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4. Un’esistenza destinata al fallimento: Una vita di I Svevo

4.2. Alfonso Nitti fra due mondi

L’esistenza del giovane Alfonso Nitti si divide tra due realtà che sembrano riproporre nello schema di questo romanzo italiano l’inossidabile dicotomia presentata da Sin rumbo: quella che oppone i valori tradizionali del campo, ai non˗valori della ciudad.

La novità di Una vita è, rispetto alle mode letterarie dell’epoca, quella di aver saputo creare un connubio perfetto tra indagine psicologica e critica sociale, novità che lo stesso Cambaceres introduce nella propria opera. Si tratta, anche in questo caso, dell’esplorazione di una personalità inquieta che soffre “di un certo male mondiale”548.

È il dramma del difficile inserimento del singolo in una società che ha mutato visibilmente d’aspetto. L’ingranaggio alienante e immodificabile della nuova macchina moderna ha creato una schiera di burattini, uomini soli e insoddisfatti che si vedono obbligati a fare una scelta di fronte ad un aut aut forzato: divenire o meno parte integrante di un sistema culturale, in cui l’ideologia dominante viene sistematicamente imposta alle classi subalterne dalla classe egemone nella produzione sia dei valori morali che in quelli estetici549.

Il personaggio sveviano, non accettando questo tipo di imposizione, diventa un antieroe «eccentrico», ovvero un emarginato che con il suo comportamento manifesta la sua incapacità di integrarsi nella collettività.

548 I. Svevo, Una vita, in Romanzi e «continuazioni», a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, con saggio introduttivo a cura di M. Lavagetto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2004, p. 70.

549 Cfr. C. Federici, ‘L’eccentricità e l’ex˗centricità dei protagonisti sveviani’, in Italo Svevo tra

moderno e postmoderno, a cura di M. Buccheri ed E. Costa, Longo Editore, Ravenna, 1995, p.

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A ciò segue un isolamento non imposto ma voluto: Alfonso è spinto sul ciglio del mondo non solo da agenti esterni, (il capo Maller, Annetta, Federico, Macario, i colleghi), ma soprattutto da se stesso, così si scosta e fugge verso le aree periferiche per trovare consolazione ed ossigeno in una realtà parallela molto più gratificante, quella del sogno dove si avvera l’impossibile.

È grazie alla voce del narratore extradiegetico che conosciamo i meccanismi interni del personaggio, i quali rivelano la sua dissoluzione morale determinata dallo scontro con una comunità indifferente e arrogante. Alfonso, incerto nel compiere quei passi in avanti, retrocede fino a cadere nell’abisso oscuro della morte.

Ecco uno dei debiti che Svevo ha nei confronti del naturalismo francese: l’adesione al canone dell’impersonalità. Il narratore rimane dietro le quinte, affida l’azione ai propri personaggi e si intromette di tanto in tanto nel racconto per far emergere l’angoscia e il malessere del suo protagonista. Questo silenzio evita qualsiasi tipo di interferenza entro la narrazione. Seguendo la lezione di Flaubert, anche lo scrittore triestino rinuncia alla preistoria della vita delle proprie creature, quella preistoria che fino a Balzac era servita come premessa necessaria alla comprensione. Quindi il passato degli eroi non viene cancellato, ma si recupera nel testo in modo disseminato e frammentario550.

È ciò che accade con la lettera d’esordio inviata da Alfonso alla madre, che in qualche modo marca l’orizzonte d’attesa del lettore: in due pagine di sfogo, l’inetto sveviano anticipa quello che sarà lo spettacolo a cui assisteremo noi spettatori una volta che si aprirà il sipario su Trieste.

550 Cfr. Introduzione a I. Svevo, Romanzi, a cura di M. Lavagetto, con la collaborazione di F. Amigoni, N. Palmieri e A. Stara, Einaudi˗Gallimard, Torino, 1993, p. XX.

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Questa missiva, forse la più importante fra quelle che compongono il corredo epistolare del romanzo, è una lettera˗chiave: fa capire quale sarà la sorte di un uomo che dopo essere scappato dal luogo d’origine, desidera ardentemente tornare indietro, “all’ombra delle querce, respirando quella buona aria incorrotta”551.

Il percorso del giovane Nitti, come quello di Andrés, prevede andate e ritorni, immersioni ed emersioni, avvicinamenti ed allontanamenti, senza mai trovare pace. Non è un caso, dunque, se anche nell’opera sveviana alcuni termini come: ritorno, inerzia, malessere, nausea e senza meta, non solo si ripetono più volte, ma sembrano ricalcare quelli usati da Cambaceres.

