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Autonomia e Signoria negli Studi di Padova e Ferrara.

Vicenza e Padova sono sotto il controllo Veneziano dal 1404. La loro situazione è quindi in bilico, da un lato mantengono una qualche autonomia ed un effimero potere autoctono, dall’altro sono sottoposte al controllo della Repubblica. In questo contesto, sorgono delle istituzioni che ribadiscono la loro autonomia intellettuale e scientifica, che non assoggettate da una Signoria assolutistica e dominante, come Ferrara o Firenze, a cui devono rendere conto. Lorenzo dè Medici sposta lo Studio da Firenze a Pisa, qui lo rende attivo e florido chiamando i migliori maestri della toscana. E’ però una presa di posizione in persona diretta, mentre negli altri Studi è solito che siano gli studenti a chiamare i Lettori, nelle Università governate da una Signoria è il Principe che sceglie

i docenti.

Per capire a fondo le peculiarità della Studio Patavino si può fare un confronto, ad esempio, con quello di Ferrara, avente un’Università di origini antiche. Il teatro anatomico in essa tuttora conservato è tardivo, del 1731, voluto dall’anatomico Giacinto Agnelli e dall’architetto Francesco Mazzarelli. Già nel Cinquecento i documenti testimoniano la presenza di un teatro anatomico, ma solo come spazio di studio, non come monumento destinato a durare nel tempo. Infatti lo Studio di Ferrara è legato a doppio filo con la Signoria D’Este, a cui deve la fondazione, lo sviluppo e purtroppo anche la decadenza. Come si legge in Lo Studio di Ferrara nei secoli XV e XVI:

“Certamente […] l’opera sarebbe stata così più vasta e voluminosa, ma non più utile. Di fatto lo Studio di Ferrara dovette la massima parte della sua floridezza agli Estensi e, perduta che ebbe questa famiglia la signoria della città, decadde grandemente e per ragioni d’indole generale come lo spirito della Contro-riforma che serrava la scienza nelle strettoie del dogma, e sopra tutto perché venne a mancare a Ferrara quello splendido centro d’attrazione per letterati ed artisti, quella fonte copiosa d’uffici e di lucri che era la Corte estense, dove s’incontravano e vivevano e s’alimentavano della sua vita ricca e svariata gli ingegni diversi di molte parti d’Italia e talvolta anche di altre regioni d’Europa.”266

266 G. Pardi, Lo studio di Ferrara, cit., p. 5. Questo volume offre una panoramica dettagliata sulla nascita e

sull’evoluzione estense dello studio, avendo come fonti Historia almi Ferrariæ Gymnasii in duas partes divisa,

eminentiss., & reverendiss. principi d. Thomae Rufo S.R.E. cardinali Praenestino episcopo, ac archiepiscopo Ferrariensi a Ferrante Borsetti Ferranti Bolani, Bernardini Pomatelli, Ferrara 1735; G. Buffaldi Guarini Ad ferrariensis gymnasii historiam; documenti tratti dall’Archivio estense di Modena, Archivio comunale di Ferrara,

Archivio arcivescovile e notarile di Ferrara. La stessa situazione si trova a Napoli, v. E. Cannavale Lo Studio di Napoli

La stessa nascita dello Studio è voluta da Alberto D’Este, che nel 1388 chiede al Papa l’autorizzazione per la fondazione. L’origine quindi si trova nella bolla del Papa Bonifacio IX del 4 marzo 1391267. L’apertura dell’Università è dettata da un volere Signorile, diversamente da quanto avviene a Bologna ed a Padova, dove sorgono spontaneamente delle associazioni date dalla volontà dei docenti di avere un’istituzione che radunasse e riconoscesse il loro operato. A Bologna le varie scuole nate precocemente si riuniscono nel 1088. Proprio dalla città emiliana, un secolo e mezzo dopo, un gruppo di docenti e alunni “migra” a Padova, alla ricerca di una maggior autonomia e

libertà, e qui fonda uno Studio autonomo.

