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Alle origini della diaspora: l’archivio nel Medioevo

I. Il disperso archivio del monastero

2. Alle origini della diaspora: l’archivio nel Medioevo

Come si diceva poc’anzi, la situazione dei documenti di Leno è stata contrassegnata da una cronica precarietà, e questo non solo nell’epoca della commenda o dopo la soppressione, ma fin dai secoli del Medioevo. Probabilmente anzi già nel Medioevo non esisteva a Leno un archivio completo.

Certamente, l’abbazia era esposta, più che i monasteri urbani, alle violenze e ai disordini, soprattutto durante l’età del Barbarossa. Nel XII secolo due incendi avevano gravemente danneggiato le strutture dell’abbazia, e dovevano aver interessato anche l’archivio. Il primo era scoppiato nel 1135, al tempo dell’abate Tedaldo, ed è probabilmente da mettere in relazione ai disordini delle lotte di fazione interne al comune cittadino. Esso ci è narrato dagli anonimi Annali bresciani, e successivamente, nel XV secolo, dal cronista Giacomo Malvezzi24. Il

22 Cf. VECCHIO, L’archivio del monastero, pp. 47-49.

23 Sul Codice Diplomatico Bresciano, si veda VECCHIO, Documenti dei monasteri, pp.

235-263.

secondo incendio è invece correlato alla discesa in Italia di Federico I del 1158, quando le truppe boeme al seguito dell’imperatore con un pretesto avevano assalito il monastero25. Insieme agli edifici, dovette bruciare anche

l’insieme dei documenti dell’antica abbazia, tanto è vero che attualmente la documentazione privata del monastero non inizia che con dall’ultimo quarto del dodicesimo secolo26.

Con la distruzione delle carte custodite presso il monastero, erano venute a mancare anche le attestazioni giuridiche dei diritti e delle prerogative di Leno. Le conseguenze, come si può immaginare, potevano essere pesanti, e si dovette pertanto correre ai ripari per tutelare il patrimonio abbaziale. Indicazioni in tal senso vengono da alcune concessioni contenute nei diplomi imperiali di quel periodo. Nel 1014 Enrico II aveva stabilito per il cenobio la possibilità recuperare le proprietà per le quali non possedeva documenti scritti mediante la dichiarazione di tre testimoni. Queste disposizioni erano state rinnovate nel 1026 da Corrado II, che nel suo diploma faceva riferimento alla perdita di documenti «per furtum vel per ignem aut aliquo infortunio», e poi ancora nel 1177 da

combusit». Cf. MALVECII, Chronicon, c. 877; ZACCARIA, Dell’antichissima badia

di Leno, p. 28. Su questo periodo particolarmente drammatico della storia bresciana, si

veda VIOLANTE, La Chiesa bresciana nel medioevo, p. 1049; FRUGONI, Arnaldo da

Brescia, p. 79 n. 94.

25 Apprendiamo dai racconti più di un testimone della controversia del 1194. Cf.

VECCHIO, L’archivio nell’Archivio, p. 68; EAD., I testimoniali del processo di Leno, p. 381.

26 I primi documenti notarili (esclusi dunque quelli rilasciati da pontefici e imperatori)

giunti fino a noi sono l’investitura del 10 aprile 938, rogata a Panzano, e la permuta con Atto di Canossa del 22 aprile 967, seguiti da 4 documenti dell’XI secolo (1009 agosto, Leno; 1070 settembre 28, Fontanellato; 1080 aprile 25, Panzano; 1085 marzo 16, Montefrendente). Essi sono tutti relativi alle dipendenze emiliane, tranne l’atto del 1009, trascritto dal Luchi e non più reperibile. Dopo questi documenti inizia la serie del XII secolo, i primi dei quali sono anch’essi per la maggior parte relativi alle dipendenze emiliane. È solo dal 1172 (documento edito in Popolis, s.d. 1172 giugno 30, Ostiano) che iniziamo a disporre con regolarità dei documenti relativi ai possedimenti in Leno e nella Bassa bresciana. Per le carte anteriori precedentemente citate si vedano: BARBIERI, Le carte emiliane del monastero di Leno (I), pp. 364-365, n. 1 (1085 marzo 16, Montefredente); BARBIERI, SUCCURRO, Le carte emiliane del monastero di

