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Il Seicento: caratteri e temi di una stagione storiografica

I. La storiografia erudita

3. Il Seicento: caratteri e temi di una stagione storiografica

a. La storiografia bresciana del Seicento

Il periodo che intercorre tra il «Sommario» di Cornelio Adro e l’opera dello Zaccaria è un periodo percorso da tendenze storiografiche precise, un’intera stagione che ha elaborato il proprio approccio alle fonti medievali con risultati spesso di lungo corso, e con cui ancora oggi ci dobbiamo confrontare. E questo tanto più in ambito locale, terreno fertile per l’impiantarsi di certe tradizioni, espressione certo di un’epoca, ma rebus per noi che siamo stretti tra la multiforme prolificità di queste tradizioni e l’esiguità delle fonti che dal Medioevo in poi sono andate facendosi sempre più rade.

Il punto centrale è certo riflettere su come si comprendesse il Medioevo e come se ne scrivesse la storia nel XVII secolo, ma si tratta soprattutto di chiarire come siano state maneggiate le fonti in questi secoli, perché la comprensione di certi passaggi è essenziale per poterci servire oggi di questi documenti. La storiografia del Seicento ha infatti prodotto l’unificazione in un corpus dei dati storici oppure tradizionali, che vengono poi ripresi da tutti gli autori, ma contemporaneamente sono andate progressivamente dileguandosi dalle citazioni e dalle memorie le fonti originali.

Inoltre, François Menant, cui va attribuito il merito di una sistematica riflessione sulla produzione storiografica in Lombardia nei secoli XVII e XVIII53, avvisa che il Seicento si caratterizza per «una accresciuta facilità,

per alcuni autori assai letti, ma poco scrupolosi, di diffondere le loro invenzioni fra un pubblico vasto e poco critico»54. È il pubblico stesso di

questa produzione che permette, e al tempo stesso influenza con le sue esigenze, i caratteri e i motivi di questo tipo di storiografia: un pubblico aristocratico, che si serve di «manodopera» specializzata per la sua storiografia familiare55, ed è caratterizzato da un gusto preciso, che indugia

53 MENANT, Lombardia feudale, pp. 3-38. Sulla storiografia monastica in generale nei

secoli presi in esame, ma in particolare sul Settecento, si possono vedere inoltre PENCO, Storia del monachesimo in Italia nell’epoca moderna, in part. pp. 313-326; ID., La storiografia; GOLINELLI, Figure, motivi e momenti.

54 MENANT, Lombardia feudale, p. 7.

55 A Brescia, fra l’altro i Nazari (COZZANDO, Libreria, s.v.), i Maggi (PERONI,

Biblioteca, s.v.) ed i Federici (Cenni critici sull’origine della famiglia Federici,

BAMBg, ms. XIX sec.). Sulle condizioni di lavoro dei genealogisti, cf. GUERRINI, Un

anche nel piacere per il meraviglioso e per l’invenzione spesso gratuita, ed è connotato inoltre da una forte preoccupazione religiosa56.

Gli autori più apprezzati appartengono allo stesso modo all’aristocrazia e sono quasi tutti laici, spesso giuristi di formazione, che non vengono allontanati dalla vita pubblica dai loro lavori storici. Tra i bresciani più noti, Ottavio Rossi (1570-1630), nobile, che ha studiato a Padova, a Roma e ha poi vissuto a Brescia lasciando numerose opere sulla storia della sua città, specialmente per quanto riguarda i grandi uomini e l’antichità57.

b. Falsificazioni e interpolazioni Le interpolazioni dei Gambara

«La letteratura storica minore del XVII secolo, soprattutto a carattere locale o genealogico», avverte ancora il Menant, «è un terreno infido, disseminato di dati erronei, che vanno dal pressapoco alla invenzione sistematica»58. Nel

campo della manomissione intenzionale delle fonti, il fine più diffuso è certamente quello di dare lustro ad una genealogia familiare. In questo settore, ricordiamo le interpolazioni in favore della famiglia Gambara messe a punto nelle scritture di Leno59. Per riportarne l’esempio, alla famiglia

Gambara si pretenderebbe appartenere l’abate leonense Riccardo nel diploma enriciano del 1043 novembre 29: l’interpolazione è stata notata per primo da Luchi, e segnalata poi anche da Zaccaria60.

riferimento, sono stati magistralmente enucleati dal MENANT in Lombardia feudale, pp. 3-22, soprattutto pp. 9-11.

56 Ogni genealogia che si rispetti comprende infatti alcuni martiri, e la scoperta degli

ossari di Santa Afra rappresentò in questo senso un’opportunità per qualunque famiglia ne volesse approfittare; sui martiri di Santa Afra si veda più avanti.