L’Università Ferrarese è condizionata da sempre dalle vicende della casa D’Este, chiusa in base ai bisogni e della disponibilità monetaria della Signoria. Lo Studio viene soppresso nel 1394, riaperto nel 1402 fino al 1404, nel 1418 il Giudice dei XII Savi propone al Consiglio del Comune di riaprirlo, attribuendo metà spese al Comune stesso e metà a Nicolò III D’Este. La spesa è troppo ingente e la divisione dell’onere non deve far supporre una qualche autonomia comunale: come evidenzia Pardi, il Giudice dei XII Savi è generalmente una “creatura” del Signore. L’attività didattica riapre a tutti gli effetti con i grandi signori del Rinascimento, quali Lionello, Borso, Ercole I (nonostante la chiusura del 1483-1484 a causa delle guerre), chiude di nuovo nel 1511-1513 sotto Alfonso I, impegnato ad affrontare la carestia, l’epidemia, la guerra tra Giulio II e Venezia, e fino agli anni venti conta un numero ridotto di Lettori. Dal 1529 e soprattutto con Ercole II ed Alfonso II l’insegnamento mantiene una certa floridità, fino alla decadenza della stessa casa signorile. Infatti, quando Alfonso II muore nel 1597, il Papa non vuole riconoscere suo figlio Cesare d’Este perché di stirpe illegittima, e questi abbandona Ferrara per conservare Modena e Reggio, feudi imperiali. Da qui, la città di Ferrara non torna più alle glorie dei tempi Rinascimentali. Senza la Corte artisti, medici e giuristi non sono attratti dalla città, mentre il Pontefice si disinteressa allo Studio perché nella propria egemonia c’è già Bologna, ben più florida e lucrosa. Durante i “secoli d’oro” l’influenza politica della Signoria condiziona l’andamento e la vita delle attività didattiche. Nelle altre città il corpo studentesco ha inizialmente avuto una certa autonomia. A Bologna i Lettori sono nominati dagli scolari, ed i Rettori, capi degli scolari, stabiliscono l’ordine dello Studio (lezioni, tempo, licenze, salari). Solo successivamente diventano rare le elezioni dei docenti fatte dai ragazzi, fino al 1420 dove di 21 professori di diritto solo 1 era eletto dall’università giuridica. Inoltre sempre meno scolari sono disposti alla carica di Rettore, così la Chiesa ne

267 La leggenda fa risalire la nascita a Federico II, che istituisce degli Studi per rivaleggiare con la guelfa Università di

Bologna. Una sede è distaccata a Napoli, dove trae origine la famosa Università, e un’altra a Ferrara nel 1225 o 1241. Lo sostiene Ferrante Borsetti, mentre dubitano Tiraboschi, Frizzi, Gennari, Bottoni, Secco- Suardo, Denifle, Martinelli, poiché anche Ferrara pare essere città Guelfa e quindi non avrebbe risolto il problema. E’ probabile che esistano scuole prima della fondazione di Alberto, ma che solo con la Signoria D’Este diventano uno studio riconosciuto ed attivo.

approfitta e sopprime privilegi degli studenti e portare lo Studio nella sfera della sua autorità e direzione. A Ferrara gli studenti non hanno mai esercitato il diritto di elezione:

“Ciò derivò in parte dal modo come sorse lo Studio e si mantenne in vita, per le cure dello Stato e non per l’iniziativa degli studenti; e in parte dal trovarsi il medesimo in città non retta a governo democratico, bensì a principato, dove la volontà del Signore era legge e si estendeva a tutta la vita cittadina, dandole l’impulso e moderandola. S’aggiunga il fatto che l’Ateneo ferrarese non era frequentato, come quello di Bologna, da un sì gran numero di scolari stranieri, i quali imponevano le condizioni e strappavano privilegi con la minaccia della defezione, ma piuttosto da sudditi del Principe, che non potevano ribellarsi all’autorità di lui. Quando poi cominciò l’affluenza di scolari d’altri Stati italiani o stranieri, questi non sarebbero riusciti a mutare sistemi ormai inveterati.”268

A Ferrara lo Studio è totalmente governato dal principe, come lo Stato. Formalmente è il consiglio dei XII Savi a tutelare i Governo, ma essi vengono eletti dal Duca ed il loro capo è uno dei fidi consiglieri di questo. Anche la sede principale, dove nel 1567 vengono radunate tutte le scuole, è stata costruita dal marchese Alberto D’Este ed affittata al Cardinale Ippolito D’Este, chiamata il Paradiso. Molti dei docenti di medicina (Ugo Benci, Michele Savonarola, Soncino e Francesco Benci ecc.) sono medici di Corte, a cui viene affidato l’insegnamento e alcune donazioni. Anche i lettori di filosofia attivi sono personaggi di corte: Antonio Montecatini, Niccolino Bonaccioli, e tra gli umanisti Alessandro Guarini, Gio. Battista Cinzio, Francesco da Porto, Battista Guarini, Gio. Battista Pigna.