Le affinità tra i due abulici antieroi e le loro rispettive storie non terminano qui. Sebbene il mondo della banca Maller, Trieste e il villaggio appaiano lontani dalla realtà bonaerense di fine secolo, i destini di Alfonso ed Andrés si incrociano nel momento in cui entrambi smarriscono la loro strada.

La lettera d’apertura è rivelatrice: grazie ad essa il protagonista ci confessa il suo malcontento, la sua desolazione, ma soprattutto la nostalgia di casa. La città non è come Alfonso aveva immaginato; il suo ingresso in quel mondo sconosciuto e visto fino ad allora sempre da lontano è tutt’altro che felice: “Non credere, mamma ˗scrive˗ che qui si stia tanto male; son io che ci sto male! […]. Non ti pare, mamma, che sarebbe meglio che io ritorni?”552.

L’aria densa ed inquinata che gli toglie il fiato, fa desiderare al giovane di tornare a respirare l’aria pulita del paese natio. Le impressioni che riceve dal paesaggio urbano hanno toni melanconici e tristi; il grigiore di Trieste è desolante, ed

551 I. Svevo, Una vita, in Romanzi e «continuazioni», a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, con saggio introduttivo a cura di M. Lavagetto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2004, p. 6.

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apparirà ancor più deprimente nel momento in cui il protagonista deciderà di abbandonare tutto, liberandosi così da “quella cappa di nebbia”553.

Anche il suo parere sulla gente è schietto e negativo: affannata a ricercare una felicità materiale e interessata solo dell’apparenza, questa appare, secondo l’opinione di uno “che va vestito peggio di loro”554, sciocca, presuntuosa e cinica. È il mondo delle falsità, del non˗essere, della lotta per la sopravvivenza in cui non c’è spazio né per Alfonso né per Andrés. Il malessere, il fastidio e il senso di inadeguatezza che entrambi provano a contatto con una realtà che prima li assorbe, e poi li fa fuori, è estremo e inevitabile.

Nel tentativo di inserirsi in una società dal meccanismo assurdo ma necessario per l’uomo moderno, i due eroi falliscono. Non si tratta di paura di affrontare il mondo, piuttosto di ripudio e di delusione una volta che questo contatto è avvenuto.

Da tale esperimento deriva uno stato di disorientamento e confusione: l’espressione senza meta ricorre per ben due volte nel testo, (cap. VII, p. 88 e cap. XVIII, p. 351), come nel caso di Sin rumbo. Questa doppia apparizione sottolinea la deludente prova a cui Alfonso ed Andrés si sono sottoposti. Il suicidio è solo l’ultima fuga con la quale essi intendono sottrarsi dal mondo. La differenza sta nel percorso che i due personaggi seguono: Andrés esce dalla campagna, si tuffa nella confusione cittadina, per poi ristabilirsi e morire nel luogo d’origine; Alfonso, invece, pur avendo alle spalle un passato da provinciale, si trova già a Trieste nel momento in cui il romanzo inizia, e

553 Ivi, p. 253.

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nonostante il ritorno al villaggio natio, egli decide di ripartire per la città in cui avrà luogo la sua tragica fine.

Mentre l’eroe cambaceriano, alla ricerca di un riscatto da un passato disdicevole, abbandona per sempre la capitale per stabilirsi definitivamente nella dimora pampeana accanto alla figlia, Alfonso, dopo essere rientrato in contatto con il passato, capisce che è troppo tardi per tornare indietro. Ma è a Trieste che egli si rende conto che non c’è più posto per lui né come impiegato, né come amante, né come uomo. Annientato qualsiasi rapporto con l’ambiente esterno, Alfonso annulla anche se stesso.

L’opposizione tra campagna e città è vissuta dal protagonista di Svevo sia in un’alternanza tra evasioni˗immersioni nella natura per fuggire la prigionia urbana, sia tramite una visione dall’alto dell’agglomerato cittadino “donde poteva giudicare tutte quelle persone che correvano dietro a scopi non raggiungibili”555. Diversamente da Andrés, il giovane Nitti non abbandona la civiltà, il suo alloggio, il posto di lavoro e la cara biblioteca, ma se ne allontana temporaneamente solo per concedersi una boccata d’aria fresca.

