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4. Un’esistenza destinata al fallimento: Una vita di I Svevo

4.1. Il primo romanzo di Svevo

Abbiamo visto come in Argentina, in un periodo di crisi dei valori morali e spirituali, ma di affermazione di un modello di vita moderno e alienante, Eugenio Cambaceres con Sin rumbo inventi il primo personaggio disadattato, patologico e anticonformista della letteratura ispanoamericana, adottando i precetti del naturalismo francese e guardando all’incipiente modernismo che proprio in quegli anni riuniva i suoi primi proseliti.

Parallelamente in Italia, in un’epoca in cui è ancora forte la risonanza del verismo verghiano grazie alla pubblicazione di Mastro˗don Gesualdo530 (1889), e in cui iniziano a trionfare anche Gabriele D’Annunzio e la poetica del superuomo che annuncia il decadentismo europeo531, due grandi scrittori quali Italo Svevo, al secolo Aron Hector Schmitz, e Luigi Pirandello aprono le porte al mondo della coscienza del personaggio.

Con Una vita, Svevo traccia il profilo di un eroe che ha ben poco in comune con i «vinti» di Verga e il nobile Sperelli de Il piacere532: il suo Alfonso Nitti, come saranno poi l’Emilio Brentani di Senilità (1898) e lo Zeno Cosini di La coscienza di Zeno (1923), è un uomo solo in mezzo ad una società crudele e corrotta, che il rapido processo di industrializzazione ha trasformato. Non è soltanto a causa dell’ambiente esterno che Alfonso soccombe, ma è soprattutto la sua natura di

530 Pubblicato nel 1889, è il secondo romanzo inserito nel ciclo de I Vinti, rimasto incompiuto. La vicenda è ambientata in Sicilia, a Vizzini, e narra la storia di un parvenue, Gesualdo Motta, che da piccolo muratore diventa un ricco imprenditore. La ricchezza fa di lui un uomo avido di sentimenti, tanto che deciderà di sacrificare i propri affetti in onore del successo economico. 531 Cfr. G. Spagnoletti, Svevo: da «Una vita» a «La coscienza di Zeno», Mucchi Editore, Modena, 1991, p. 12.

532 Il piacere è un romanzo di Gabriele D’Annunzio scritto nel 1888. Si tratta della storia di un aristocratico dandy romano, Andrea Sperelli, e delle sue tristi vicissitudini amorose con due donne: Elena e Maria, entrambe sposate.

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sognatore che, portandolo ad avere fiducia solo nel proprio Io, lo illude di poter evadere dalla realtà grazie ai “suoi voli poetici”533.

Un inetto, che rivela l’inconfondibile assonanza con il cognome dell’eroe principale, Nitti, sarebbe stato il titolo iniziale proposto dall’autore, titolo che l'editore Treves rifiutò.

Il nome di Italo Svevo compare sul frontespizio del libro per la prima volta, poiché i racconti e gli articoli precedentemente pubblicati da Ettore Schmitz erano stati tutti firmati con il nome di Ettore Samigli534. Nel Profilo autobiografico, si legge:

“Per comprendere la ragione di uno pseudonimo che sembra voler affratellare la razza italiana e quella germanica, bisogna avere presente la funzione che da quasi due secoli va compiendo Trieste alla porta Orientale d’Italia: funzione di crogiolo assimilatore degli elementi eterogenei che il commercio e anche la dominazione straniera attirarono nella vecchia città latina”535.

Trieste, come la lontana Buenos Aires, proprio perché sprovvista di una cultura autoctona, è terreno fertile per qualsiasi tipo di proposta intellettuale. Posta al crocevia di più popoli, questa città fa da ponte tra mondo latino e Mitteleuropa. La Società letteraria triestina, la Minerva, cenacolo di giovani e promettenti letterati, è uno degli ambienti che Svevo frequenta e grazie al quale viene a contatto con le opere francesi, russe, inglesi e tedesche più in voga in quegli anni. “Una vita ˗scrive Svevo in terza persona nel suo Profilo˗ è certamente influenzato dai veristi francesi. Lesse molto Flaubert, Daudet, Zola, ma conobbe

533 I. Svevo, Una vita, in Romanzi e «continuazioni», a cura di N. Palmieri e F. Vittorini, con saggio introduttivo a cura di M. Lavagetto, Arnoldo Mondadori, Milano, 2004, p. 105.

534 I. Svevo, Romanzi, Introduzione a Una vita, a cura di M. Lavagetto, con la collaborazione di F. Amigoni, N. Palmieri e A. Stara, Einaudi˗Gallimard, Torino, 1993, p. 1026.