La situazione Ferrarese quindi differisce molto da quella di Padova e Bologna. La libertà di ricerca è limitata dalla dipendenza signorile, che decreta l’economia dello Studio e la scelta dei Lettori. Da questo possiamo dedurre per quale motivo nel settore artistico non si sia sviluppato un teatro anatomico importante come quelli coevi. L’anatomia è comunque presente nello Studio, e raggiunge livelli alquanto notevoli. E’ registrata la presenza del fratello di Vesalio, Francesco; Berengario da Carpi, Lettore bolognese di grande fama che abbiamo già citato, opera per alcuni anni in questa sede, ricavandone riconoscimenti ed esperienza. Un teatro anatomico è registrato fin dal 1551, forse non effimero e quindi quarant’anni in anticipo su quello Patavino. Tuttavia questo luogo rimane sconosciuto, le tracce che ci rimangono sulla sua creazione e utilizzo sono scarse e poco studiate. Anche tra i contemporanei non si registra entusiasmo circa la costruzione269. A mio parere, questo deriva dal fatto che il teatro anatomico Ferrarese non si è potuto sviluppare come monumento,

268 G. Pardi, Lo Studio di Ferrara, cit., p. 43.

269 O almeno, finora non ho rilevato testimonianze contemporanee su questo evento, anche se bisognerebbe dedicare al

portatore di istanze sociali o culturali, ma solo come luogo funzionale per le sedute. La corte estense grava troppo sullo Studio per permettergli di istituire forme di celebrazione autonome. Nel teatro destinato a durare nel tempo c’è sempre una traccia celebrativa o culturale di chi ha promosso la costruzione. E’ così nel teatro anatomico di Bologna, come vedremo, ma ugualmente in quello di Padova, dove, nonostante l’assenza di simbologie politiche, viene evidenziata l’autonomia dello studio scientifico e il primato della ricerca sulle funzioni sociali. Ebbene, la classe medica ferrarese, che deve rispondere in tutto e per tutto al Signore, non istituisce un luogo che la rappresenti, ma in un certo senso usa uno spazio dipendente da un potere esterno. A sua volta questo potere esterno non può lasciare tracce nel luogo delle scienze, sia per la presunta indipendenza della ricerca, sia per la non conformità del luogo ad un encomio signorile270.

Abbiamo preso Ferrara come esempio di città colta e all’avanguardia, dove si riscontra una fortissima e importantissima attività spettacolare271, in cui, però, la presenza di un potere centrale egemonistico blocca lo sviluppo di forme teatrali autonome dalla corte. Possiamo così mettere in risalto le differenze con la situazione Padovana. Analizziamo dunque quali sono le condizioni favorevoli che permettono a quest’ultimo luogo di diventare una sede di studi internazionale e di fondare il primo teatro anatomico riconosciuto dalla Storia272.

Lo Studio nasce da un gruppo di Lettori e studenti bolognesi che, per cercare maggior libertà di ricerca, si trasferiscono a Padova273. Qui, radunando tutte le scuole già esistenti, fondano l’Università. Il modello patavino quindi deriva da quello bolognese prima della dominazione papale, attribuisce un gran potere direzionale agli studenti che eleggono in prima persona i propri maestri, in contrapposizione ad un esempio “parigino” nel quale sono i Lettori ad avere una

270 A tuttora non c’è una monografia organica sul teatro anatomico ferrarese, solo pochi articoli. Quindi, le deduzioni

che ricavo sono ancora da sottoporre ad una verifica approfondita, ho solo riportato alcune intuizioni che necessitano di verifiche e indagini.

271 Per l’attività teatrale ferrarese L. Zorzi, Il teatro e la città: saggi sulla scena italiana, Einaudi, Torino 1977;

F.Cruciani, D.Seragnoli, Studi sul teatro del Rinascimento Italiano, Università degli Studi di Bologna, Dip. di Musica e Spettacoli, Bologna 1983.

272 In quasi tutti i libri di storia della medicina il teatro anatomico patavino è ricordato come primo e unico nel suo

genere, anche se probabilmente alcune città già hanno una sede fissa per le sezioni, come Ferrara e Pisa. Questa fama deriva dal fatto di essere l’unico tutt’oggi esistente, nonché il più celebre data la fama del suo promotore, Girolamo Fabrici d’Acquapendente.

