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I. Il periodo longobardo

1. Le origini

a. La fondazione

La tradizione fa risalire la fondazione di un monastero nel «locus qui dicitur Leones» all’anno 758, per iniziativa di re Desiderio, l’ultimo, sfortunato rappresentante della serie dei reges Langobardorum:

«Anno dominicae incarnationis 758, indictione 11., ceptum est monasterio domini Salvatoris locus qui dicitur Leones a prefato gloriosissimus Desiderius rex; sed et ecclesia ad honorem domini Salvatoris et beatae semper virginis Mariae et beati archangeli Michaelis aedificata est ab ipso praefatus rex, antequam regnum cepisset»1.

Così si legge in quel Catalogo dei re longobardi che già il Muratori ipotizzava essere stato scritto proprio da un monaco dello stesso monastero negli anni ottanta del secolo IX2.

Solo pochi anni prima lo stesso Desiderio con la moglie Ansa aveva dimostrato grande favore nei confronti del monastero femminile bresciano

1 Catalogi regum Langobardorum, p. 503. Sulla fondazione di Leno, cf. SANDMANN,

Herrscherverzeichnisse, pp. 101-118, 208-241.

di San Salvatore, poi Santa Giulia3. Nel medesimo, complesso progetto

doveva rientrare anche la decisione del re di erigere un cenobio maschile nella pianura bresciana, tra l’altro nei pressi di una località nella quale già sorgeva una chiesetta dedicata al Salvatore, alla Vergine Maria e all’arcangelo Michele – tutte titolazioni assai diffuse per le chiese e i monasteri longobardi – fatta edificare dallo stesso Desiderio poco tempo prima della sua salita al trono, che ebbe luogo tra la fine del 756 e l’inizio del 7574.

L’iniziativa della fondazione, probabilmente propiziata negli anni precedenti dal bresciano Petronace, abate di Montecassino, fu perfezionata in seguito col viaggio di re Desiderio nel sud Italia5. Visitando l’abbazia di

Montecassino, egli ottenne dall’abate un gruppo di monaci guidati da Ermoaldo, che divenne il primo abate del nuovo monastero. In connessione a questo trasferimento avvenne la traslazione a Leno delle reliquie, ovvero di una parte dei corpi di san Benedetto e dei santi martiri Vitale e Marziale, su cui avremo modo di tornare.

La fonte che ci trasmette tutte queste notizie, ovvero il breve testo del

Catalogus regum, attesta anche la dedicazione del nuovo cenobio al

Salvatore. A questa titolazione, per la verità piuttosto consueta, si affiancò però presto, sostituendola di fatto nell’uso, la tradizionale intitolazione a San Benedetto, attestata dai primi documenti pubblici giunti fino a noi, ovvero il privilegio di Ludovico II del 26 febbraio 861 o 862, Mantova, e la

privilegii pagina di papa Silvestro II del 19 aprile 999. Nei due documenti si

parla infatti, rispettivamente, del «monasterium, quod vocatur Leones, in honorem sancti Benedicti constructum in territorio Brixiano, quod per Desiderium regem Longobardorum constat fuisse fundatum»6, e del

«monasterium Domini et Salvatoris nostri et Sancti Patris Benedicti a piissimo Desiderio dive memorie rege constructum in loco qui dicitur Leones in territorio Brixiano»7.

3 Codice Diplomatico Longobardo, III/1, p. 189, n. 31. Sulla fondazione di S.

Salvatore/S. Giulia di Brescia, cf. BROGIOLO, Desiderio e Ansa, p. 143; GAVINELLI,

La liturgia, p. 126; PENCO, Storia del monachesimo in Italia dalle origini alla fine del Medio Evo, p. 118; SANDMANN, Herrscherverzeichnisse, pp. 209-210; WEMPLE, San Salvatore-Santa Giulia: A Case Study, pp. 85-86; SPINELLI, Ordini e congregazioni religiose, pp. 291-292.

4 Catalogi regum Langobardorum, p. 503. Sulla presa di potere di Desiderio, si veda più

avanti.

