Combattimenti tra animal
3.1.1.1 Un’edizione in usum elegantiorum?
La caratteristica più vistosa del testo riportato dalla prima famiglia è «un’innovazione notevole, relativamente costante, ma, una volta riconosciuta, innocente»38, che consiste nell’intervento su alcuni termini osceni, che risultano sistematicamente manipolati:
I 34, 10 futui βγ : subigi T; I 73, 34 fututorum βγ : salitorum T; I 77, 6 cunnum Charinus lingit βγ : lingua nefas Charinus
T; I 90, 6 fututor βγ : adulter T; I 90, 7 cunnos βγ : turpes T; II 31, 1 futui βγ : tetigi R; II 60, 1 futuis βγ : tractas R; III
72, 1 futui βγ : subigi T; III 72, 6 cunni ς : monstri T; III 87, 1 fututam βγ : salitam T; III 87, 2 cunno βγ : monstro T; IV 43, 11 cunnilingum βγ : munilingum39 T; VI 31, 2 futui βγ : subigi T; VI 67, 2 futui βγ : subigi T; VII 10, 3 futuit βγ :
subegit R; VII 18, 3 fututor βγ : salitor T; VII 18, 5-6 cunnus βγ : monstrum T; VII 18, 8 cunni βγ : monstri T; VII 18, 11 cunni βγ : monstri T; VII 18, 13 cunno βγ : monstro T; VII 30, 3 fututor βγ : salitor T; IX 41,5 futuit βγ : saliit T; IX 92, 11 nec cunnum βγ : necnon faum T; X 81, 1 fututum βγ : salitum T; X 90, 1 cunnum βγ : monstrum T; X 90, 7 cunnus βγ : munus T; X 102, 2 futuit βγ : saliit T; XI 21, 11 et 12 futuisse βγ : saliisse α; XI 22, 4 fututrici βγ : saletrici T; XI 23,
33 Si tratta di Spect. 20 (23); 21 (18), 5-6; 22 (19); 23 (20), di cui T tralascia il v. 4; 24 (21); 25 (21b); 26 (22); 27(24); 30
(26)-32 (28). La numerazione seguita è quella di Carratello 1980.
34 1984, 18.
35 Da una copia di K l’amanuense del Bononiensis 2221 (copiato nel XIV secolo; vd. supra, 112, n. 457) trasse il Liber
de Spectaculis, segnalando al f. 1 V: hii versus in quodam vetustissimo iasiali invenitur qui ab aliis deerant. Dagli errori
dell’amanuense è evidente che egli trasse da una copia, e non dallo stesso K, testo e sottoscrizioni; vd. Carratello 1980, 26, n. 19.
36 Il manoscritto, Westminster Abbey 15, fu scoperto da Lindsay nel 1905 ma studiato e sistematicamente collazionato
solo alcuni decenni dopo da Reeve (1980, 193-99); la collazione sul testo degli Spectacula fu effettuata nuovamente da Carratello (1981, 237-241).
37 Ma per quanto riguarda il contenuto degli altri fogli, specie gli Halieutica, vd. Richmond 1998.
38 Pasquali 19522, 416. «Stupidissimus librarius […] odio plus quam Vatiniano in verba nupta saevit. Poterat epigrammata
obscena omittere tota. Noluit, sed singula verba verecunde velat», constatò Schneidewin con irritazione (1842, LXXXV).
39 «Lezione sicura ma di solito non elencata tra le varianti» (Mastandrea 1996, 107, n. 19); per un’interpretazione della
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5 futuam βγ : saliam T; XI 43, 12 cunnos βγ : monstros T; XI 71, 2 futui βγ : subigi T ; XI 78, 10 cunnus βγ : mundus T; XIV 215, 2: futuant βγ : subigant T40.
