrammi:
i nunc edere me iube libellos! lectis vix tibi paginis duabus spectas eschatocollion, Severe, et longas trahis oscitationes.
haec sunt, quae relegente me solebas 5
rapta exscribere, sed Vitellianis; haec sunt, singulae quae sinu ferebas per convivia cuncta, per theatra; haec sunt aut meliora si qua nescis.
quid prodest mihi tam macer libellus, 10
nullo crassior ut sit umbilico, si totus tibi triduo legatur?241
numquam deliciae supiniores. lassus tam cito deficis viator,
et cum curras debere Bovillas, 15
interiungere quaeris ad Camenas? i nunc, edere me iube libellos!
Questi versi chiariscono che Marziale, se da un lato avvertiva – e verosimilmente sperimentava in prima persona – il rischio di subire plagio, era anche assolutamente consapevole dei
20 e IV 25, il Vibio Massimo cui Plinio si rivolge in III 2, o il Novio Massimo di IV 25 e V 5. Per il commento ai testi cf Sherwin White (1965, 159-160; 337-338; 481-482). Cf. infra, 71-72, sul problema della pubblicazione in connessione al plagio.
240 Citroni 1975, 86-87. Sul passo di Stazio si veda il commento di Coleman (1988, 203): il riferimento, pur cursorio, al ruolo di Vibio Massimo nella decisione di pubblicare è al v. 25 nell’espressione te fido monitore, ove «the image of the lima shows that monitor is used here of a critic».
241 A proposito di totus al v. 12 si tenga a mente la suggestione – in effetti non necessaria – di Shackleton Bailey: «num
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mutamenti che il suo rapporto col pubblico avrebbe subito al momento della pubblicazione242. Severo, infatti, parrebbe essere uno degli affezionati lettori cui Marziale non mancava di presentare i suoi versi privatamente, a scopo di omaggio o intrattenimento; eppure, si annoia nel leggere gli stessi epigrammi che tanto lo divertivano proprio perché non sono più scritti per esser goduti – e magari trascritti – al momento.
In altre parole: Marziale comprendeva benissimo che l’invio preliminare di materiale poetico costituiva il presupposto di un rapporto privilegiato, e uno tra i suoi timori più fondati e ricorrenti è la perdita della sua ristretta cerchia di intenditori a seguito della divulgazione dei suoi componimenti presso un pubblico più ampio. Oltre a questo, l’autore doveva rendersi conto che per gli ammiratori a lui più vicini i versi resi accessibili all’intero pubblico di Roma perdevano verosimilmente parecchia attrattiva, ed era necessario modificare le dinamiche del dialogo letterario affinché il rapporto si mantenesse, in qualche modo, privilegiato.
Un modo per recuperare almeno parzialmente l’esclusività del rapporto resta, per Marziale, l’invio preliminare di materiale inedito, specie quando questo è accompagnato dalla richiesta di correzioni e suggerimenti (che è, nella maggior parte dei casi, una richiesta falsamente modesta)243. La ricerca di esclusività può essere esasperata, specie quando viene pretesa dal destinatario dei versi; il concetto è ottimamente espresso da VII 11:
cogis me calamo manuque nostra emendare meos, Pudens, libellos. o quam me nimium probas amasque qui vis archetypas habere nugas!
A Pudente non basta più essere in possesso degli ultimi componimenti di Marziale: pretende che essi riportino, come marchio di finezza estrema, le correzioni di pugno dell’autore. Collocato nel settimo libro, l’epigramma fu scritto all’incirca a metà della carriera del poeta e testimonia
242 Sull’interpretazione di questi versi vd. anche infra, 326-327.
243 Vd. ad esempio IV 10, IV 26, V 80, VII 17, IX 99. In generale, è un procedimento che permette al poeta di comunicare l’idea (e anche la garanzia) di un libro corretto e successivamente approvato, sicuramente di qualità. Si veda in merito quanto osservato da Merli, per cui «tali richieste assumono anche, se non addirittura in prevalenza, il ruolo di attestazione pubblica della competenza letteraria del destinatario e del suo legame di amicizia con l’autore del testo, facendosi veicolo di prestigio sociale: chi ottiene pubblicamente, da parte di un famoso intellettuale o di un noto poeta, l’incarico di esprimere un giudizio sui suoi scritti riceve tramite questo gesto il riconoscimento ufficiale di essere a sua volta un letterato raffinato e capace, appartenente alla società degli intenditori, elegante e alla moda» (2013, 154-155). Sui componimenti citati cf. ivi, 160 e 167 e Nauta 2002, 105-131.