5 Cf. DELOGU, Il regno longobardo, pp. 180-181; JARNUT, Storia dei Longobardi, p.

119.

6 Ludovici II. Diplomata, pp. 137-9, n. 35.

7 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. 80-2, n. 8; Codex Diplomaticus

Dall’insieme di questi accenni risultano già tutti gli elementi che concorrono a disegnare la fisionomia di questa fondazione nei suoi momenti iniziali: re Desiderio, san Benedetto, il «loco qui dicitur Leones in territorio Brixiano». Bisogna però porre l’attenzione sul fatto che nella prima ricorrenza è il monastero stesso ad essere detto Leones, come se già piuttosto presto fosse venuta definendosi una sincresi onomastica tra il monastero e la località.

b. Il nome I leoni

Almeno dal IX secolo dunque la fondazione fu nota come il monasterium o la casa di San Benedetto de Leonis o ad Leones: la definizione di «casa Sancti Benedicti de Leonis» compare per la prima volta in una charta di San Zeno di Verona dell’anno 8068, e ancora nel già ricordato privilegio di

Ludovico II dell’861 o 862 si parla del «monasterium, quod vocatur Leones, in honorem sancti Benedicti constructum». Se il riferimento al santo è spiegabile in primo luogo con la presenza della preziosa reliquia – e avremo comunque modo di trattarne diffusamente – qualche breve accenno merita di essere speso per il secondo termine della denominazione, quei misteriosi

leones. Si tratta, è evidente, di una denominazione che riguarda non soltanto

il monastero, ma la località stessa, Lenum.

La lunetta posta sul portale della chiesa, risalente all’anno 1200 e voluta dall’abate Gonterio, recava scolpita una singolare iscrizione dal tono paraetimologico:

NEC NON LENENSIS TELLUS FERTUR LEONENSIS CUI NON LENONES NOMEN POSUERE LEONES FORMA LEONINA SIGNANS BIS MARMORA BINA DICIT OFFERRE LOCA VOCE NON AUTEM RE FELIX EST NOMEN FELIX EST NOMINIS OMEN QUOD NON LENONES POSUERUNT IMMO LEONES ANNO DOMINI MCC

FACTA TEMPORE GONTERII ABBATIS9

Fu dunque l’abate Gonterio a porsi il problema del nome della

monasterii tellus. Non si trattava di una questione posta per puro spirito

n. 1.

8 Cf. Codice Diplomatico Veronese, pp. 86-89, n. 71, a p. 88.

9 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. 35; PANAZZA, L’arte romanica, p.

d’etimologia, quanto piuttosto dell’urgenza di fare ragione dell’equivoco che gravava sul nome della località, offuscando pesantemente la fama del monastero stesso. Siamo infatti nell’epoca in cui la crescente tensione tra il monastero ed il vescovo bresciano circa la giurisdizione spirituale sulle chiese del contado aveva iniziato a far ricorso ad ogni mezzo di delegittimazione, colorandosi anche di parole ed espressioni non edificanti ai fini di una vera e propria propaganda. La posizione privilegiata in cui viene collocata un’iscrizione dal tenore indubbiamente profano appare del resto programmatica.

In una tale situazione storica di tensione e di tentativi di reciproca delegittimazione che andavano investendo diversi piani, l’abate intervenne quindi a correggere l’appellativo lenensis tellus in leonensis tellus, in modo che il riferimento fosse riconducibile a nient’altro che ai leones, piuttosto che ai lenones intorno ai quali malignavano invece le voci di parte avversa.

D’altra parte è proprio ai leones che fanno riferimento i documenti più significativi, che come abbiamo visto definiscono l’abbazia «monasterium Sancti Benedicti ad Leones». In più, Gonterio volle rendere il riferimento esplicito oltre ogni equivoco col ricorso all’evidenza delle immagini, facendo posizionare davanti alla chiesa due simulacri leonini in marmo rosso di Verona, tuttora visibili dinnanzi all’attuale chiesa abbaziale10.