273 Lo Studio di Padova durante la Signoria dei Carrara raggiunge la piena maturità, ma mostra sempre una filiazione da

Bologna. Dal 1321 fino a metà Quattrocento il Comune di Padova si impegna con gli Studenti a concedere loro gli stessi Statuti della città felsinea, ed utilizzarli come base per ulteriori aggiunte e sviluppi. Su questo F. Dupuigrenet Desroussilles L’Università di Padova dal 1405 al Concilio di Trento, in Storia della cultura Veneta, Dal primo

posizione dominante. Nel 1405274 la città è assorbita nei domini della Repubblica di Venezia, e lo Studio mercanteggia la propria autonomia:

“Infatti la Repubblica di Venezia che, nei patti di resa, aveva accettato la clausola che lo Studio fosse mantenuto «secundum privilegia, statuta et consuetudines» e si era impegnata a fare «omnia quae debita et convenientia sunt pro amplificatione Studii», valutandone appieno l’importanza non soltanto dal punto di vista politico, ma anche da quelli di prestigio nei rapporti internazionali […]”275

Garantendo autonomia ad un’istituzione che vanta un’attività secolare, Venezia accresce il proprio prestigio e la fama di città liberale e colta. Per questo il Maggior Consiglio favorisce ancor di più lo sviluppo dell’Università, cercando di richiamare i migliori maestri che, a causa della guerra, si sono allontanati negli altri Studi. La strategia lagunare è piuttosto chiara: invece di creare una sede veneziana competitiva alla patavina, una volta unificato il territorio genera un polo didattico che diventa quasi l’unico del territorio veneto, concentrando l’insegnamento superiore in luogo che raggiunge il massimo prestigio e illumina anche i sui dominatori. In più, viene emanato un decreto che vieta agli studenti della Repubblica di recarsi a studiare altrove e vengono chiuse le scuole di Treviso e di Vicenza, per non creare inopportune dispersioni di insegnanti e alunni. Rimane solo, per volere di Federico III e di Paolo II, il Collegio dei Fisici di Venezia, con il diritto di esaminare e di nominare 8 dottori all’anno, ma senza uno svolgimento regolare di lezioni. In questo modo, Padova attira un gran numero di studenti stranieri, e concorre ad affermare il mito della Venezia liberale e innovativa. Lo Studio di Padova si affianca alla floridezza economica e culturale della Dominante, dove opera la scuola pittorica di Tiziano, dove l’arte tipografica iniziata da Manuzio è tra le più pregiate d’Europa, dove i commerci favoriscono scambi di merce e gente, non solo nel Mediterraneo ma anche nel resto d’Europa, ed accoglie i pellegrini che attendono di imbarcarsi per la Terra Santa276.

Già dal Quattrocento, sotto i nuovi dominatori, lo Studio sviluppa le caratteristiche che lo portano all’avanguardia nel contesto Europeo, ossia empirismo, la libertà di sperimentazione, l’osservazione e la pratica come strumenti più importanti della logica e della fedeltà alla tradizione.

274 Per le fonti, oltre ai volumi citati in precedenza, rimando soprattutto a Il teatro anatomico. Storia e restauri, a cura di

C. Semenzato, Offset invicta, Limena 1994; C. Semenzato, L’Università di Padova: Il Palazzo del Bo: arte e storia, ed. Erredici, Padova 1999; Storia della cultura Veneta, soprattutto volumi 3/II e 3/III; F. Barbieri, P. Preto, Storia di

Vicenza, Neri Pozza, Vicenza 1990, vol. III/2.

275Il documento è riportato anche da C. Semenzato, Il Palazzo del Bo, cit., p. 8.

276 Per un quadro generale del periodo v. Architettura e utopia nella Venezia del Cinquecento catalogo della mostra di

“C’è tanta ricchezza nell’underground del pensiero scientifico padovano, c’è quella ricchezza, che costituirà lo zoccolo sul quale si fonderanno i solidi principi della scienza oggettiva Cinquecentesca.”277

