• Non ci sono risultati.

Alessandro Benedetti , «Historia corporis humani, sive Anatomice».

Il primo anatomico che utilizza esplicitamente in termine Theatrum nella sua opera scritta è Alessandro Benedetti170. Nel volume Historia corporis humani sive Anatomice, l’autore non si limita a fornire dati sullo svolgimento pratico dell’operazione, ma tratta anche del luogo ideale dove svolgerla e fa riferimento esplicitamente all’utilizzo di un teatro, descrivendo le caratteristiche fisiche e gli aspetti sociali dell’evento. Con Benedetti abbiamo dunque una sorta di “manifesto”

170 Questo ha portato molti studiosi a ritenere che Alessandro Benedetti sia l’inventore del teatro anatomico, e che per

primo ne abbia fondato uno reale. Come vedremo, il medico opera in un contesto in cui la costruzione di teatri temporanei è pratica di uso comune.

dell’anatomia filosofica e moderna, il suo libro mette per iscritto le nuove forme della dissezione, così come si stavano sperimentando in Italia e soprattutto nel Veneto, curandosi sia della parte tecnica sia degli aspetti filosofici e filologici, legati alla lingua della medicina. L’opera è stampata nel 1502, ed è pervasa dal clima culturale dell’area veneta, soprattutto è influenzata dalle correnti umanistiche della Venezia a cavallo tra i due secoli. Un breve riassunto della vita di Benedetti ci può far capire in quale ambiente la sua opera ha preso forma. Benedetti nasce nel 1452 a Verona. Il suo primo maestro è Giovanni Antonio Panteo, di cui curerà gli scritti usciti dopo la morte. Panteo è anche segretario del vescovo di Verona Ermolao Barbaro il vecchio, il cui nipote di secondo grado, Ermolao il Giovane, è coetaneo di Benedetti. Egli è una delle più importanti personalità della vita culturale e sociale dell’area veneta, futuro promotore dell’umanesimo veneziano, e crea attorno a sé un circolo d’intellettuali intenti alla scoperta di opere

antiche e di nuovi valori per la moderna società171.

Nel 1475 Alessandro Benedetti si addottora a Padova ed inizia ad esercitare la professione di medico nei domini veneziani di Creta, ciò gli permette di viaggiare molto e venire a contatto con manuali originali greci e latini. La sua permanenza in area greca s’inserisce nella tradizione d’incontro culturale tra umanisti italiani e greci: l’usanza di raggiungere la penisola ellenica per conoscere direttamente la lingua e le opere degli antichi inizia dal 1397, tuttavia uno dei primi e più importanti personaggi a viaggiare in quest’area è Guarino Guarini, come testimoniato dalle lettere contenute nel suo epistolario172. Al ritorno in Italia il Guarino insegna greco e raggiunge il massimo della fama suggellando il connubio tra questa lingua e il latino, come nel contempo fa il Barzizza con cui intrattenne una proficua corrispondenza173. Quindi, la formazione del Benedetti avviene in un ambiente ed in un periodo dove il contatto con i classici, letti e commentati nella lingua originale, è introdotto da tempo e tuttavia non ha ancora esaurito la sua influenza, anzi si trova in gran fermento, come vedremo tra poco.

Nel 1490 diventa professore di medicina pratica a Padova. Cinque anni dopo è chirurgo capo dell’armata italiana contro Carlo VII, raccontata nei Diaria de bello Carolino. Egli quindi non è solo un addetto alla professione medica, ma partecipa e produce opere in sintonia con la cultura umanistica in pieno svolgimento nel Nord Italia. Molti sono infatti, soprattutto tra Venezia, Padova e Vicenza, i medici umanisti, ossia addetti alla professione medica che si interessano anche alle lettere e alle arti, e condividono con le scienze “umane” i valori fondamentali, quali la riscoperta

171 Salvo poi morire a Roma in disgrazia presso lo stato Veneziano, per aver accettato senza autorizzazione il patriarcato

di Aquileia.