Nel primo caso il viaggio è stato una vera e propria odissea, attraverso la quale il personaggio si è sottoposto ad una serie di prove faticose per espiare le proprie colpe. Nel secondo invece, Alfonso è solo alla ricerca di una libertà inesistente nei luoghi che quotidianamente si trova a frequentare.

L’episodio della marcia sull’altipiano è da intendere come percorso destinato al recupero della salute556: Alfonso ci viene infatti presentato nello stesso modo in cui Cambaceres aveva descritto il suo eroe, cioè come un essere fragile, dai nervi

555 I. Svevo, Una vita, p. 252.

556 A. Luzi, ‘Dalla scrittura realistica alla crisi del soggetto’, in Italo Svevo tra moderno e

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deboli, affaticato dalla vita, annoiato dagli eventi mondani e profondamente triste.

È soltanto nel cap. VI di Una vita che veniamo a conoscenza della malattia che colpisce lo sfortunato personaggio. La sua debolezza è data proprio da questo suo malessere interiore.

Alla stregua di molti altri antieroi della letteratura di inizio Novecento, Alfonso è un fallito, un uomo superfluo, abulico, e perciò privo di qualsiasi slancio vitale e capacità d’azione.

È dall’inerzia e dall’impossibilità di sapersi misurare con la realtà che nasce il profondo disagio del giovane Nitti e il suo distacco totale dal mondo, dal quale si allontana costantemente fino ad uscire di scena silenziosamente. Come nota anche Lavagetto, Svevo dà un nome a questo desiderio di pietà e di egoismo che affligge il suo personaggio, chiamandolo «malcontento», che è la causa della corruzione dell’anima e di ogni sua trasformazione, ma Alfonso è solo capace di corrompersi e mai a cambiare557.

In Una vita, le uscite fuoriporta sono dunque simbolo di una profonda comunione tra uomo e ambiente, e rappresentano per il protagonista la ricerca di consolazione alla sua insoddisfazione.

Lontano da un mondo corrotto e inquinato, Alfonso, dopo una dura scalata, si ferma, recupera fiato e con la pace nel cuore ammira la bellezza della natura: “Da molto tempo non aveva respirato così profondamente. Guardò il piccolo prato intorno a sé e vedendolo così chiaro, verde, ridente, ne godette come se fosse

557 I. Svevo, Romanzi, Introduzione a Una vita, a cura di M. Lavagetto, con la collaborazione di F. Amigoni, N. Palmieri e A. Stara, Einaudi˗Gallimard, Torino, 1993, pp. 1034˗35.

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stato suo. […]. S’addormentò come un bambino, sorridente e coi pugni chiusi”558.

In contrasto con questo quadro vivace e colorato, c’è quello monotono e spento della città. Al suo vagabondare senza destinazione si aggiunge la mancanza di scopi: se inizialmente Alfonso seduce Annetta Maller spinto da un desiderio egoistico, cioè l’innalzamento sociale, i suoi propositi iniziano a mutare quando decide di abbandonare Trieste per ritornare al paese natio. Quest'ultimo rappresenta, nell’immaginario del protagonista, il luogo incontaminato della fanciullezza, dove spera di poter ristabilire i contatti con un passato che crede immutato. Ma anche prima di possedere la giovane amante, Alfonso aveva desiderato “di abbandonare il giuoco”559 senza spingersi oltre, accontentandosi della propria situazione di piccolo borghese frustrato.

Intento a rincorrere i suoi sogni da megalomane, “facendo fabbricare dal cervello dei mondi intieri”560, questo inetto ambisce prima al matrimonio con la figlia del capo, poi alla fama grazie alla pubblicazione di un trattato sulla morale, e in seguito inizia a scrivere un romanzo da quattro soldi, a cui Annetta gli propone di collaborare.

Ecco perché Alfonso, incapace di inserirsi nel mondo vissuto dagli altri e sentendosi inferiore a loro, si è creato un alibi grazie al quale può credersi moralmente più nobile di chi lo circonda. Avvilito per la sua meschina vita di impiegato, egli cerca il suo riscatto: non tramite la concretezza del lavoro, bensì

558 I. Svevo, Una vita, in Romanzi e «continuazioni», a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, con saggio introduttivo a cura di M. Lavagetto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2004, pp. 88˗9.

559 Ivi, p. 130. 560 Ivi, p. 17.

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attraverso l'evasione fantastica, si consola cioè e si esalta col pensiero di essere superiore alla massa, intellettualmente e culturalmente561.