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perfettamente come quello che inizialmente era un pubblico di nicchia pretendesse in qualche modo di rimanere tale, reclamando dal poeta attenzioni sempre maggiori244.
1.4.2 Il plagio
Ugualmente fondamentale per quanto riguarda circolazione e diffusione degli Epigrammaton libri è la tematica del plagio, sviluppata trasversalmente – e variamente – nei dodici libri. Marziale è il primo autore latino a servirsi, in I 52, 9, del termine plagiarius ed è il primo a fare del plagio una tematica letteraria a parte.
I rischi cui un autore andava incontro nel momento in cui esitava a render pubblici i suoi scritti sono illustrati in modo molto chiaro da Plinio il Giovane, contemporaneo di Marziale, nell’epistola II 10, indirizzata all’amico Ottavio Rufo245:
hominem te patientem vel potius durum ac paene crudelem, qui tam insignes libros tam diu teneas! quosque et tibi et nobis invidebis, tibi maxima laude, nobis voluptate? sine per ora hominum ferantur isdemque quibus lingua Romana spatiis pervagentur. magna et iam longa expectatio est, quam frustrari adhuc et differre non debes. Enotuerunt quidam tui versus, et invito te claustra sua refugerunt. hos nisi retrahis in corpus, quandoque ut errones aliquem cuius dicantur invenient. habe ante oculos mortalitatem, a qua adserere te hoc uno monimento potes; nam cetera fragilia et caduca non minus quam ipsi homines occidunt desinuntque. (…) et de editione quidem interim ut voles: recita saltem quo magis libeat emittere, utque tandem percipias gaudium, quod ego olim pro te non temere presumo.
È chiaro da queste righe che percezione si avesse, ai tempi di Marziale, della distinzione tra opera provvisoria e opera completa e finalmente autorizzata. Qualsiasi scritto che fosse stato in qualche modo reso noto, anche non ufficialmente, era a rischio di plagio: lo stesso Plinio riferisce peraltro, in Ep. IV 26, che alcuni tra i suoi discorsi circolavano contro il suo volere in edizioni
244 Si tenga presente che tale epigramma è nella stessa raccolta del componimento che assicura l’esistenza di un esemplare
dei libri I-VII corretto di pugno da Marziale e offerto all’amico Giulio Marziale (VII 17, su cui vd. supra), di cui questo potrebbe essere ironica controparte: i due epigrammi sono infatti collocati a breve distanza, secondo un meccanismo compositivo tipico di Marziale; per esempi di distribuzioni tematiche di questo tipo vd. Scherf 2001, 35-46.
245 Destinatario anche della lettera I 7, sempre di argomento letterario; secondo Sherwin-White (1966, 101) potrebbe trattarsi di C. Mario Marcello Ottavio Rufo, suffectus nell’80. Sulla percezione da parte degli antichi del confine tra edito e inedito (unita al sentimento di incertezza con cui il superamento di tale limite poteva essere vissuto) vd. Citroni 2015, 112-113; su queste tematiche vd. anche Iddeng 2006, 58-84.
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pirata246, e Quintiliano, nella prefazione all’Institutio oratoria, si lamenta del fatto che alcuni suoi studenti abbiano fatto circolare gli appunti delle sue lezioni senza la sua autorizzazione247.