172 R. Sabbadini, Epistolario di Guarino Veronese, a spese della Società, Venezia 1916, vol. II, num. 758 e 873.

173 Un esauriente riassunto dell’introduzione della cultura greca nel territorio Veneziano si trova in Storia della cultura

veneta, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Neri Pozza, Vicenza 1980, vol 3/I, in particolare v. A. Pertusi, Umanesimo greco dalla fine del secolo XIV agli inizi del secolo XVI, pp. 178-264.

dell’antico, la dottrina aristotelica e platonica, il bisogno di formare gruppi d’elite e, non meno importante, la partecipazione ad una rinascita del teatro nelle sue varie forme. Benedetti quindi usa il suo sapere di scienziato e la sua dottrina di umanista in campi non unicamente medici, il maggior contributo alla cultura, oltre al racconto storico dei Diaria, è la pubblicazione del commento alla Naturalis historia di Plinio174. Il testo Pliniano ha una lunga serie di commentatori, tra cui Giorgio Merula e soprattutto Ermolao Barbaro, che scrive, in contemporanea a Benedetti, le Castigationes plinianae, pubblicate a Roma nel 1492 e ristampate a Venezia in due edizioni del 1497 e 1499. La Naturalis historia di Benedetti è piccola e pratica, anche il suo obiettivo principale è la castigationes, cioè l’analisi filologica e la ricerca di un linguaggio più adatto alla discussione scientifica.

Il suo libro principale è comunque l’Historia corporis humani sive Anatomice, su cui concentreremo l’attenzione. Durante la stesura, estesa per quasi vent’anni, Benedetti è supportato dai sopracitati Giorgio Merula ed Ermolao Barbaro175, principali rappresentanti dell’Umanesimo veneziano, la lettera introduttiva evidenzia invece una profonda amicizia con Jacopo Antiquari. Di primissima importanza è la frequentazione con Giorgio Valla, insegnante di umanità a Venezia e padre della filologia italiana, che influenzerà il lessico e lo stile di Benedetti176. Possiamo vedere il sodalizio culturale che lega le opere di Valla e Benedetti. Il primo infatti, illustre filologo, incessante traduttore e commentatore degli antichi, dal 1484 al 1498 nel corso di humanae litterae pubblica edizioni di Giovenale, di Cicerone, di Avenio, e si adopera nella traduzione di opere scientifiche, tra cui anche Galeno. Non dimentichiamo che di Valla è anche la prima traduzione edita della Poetica di Aristotele, ed egli conosce bene l’opera di Vitruvio. L’interesse verso le scienze è parte integrante e attiva del lavoro dell’intellettuale, il cui sforzo è volto a rinnovare il linguaggio scientifico e, di conseguenza, i concetti da esso espressi. La mancanza di una terminologia specifica in ambito anatomico preoccupa entrambi gli amici-studiosi, che si cimentano nel tentativo di stabilire un vocabolario unico e preciso per la materia. Giorgio Valla, nell’opera De expetendi, dedica un capitolo a De humanae faciei corporis partibus, in cui riassume i vocabolari di Polluce, Plinio il vecchio e Celso, le stesse fonti che troviamo anche nell’Anatomice, dove l’intento riesce con

maggior successo177.

Seguendo questa direzione, l’opera di Benedetti compie un notevole passo avanti al volume di

174 Il genere del Diario è molto diffuso nel periodo in questione, basti pensare all’imponente opera di Marin Sanudo. 175 A. Benedetti, Historia corporis humani sive anatomice, a cura di G. Ferrari, Giunti, Firenze 1998, p. 11.

176 Vedi Storia della cultura Veneta 3/I, cit., soprattutto L’Umanesimo Veneziano, Ermolao Berbaro e il suo circolo. 177 I due tentativi sono talmente simili che vengono stampati in uno stesso volume da Caesarius Alexandri Benedicti

physici anatomice siue historia corporis humani. Adie ctum est huic opusculum Georgij Vallae Placen. eiusdem rei siue argumenti, elegans sane & perutile, Eucharius excudebat, Colonia 1527.

Mondino: il connubio, tutto umanistico, tra pratica anatomica, esperienza visiva e il citato Stilum Altum, che il maestro medioevale rifuggiva. Mondino, intento nella sua opera di riabilitazione della funzione settoria, della manualis operatio, tralasciava volontariamente lo stile; Benedetti invece tenta di creare una nuova norma espressiva, alta, con cui si possa trattare la dissezione, prima di tutto adoperandosi su piano filologico. Al lessico medievale “corrotto” dalla cultura araba, egli contrappone nuove terminologie greche e latine, di cui la cultura umanistica si nutre. Nel Medioevo i trattati sono spesso discordanti dall’originale, con traduzioni libere latine di testi arabi che a loro volta traducono i greci178. Inoltre, l’avvento della stampa permette una maggior precisione, risolvendo il problema della sbagliata copiatura, che spesso produce erronee terminologie. Le opere di Ippocrate e Galeno sono state sovrapposte e rielaborate, discordandosi a poco a poco dall’originale greco. Il ritorno alla fonte diretta e la capacità filologica dell’umanesimo permettono una chiara e precisa traduzione dei maestri. Anche la latinità contribuisce allo sviluppo della scienza medica, si riscopre Celso col De Medicina, scritto al tempo di Tiberio, ritrovato dal Panormita a Siena nel 1426 e a Milano da Giovanni Lamola, allievo del Guarino. Questo passaggio è espresso con chiarezza in The fabric of the body:

“Until the invention of printing, books were disseminated by making manuscript copies – and scribes could miscopy. Words, written in a language known to literate copyists, have a certain inherent resistance to misreading or mistrascription, even when the redundancy which assists accurate identification is reduced by the use of abbreviations. But when the subject matter was unfamiliar to the scribe, and especially when translations were made from Greek to Arabic to Latin, errors could be perpetuated and texts corrupted. Since dissections were not performed in the Arabic world, words necessary became divorced from structures; there was no agreed nomenclature, and medieval terminology included terms in all three languages. In the thirteenth century there was a stronger growth of classical scholarship in Italy, and, beginning in the fifteenth century, a particular study of Greek works, which was assisted by an influx of Greek scholars following the fall of Constantinople in 1453. Some of the Renaissance humanists concerned themselves with Greek anatomical texts, and faced directly the problems presented by ambiguities, in a determination to recover, through intensive study of the written language and by comparison between many texts, the purity of the Greek originals. The recovery of the learning of the Greek was the major academic work of many university teachers of anatomy throughout the fifteenth and into the sixteenth centuries – a valid, scholarly approach if one could accept the premise that the Greeks had discovered all, or nearly all, things.” 179

178 Dalla scienza medica alla pratica dei corpi: fonti e manoscritti marciani per la storia della sanità, a cura di Nelli-

Elena Vanzan Marchini, Neri Pozza, Vicenza, 1993.

179 K. B. Roberts and J. D. W. Tomlinson, The fabric of the body: European traditions of anatomical illustration,

L’intento di Benedetti viene dichiarato dalle prime pagine: l’autore anticipa una sorta di “Bibliografia” in cui sono nominati le fonti principali, divise tra greche (Platone, Aristotele, Galeno, Polluce, Rufo d’Efeso, Alessandro d’Afrodisia) e latine (Lucrezio, Varrone, Cicerone, Celso, Plinio, Gellio, Macrobio, Lattanzio), sono volontariamente trascurate le fonti arabe. La sua opera quindi è in sintonia con la filosofia veneziana dell’epoca, che attraverso gli intellettuali di maggior spicco, amici del Benedetti, subisce il fascino delle lettere greche, dei classici e delle fonti originali. Per capire in quale clima culturale opera Benedetti, possiamo ricordare l’opera di Aldo Manuzio, amico e stimatore di Ermolao Barbaro, conoscente e pubblicatore del medico.

Aldo Manuzio arriva a Venezia con l’intento di stampare le opere dei greci e dei latini. Queste sono presenti in città soprattutto tramite il deposito dei codici donati alla città dal Cardinale Bessarione nel 1468, ma rimasti senza la dovuta attenzione180.

Manuzio, nell’edizione di Aristofane, dichiara che, per far rinascere gli studi, avrebbe fatto pubblicare Aristotele e i suoi commentatori, oltre che scritti di matematica e di medicina. Il programma editoriale di Manuzio è molto preciso e concerne l’edizione di antiche fonti greche soprattutto a carattere scientifico-filosofico. Accanto all’opera omnia di Aristotele, troviamo testi utili all’apprendimento della lingua, tra cui hanno grande importanza le commedie e le tragedie greche. Come a Roma Pomponio Leto utilizza i drammi per scopi pedagogici, facendoli recitare con perfetta pronuncia ai proprio allievi, le tragedie e le commedie servono a facilitare l’introduzione delle fonti classiche in una cultura che ormai ne sente la necessità.

Dal 1501 Manuzio continua a stampare testi greci, oltre a volgari e latini, non solo di carattere scientifico-filosofico ma anche storico-retorici, corredati di traduzione latina. Questo non sminuisce il suo programma, anzi va interpretato come un tentativo di espandere la propria zona d’influenza, come avverrà in seguito con le relazioni intrattenute con intellettuali europei181. Nel 1502 sono 180 Il primo artefice della diffusione culturale ellenica in occidente è il cardinale Bessarione. Nato a Trebisonda a inizio

