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I. Il disperso archivio del monastero

3. Il panorama attuale delle fonti

a. I fondi milanesi

Come abbiamo visto, i documenti del monastero di Leno non costituiscono un fondo organico e facilmente ricostruibile, ma un complesso di documenti che ha conosciuto vicende complesse. Le pergamene che si trovano nella cartella 94 (fascicolo 48) dell’Archivio di Stato di Milano rappresentano un fondo creato artificiosamente per raccogliere le carte dell’abbazia, ma non esauriscono la totalità dei documenti leonensi in archivio. Attualmente la cartella 94 conserva una trentina di pergamene del secolo XII, un’ulteriore trentina del secolo XIII, ancora trenta circa del secolo XIV, sei del XV, due del XVI e una del XVIII secolo. Un’ulteriore pergamena del 1070 è conservata nel Museo Diplomatico.

Tutte le pergamene raccolte nella cartella 94 recano la segnatura Astezati, e dunque furono anch’esse conservate a Santa Giulia, unitamente alle carte del cenobio femminile. Tuttavia nelle cartelle dell’Archivio Diplomatico relative al monastero di Santa Giulia (cartelle 83-91) abbiamo ancora singole pergamene dei secoli XII-XV che possono essere ricollegate per il contenuto non con il monastero femminile urbano, ma con il monastero maschile della pianura. La cartella 94 rappresenta quindi solo un punto di partenza, ma la maggior parte del lavoro di identificazione delle fonti archivistiche di Leno non ha potuto prescindere da una ricognizione del fondo giuliano.

Le carte di Leno si trovano frammischiate a quelle di Santa Giulia

37 Progetto “Dominato Leonense”: <http://www1.popolis.it/abbazia/areas.asp>. 38 BARBIERI, L’archivio del monastero, p. 260.

senza alcun apparente criterio di distinzione: in una situazione come questa, la catalogazione dell’Astezati rimane ancora la traccia sicura da seguire per impostare tutto il lavoro di ricerca e di ricomposizione ideale, grazie alle segnature apposte nel verso delle pergamene, che costituiscono oltretutto un validissimo supporto a integrazione delle lacune dell’Indice. Purtroppo lo scorporo non si presenta affatto semplice: probabilmente lo stesso Astezati ai primi del Settecento non ebbe ben chiaro il fatto che nell’archivio di Santa Giulia una parte delle pergamene non apparteneva originariamente al monastero ma vi era semplicemente stata depositata. Sulla base della ricognizione effettuata su questi documenti e sulla lettura e studio degli stessi, si può affermare con una certa sicurezza che, mentre in tutti gli altri scaffali, ovvero per quelli contrassegnati da una lettera diversa da “E”, si trova unicamente documentazione riconducibile con sicurezza a Santa Giulia o a San Daniele di Brescia, i documenti provenienti dallo scaffale “E”, che rappresentano numericamente la parte preponderante delle carte contenute nelle cartelle esaminate, sono in buona parte, ma non unicamente, attribuibili al monastero di Leno. Qualora il monastero sia esplicitamente menzionato nel dettato del documento, nella maggior parte dei casi come parte contraente, non si pone alcun dubbio circa l’attribuzione; ma troviamo anche, oltre a poche carte attribuibili ad altre grandi istituzioni religiose del Bresciano (Ss. Faustino e Giovita di Brescia, S. Pietro in Monte di Serle), un gran numero di documenti, pressapoco i tre quarti delle carte, che non è apparentemente legata a nessuna istituzione, e le attribuzioni non paiono in questo caso effettuabili se non dopo un’attenta lettura unita allo studio della toponomastica dei luoghi. Per le attribuzioni di documenti all’abbazia leonense si è dunque tenuto conto o della diretta menzione del monastero, come parte contraente o nel dettato del documento, oppure della presenza di personaggi che in altri documenti interagiscono con l’istituzione ecclesiastica, e anche la toponomastica ha rappresentato un elemento imprescindibile.

Pare dunque che lo scaffale “E” dell’archivio di Santa Giulia fosse tutto occupato dalla documentazione variamente confluita all’archivio del monastero, che fossero carte di Leno o munimina ricollegabili invece a Santa Giulia, poiché all’Astezati non dovette essere stato ben chiaro come catalogare quelle carte in cui il monastero femminile non compariva come parte contraente. Anzi, non fu probabilmente evidente che parte dei documenti non appartenevano originariamente all’archivio di Santa Giulia anche per il fatto che nella Bassa bresciana molti suoi possedimenti erano speculari a quelli di Leno.

Diversi documenti leonensi alla metà del Settecento non si trovavano però nell’archivio di Santa Giulia, bensì, come abbiamo visto, nella raccolta personale dell’abate Luchi, instancabile collezionista di documenti.