Naturalmente un prodotto come gli epigrammi di Marziale, portati dagli amici, come scrive lui stesso, per convivia cuncta, per theatra248, doveva essere più di altri esposto al pericolo. A tale proposito Seo249 ha individuato, negli Epigrammaton libri, la denuncia di tre forme di plagio differenti: quello, per così dire, standard, che consiste nella mera appropriazione indebita dei versi di Marziale da parte di un poeta concorrente e misconosciuto; la falsificazione, che consiste nell’inserimento di versi estranei – di qualità talmente scarsa da accusarsi da soli, come in I 53 – nell’opera pubblicata; la diffamazione, denunciata soprattutto nei componimenti degli ultimi libri, che si concretizza nell’attribuzione di versi oltraggiosi e diffamatori all’ormai arcinoto poeta di Bilbili250.
Nel primo libro si colloca un breve ciclo contro il poetastro Fidentino251, che a più riprese ha tentato di far passare per propri i versi di Marziale, recitandoli – male, peraltro – di fronte a un pubblico ignaro: esso è costituito dagli epigrammi 29, 38, 53 e 72252.
246 Con “edizioni pirata” si intende qui la circolazione non autorizzata di materiale d’autore sotto il nome dell’autore
stesso. Due ulteriori tipologie di furto letterario sono individuabili nella circolazione di un’opera – o di parte di essa – sotto un nome diverso da quello dell’autore (il plagio vero e proprio) o nella falsa attribuzione di materiale alla paternità di un autore più o meno noto: in questo secondo caso, il materiale inautentico poteva essere mescolato a materiale realmente prodotto dall’autore di cui si sfruttava la paternità. Le edizioni pirata sono da considerare una questione a parte dal momento che lo sfruttamento della fama di un autore famoso – in un momento in cui, come è noto, di diritti l’autore non ne aveva – non costituiva un atto legalmente perseguibile. Un esempio su tutti è l’aneddoto che ci riferisce Cicerone stesso in una sua lettera (ad Att. III 12, 2) rispetto all’orazione In Clodium et Curionem, che l’Arpinate si era premurato di ritirare dal commercio al mutare del clima politico: percussisti autem me etiam de oratione prolata. cui vulneri, ut
scribis, medere, si potes. scripsi equidem olim iratus quod ille prior scripserat, sed ita compresseram ut numquam emanaturam putarem. quo modo exciderit nescio. sed quia numquam accidit ut cum eo verbo uno concertarem et quia scripta mihi videtur neglegentius quam ceterae puto ex se ‹posse› probari non esse meam. id, si putas me posse sanari, cures velim; sin plane perii, minus laboro. Sulla questione delle edizioni pirata vd. Fedeli (1989, 358) e Phillips (1981,
18 e 118).
247 Quint. I 7, ma anche VI 68. Cf. Fedeli (1989, 358), Dorandi (2007, 93-94) e Pecere (2010, 250).
248 Cf. II 6, ove Marziale rimprovera scherzosamente l’amico Severo per i suoi “furti di epigrammi”.
249 2009, 569-582.
250 In quest’ultimo caso la dinamica di falsificazione è leggermente diversa: la fama del poeta viene sfruttata per colpirlo
e danneggiarlo. A tali dinamiche di furto letterario si aggiunga l’edizione pirata, per cui vd. supra, 67, n. 258.
251 Definito “ciclo” per la prima volta da Sullivan (1991, 11, n. 24). Il nome del rivale, palesemente loquens, pone l’accento sulla sua sfrontatezza (Barwick 1958, 308) o sulla sua mancanza di fides (Citroni 1975, 97; la fides come componente del rapporto tra il poeta e i suoi interlocutori è menzionata anche da Stazio in Silv. IV 7, 25, su cui vd. supra, 64-65).
252 I 29: fama refert nostros te, Fidentine, libellos / non aliter populo quam recitare tuos. / si mea vis dici, gratis tibi carmina mittam: / si dici tua vis, hoc eme, ne mea sint. I 38: quem recitas meus est, Fidentine, libellus: / sed male cum recitas, incipit esse tuus. I 53: una est in nostris tua, Fidentine, libellis / pagina, sed certa domini signata figura, / quae tua traducit manifesto carmina furto. / sic interpositus villo contaminat uncto/ urbica Lingonicus Tyrianthina bardocucullus, / sic Arretinae uiolant crystallina testae, / sic niger in ripis errat cum forte Caystri / inter Ledaeos ridetur corvus olores, / sic ubi multisona fervet sacer Atthide lucus, / improba Cecropias offendit pica querellas. / indice non opus est nostris nec iudice libris,/ stat contra dicitque tibi tua pagina “fur es”. I 72: nostris versibus esse te poetam,/ Fidentine, putas cupisque credi?/ sic dentata sibi videtur Aegle / emptis ossibus Indicoque cornu; / sic quae nigrior est cadente moro, / cerussata sibi placet Lycoris. / hac et tu ratione qua poeta es, / calvus cum fueris, eris comatus.