Quattrocento, nel 1438 arcivescovo di Nicea, è scelto dal Papa e dall’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII per realizzare l’unione fra la Chiesa greca e quella latina, da lui fortemente voluta e proclamata in Santa Croce a Firenze. Dal 1439 il cardinale è a Roma, dove cerca di liberare le terre greche dalla minaccia turca e, dopo il fallimento del 1453, progetta un luogo per raccogliere le opere greche che rischiano di andare perdute. Bessarione promuove la fondazione di una biblioteca, scopo raggiunto con ogni mezzo, economico e intellettivo. Fino al 1468 la biblioteca resta a Roma, finché in Vaticano aumenta l’ostilità verso i platonici. Intanto, cresce il favore dei Veneziani per le idee di Bessarione e per i tentativi di liberazione della Grecia: la biblioteca è così trasferita a San Marco, proclamata Libreria Pubblica dello Stato Veneziano. Essa custodisce documenti importantissimi riguardanti la medicina e la scienza, alcuni giunti dopo la morte di Bessarione nel 1473, come un codice antico di Ippocrate contenente una sessantina di scritti attribuiti alla sua scuola, o 110 codici galenici fatti trascrivere o acquistati. Sul prezioso contenuto della biblioteca marciana vedi

Collezioni veneziane di codici greci dalle raccolte della Biblioteca nazionale Marciana, a cura di M. Zorzi, Il cardo,

Venezia 1993; oppure M. Formentin, I codici greci di medicina nelle tre Venezie, Liviana, Padova 1978.

181 Vedi R. Rinaldi, Soria della civiltà letteraria italiana II, Umanesimo e Rinascimento, soprattutto Una galassia in

movimento: editoria umanistica e volgare, Utet, Torino 1993 ( secondo volume della collana diretta da G. Barberi

pubblicate le sette opere conosciute di Sofocle e nel 1503 quelle di Euripide. Il lavoro sul lessico si concretizza nell’impegno sui dizionari e delle grammatiche: del 1495 sono i manuali del Gaza e del Lascaris (con la versione latina di Giovanni Castrone), nel 1512 il manuale di Crisolora. Dal 1507 al 1508 Manuzio intrattiene una grande amicizia con Erasmo da Rotterdam, che porta alla pubblicazione di Adagia e poi traduzione dell’Ecuba e dell’Ifigienia in Aulide. Non vengono trascurate le pubblicazioni mediche: dopo la morte di Aldo esce per la sua società il Corpus greco comprendente nel 1525 Galeno in 5 volumi in foglio, nel 1526 Ippocrate, nel 1529 Polo Egina, nel 1535 Ezio di Amida. Infine, compaiono anche i moderni come Mondino, Avicenna, Rhazes, Mesuè. Tuttavia, l’Historia di Benedetti si avvale di un altro stampatore, forse perché Benedetti punta maggiormente a pubblicare un volume pratico, senza figure, quasi “tascabile”, distante dalle sontuose opere di Manuzio.

La rinascita filologica può dirsi compiuta, e, di fatto, nel 1508 viene affiancata una cattedra di greco a quella di latino nella scuola della cancelleria. Nello stesso anno Luca Pacioli tiene il corso sugli elementi di Euclide nella scuola di Rialto, a cui intervengono le maggiori personalità dell’epoca, tra cui lo stesso Benedetti, assieme a Bembo, fra Giocondo, Marin Sanudo e Aldo Manuzio.

Questo breve excursus può sembrare una divagazione dal nostro argomento principale. In realtà, esso è indispensabile per due ragioni. In primo luogo, per dimostrare come Benedetti applichi la filosofia e la cultura della sua epoca in ambito anatomico. Il bisogno di una nuova lingua aderente alle fonti e ai classici, l’allargamento d’interessi e di pubblicazioni dalla medicina, alla storia alla letteratura, sono elementi in comune tra i medici umanisti e i più generali intellettuali e letterati che promuovono la rinascita delle scienze e, in parallelo, del teatro e dei testi teatrali. In secondo luogo, le caratteristiche lessicali dell’opera di Benedetti hanno un impatto pratico sulla funzione anatomica. Infatti nell’Anatomice182 Benedetti descrive piuttosto dettagliatamente la pratica

dell’anatomia e il luogo adatto al suo svolgimento. Il procedere narrativo di Benedetti ci fa assistere alla lezione come se fosse reale, egli divide le giornate e gli argomenti, tratta il lettore come se fosse fisicamente introdotto all’interno del teatro, come abbiamo visto negli altri esempi di theatro dei libri.