Nell’archivio milanese, materiali della Raccolta Luchi sono stati individuati in due cartelle, la 96 e la 103, del fondo denominato “Pergamene varie della città e provincia di Brescia” (bb. 96-103)39. Queste cartelle conservano le

pergamene di numerosi enti ecclesiastici di Brescia e provincia, appartenute in parte o forse tutte alla collezione erudita del Luchi. Tra gli enti produttori di questa documentazione, si ricordano, oltre ovviamente a Leno, anche Sant’Alessandro, San Faustino, le domus Umiliate di San Luca, Santa Maria Maddalena di Gambara e di Santa Maria di Palazzolo, il monastero di Santa Maria di Manerbio, e numerosi atti privati riconducibili a famiglie della città e della provincia di Brescia. La collezione di Luchi era rimasta a San Faustino dopo la morte dell’erudito, ma in seguito alla soppressione del monastero aveva seguito le sorti della documentazione dell’ente, ed era stata quindi divisa tra la biblioteca Queriniana di Brescia e gli Archivi di Stato di Brescia e di Milano, dove aveva subito diversi riordinamenti. Anche se, come si diceva, materiali dell’erudito sono stati individuati nelle buste 96 e 103, è molto probabile che tutta la serie delle pergamene varie della provincia di Brescia sia da ricondurre alla raccolta Luchi.

b. I fondi bresciani

L’Archivio di Stato di Brescia custodisce diversi documenti di Leno in tre fondi: nell’archivio Gambara, in quello Calini-Gambara e nel Codice Diplomatico Bresciano.

Il Fondo Gambara, che custodisce l’archivio dell’illustre famiglia bresciana40, si trovava precedentemente presso la Biblioteca Queriniana, fu

poi depositato nel 1895 nell’archivio storico civico e si trova dal 1994 in Archivio di Stato insieme ai fondi storici del comune41. I documenti relativi

a Leno si trovano nel Fondo Antico dell’archivio Gambara, ramo “di Verolanuova” o “dei nobili veneti” della famiglia, e vi dovettero essere ricoverati molto probabilmente ad opera di un membro della famiglia42.

39 Cf. MENANT, Campagnes lombardes, p. 810. 40 Cf. le nn. 20 e 21.

41 Il Fondo Antico dell’archivio fu ordinato da Clemente Zilioli tra il 1729 ed il 1735,

mentre la parte moderna è stata sottoposta a molteplici interventi di riordino nei quali sono stati applicati diversi sistemi di inventariazione. Il Fondo Antico è composto da diverse buste di Annali della famiglia e di Esteri (dal 945 al 1700); da trentasei filze (dal 1431 al 1740), tre filze estere (1013-1725) e quindici mazzi di documenti. La parte moderna si compone di tre serie: Amministrazione, Giustizia, Varie. Cf. VECCHIO,

L’archivio del monastero, p. 46.

42 I Gambara erano stati feudatari di Leno e da esso avevano ricevuto le terre che

costituivano il nucleo dei loro possedimenti, dapprima in feudo, e poi anche rilevandole. I Gambara erano stati nei lunghi secoli di vita del monastero assai vicini alla sua

Nella busta 205, indicata in passato come “Primo Estere”, ossia la prima delle tre buste comprendenti materiale estraneo a quello di famiglia, si conserva un fascicolo cartaceo nel quale sono trascritte cinque copie semplici di concessioni imperiali ed una copia semplice di un privilegio papale. Si tratta dei privilegi di Ludovico II dell’861-862 (con data 867), di Berengario II e Adalberto del 958, di Ottone II del 981 (mancante della parte centrale), di papa Silvestro II del 999, di Ottone III del 1001, e di Enrico III del 104343. Oltre questo fascicolo, nello stesso mazzo, si

conservano il diploma di Enrico II del 1014 e quello di Corrado II del 1026, con le relative copie settecentesche44.

L’archivio Calini-Gambara riguarda il cosiddetto ramo “Gambara” della famiglia, iniziato nel 1533 con Giovanbattista, figlio di Gian Galeazzo e fratello di Guerriero, a sua volta capostipite del ramo “dei Cappuccini”45.

Nel 1807, in seguito alle nozze dell’ultima dei Gambara, Teresa, con Antonio Calini, l’archivio fu ereditato dalla famiglia Calini. A questo fondo si accompagna l’Indice redatto nel 1787 dal bibliotecario della Queriniana, Vincenzo Bighelli, a corredo della sua opera di riordinamento delle pergamene secondo un criterio topografico46. Nella filza VII, relativa al

patrimonio di famiglia a Gambara e Fiesse, tra gli atti più antichi, vi è un testimoniale del processo di Leno del 9 febbraio 119547.