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La situazione prospettata da questi componimenti è piuttosto chiara: è possibile che Marziale fosse già poeta piuttosto noto a Roma, ma non potendo ancora vantare legami stabili con la corte, egli vive con preoccupazione la diffusione dei suoi versi presso il pubblico generico; l’impressione ricavata, almeno da alcuni epigrammi, è che chiunque possa ancora appropriarsene, storpiarli, farli passare per propri.
Pur non potendo essere inserito legittimamente nel ciclo contro Fidentino253, I 66 tratta il medesimo argomento: Marziale consiglia ironicamente all’anonimo plagiario di provare a sottrarre gli scritti che giacciono ancora sotto chiave, al riparo dagli occhi e dalle orecchie del pubblico e dei potenziali critici, poiché un libro pubblicato è ormai un libro al sicuro.
La principale differenza di tale componimento rispetto agli altri di contenuto simile è il fatto che I 66 non identifica chiaramente il plagiarius. Non possiamo pronunciarci con certezza sulle motivazioni dall’anonimato, ma un’ipotesi possibile – seppur non verificabile – è che esso sia stato scritto successivamente, forse in ottica di edizione. In altre parole: mentre gli altri componimenti sul plagio potrebbero esser stati fatti circolare tra pochi intenditori prima che il liber fosse edito, questo potrebbe esser stato pensato per essere inserito nel libro pubblicato e ormai messo in salvo dal saccheggio, al fine di scoraggiare, per il futuro, gli eventuali furti.
L’epigramma I 52254, infine, pur non attaccando direttamente alcun ladro di versi, prega l’amico Quinziano di farsi garante della reale paternità dei suoi componimenti – anche in questo caso la precauzione potrebbe esser presa nei confronti di Fidentino – e può pertanto inscriversi a buon diritto nel gruppetto di epigrammi sul furto letterario255.
La concentrazione tali componimenti nel primo libro, soprattutto in considerazione del fatto che la tematica del plagio non viene più ripresa per libri e libri256, ha ricevuto più di una spiegazione: Lehmann257 osservava che una rimostranza
del genere da parte del poeta presuppone un’opera pubblicata, dal momento che non ha senso parlare di plagio per uno
253 Per quanto non sia da escludere che l’accusato sia, ancora una volta, lo stesso Fidentino: è di questo avviso Citroni (1975, 214).
254 Per cui vd. supra, 58.
255 Il componimento è peraltro contiguo a I 53, che fa parte del ciclo contro Fidentino (vd. supra, 68).
256 Fa eccezione l’epigramma II 20: carmina Paulus emit, recitat sua carmina Paulus / nam quod emas possis iure vocare
tuum. Secondo Williams (2004, 91) il componimento tratta la tematica del plagio, mentre Citroni (1975, 96) parla più
vagamente di «una specie di commercio clandestino di poesie». In ogni caso la presenza di tale epigramma nel libro non contraddice in modo significativo la tendenza di Marziale a affrontare il tema del plagio solo ai due estremi della sua carriera; in II 20, infatti, il plagio denunciato non pare riguardare personalmente il poeta, (vd. anche Williams 2004, 91, che distingue tale epigramma da quelli «directly involving the poet himself»). Anche dando per scontato che Marziale stia denunciando il plagio come problema da lui vissuto in prima persona, comunque, l’epigramma è comunque inserito nel liber II, pubblicato a ridosso – secondo alcuni congiuntamente – al liber I (per la datazione delle raccolte vd. infra 88- 90); non è poi così strano che Marziale riprenda a distanza di brevissimo tempo una tematica urgente come quella del furto letterario.