Leno (II), pp. 299-300, n. 1 (938 aprile 10, Panzano), pp. 300-303, n. 2 (967 aprile 22, in loco qui dicitur Sancto Severo), pp. 304-305, n. 3 (1080 aprile 25, Panzano); Popolis,

s.d. 1070 settembre 28, Fontanellato. Il documento del 1009 è edito in LUCHI,

Monumenta monasterii Leonensis, pp. 45-7; ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. 85-7, n. 10 (alla data 1009 agosto). Anteriore al 1172 è anche una charta convenientiae del 1 marzo 1121 (documento edito in Popolis, s.d.), che però appare un

documento strettamente legato alla gestione chiesa cittadina di San Benedetto, e che quindi potrebbe essere stata conservata presso la dipendenza cittadina, e per questo motivo sfuggì all’incendio.

Federico I27. La continua riaffermazione della medesima concessione da

parte dei privilegi imperiali rilasciati nel corso del secolo lascia intuire che la situazione dell’archivio non fosse migliorata.

In ogni caso, al di là di questi accadimenti, che talvolta assumono i connotati del topos narrativo, quel che è certo è che i documenti dovettero migrare precocemente verso diverse sedi conservative, o anzi essere conservati fin dall’inizio direttamente presso le dipendenze: «È impossibile ricostruire l’archivio nella sua fase di maggiore integrità, nell’imminenza delle soppressioni. Il fondo di Leno già da secoli si era disperso in mille rivoli sia per sottrazioni e spostamenti, sia per cessioni ai nuovi proprietari dei beni: e già nel medioevo probabilmente non esisteva a Leno un archivio completo, ma molto doveva essere conservato direttamente nelle dipendenze»28.

Un caso emblematico è quello delle carte relative al monastero di San Biagio del Voglio, che passarono a Santo Stefano di Bologna già nella seconda metà del secolo XII, quando l’abate di Leno dovette rinunciare ai suoi diritti sulla dipendenza a favore del cenobio bolognese29. Nel Duecento

Leno dovette inoltre cedere altre sue proprietà al vescovo di Modena ed al monastero di San Pietro della stessa città: ebbene, in uno di tali atti di cessione si affermava chiaramente che assieme ai beni l’abate avrebbe dovuto provvedere a trasmettere al nuovo proprietario «omnia instrumenta pertinentia ad dictum monasterium de predictis rebus omnibus et possessionibus, et quasi possessionibus»30. Ed è appunto tra l’Archivio di

Stato e l’Archivio Capitolare di Modena che troviamo le pergamene relative al priorato di Panzano e alle sue dipendenze31. Questi ultimi documenti,

verosimilmente, non si trovarono mai direttamente nell’archivio del monastero a Leno, ma dovevano essere conservati presso questa importante dipendenza. È lecito pertanto supporre che le carte legate ad altri antichi possedimenti leonensi successivamente dismessi abbiano seguito analoghe migrazioni.

Con ogni probabilità dunque in molte delle dipendenze monastiche vi era un apposito archivio. Potrebbe essere questo il caso della dipendenza nella città di Verona, che non ci ha lasciato documenti relativi a Leno32.

27 Heinrici II. et Arduini Diplomata, p. 373 n. 300; Conradi II. Diplomata, pp. 66-68 n.

57; Friderici I. Diplomata, pp. 224-226 n. 697.

28 BARBIERI, L’archivio del monastero, pp. 259-260.

29 Cf. ZAGNONI, Il monastero benedettino di San Biagio del Voglio.

30 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, doc. n. 31, pp. 189-191 (1212 maggio

16).

31 VICINI, Regesto della chiesa cattedrale di Modena, I, pp. 71-72 n. 48, p. 260 n. 282; II,

pp. 117-118 n. 715, pp. 121-122 n. 721, pp. 188-189 n. 821.