535 I. Svevo, Zeno : La coscienza di Zeno, La rigenerazione, Racconti e altri testi, a cura di M. Lavagetto, Einaudi, Torino, 1991, p. 871.

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molto di Balzac e qualche cosa di Stendhal. […]. Però il suo autore preferito divenne presto lo Schopenhauer”536.

La lezione del filosofo di cui è punteggiato il testo sveviano, si manifesta soprattutto nella scelta finale del suicidio del protagonista, “conclusione brusca ma inevitabile come il membro di un sillogismo”537. Anche la moglie Livia, in Vita di mio marito538, conferma questo interesse, e sicuramente il giovane Svevo

ben conosceva le opere principali del tedesco, quali Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e rappresentazione), Parerga und paralimpomena (Parerga e paralimpomena) e Die beiden Grundprobleme der Ethik (I due problemi fondamentali dell’etica)539.

Sebbene il pensiero schopenhaueriano abbia fornito un indispensabile sostegno alla stesura del romanzo, il progetto letterario di Svevo è debitore soprattutto alla letteratura naturalista e al realismo di Balzac.

Nonostante il titolo ricordi quello del primo romanzo di Guy de Maupassant, Una vie540, le due vicende non hanno nulla in comune; la storia di Alfonso, come afferma lo stesso Crémieux , sembra essere l’equivalente italiano dell’Éducation sentimentale di Flaubert, con evidenti richiami a Madame Bovary e Salammbô. Il giovane Nitti appartiene soprattutto a quell’ampia popolazione di personaggi patologici ed inutili che ha come capostipite il Rudin541 di Ivan Turgenev542.

536 Ivi, p. 873.

537 I. Svevo, Racconti˗Saggi˗Pagine sparse, a cura di B. Maier, dall’Oglio, Milano, 1968, p. 802. 538 Cfr. L. Veneziani Svevo, Vita di mio marito, stesura di Lina Galli, Edizioni dello Zibaldone, Trieste, 1958, p. 28.

539 Sotto questo titolo vengono raccolti nel 1841 due saggi: ‘Über die Freiheit des menschlichen Willens’ (‘Sulla libertà del volere umano’, 1839) e ‘Über das Fundament der Moral’ (‘Sul fondamento della morale’, 1840).

540 Traduzione italiana Una vita. È il primo romanzo di Guy de Maupassant, apparso nel 1883 sul quotidiano ‘Gil Blas’. L’opera racconta integralmente la vita di un’aristocratica parigina, Jeanne Le Perthuis, dalla fanciullezza sino alla morte.

541 Rudin è il primo romanzo di Ivan Sergeevič Turgenev, pubblicato nel 1856. È la storia di Rudin, giovane e brillante intellettuale, idealista infiammato e abile oratore che, come Andrés ed

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Così come il collega argentino Cambaceres, l’autore triestino critica la moderna società borghese, studiando la crisi dei valori che in essa si registra. Una vita mette in luce i mali del secolo attraverso la figura di un uomo solo, turbato e in continua lotta con il mondo. Quest’opera, allo stesso modo di Sin rumbo, è un’indagine oggettiva, fredda ed impersonale di una tranche de vie; è cioè uno studio minuzioso e dettagliato di ambienti e personaggi che, pur avendo molti debiti con Zola e il suo Roman expérimental, non raggiunge mai il medesimo rigore543.

È soprattutto l’autobiografia ad avere un ruolo fondamentale nella scrittura di Svevo: la sua esperienza come impiegato di corrispondenza alla Banca Union di Vienna è raccontata con estrema verosimiglianza in questa prima opera, così come le due ore serali trascorse presso la Biblioteca Civica.

Alla pari del percorso di Andrés, anche quello dell’eroe sveviano è segnato dal movimento di andare e venire fra due mondi agli antipodi: la città, dove egli entra a contatto con ambienti diversi e figure nuove, e la campagna, in cui lo attende Carolina, l’anziana madre.

L’inetto Alfonso lascia il paese dove è nato per trasferirsi a Trieste alla ricerca di un lavoro che gli assicuri una buona posizione sociale. Nonostante l’entusiasmo iniziale, l’ambiente urbano appare subito frustrante, menzognero e triste, come scrive Alfonso nella lettera d’apertura del romanzo.

Alfonso, è privo di volontà d’azione e perciò incapace ad adattarsi all’epoca in cui vive, quella degli anni ‘40 del secolo XIX.