Il dato portò Lindsay a ritenere che l’esemplare a monte della prima famiglia fosse una versione degli Epigrammi che, se non proprio censurata, era stata in qualche modo adattata in usum elegantiorum41: lo studioso britannico faceva coincidere il profilo dell’editore con quello di un erudito, che avrebbe adattato l’opera di Marziale alla sua raffinata biblioteca. In realtà, come si può evincere dall’elenco riportato, non si può dire che sia appropriato parlare di eleganza; lo rilevò Housman, che considerò con ironia la propensione di Lindsay a ritenere «monstrum a ‘suitable euphemism’ to signify what Burke calls the font of life itself»42.
Le conclusioni di Lindsay, comunque, furono sostanzialmente accolte da Pasquali, che fece notare, in aggiunta, come questo tipo di censura localizzata non debba farci sospettare a tutti i costi un contesto religioso43: sono sempre di ispirazione cristiana, ma ben più radi e complessivamente molto meno probanti rispetto alle modifiche dei termini più osceni i due interventi “monoteizzanti” operati dai testimoni del primo ramo: è il caso di I 12,12, in cui T muta l’originale deos in deum44, e di V 1, dove in corrispondenza di Iovem al v. 8 il testimone R riporta la variante deum45. Secondo Paolo Mastandrea, autore del più recente e accurato studio sulle modalità censorie di α (nello specifico dei testimoni RT), è da escludere che la censura “monoteizzante” fosse già caratteristica dell’archetipo: già Lindsay proponeva di identificare l’antico editore con l’autore dell’epigramma
40 L’elenco, già parzialmente compilato da Keil (1909, 26) e Giarratano (19512, 13), è stato fornito nella forma più
completa da Mastandrea (1996, 107); sulla questione vd. anche Montero 1976.
41 «It merely offers the epigrams in a form that would be less offensive to refined readers, and does this with due regard
to the metre and the sense» (1903a, 9).
42 Più corretto parlare di «mere monkish horror of woman» (1925, 202 = 1972, 1103). Già Rand (1922, 259-260, n. 7)
aveva bollato le censure tipiche della prima famiglia come «a medieval affair». Il fatto che la censura fosse localizzata in maniera sospetta fu in seguito rilevato anche da Giarratano (19512, XIII: «nescio qui monachus descripsit»); parla di
«transcribentis monachi pudorem» anche Shackleton Bailey (1990, VI).
43 «Tracce di influssi cristiani sembrano mancare del tutto, e la pruderie è difetto anche cristiano, ma non soltanto e non
eminentemente cristiano. Non furono prudes né Dante né san Francesco; prude fu tutt’al più la Controriforma, e anche qui non mancano, specialmente nel Seicento, esempi di predicatori e di moralisti che, dove è opportuno, seppero parlare liberamente, anzi crudamente: non si chiameranno prudes personalità come Abraham di Santa Clara o Filippo Neri. Dunque nulla mostra che quella recensione sia cristiana» (19522, 416); l’ascendenza cristiana della censura che
caratterizza il ramo α fu teorizzata per la prima volta da Madvig (1871, 11).
44 Caso piuttosto noto, cui Lindsay sconsigliava di dare troppa importanza: «We must not lay too stress on the AA variant,
deum in I xii. 12» (1903, 9); si rilevi che, contrariamente al caso di V 1 (per cui vd. infra, n. 45) T è qui testimone unico nel ramo.
45 Si tratta di un caso che richiede cautela anche maggiore, poiché l’epigramma in questione è riportato anche dal
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spurio De habitatione ruris46, premesso al libro V nei codici della prima famiglia e di impostazione palesemente pagana47.
Il primo aspetto da tenere in considerazione è proprio il fatto che la censura che caratterizza la famiglia non incise affatto sui criteri di antologizzazione in sé, «donde la scelta di riprodurre un bel numero di epigrammi irrimediabilmente pornografici, salvo apportare poi decine di modifiche a parole o brevi espressioni»48. Succede anzi spesso che epigrammi del tutto esenti da turpiloquio vengano sacrificati a favore di versi dal linguaggio ben più spinto (accade in R, dove il copista trascrive di fila gli epigrammi II, 42 e 45 e ignora totalmente i ben più casti epigrammi 43 e 44).