La leggenda della fondazione

Se Gonterio all’inizio del XIII secolo poteva ritenersi soddisfatto dell’aver ricondotto l’etimologia di Lenum a leones – e, soprattutto, tanto più lontano possibile da lenones –, a noi resta ancora da compiere un ulteriore passo indietro, interrogandoci su quali potevano essere le giustificazioni per un

topos apparentemente riferito al simulacro di un felino. Verso

quest’immagine spinge d’altra parte anche il favoleggiare della tradizione popolare, che riteneva il monastero fondato da parte di re Desiderio nella località dove erano stati rinvenuti dei leoni marmorei.

Si sa che la figura dell’ultimo re dei Longobardi colpì la fantasia di molti scrittori: a questa fascinazione non sfuggirono neanche gli autori di cose bresciane dell’epoca umanistica e della prima età moderna, che trattarono nelle loro opere di questo ritrovamento e di altri fatti prodigiosi intorno all’origine del monastero. Vediamoli.

10 Questi leoni, studiati dal Panazza, vengono da lui accostati stilisticamente a quelli

stilofori di San Zeno di Verona (L’arte romanica, p. 781), a testimonianza della continuità con quel collegamento culturale con l’area veronese che aveva avuto i suoi momenti più intensi durante i secoli IX-X (cf. PAGNIN, La provenienza del codice, p. 41). Cf. anche PANAZZA, Per una ricognizione delle fonti artistiche dell’abbazia di

Il primo storico moderno dell’abbazia di Leno, il domenicano fra’ Cornelio, ci narra di come Desiderio, sorpreso dal sonno durante la pausa di una battuta di caccia, si fosse addormentato, e di come attorno al capo del re dormiente si fosse avvolto un serpente, senza recare però danno alcuno. Scampato il pericolo, Desiderio fece scavare nel luogo dove si era nascosto il serpente, e furono così ritrovati i leoni, che nella versione di Cornelio sono nel numero di tre, e in più «di non poca grandezza … e d’oro»11.

Una delle fonti utilizzate da Cornelio, lo storico bresciano Elia Capriolo, parla invece di leoni marmorei, ma Cornelio preferisce seguire la versione del racconto fornita dall’altra sua fonte, la Cronichetta attribuibile a Bernardino Vallabio, argomentando la sua scelta in maniera piuttosto pragmatica: «havendo il re Desiderio fatto un monastero della bellezza, che era quello prima che da Corrado imperatore distrutto fosse …, s’ha ragionevolmente da credere che il tutto fosse fatto … per sodisfar in parte al gran favore ricevuto dal Signor Dio, di trovar un tanto tesoro, quanto doveva essere in que’ tre leoni d’oro, et se fossero stati di marmore solamente, non era il re Desiderio tanto devoto … c’havesse voluto fare una tanta spesa, né usata tanta liberalità»12.

Ma la differenza principale tra Cornelio e Capriolo è un’altra, e cioè che il secondo, narrando del ritrovamento dei leoni marmorei che hanno

11 CORNELIO ADRO, Historia, pp. 302-303: «andando un giorno a caccia il detto re

Desiderio, a sorte venne a capitare in simil luogo, ch’all’hora era tutto selvaggio et boscareccio, et perché era nel mezzo giorno, forsi stanco et scalmanato, si mise a riposare nel sito ove al presente si trova la chiesa di S. Benedetto che all’hora per aventura, fra i molti boschi, doveva essere il più ombroso, ameno et atto al riposo. Qui, non avendo egli con seco altri che un camariero fedele che gli attendeva et aveva l’occhio all’attioni sue, s’addormentò, et un grosso serpe, uscendo dalla sua tana se gli avilupò atorno al collo, perilche spaventato, il cameriere stava in dubbio se doveva svegliare il re, temendo che col destarlo non irritasse quel serpe a offenderlo con qualche velenoso morso. Hor mentre il camariero se ne stava in questo pensiero et per il timore tutto impallidito, il serpe da sua posta si partì et vedendo egli si nascose in un pertugio della terra ivi vicino. Ne così presto fu nascoso, che anco il re si svegliò. Svegliato che fu, pose gli occhi nel suo camariere che gli faceva la guardia et vedendolo tutto pallido et di color insolito, subito gli dimmandò la cagione: et lui rispondendo, gli narrò d’onde tal pallidezza poteva nascere, et il re disse: “Apunto mentre ho dormito, mi è parso in sogno di vedere apunto un serpe di simil sorte che mi mostrava col suo nascondersi non so che di buono: perciò insegnami, se lo sai, dove si sia nascosto questo serpe”. Il camariere presto condusse il re dove haveva veduto che il serpe s’era nascosto et in quel pertugio fece cavare la terra sì profondamente che fu trovato un luogo, nel quale si videro tre leoni di non puoca grandezza: et fattone ’l saggio, fu scoperto essere tutti trei d’oro».