Non è solo nello spazio del sogno che Alfonso si allontana dal reale, ma anche attraverso la cultura, la vorace lettura di Petrarca, dei naturalisti francesi, o dei classici, che si vanta di saper tradurre ad occhi chiusi.

Come Andrés, anche il protagonista di Una vita cerca di adeguarsi alle leggi della nuova società, trovandosi però a dover vivere in opposizione con essa, nel più totale sdoppiamento di coscienza. È da qui che nasce la consapevolezza della propria solitudine e diversità. Già attraverso la lettera˗confessione con cui si apre il romanzo, Alfonso aveva espresso il proprio disprezzo nei confronti non solo della vita cittadina, ma soprattutto dei suoi abitanti.

L’opera di Svevo, come ci informa Lia Fava Guzzetta, riprendendo un testo di Claudio Magris562, mostra al lettore contemporaneo la scoperta della lacerazione del reale, il tragico senso dell’eclissi della totalità da cui deriva il disagio della civiltà che estranea progressivamente l’uomo dalla sua stessa vita.

Lo scarto tra il modus vivendi di Alfonso e quello della comunità rivela sin dall’inizio l’impossibilità da parte del protagonista di poter accettare rapporti sociali regolati dalla divisione di classe, dalla ricchezza e dalla capacità di fingere563.

L’entrata in società impone al nuovo arrivato l’accettazione dell’inautenticità morale che domina le dinamiche comportamentali del mondo

561 Informazioni disponibili a: cfr. http://www.homolaicus.com.

562 L. Fava Guzzetta cita il lavoro di C. Magris, «Italo Svevo: la vita e la rappresentazione della vita», in Il primo romanzo di Svevo: una scrittura della scissione e dell’assenza, G. D’Anna, Messina, 1991, pp. 118˗19.

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urbano. Il rito di passaggio avviene nel momento in cui Nitti deve valicare la soglia di casa Maller, il microcosmo privato abitato dagli stessi «falsari» della banca: “Aveva meditato molto sul modo di contenersi in società e s’era preparato alcune massime sicure sufficienti a tener luogo a qualunque altra lunga pratica. Bisognava parlare poco, concisamente, e se possibile, bene. […]. Voleva dimostrare che si può essere nato in un villaggio e per naturale buon senso non aver bisogno di pratica per contenersi da cittadino e di spirito”564.

L’iniziazione si può compiere solo se Alfonso decide di abbandonare per sempre le sue vecchie vesti per calarsi nei panni dell’homo novus: perché, anche agli occhi della madre, egli apparirà cambiato per quel che riguarda il suo aspetto esteriore, dopo che si è “messo alla moda”565.

Il giovane Nitti attende lo sviluppo che lo renda uguale agli altri e, nel tentativo di entrare a far parte della modernità, ha quasi rinunciato al suo vero essere. Ritorna ancora una volta l’antitesi che oppone la tradizione alla civilizzazione, l’antico al moderno, il nuovo al vecchio. Lo stesso Nietzsche garantisce che la cultura nuova uccide la vecchia per rendere possibile il vero progresso, quello consapevole e voluto, punto di partenza della nuova cultura. A detta del filosofo dunque, la «cultura antica» non è riciclabile perché non può più diventare «fresca»566.

564 I. Svevo, Una vita, p. 28. 565 Ivi, p. 265.

566 W. Geerts, ‘Svevo, Nietzsche, la moda, la modernità’, in Italo Svevo tra moderno e

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Una volta ristabilitosi nel luogo natio, Alfonso capisce che è oramai troppo tardi per recuperare il tempo perduto. Diversamente dall’eroe argentino, l’inetto di Svevo non ha mai raggiunto una piena maturità, perché ancora immerso nella puerizia che lo trascina lontano dalla realtà. Alfonso sa come ci si debba comportare, vestire, parlare e innamorare nella Trieste di inizio secolo, ma queste certezze cerebrali non diventano mai vere esperienze.

Alfonso è un ottimo filosofo, un abile sognatore, ha sì le ali per volare in alto, ma mai per toccare terra. La vita rimane per lui un indecifrabile e caotico enigma e, nonostante abbia attimi di resipiscenza, egli continua a nutrire la fede che il mondo sarà verso di lui benigno come verso gli adolescenti567.

Il ritorno alle origini simbolizza una regressione, meccanismo di difesa mediante il quale l’Io scappa dal presente perché ha nostalgia del passato.