Assai scarsa è la documentazione relativa anche ad altre dipendenze, come i possessi che Leno aveva a Pontremoli, ma soprattutto l’importante priorato di Fontanellato.

Un altro motivo per la precoce sparizione dei documenti potrebbe essere da cercare nel fatto che, con tutta probabilità, la maggior parte di essi era conservata in cartulari. L’abitudine di raccogliere in registri i documenti relativi a compravendite, permute ed altri negozi giuridici era molto diffusa fra le chiese, i monasteri e altri enti, e si può pensare che anche Leno non abbia fatto eccezione. Va da sé che la perdita di un libro comporta la perdita in blocco di una grande quantità di singoli documenti e notizie.

Riferimenti a registri di imbreviature e a volumi sono in effetti presenti nell’opera del cronista cinquecentesco Cornelio Adro, che li esaminò per il suo sommario sulla storia dell’abbazia33. L’ipotesi della

conservazione di registri presso l’archivio monastico sembra essere avallata anche da alcuni riferimenti che si trovano nella documentazione superstite. In una promessa di pagamento dell’anno 1300, un affittuario del monastero promette di solvere una certa cifra che era dovuta per delle terre entro l’anno successivo, «come contenuto in un libro del monastero» (ut in libro dicti

monasterii continetur)34. Allo stesso modo, in un atto del 1289 viene

ricordato che all’abbazia spettava il pagamento di un certo fitto «ut in libris et legistris dicti monasterii continetur»35. Ora, se si lascia passare l’evidente

sgrammaticatura del dettato, appare evidente che presso l’archivio di Leno fossero conservati, se non cartulari contenenti copie degli atti originali, per lo meno i registri fiscali contenenti le entrature del monastero.

Con un panorama di fonti così frammentarie e disperse, si può intuire come un’edizione delle carte di San Benedetto rappresenti un caso anomalo rispetto ai piani di edizione dalle carte di altri monasteri lombardi36. Fino al

2001, nessuno aveva mai tentato di raccogliere il corpus completo della documentazione di Leno, sebbene siano stati condotti lavori storici altamente meritori, a partire da Luchi e da Zaccaria per giungere fino al

Stato di Verona partono solo dalla fine del sec. XIII, e non presentano alcun riferimento a Leno: è molto probabile che i legami si fossero interrotti da tempo. Su questa dipendenza, si veda VARANINI, La chiesa di S. Benedetto al Monte.

33 Cornelio menziona in particolare un «libro de registri», forse un registro di imbreviature

dei privilegi e dei documenti inerenti le cause sostenute dall’abbazia, a sette volumi di investiture dell’abate Pietro Pagati segnati «sesto, quinto, quarto, ottavo, nono, decimo, undecimo», e ad «un libro bislongo» scritto nel 1486 «di mano propria» dall’abate Francesco Vettori, oltre alle copie del XVI secolo. Non è invece menzionato il Libro VV utilizzato dallo Zaccaria. Si veda più avanti, alle pp. 42-43.

34 ASMi, AD, pergg., cart. 87, sparsi (1300 marzo 12, Ostiano). 35 Ivi, cart. 94, fasc. 48, sec. XIII, n. 704 (1289 novembre 1, Ostiano). 36 Cf. BARBIERI, Indagini di storia monastica, pp. 249-257.

puntuale volume di Angelo Baronio del 1985. Tuttavia le nuove possibilità offerte dai mezzi digitali aprono una prospettiva interessante per l’edizione delle carte leonensi. Come già prospettato da Barbieri, che a partire dal 2001 ha proceduto all’edizione di una parte del fondo documentario leonense nell’ambito di un progetto promosso da Popolis37, l’opportunità non è

offerta tanto da una tradizionale edizione cartacea, quanto piuttosto da un’edizione digitale, «dove il materiale possa essere immesso progressivamente seguendo le varie tappe del suo ritrovamento (a volte fortunoso come nel caso della pergamene ora nel fondo di Santo Stefano dell’Archivio di Stato di Bologna), ricostruendo con gli opportuni link l’ordine cronologico e quello dell’appartenenza o meno al fondo di San Benedetto»38.