12 Ivi, p. 303. Simili argomentazioni sono portate pure dal Wion: Historia, p. 332.

Cornelio inoltre fa riferimento a non meglio precisate «scritture … che si trovano nella detta abbadia» (Historia, p. 302).

dato il nome alla località13, mantiene il fatto separato dalla tradizione del

serpente e del relativo sogno di Desiderio14.

La tradizione secondo la quale la fondazione del monastero sarebbe stata voluta da Desiderio in seguito al fatto del serpente si trova per la prima volta nella Cronaca attribuita ad Alberto Milioli, e in seguito se ne servì Giacomo Malvezzi nel XV secolo15. Ebbene, anche in Malvezzi viene

presentato precedentemente, e come un fatto a se stante, il ritrovamento dei leoni marmorei eponimi della località16.

Insomma, Cornelio nel suo racconto opera, di fatto, una sincresi tra due fatti prodigiosi che nel primo sedimentarsi di queste diverse tradizioni erano invece considerati separatamente. Ovvero, da un lato, il ritrovamento dei leoni che sono all’origine del nome della località di Leno, da collocarsi nel periodo in cui Desiderio non è ancora re, e avvenuto non si sa fino a che punto col concorso del futuro sovrano; e dall’altro il sogno premonitore collegabile al serpente che porta invece, solo dopo l’elezione di Desiderio a re, alla fondazione del monastero su quel luogo.

Di fatto, insomma, anche nelle tradizioni popolari la località ed il

13 CAVRIOLO, Dell’istorie della città di Brescia, p. 76: «<Desiderio> di propria borsa

edificò un Convento nella contrada di Leno, già detto Leoni dai Leoni di marmo ivi trovati».

14 Ibidem: «Morto Astolfo, Desiderio con certo presagio di serpe che mentre dormiva li

attorniava il capo, negli anni del umana Salute settecento cinquantanove fu eletto Re».

15 ALBERTI MILIOLI, Liber de temporibus, pp. 621-622. MALVECII, Chronicon, c.

847, cap. LXXXVIII: «Is <Desiderius> cum venatum in silvam iisset, quae apud Lenum consistebat, et ut assolet fieri hac illacque discurrentibus sociis, ipse cum uno fidelissimo suo remansisset, gravissime somno depressus, cervicem in prato reclinans, ubi florum flagrabat congeries, obdormivit; et mox de rivulo, qui prope erat, egrediens serpens caput eius praecinxit; qui post aliquantulum spatii a Desiderii fronte se evolvens, rivum transgressus ab adstantis intuitu sublatus est. Desiderius post hoc de somno expergefactus, mirificam se visionem vidisse narravit; retulit enim apparuisse sibi in somnis, quod fluvium quemdam apud stetisset, ubi intra nobilium Lombardorum turmas consedisset, qui coronam de vivo angue connexam suo capiti contulissent; quodque non multam post moram, dissolutis coronae nexibus eadem vipera a suo capite resilisset, atque torrentis illius vada minime reditura transmeasset. Is vero, sub cuius custodia dormierat, quod de eo viderat, sibi per ordinem retulit. Hoc sane eorum, quae ipsi Desiderio, et Lombardorum regno proxime ventura erant, praesagium exstitit». Ivi, col. 848, cap. XC: «Primo quoque regni sui anno loco, ubi praetactam visionem habuerat, coenobium Leonensem aedificavit … Illic enim in honore beatissimi Benedicti, beatorumque martyrum Vitalis, et Martialis Christo Domino Domicilium miro opere statuit; pariter et regalem domum ibidem condidit ad Orientalem sui plagam habentem parvulam Capellam in honorem Domini Salvatoris, ac eius Sanctissimae Genitricis atque Archangeli Michaelis dicatam». Non viene dunque trascurata dal Malvezzi neppure la preesistente chiesa presso la stessa località.