57 Bibliografia in PERONI, Biblioteca, III, pp. 165-169; i suoi manoscritti sono alla

Biblioteca Queriniana.

58 MENANT, Lombardia feudale, p. 12; cf. la bibliografia relativa. I manuali di

diplomatica forniscono alcuni elementi d’approccio, ma trattano soprattutto delle imitazioni o delle interpolazioni di originali realizzate durante il Medioevo. Le liste più complete dei falsi moderni sono fornite da GIRY, Manuel, pp. 863-887; WATTENBACH, Deutschlands Geschichtsquellen, II, pp. 489-500; BRESSLAU,

Handbuch, pp. 14-15. Per il resto la bibliografia si compone di studi di casi.

59 Le leggende create per i Gambara sono riunite da LITTA, Famiglie, s.v.

60 Heinrici III. Diplomata, pp. 143-4, n. 114; cf. LUCHI, Monumenta monasterii

Leonensis, p. 30, n. 18; ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. 102-3, n. 17,

all’anno 1044, soprattutto p. 103 n. 1. Dopo la segnalazione del Luchi e poi dello Zaccaria, la notizia di questi falsi è riportata dal Menant, che purtroppo però non approfondisce un discorso che certamente avrebbe tratto giovamento dall’acutezza della sua analisi critica.

Ottavio Rossi

Non solo oscuri genealogisti e storici di famiglie sono gli specialisti della manomissione documentaria nel Seicento bresciano: persino lo stesso Ottavio Rossi infiora le sue opere di riferimenti a delle Memorie delle cose

bresciane scritte da Bernardino Ronchi, cancelliere della Valle Camonica.

Si tratta di un personaggio realmente vissuto poco tempo prima di Rossi, ma nessun altro all’infuori di quest’ultimo ha mai visto queste Memorie, che tra l’altro contengono un buon numero di fatti inverosimili61. Per fare un

esempio sempre legato al nostro monastero, parlando della figura dai contorni leggendari dell’abate-guerriero Odone, nelle Memorie si afferma che il suo corpo sarebbe stato trovato nel 1300, due secoli dopo la sua morte, incorrotto, nella chiesa di S. Stefano in Brescia, rivestito della corazza d’argento, con speroni d’oro e spada.

Si tratta, questo messo in atto dal Rossi, di un procedimento molto semplice per contrabbandare per veri fatti inventati, consistente nell’attribuire ad un autore anteriore – realmente esistito o inventato – i fatti personalmente messi in circolazione, senza che vi sia la possibilità di un riscontro testuale.

I martiri di Santa Afra

Il procedimento di falsificazione più complesso e difficile consiste invece nell’invenzione pura e semplice di un testo, che sia un «originale» falso oppure «copia» falsa; nel primo caso si trattava ovviamente di un’operazione assai rischiosa, ragion per cui era consigliabile far sparire rapidamente i pretesi originali, ma non dopo averne fatto redigere una copia autenticata da un notaio più o meno compiacente, o dopo averli brevemente mostrati in pubblico62. Il caso più ricco di conseguenze fu quello del

Martyrologium Brixianorum, testo scoperto nel 1572, che permetteva

l’identificazione dei supposti martiri di Santa Afra di Brescia: la scoperta infatti a Santa Afra, alla fine del XVI secolo, di una grande quantità di ossa poteva permettere l’attribuzione di molteplici santi a genealogie e storie di

61 Su B. Ronchi (m. 1588), vd. PERONI, Biblioteca, II, s.v. Menant ricorda che a Roma il

grande falsario Ceccarelli aveva spinto questo tipo di procedimento «fino alla mancanza di verosimiglianza, creando tutta una biblioteca immaginaria, nota a lui solo». A nulla ci varrebbe questo riferimento al Ceccarelli se non per riportare una curiosità: proprio a lui il Fumi, seppur con argomenti non del tutto conclusivi, aveva attribuito anche la paternità delle cosiddette Profezie di san Malachia, pubblicate per la prima volta nel 1595 dal nostro Wion; cf. FUMI, L’opera.

62 Questo è il caso di tutti i testi ‘ritrovati’ all’apertura delle tombe di santi, e in grado di

permettere l’identificazione di questi ultimi; si veda MENANT, Lombardia feudale, p. 11 e n. 21.

famiglie, e anche il martirologio bresciano di Bernardino Faino ne è colmo63.