In secondo luogo, l’analisi di Mastandrea ha rilevato come il rimpiazzo interessi fondamentalmente solo alcuni dei molti termini volgari usati da Marziale: si tratta del verbo futuere (insieme ai suoi composti fututor e fututrix) e del termine cunnus col derivato cunnilingus49. La censura di R e T è dunque parziale e selettiva; per quanto sia evidente che i copisti di entrambi i codici fossero affetti «da una forma analoga di sessuofobia (o più precisamente di avversione misogina)»50, è possibile individuare modalità di intervento sul testo sostanzialmente diverse.
Il copista di R non trascrive mai epigrammi che includano il termine cunnus51; limita i propri interventi a futuere, cui propone in alternativa, non senza una certa versatilità, ora tangere (II 31, 1), ora tractare (in II 60, 1), ora subigere (in VII 10, 3)52. Le sostituzioni di T per futuere, ovvero salire
46 Rure morans quid agam, respondeo pauca, rogatus ./ mane deos oro; famulos, post arva reviso / partitusque meis
iustos indico labores. / deinde lego Phoebumque cio Musamque lacesso. / hinc oleo corpus fingo mollique palaestra / stringo libens, animo gaudens et fenore liber. / prandeo, poto, cano, ludo, lavo, ceno, quiesco. / Dum parvus lychnus modicum consumit olivi/ haec dat nocturnis elucubrata Camenis. Il componimento, trasmesso anche dal Salmasianus,
figura nelle moderne edizioni dell’Anthologia Latina (26 Riese = 13 Shackleton Bailey).
47 «La mentalità paganeggiante di chi ardisce descrivere l’inizio della propria giornata con mane deos oro e prosegue con
deinde lego Phoebumque cio Musamque lacesso, è forse compatibile col nuovo ritratto che possiamo fare
dell’interpolatore? Non vi sono dubbi sulla risposta» (1996, 106). Per una sintesi delle vicende ecdotiche di questo epigramma e per la (rinnovata) proposta di attribuzione ad Avieno cf. Mastandrea 1997 e Vallat 2008b, 958-960; cf. ivi, 960-963 per altri due componimenti, certamente antichi, inseriti nella cosiddetta Appendix Martialiana.
48 Mastandrea 1996, 109. Non era infrequente che i censori antichi procedessero in modo selettivo piuttosto che operare
interventi radicali; si vedano, a titolo di esempio, le caratteristiche degli interventi “moralizzatori” di Planude sul testo dell’Anthologia Palatina (per cui cf. González Delgado 2012).
49 «Passano dunque indenni al vaglio della trascrizione un gran numero di parole altrettanto crude: sia volgari come
mentula (2, 62, 2; 3, 71, 1; 75, 1; 76, 3; 85, 4; 91, 12; 6, 23, 2; 7, 18, 12; 30, 8; 35, 6; 9, 32, 6; 33, 2; 37, 9; 10, 90, 8; 11,
18, 21; 19, 2; 22, 5; 46, 3; 78, 2; 14, 74, 2) e culus (2, 51, 2; 62, 4; 3, 71, 1; 9, 57, 13; 11, 21, 1; 43, 2; 99, 5), sia culte come penis (2, 51, 4; 6, 16, 1; 23,1) e podex (2, 42, 1); potremmo aggiungere (senza pretesa di completezza, dato il soggettivismo del giudizi in materia): arrigere (3, 70, 4; 75, 2; 76, 1; 4, 5, 6; 9, 66, 4; 10, 91, 1; 11, 46, 1; 61, 10),
fellare/fellatrix (2, 89, 6; 7, 10, 1; 14, 74, 1), masturbare/masturbator/masturbatrix (9, 41, 7; 11, 29 tit.; 11, 104, 13; 14,
203, 2), pedere (4, 87, 4; 7, 18, 9; 10, 15, 10), pedicare (1, 92, 14; 6, 56, 6; 7, 10, 1; 11, 78, 5; 94, 6; 99, 2), percidere (4, 48, 1; 4; 9, 47, 8; 11, 28, 2; 12, 35, 2), (per)fricare 11, 27, 7; 29, 8)» (Mastandrea 1996, 108-109). Non paiono intenzionali, in T, deformazioni come quella che interessa la coppia moechus/moecha, variamente alterata in medius (I 74, 1), medium (I 90, 2), moethae (II 47, 1) e moedium (III 92, 1) ma correttamente trascritta in III 83, 1, VI 2, 6, VI 7, 6, e VI 45, 4; per altri errori verosimilmente meccanici cf. Mastandrea 1997, 109.