182 Titolo abbreviato del libro, usato generalmente per farvi riferimento. E’ interessante notare come già il titolo ricalchi

un termine greco, quasi simbolo della poetica e dell’intento dell’autore. Infatti Anatomice deriva dal greco Anatomikè, che si differenzia dal termine in uso, anche in ambiente universitario, Anothomia o Anathomia, (v. G. Ferrari,

L’esperienza del passato: Alessandro Benedetti filologo e medico umanista, L. S. Olschki, Firenze 1996, p. 109). La

traslitterazione di Benedetti è comunque piuttosto originale, in quanto i filologi dell’epoca considerano più giusto conservare le parole in greco piuttosto che traslitterarle in latino. La scelta del medico è azzardata e personale, ma pare segnalare il chiaro intento di fondare un linguaggio unico per la scienza, cedendo a qualche “scorrettezza” in favore della comprensibilità. Per un quadro completo del lessico Benedettiano v. Ferrari, L’esperienza del passato, cit., pp. 106-121.

“La prosa di Benedetti ambisce a riprodurre verbalmente l’osservazione diretta attraverso l’uso della paratassi e di un lessico visivo. Avverbi come «evidentius» e «manifeste» rinforzano la sensazione di oggettività. Lo spostamento di Benedetti dalla prosa scolastica verso questo nuovo stile sembra un’applicazione puntuale delle proposte dialettiche di Giorgio Valla, che negli stessi anni si occupa della rifondazione delle regole del discorso. Dopo aver chiarito l’importanza dei termini, della definizione e della più discorsiva descrizione, Valla specifica come devono essere le proposizioni di base della scienza: «Verum scientiae ac demonstrationis aliquod principium est; id vero ex veris necessariis, primis, immediatis, notioribus causisque. Immediatae autem et per se fidem facientes propositiones sunt, quae per sese certae. Fiunt autem hae immediatae propositiones tum ab intellectu, tum ab adiuvantibus sensibilibus, ex quibus experimento, ex quo experientia immutabilisque cognitio.»”183

Ora, ricordiamo che il manuale di Mondino è usato nelle Università per l’insegnamento dell’anatomia, probabilmente anche letto durante la dissezione, e che uno degli intenti di Benedetti è proprio quello di sostituire il volume del medico bolognese all’interno delle Scuole. Le sue parole, il suo lessico e il suo stile dovrebbero dunque partecipare attivamente alla reale seduta: istituendo una nuova terminologia implicitamente viene cambiata anche l’eloquenza della funzione. In realtà l’opera non raggiunge il successo sperato, ed i medici di primo Cinquecento continuano a preferire un linguaggio più schietto, “Mondiniano”, che non richieda quella preparazione filologica che Benedetti forse eccessivamente pretende. Innovazioni si trovano non soltanto nel lessico, ma anche nello stile, è questo è uno dei principali motivi per cui l’opera non raggiunge il successo sperato. Le opere precedenti seguono la disposizione dell’Accessus, cercano conciliazione tra le fonti, assemblaggio della conoscenza passata con una prosa scandita e tecnica. Benedetti invece preferisce uno stile fluido, quasi narrativo, che riproduce l’osservazione diretta. Leggendo la sua opera, si ha la sensazione di partecipare veramente alla seduta, e possiamo immaginare che lo scrittore auspica che il suo testo sia la fonte e per le esperienze reali, quasi un canovaccio da seguire per le lezioni dei medici. Come dice Giovanna Ferrari:

“il prevalere della dimensione osservativo - descrittiva impone tuttavia una scrittura in grado di imitare con vivacità i contenuti dell’esperienza diretta. Altrettanto importante è trasmettere fedelmente i contenuti della tradizione. Rileggendo in questa chiave l’intero testo, l’Anatomice risulta trapunta qua e là di fatti e racconti tradizionali o personali che spezzano l’esposizione sistematica e alleggeriscono la lettura. Queste digressioni narrative, spesso

183 G. Ferrari, L’esperienza del passato: Alessandro Benedetti filologo e medico umanista, L. S. Olschki, Firenze 1996,

p. 145; cit da Girogio Valla, De expetendis, et fugiendis rebus opus, in quo haec continentur, in aedibus Aldi Romani, Venetiis, 1502 cap I 1.XXXVI.

autobiografiche, ancorano il contenuto scientifico a luoghi, persone, momenti concreti comunicando una generale impressione di verosimiglianza e immediatezza che mitiga la farraginosità del discorso dottrinale.”184

Benedetti pratica anatomie a Venezia185, usa il libro e l’esperienza per cambiare l’oratoria della funzione e renderla adatta alla cultura umanistica, fondere assieme i precetti dei dotti e dei greci con la pratica medica, non mera esperienza visiva ma cenacolo culturale, che necessita di un’eloquenza adatta alla nobiltà che interviene.

Seguiamo quindi come Benedetti immagina la propria seduta anatomica ideale, cosicché risulterà