Biemmi e la Cronaca di Rodolfo il Notaio

Se non è semplice confezionare un documento falso, è soprattutto con la redazione di intere cronache che si sfiora la grande arte; ricordiamo a questo punto, anche se appartiene al secolo successivo, lo storico bresciano Gian Maria Biemmi, che nel 1749 pubblicava la Cronaca di Rodolfo il Notaio, autore del IX secolo. La preparazione storica di Biemmi è perfetta, ed anche le critiche di certi eruditi contemporanei non impedirono che le informazioni fornite da questa cronaca fossero utilizzate per più di un secolo, procurandogli una ingiusta ma duratura celebrità64.

Biemmi ha inventato anche un’altra cronaca, del XII secolo, pubblicata nella sua Istoria di Ardiccio degli Aimoni e di Alghisio de

Gambara, che ha avuto un successo più modesto, ma più duraturo ancora di

quella di Rodolfo.

Queste falsificazioni pongono sotto una luce diversa alcune notizie che nella principale opera del Biemmi, l’Istoria di Brescia, sono contenute a proposito del monastero di Leno, per le quali non viene esplicitata la fonte e che non trovano altri riscontri né seguito, e i cui contorni sono sfumati nel campo del fantasioso e del leggendario, come il caso dei pretesi miracoli del corpo del terzo abate di Leno, Ritaldo65.

63 Sintesi sulla lunga polemica che circondò i martiri di Santa Afra in BRUNATI, Vita o

gesta, pp. 115-166. La confutazione fondamentale si trova in Acta Sanctorum, aprile, II,

«Propylaei Antiquarii», pars III, pp. XLII-XLIX.

64 Edizione della cronaca: BIEMMI, Istoria di Brescia, I, pp. 244-290. Confutazione:

WÜSTENFELD, Delle falsificazioni, pp. 81-86; questa critica attirò una replica di F. ODORICI (Della cronaca) e l’espressione dello scetticismo dei dirigenti della rubrica (ivi, p. 68). Bio-bibliografia di Biemmi in MAZZUCHELLI, Gli scrittori, t. 2, parte II, pp. 1210-1211. Sulla cosiddetta Historiola Rodolfi Notarii, si veda ancora BOGNETTI,

Brescia carolingia, p. 446.

c. Una questione di lungo corso: le reliquie di san Benedetto in terra bresciana

Tenendo presenti i caratteri di questa storiografia, si può riconsiderare ancora una volta una questione che ha avuto una vita molto lunga, ovvero quella della reliquia di san Benedetto66. Anche se questo tema sarà trattato

più diffusamente nel capitolo successivo, vale la pena di anticipare qui la questione per sommi capi, in quanto si inserisce assai bene nel clima di questo periodo storiografico ed esemplifica magistralmente i caratteri di questa produzione.

Sostanzialmente, accadde che all’antica attestazione della presenza a Leno di una reliquia di san Benedetto, concomitante alla fondazione stessa del monastero67, venne ad affiancarsi a partire dal Seicento nella storiografia

locale la notizia di un’altra reliquia benedettina, che sarebbe giunta in terra bresciana alcuni anni prima rispetto alla fondazione dell’abbazia leonense.

I dati più circostanziati sono forniti Bernardino Faino, lo stesso scrittore dei martiri di Santa Afra, e dal nostro Ottavio Rossi, che si citano reciprocamente e producono una gran quantità di testimonianze, tra cui le memorie di Bernardino Ronchi68 ed il «Memoriale» latino di Ardizzone

Calerio, che il Faino dichiara di aver trovato nel Martyrologium

Brixianum69.

Un gioco di specchi dai molteplici rimandi, una rete di citazioni che comunque ottiene come effetto la perdita, nella tradizione locale, dagli inizi del XVIII secolo, della memoria di ogni altra reliquia benedettina che non fosse quella della Cattedrale di Brescia. Tuttavia nel corso del Settecento ancora il Querini e il Luchi tornano ad esprimere i loro dubbi sulla questione, ed ancora nel carteggio ottocentesco tra il religioso ed archivista bresciano Antonio Lodrini e l’abate cassinese Giuseppe Quandel, pubblicato nel 1942 da Paolo Guerrini70, si parla della reliquia, a testimonianza del

lungo strascico di questa polemica.

66 Tutta la questione è stata sintetizzata in tempi recenti in FERRAGLIO, La reliquia. 67 Essa si trova nel Catalogi regum Langobardorum, p. 503.

68 ROSSI, Historie bresciane, p. 111-112.

69 FAINO, Martyrologium Brixianum, p. 68. Lo stesso passo è riportato anche da ROSSI,

Historie bresciane, BQBs, ms. C. I. 6, p. 112.