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scritto inedito258; Citroni, dal canto suo, riconosceva che «l’ipotesi di Lehmann è possibile, ma non spiega il motivo per
cui M. avrebbe concentrato nel I libro tutti gli epigr. su questo tema»259 e proponeva una spiegazione che parte dal
ragionamento opposto: se si tiene conto del fatto che spesso erano le recitationes la circostanza in cui avveniva il plagio vero e proprio, si capisce subito che la pubblicazione in libri non era il presupposto necessario all’appropriazione indebita di versi. Marziale sta chiaramente attaccando chiunque facesse passare per propri quei versi che circolavano anche – anzi, soprattutto – oralmente: sarà anzi stata proprio questa situazione di circolazione incontrollata a spingere il poeta alla pubblicazione260.
Il problema del plagio figura ancora sporadicamente negli Epigrammaton libri; un accenno alla questione è, per esempio, in VII 72, dedicato all’amico Paolo261. Ai vv. 12-16 Marziale formula una richiesta esplicita:
si quisquam mea dixerit malignus atro carmina quae madent veneno, ut vocem mihi commodes patronam
et quantum poteris, sed usque, clames: 15
“non scripsit meus ista Martialis”.
258 Si trattava di una puntualizzazione già fatta da Elmore (1911, 74); dopo Lehmann, fu del medesimo avviso Helm
(1955, 80).
259 Citroni 1975, 96.
260 Così anche secondo Friedländer 1886, 243. Discutibile l’interpretazione di questo ciclo da parte di Watson e Watson (2003, 75) secondo i quali – tra le altre spiegazioni possibili – i versi di Marziale sul plagio potrebbero costituire una sorta di espediente per farsi pubblicità: «the clear implication is that his epigrams are considered worth stealing». Ma perché Marziale avrebbe dovuto inaugurare il termine plagium soltanto per dimostrare la sua popolarità? Orazio, per difendere la sua poesia dai rivali, si limita a distinguere il furtum vero e proprio dall’aemulatio (ovvero l’imitazione consapevole e fondata sulla comune coscienza dei modelli poetici), mentre Marziale va oltre, arrivando a servirsi di termini tratti dal lessico giuridico (cf. Seo 2009, 575-576). Per il ruolo svolto dalla circolazione incontrollata, al plagio, dall’attribuzione di falsi e dalla composizione estemporanea (specie l’improvvisazione durante le cenae) nella costituzione di una sorta di Appendix Marzialiana vd. Vallat 2008b.
261 Che secondo Merli (Citroni-Merli-Scàndola 20002, 616, n. 89) potrebbe essere lo stesso Paolo cui Marziale si riferisce in V 28; sull’epigramma vd. Di Giovine (2003, 89). Un altro componimento utile in questa sede a chiarire il quadro è VI 64, lunghissima invettiva – si tratta di un epigramma longum di soli esametri – contro un poetastro malevolo che non soltanto critica i versi di Marziale ma osa addirittura comporre versi ingiuriosi contro di lui. Interessante il problema testuale al v. 25, vivet et haerebit totoque legetur in orbe. Toto in orbe è infatti la lezione delle famiglie βγ, mentre il ramo α legge tota in urbe; la lezione della prima famiglia è stata preferita da Schenidewin, Friedländer, Gilbert e Ker, mentre Lindsay, Giarratano, Heraeus, Izaac e Shackleton Bailey stampano la lezione toto in orbe. In uno studio dedicato alla questione Fabbrini (2002), pur riconoscendo che l’uso di Marziale parrebbe confermare la lezione attestata da βγ (il poeta si serve ben più frequentemente del termine orbs), ha mosso qualche considerazione in favore della lezione riportata dal primo ramo. In primo, luogo negli Epigrammi, la locuzione tota (in) urbe ricorre per tre volte (in VII 64, 1, dove il riferimento è a una notorietà positiva, e in II 72, 5-6 e XII 38, 2, dove la notorietà è negativa); nel resto del componimento VI 64, peraltro, «si fa largo riferimento a un ambito specificamente cittadino di prestigio del poeta» (2002, 545). Fabbrini