16 Ivi, c. 845, cap. LXXXVI: «Lenum quoque, quod Leones appellabatur, a leonibus

monastero vengono progressivamente ad assimilarsi, tanto nel nome quanto negli accadimenti leggendari collegabili alle loro origini, in un progressivo cumularsi di racconti che avviene nel passaggio da un autore all’altro, e di cui ci offre un breve compendio anche lo Zaccaria17.

Le fonti storiche

Mettendo da parte la tradizione popolare, vediamo che nelle fonti documentarie la più antica notizia che possediamo del termine che individua Leno è del 769: «actum in loco Leonis» è detto in una charta venditionis di quell’anno, rogata «ad ecclesiam Sancti Salvatoris»18. Questo atto, che

consiste nella vendita della corte di Alfiano presso l’Oglio da parte del goto Stavile alla badessa di San Salvatore di Brescia, Anselperga, oltre a testimoniare dello stretto legame tra le due fondazioni, ci attesta inoltre l’esistenza della piccola chiesetta fondata da Desiderio prima di divenire re e menzionata anche dall’anonimo cronista del Catalogus regum

Langobardorum.

Si può presupporre che la vendita sia stata stipulata a Leno in quanto la chiesetta di San Salvatore, poco distante dal nuovo monastero della pianura, si trovava in località più vicina ai luoghi da valutare, e pertanto più agibile per la convocazione degli extimatores chiamati a valutare i beni in oggetto. D’altra parte, il fatto che il documento giuliano non menzioni il monastero mette in guardia su un ulteriore punto, e cioè che nel 769, come ipotizza il Baronio, la piccola chiesetta non fosse ancora sottoposta alla giurisdizione abbaziale e mantenesse invece una sua autonomia, nella condizione, peraltro, di chiesa privata regia19.

Al di là di queste informazioni, neanche questo documento dà però ragione del toponimo Lenum e del suo apparente collegamento con l’effigie del leone. Anche quando l’anonimo, e per la verità decisamente sgrammaticato, cronista del codice patavino afferma che «coeptum est monasterio Domini Salvatori locus qui dicitur Leones», il termine Leones appare da ricollegare all’uso che se ne fa nei documenti più importanti del monastero, uso che era già divenuto tradizione.

Si tratterebbe però di un’etimologia a posteriori. D’altra parte il temine stesso leones offriva un appiglio intuitivo per il sorgere di leggende

17 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. 1-3.

18 769 maggio 15, Leno: Codice diplomatico longobardo, II, pp. 277-281, n. 228. Cf.

ODORICI, Codice diplomatico bresciano, p. 66 n. 1. L’autenticità del documento, di cui l’Odorici aveva dubitato, è stata invece accertata successivamente dal Tamassia e dallo Schupfer (TAMASSIA, Una professione di legge gotica, p. 404; SCHUPFER,

Recensione, pp. 104-109).

popolate da grossi felini, ed offre ancora oggi un facile riferimento per via delle statue che sorreggono le colonne della chiesa di Leno. Ma si tratta di argomenti che, per quanto accattivanti, sono distanti da quanto si può storicamente documentare. Allo stato attuale delle conoscenze le conclusioni più convincenti sono invece fornite dall’indagine topologica, e l’ipotesi più condivisibile a proposito dell’origine del nome, e del cui avviso è anche il Baronio, è quella del Serra, che ricollega il termine Leno a un etnotoponimo celto-ligure Leunes20.