Questa autonomia, in senso intellettuale e non politico, genera tensioni e orgogli che spingono lo Studio verso l’innovazione e la sperimentazione di metodi e pratiche. Ciò avviene dopo un periodo di crisi dovuto alle guerre tra Venezia e l’Impero, in cui l’Università si è mostrata parte della rivolta contro Venezia, ma dal 1517, puniti e impiccati i Lettori pericolosi278, non si riscontrano altri atti sovversivi. E’ attraverso la libertà di sapere che si possono attuare nuove politiche d’insegnamento, senza il timore della sperimentazione e la preoccupazione di tradire una tradizione medica ormai inadatta agli insegnamenti dell’epoca. Così i tre corsi di medicina in cui è divisa l’Università (teorica, pratica e chirurgia) gradualmente rinnovano i propri metodi passando da un tipo d’insegnamento “passivo” e tradizionale a nuove tipologie “attive” e sperimentali. Il classico insegnamento medioevale, come abbiamo visto, è incentrato sul commento ai testi dei maestri. L’attenzione ai libri è naturalmente ancora basilare, ma nel Rinascimento all’apprendimento su banco si affiancano le dimostrazioni e la sperimentazione delle nozioni “attraverso i sensi”. Le innovazioni riguardano differenti materie. Copernico è spinto a rivedere il pensiero astronomico, Girolamo Fracastoro, che intrattiene una stretta relazione con il polacco, avanza nuove ipotesi sulla teoria del contagio nelle malattie infettive. Giovanni Battista da Monte capisce l’importanza dell’apprendimento della medicina non solo dai testi ma direttamente al capezzale del malato, Francesco Bonafede fonda l’insegnamento dimostrativo della botanica nell’Orto dei Semplici, primo spazio del genere in Europa, che in Italia sarà imitato da Bologna, Firenze e Pisa279. Notiamo quindi che tutte queste innovazioni hanno come punto basilare lo studio diretto della natura (sia essa cosmica, umana o vegetale) e soprattutto l’osservazione dei fenomeni, lo sguardo come veicolo di conoscenza. La filosofia di Padova raggiunge il suo apice poco prima della metà del secolo, quando i suoi principi sono completamente sviluppati e assorbiti come nuova metodologia di lavoro:

277 C. Semenzato, Il teatro anatomico, cit., p. 15.

278 Si tratta del filosofo Pietro Trapolin e dei giuristi Antonio Francesco Dottori e Bertuccio Bagarotti, quest’ultimo

impiccato nella piazza principale. Di loro racconta Marin Sanudo nei Diarii (VIII, coll. 502, 523, 17 luglio 1519; IX coll. 87, 295, 358 24 agosto, 7 novembre, 18 dicembre 1509; XII, coll. 266, 295; 30 giugno, 19 luglio 1511).

279 Questo almeno quello che sostiene G. Gola, L’orto botanico universitario, «L’università di Padova nel VII

“Tutti questi eventi, legati ai nomi di Vesalio, da Monte, Bonafede, [….], si attuano a Padova in quel triennio 1543- 1546, che si identifica con il trionfo dell’oggettività, atteggiamento empirico di matura concretezza, concertato, come si è visto, nel corso di tre secoli ed esploso e concentrato appunto in quel ristretto periodo a significare il compimento e la sintesi realizzati dall’incontro e dall’amalgama dei vari indirizzi metodologici, filosofici e pratici. Fu sicuramente questa impostazione intellettuale nella sua lunga, travagliata, fase di preparazione e nel momento di apogeo il faro luminoso di richiamo per il mondo europeo.”280

A metà Cinquecento dunque lo Studio è nel suo momento più importante. All’avanguardia nelle scienze, rinomato a livello internazionale, è fiore all’occhiello della Repubblica veneta. Infatti tra il 1545 e il 1552 il Senato autorizza i Riformatori dello Studio ad adeguare completamente il Palazzo del Bo alle esigenze accademiche.

“[…]si fece di tutto per dare al Bo una posizione eminente nell’assetto urbano padovano, impedendo a certi abitanti di sopraelevare le loro case affinché si potesse vedere da ogni parte il palazzo dell’Università. Situato di fronte al nuovo palazzo del Podestà, con la sua facciata ornata dal leone di San marco, il Bo era il segno immediatamente sensibile del dominio incontrastato della Signoria sullo Studio, e uno strumento di prestigio verso gli stranieri, un esempio presto imitato a Pavia e a Bologna. Ormai lo Studio non imponeva più «al mondo esterno l’immagine di Padova come libero comune aperto alle esigenze degli studi e della cultura», ma faceva parte del «mito di Venezia».”281

Nel Palazzo del Bo tutte le scuole hanno una collocazione urbana, che dimostra la presenza dell’Università in modo materiale e concreto. Venezia appone sulla facciata il proprio marchio, il Leone di San Marco, uguale a quello che troneggia in tutte le città soggette nelle piazze, sulle colonne, negli edifici di maggior risonanza pubblica. Questo stemma però è l’unico simbolo che unisce i domini della terraferma. Infatti ogni singola città instaura con la Dominante un rapporto differente, che tiene conto delle storie singole, delle singole necessità di ogni territorio:

280 Il teatro anatomico. Storia e restauri, a cura di C. Semenzato, Offset Invicta, Limena 1994, p 19.

281 F. Dupuigrenet Desroussilles L’Università di Padova dal 1405 al Concilio di Trento, in Storia della cultura Veneta,

Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, Neri Pozza, Vicenza 1980, vol. 3/II., p. 647. L’autore si riferisce a

“Il Leone di San Marco posto sopra le colonne nelle piazze, o scolpito nella facciata degli edifici pubblici,