50 Mastandrea 1996, 111.
51 «E non saprei dire se ciò vada attribuito solo al caso» (Mastandrea 1997, 111).
52 Si tratta nel complesso di alternative appropriate, che trovano attestazione anche nell’uso stesso di Marziale (che usa
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e subigere sono espressioni provenienti dal mondo rurale e agricolo53, che non vengono mai impiegate dal “vero” Marziale. A quel che si può giudicare sulla base dei non numerosissimi esempi offerti dal Vossianus (R), nel codice le sostituzioni parrebbero nel complesso più diversificate e mirate rispetto a quelle del Thuaneus (T); occorre peraltro aggiungere che il copista di T dovette trovare alcune sostituzioni già nel suo antigrafo, dal momento che ne trascrisse parte in maniera erronea54.
Un’interessante spiegazione viene fornita da Mastandrea in merito alla sistematica sostituzione55, in T, di cunnus con monstrum. Il rimpiazzo, come rilevato dallo studioso, non si verifica mai prima dell’epigramma I 90; proprio in questi versi figura un’immagine che senza dubbio risultò «inquietante per la fantasia del copista»56:
quod numquam maribus iunctam te, Bassa, videbam quodque tibi moechum fabula nulla dabat, omne sed officium circa te semper obibat
turba tui sexus, non adeunte viro,
esse videbaris, fateor, Lucretia nobis: 5
at tu, pro facinus, Bassa, fututor eras. inter se geminos audes committere cunnos
mentiturque virum prodigiosa Venus.
commenta es dignum Thebano aenigmate monstrum,
hic ubi vir non est, ut sit adulterium. 10
La prodigiosa Venus descritta dal poeta, dignum Thebano aenigmate monstrum (v. 9) potrebbe aver condizionato l’immaginazione dell’amanuense tanto da suggerirgli l’idea di bollare sistematicamente come monstrum – incoraggiato, in fin dei conti, da Marziale stesso – il termine cunnus in quasi tutte le occorrenze successive.
Per quanto riguarda le curiose sostituzioni di cunnus con mundus in XI 78, 2 e munus in IV 43, 11 (nel composto
munilingus), «è difficile anzitutto comprendere l’eventuale scopo eufemistico perseguito dal manipolatore del testo in
ciascuno dei luoghi citati»57. Mastandrea parte da XI 78, in cui Marziale si unisce alla preoccupazione della madre e della
nutrice della futura moglie di Basso, giovane dall’esperienza sessuale limitata alla pederastia; in questo caso la sostituzione di cunnus (v. 2.: si fuerit cunnus res peregrina tibi!) pare allo studioso assolutamente non intenzionale: darebbe luogo a un testo troppo raffinato58. Resta da pensare, banalmente, alla motivazione paleografica, che diventa più
grossolana modifica contra metrum. Circa l’uso di tali verbi in contesto erotico cf. Adams (1982, 185-186 per tracto e
tango; per salio, 206; per subigo, 155-156).