In un suo articolo, Antonino Lo Cascio, riprendendo lo studio offerto da Freud in Inibizione, sintomo e angoscia, spiega in cosa consiste il nucleo di questa idea di regressione: “è il ritorno a modi di funzionare caratteristici di stati, di fasi precedenti l'attuale condizione di sviluppo o di status. Prevede una condizione di pericolo che non si è in grado di affrontare. La regressione non dipende dall'Io, ma da una sua debolezza che trova appunto riscontro tra l'altro in fissazioni a momenti precedenti, caratterizzati nella fattispecie da un Io più primitivo ma ben organizzato rispetto a quel momento di sviluppo”568.

Durante uno dei suoi colloqui amorosi con Annetta, ad Alfonso viene chiesto se soffra ancora del suo male che tutti conoscono come «nostalgia». Nonostante il

567 Cfr. G. Debenedetti, ‘Svevo e Schmitz’, in Saggi 1922˗1966, a cura di F. Contorbia, Arnoldo Mondadori, Milano, 1982, p. 246.

568 A. Lo Cascio, «Considerazione sui meccanismi di difesa», disponibile a: cfr.

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giovane lo neghi, decide comunque di parlarne: “raccontò che prima di tutto era una malattia organica”, ma ciò che evitò di descrivere “era l’intensità del desiderio di rivedere i luoghi che si aveva abbandonato”569 e l’odio che provava verso tutte le persone che aveva incontrato in città.

La malattia di Alfonso, ed implicitamente anche di Andrés, è esclusiva solo di chi ha vissuto il doloroso distacco dalla terra in cui è nato e cresciuto. L’angoscia della lontananza e della separazione rende questi due personaggi diversi rispetto alla massa: il loro disagio è inconcepibile entro i confini di una realtà che annulla ogni tipo di emozione.

La sincerità dei sentimenti, oltre ad essere incomunicabile e costretta per questo motivo a rimanere segreta, è incompresa in un mondo di ipocriti.

La falsità frantuma qualunque certezza, e l’accettazione della menzogna, come norma comportamentale, mette in crisi il rapporto tra dimensione personale e dimensione collettiva, tra soggetto e comunità570.

È questa la ragione per cui da una parte Alfonso rincorre dei sogni irrealizzabili e si nasconde dietro le sue bugie, e dall’altra Andrés fugge la moltitudine che lo spaventa trovando riparo presso i suoi alloggi privati o nella lettura di Schopenahuer.

569 I. Svevo, Una vita, in Romanzi e «continuazioni», a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, con saggio introduttivo a cura di M. Lavagetto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2004, p. 133.

570 Cfr. A. Luzi, ‘Dalla scrittura realistica alla crisi del soggetto’, in Italo Svevo tra moderno e

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Così come tutti quelli che incontrano, anche i due inetti hanno la necessità di indossare una maschera per proteggersi dai pericoli che possono derivare dal contatto con l’altro. Questa maschera non è solo quella che esibiscono in pubblico, e tramite la quale negano la loro vera natura di uomini fragili e «imbecilli» ˗imbecillius, debole˗571, ma essa rappresenta i mondi paralleli che entrambi creano per cercare conforto alla loro disastrosa situazione.

Alfonso tenta la strada della produzione spirituale, che sfuggendo ad ogni controllo effettivo, dà a chi la pratica una momentanea sensazione di sollievo572. Egli infatti aderisce molto male al suo mestiere di corrispondente di banca, poiché il lavoro meccanico di copiatura non fa per lui: “Essendo attento, correva sempre col pensiero al significato di quanto copiava e ciò lo arrestava”573. Incapace di adeguarsi alle regole del gioco che vigono nel nuovo universo, Alfonso ha bisogno di una momentanea evasione mentale.

Anche quando viene designato quale successore di Miceni, passando dal ruolo di speditore a quello di corrispondente, il giovane non sa gioire del suo avanzamento. Il nuovo incarico finisce per togliergli anche il tempo dedicato alla lettura, ed è così che per sfuggire al senso di oppressione della prosaica vita d’ufficio, Alfonso, oltre a sognare ad occhi aperti, fa prima l’esperienza della biblioteca civica, e poi inizia a scrivere un’opera filosofica. La sua inettitudine lo rende però inconsapevole dei pericoli che corre.

Illudendosi di saper fare più degli altri, Alfonso non solo ha scelto una