542 Cfr. Introduzione a I. Svevo, Romanzi, a cura di M. Lavagetto, con la collaborazione di F. Amigoni, N. Palmieri e A. Stara, Einaudi˗Gallimard, Torino, 1993, pp. XVIII˗XIX.

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Le sue doti da intellettuale gli consentono di accedere alla casa del severo capo, il signor. Maller, e gli permettono soprattutto di far colpo sulla figlia Annetta, con la quale inizia a scrivere un romanzo e intrattiene una breve relazione.

La monotonia e il grigiore del mondo bancario, dominato da rigide regole e orari di lavoro inflessibili, rivela a Nitti la routine della vita moderna. Lontano dallo spazio pubblico del lavoro e dal salotto borghese, troviamo la modesta casa dei Lanucci, presso la quale Alfonso è affittuario di una stanza, le cui minuscole dimensioni gli impediscono di godere del piacere della lettura. A confortare la desolante e misera vita da impiegatuccio c’è, almeno in un primo momento, la biblioteca della città dove il giovane si diletta tra le letture dei classici antichi e quelle dei filosofi.

Non appena il nuovo universo popolato da soli “falsari”544 diventa insostenibile per uno come Alfonso che non ha le ali per volare in alto, egli approfitta della scusa dell’anziana madre malata, suggeritagli da Annetta affinché questa possa parlare al padre del loro fidanzamento, per scappare al villaggio natio. Questo ritorno finisce per allontanare definitivamente il giovane dalla sua storia con la ragazza.

Rientrato a Trieste, Alfonso è soddisfatto nel vedere che la sua rinuncia ad Annetta ha sortito l’esito desiderato: la donna, che oramai lo ha dimenticato, è ora promessa sposa al cugino, l’intraprendente ed altezzoso Macario.

Intanto la situazione in banca è cambiata: i colleghi a malapena si sono accorti dell’assenza e del ritorno di Alfonso, mentre Maller lo detesta. Al disprezzo si aggiunge un’ulteriore mortificazione: il declassamento a un incarico secondario.

544 Questo appellativo vieno usato da W. Geerts, in ‘Nietzsche, la moda, la modernità’, facendo riferimento agli impiegati della banca Maller&Co.

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Nel tentativo di difendersi, Alfonso chiede un colloquio con il capo, lo affronta, ma l’allusione alla sua intimità con la figlia lo fa apparire come un ricattatore. Egli è oramai diventato agli occhi di tutti un miserabile vigliacco; per rimediare a quest’accusa, Nitti tenta di riconquistare la stima di Annetta chiedendole un ultimo incontro. All’appuntamento si presenta il fratello di lei, che lo invita a sfidarlo a duello. Alfonso accetta, ma la sera prima dello scontro sceglie un altro modo per affrancarsi dall’assurda situazione: il suicidio. Questo, lungi dall’essere un atto liberatorio è, secondo la lezione di Schopenhauer, l’affermazione più estrema dell’espressione della volontà di vivere.

Anche l’inetto sveviano, allo stesso modo di quello cambaceriano, preferisce il ruolo di vittima della società, attraverso il quale si crea un alibi di ferro che gli permette di fuggire dalle sue responsabilità, quando in realtà è incapace di integrarsi e di diventare parte attiva del mondo.

Una vita fu pubblicato per la prima volta nel 1892 presso l’editore triestino Vram; l’uscita del libro venne annunciata in forma anonima da due quotidiani, ‘Il Piccolo’ e ‘L’Indipendente’, giornale con cui Svevo collaborava in quell’epoca, e da un articolo di Domenico Oliva sul ‘Corriere della Sera’545. La critica non fu affatto benevola: quanto rimproverava al suo autore era, come si legge nel Profilo, “la povertà della lingua infarcita di solecismi e di formazioni dialettali”546.

545 I. Svevo, Romanzi, Introduzione a Una vita, a cura di M. Lavagetto, con la collaborazione di F. Amigoni, N. Palmieri e A. Stara, Einaudi˗Gallimard, Torino, 1993, p. 1033.

546 I. Svevo, Zeno : La coscienza di Zeno, La rigenerazione, Racconti e altri testi, a cura di M. Lavagetto, Einaudi, Torino, 1991, p. 876.

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Nonostante la fredda accoglienza e lo scarso successo, Una vita fu per Svevo “il suo solo romanzo”547, ovvero, l’opera che rappresentò un fondamentale punto di partenza per la stesura delle altre due, Senilità e La coscienza di Zeno.

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