53 Il verbo salio figura con tale significato in Varrone, Rust. II 4, 8 e III 9, 5; vd. Adams 1982, 206.
54 Accade ad esempio in I 77, 6 (mefas per nefas), VI 67, 2 (sibi per subigi), VII 18, 11 (nostri per monstri) IX 41, 5 e 10,
102, 2 (aliit per saliit) IX 92, 1 (non faum per monstrum); cf. Keil (1909, 26) e Mastandrea (1997, 110).
55 «Con gusto discutibile ma effetti sicuri di comicità involontaria» (Mastandrea 1996, 114). 56 Mastandrea 1996, 114.
57 Mastandrea 1996, 115.
58 «L’idea qui sottesa, che mundus e natura femminile si identifichino tout court, è in realtà troppo moderna, troppo
sofisticata, ai limiti di un’ironia libertina che piacerebbe poter attribuire a Marziale stesso, ma è poco consentanea all’ignoto interpolatore – qualunque bizzarra miscela di ripugnanza misogina e polemica antisecolare albergasse nella sua mente» (ivi, 115-116).
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plausibile se si pensa a una iniziale corruzione di cunnus in munus: «il numero di tratti è identico in cunnus, e l’errore quasi inavvertibile nella scrittura minuscola»59. È pertanto da considerarsi meccanica, in T, la corruzione di cunnus in munus (avvenuta indipendentemente in IV 43, 11 e in IX 90): in XI 78, invece, il copista di T avrebbe copiato
erroneamente60 il testo del suo apografo – con effetti di inattesa raffinatezza interpretativa, vd. supra – cambiando munus
in mundus61.
Resta da chiedersi se il prototipo tardo-antico fosse anche solo in parte caratterizzato da tratti di censura, poi ulteriormente sviluppati – con gli esiti descritti supra – nel successivo processo di copiatura e in ambiente monastico. Lindsay, lo si è visto, immaginò che tali modifiche sussistessero già nell’edizione tardo-antica cui fa riferimento l’intero ramo α; ma si sono passate in rassegna anche le osservazioni di Mastandrea circa «la sproporzione numerica e le peculiarità lessicali delle varianti (da giudicare in R complessivamente meno insulse e grevi, meno meccaniche e sistematiche rispetto a T)»62. Ora, essendo la prima famiglia composta di florilegi che «non si copiano ma si intrecciano, e quindi si integrano a vicenda»63, non siamo in possesso di un nucleo comune di termini censurati che ci consenta di valutarne la presenza nel prototipo; i dati messi in luce da Mastandrea lasciano comunque pensare che non si trattasse di un’eredità comune ai due codici. Il fatto che R sostituisca le voci di futuo impiegando alternative differenti ci fa pensare che tali sostituzioni siano opera dell’amanuense stesso64; allo stesso tempo, errori e fraintendimenti in T chiariscono la presenza delle sostituzioni tipiche del codice almeno nel suo apografo. Non sembra rischioso ipotizzare che gli eufemismi siano stati inseriti in modo indipendente, in età carolingia e in ambiente monastico: ma conviene anche credere che nel prototipo comune al ramo i termini osceni fossero almeno «segnalati in margine, come invito sia alla cautela per il lettore sia all’eventuale censura per i successivi copisti»65. Tale esemplare postillato fu senz’altro antico, e nulla prova che non si tratti del prototipo stesso a monte della famiglia: ci si può limitare a ribadire che la natura delle censure, che si limitano
59 Mastandrea 1996, 116.
60 O cercato di dargli un senso? Mastandrea non si sbilancia. L’essenziale è chiarire che non si tratta di censure localizzate
e volontarie, sul modello di quelle discusse supra, 129-132. Si segnala che Lindsay, per questi casi, pensava esattamente al processo opposto, ovvero a una corruzione di mundus in munus (19292, ad l.).
61 L’ipotesi è rinforzata da un ulteriore esempio, l’epigramma X 90: quid vellis vetulum, Ligeia, cunnum? / quid busti
cineres tui lacessis? / tales munditiae decent puellas / – nam tu iam nec anus potes videri – / istud, crede mihi, Ligeia, belle / non mater facit Hectoris, sed uxor. / erras, si tibi cunnus hic videtur, / ad quem mentula pertinere desit. / quare si pudor est, Ligeia, noli / barbam vellere mortuo leoni. In questo caso il copista di T sostituisce regolarmente con monstrum
il cunnus al v. 1 mentre al v. 7 trascrive un insensato munus.
62 Mastandrea 1996, 112. 63 19522, 416.
64 Potremmo pensare al suo apografo, ma è sospetta l’assenza di errori nella trascrizione delle sostituzioni; e si fa sempre
più sospetta quanto più cronologicamente alta si ipotizza la censura.
65 Mastandrea 1996, 113. Presupponendo la derivazione di H, T e R da un Marziale già antologizzato (vd. supra, 126, n.
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a colpire i riferimenti al sesso femminile, presenta tratti fortemente compatibili con un contesto non soltanto moralizzante (e/o cristiano), ma anche specificamente monastico.
3.1.2 La famiglia β66
Sappiamo chi allestì il capostipite della seconda famiglia dalle subscriptiones che nei codici figurano al termine di ciascun libro: si tratta di Torquato Gennadio, che pubblicò la sua recensione dell’opera di Marziale a Roma, nel forum Martis, nel corso del 401 d. C.67.
L’archetipo fu trascritto in Italia, verosimilmente in minuscola beneventana68; mancava di un foglio e l’ordine dei libri I-IV era perturbato69, fatto che si spiega probabilmente con lo spostamento di due quaternioni; come anche nell’archetipo del ramo γ, mancava il De Spectaculis. Potrebbe trattarsi del manoscritto che, secondo la testimonianza di Poliziano, si trovava ancora ai suoi tempi nella Biblioteca di S. Marco70. Lo stesso Lindsay si limitò a poche caute considerazioni: «to what century this archetype BA belonged, the 8th or the 11th or (more probably) the 9th or 10th, we cannot tell. We may suppose it to be a transcript (mediate or immediate) made by Italian monks of some ancient copy of Martial which had been preserved through the Dark Age in their monastery library»71. Appartengono alla seconda famiglia:
L = Berlino, Staatsbibliothek Preußischer Kulturbesitz, Lat. fol. 612. Membr., XII secolo. 56 fogli, 272x175. Si tratta del manoscritto più antico della famiglia; appartenne al monastero lucchese di S. Maria Corteorlandini, dove rimase fino al 1900. Fu vergato da tre scribi72, dei quali il primo trascrisse
66 Sul ramo si veda il fondamentale lavoro di Fusi 2013a.
67 La subscriptio più ricca di informazioni è quella che figura dopo il terzo epigramma degli Xenia: Emendavi ego
Torquato Gennadius in foro Divi Augusti Martis consulato Vincentii et Fraguittii virorum clarissimorum feliciter. Come
lucidamente argomentato da Pecere, tale micro-testo deve aver subito uno spostamento nel corso della tradizione e doveva trovarsi originariamente alla fine del libro XII e concludere l’intera opera di emendatio di Gennadio (1986, 34-35). Si rimanda infra, 209-223 per un tentativo di più dettagliata analisi delle caratteristiche e del contesto di produzione della
recensio gennadiana.
68 Vd. Lindsay 1901, 416-417. Sulla base della lacuna di I 41, 4-47, che consta di 55 versi, Lindsay ipotizzò che l’archetipo
contasse 28 righe per foglio.
69 L’ordine era il seguente: I Epist.-14 (mancano I 1 e I 2); I 48-103; I 15-41, 3 (mancano I 41, 4 – I 47); IV 24, 2 – IV
69, 1; I 103, 3 – IV 24, 1; da IV 69, 2 riprende l’ordine regolare.
70 «In hac ipsa gentis Medicae bibliotheca publica codex habetur vetustissimus, Langobardis literis, quem et Domitius
olim Florentiae pellegit», Misc. I 23. In generale Poliziano dà notizia (Misc. I 23 e II 35, 5) di aver consultato a Verona «pagellas quaspiam antiquissimi item voluminis», a Roma un «volumen item Martialis langobardis characteribus» in possesso di Bernardino Valla, e a Firenze «alium…codicem semiveterem». Cf. Reeve (1983, 240, n 11).
71 1903b, 6.
72 Che lavorarono contemporaneamente, come notò Lindsay (1901, 413). Il primo dei tre dovette distinguersi per
accuratezza e intelligenza: «one might almost print word for word and letter for letter as the first transcriber has written and be no further from the ‘ipsa verba’ of Martial than any standard text, say Gilbert’s (in the small Teubner edition) of today» (Lindsay 1901, 414). Lo studioso britannico non fu altrettanto benevolo con il secondo copista: «he has an irritating habit of misreading the word he has to copy and transcribing it wrongly, only to correct it the next moment», e ancora «it is a thousand pities that the first scribe did not undertake the transcription of the whole volume» (1901, 413-414).
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i fogli 1-19, il secondo, per Lindsay «homo neglegentissimus»73, i fogli 20-37, e il terzo completò il codice copiando fino al foglio 56. I versi nel foglio sono divisi in due colonne di 48 (talvolta 47 o 49) righe ciascuna. Oltre a correzioni apportate sul momento dagli stessi scribi (L1), il codice riporta una
serie di annotazioni che una mano contemporanea attinse probabilmente dallo stesso originale da cui il manoscritto fu copiato (L2): soltanto queste due hanno importanza per la ricostruzione del testo
gennadiano. Ci sono poi le correzioni di una terza mano (L3) tratte da un codice non meglio
identificabile della terza famiglia o da un testo contaminato; intervenne sul testo un’ultima mano74,
L4, che corresse (in alcuni casi congetturò) sulla base di un codice – o esemplare a stampa – italico.
Il testimone fu scoperto e collazionato da Lindsay, che ne fornì un’accurata descrizione presentandolo come il nuovo codex optimus di Marziale, pur premettendo: «were it not that the other representatives of the BA family (P, Q, f, F) are, all of them, Renaissance copies, L would hardly be entitled so much consideration. For it is nothing but an ordinary twelfth-century MS., neither better nor worse than the average codex of its time, by no means free from careless errors and written on a poor quality of vellum»75.
P = Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pals Lat. 1696. Cart., XV secolo. 180 fogli (più 5 ff. bianchi), 290x210. I versi sono suddivisi in colonne di 30 righe per pagina e mancano del tutto i lemmata e le subscriptiones gennadiane dalla fine del libro VI; presenta correzioni di almeno due mani. Schneidewin – il quale, non conoscendo L, usò P come testimone principale ricostruire il testo di seconda famiglia – ipotizzò che si trattasse dello stesso Palatino su cui si basò Gruter per la sua edizione di Marziale del 160276: l’identificazione è stata confermata da Malein (1901) e poi dai Simar (1910).
Q = Londra, British Library, Arundel. 136. Cart., XV secolo. 141 fogli, 290x205. I versi sono distribuiti in 42 righe per pagina; contiene anche il Liber de Spectaculis. Si tratta di un codice fratello di P – ma in generale più corretto di quest’ultimo – copiato in Italia settentrionale e in seguito probabilmente portato in Baviera77, dove colui che lo possedeva (Q2) corresse interamente l’opera di
Marziale servendosi di una cattiva recensio italiana e integrò i componimenti tralasciati dallo scriba (tra cui, appunto, il Liber Spectaculorum); proprio le numerose aggiunte – spesso errate – ne fanno
73 19292, VIII.
74 In realtà si tratta di mani differenti, che tuttavia si raggruppano per convenienza sotto la sigla L4 (cf. Lindsay 1901,