Un altro fondo dell’archivio comunale oggi depositato presso l’Archivio di Stato di Brescia, che conserva altri tre documenti provenienti dall’archivio di Leno, è il cosiddetto Codice Diplomatico Bresciano48. Si

tratta della raccolta, creata nell’Ottocento da Federico Odorici, dei più antichi documenti dei monasteri bresciani soppressi pervenuti alla Biblioteca Queriniana. Il Codice queriniano fu poi accorpato ad un altro codice costituito dalla collezione documentaria personale dell’erudito. Nel Codice queriniano si conservano l’originale di un diploma di Corrado II del 1036, una copia semplice di un privilegio di Enrico III del 1043, una copia

amministrazione (basti pensare all’abate Lanfranco Gambara), ed anzi avevano cercato attraverso alcune falsificazioni documentarie di far credere ad un antico patronato della famiglia sull’abbazia. Cf. MENANT, Lombardia feudale, pp. 13 e 15 n. 32. Le leggende create per i Gambara sono riunite da LITTA, Famiglie celebri d’Italia, s.v. Gambara.

43 ASBs, fondo Gambara, b. 205, cc. 2v, 5r, 10v, 1r, 9v e 7v.

44 Ivi: 1014 maggio 12, Pavia (sia in originale sia in copia semplice); 1026 marzo 15,

Peschiera (copia semplice).

45 Notizie sul fondo in VECCHIO, L’archivio del monastero, p. 47. 46 BQBs, ms. H.III.11k, Raccolta Bighelli. Indice Gambara. 47 ASBs, Archivio Calini Gambara, b. 42, doc. 5.

48 Sul Codice Diplomatico Bresciano, si vedano le notizie di VECCHIO, Documenti dei

autentica di un diploma di Federico I del 1177 ed altre otto pergamene riportanti le “scritture non autenticate” delle testimonianze processuali del secolo XII. Nel codice personale di Odorici si conserva un altro testimoniale processuale, in originale49.

c. I fondi emiliani

Diversamente da quei documenti leonensi che andarono dispersi, furono asportati o confluirono verso altre sedi conservative, le carte emiliane del monastero, a onor del vero, non conobbero mai una vera diaspora dal momento che mai furono parte dell’archivio di Leno. Esse infatti con ogni probabilità furono sempre conservate nelle chiese dipendenti, per poi confluire altrove nel corso dei secoli, dopo l’allentarsi dei legami con l’abbazia bresciana50.

I fondi emiliani fanno riferimento a diverse istituzioni. I documenti riguardanti la dipendenza di San Biagio del Voglio, nell’Appennino a sud di Bologna, sono ora conservati nell’Archivio di Stato di Bologna51. Essi vi

giunsero per il tramite, da una parte, dell’archivio del monastero bolognese di Santo Stefano, e dall’altra di quello della famiglia Ranuzzi Bianchi, e si trovano pertanto nei fondi rispettivamente pertinenti52.

La documentazione riguardante l’area del modenese seguì invece un percorso più tortuoso. I beni sottoposti al priorato di Panzano furono alienati molto presto, all’inizio del Duecento, per far fronte ad una situazione di pesante indebitamento. Una parte di essi passò così al monastero di San Pietro di Modena insieme alla relativa documentazione53, e vi rimase fino

alla soppressione dell’ente in età napoleonica. Delle operazioni di ordinamento effettuate nel corso del Settecento nell’archivio del monastero modenese, ci rimane, oltre alle segnature apposte nel verso delle pergamene, anche l’anonimo Indice delle pergamene e scritture tutte che si conservano

nell’Archivio del monastero di San Pietro di Modena diviso in tomi due e compilato nell’anno MDCCLXXII54.

49 ASBs, AStC, Codice Diplomatico Bresciano, b. 5 nn. LXIV e LXVIII; b. 7 nn.

CXXXIII-CXL e CXXXIV-CXXXVIII; b. 8.1 n. 5.

50 Su questi fondi si veda BARBIERI, Le carte emiliane del monastero di Leno (I);

BARBIERI, SUCCURRO, Le carte emiliane del monastero di Leno (II).

51 La segnalazione della presenza di queste pergamene è di ZAGNONI, Il monastero

benedettino di San Biagio del Voglio.

52 ASBo, Demaniale, S. Stefano, b. 12/948; ASBo, Fondo Ranuzzi-Bianchi,

Giuspatronato, n. 131.

53 BARBIERI, Le carte emiliane del monastero di Leno, pp. 376-378.

54 ASMo, Soppressioni napoleoniche, n. 2706 (ex n. 2170) e n. 2707 (ex n. 2171). I due

Dopo la soppressione del monastero, questo gruppo di documenti fu trasferito da Modena a Milano, ma dopo il 1860, con l’unione dell’ex ducato estense al regno d’Italia, esse tornarono a Modena. Tale migrazione lungo due opposte direttive provocò, come si può facilmente intuire, una dispersione di pergamene. Ed infatti, con il ritorno nella città d’origine di gran parte dell’archivio, si persero le tracce di molti documenti leonensi, «scomparsi tra le decine di migliaia di membrane dell’Archivio Diplomatico di Milano: ma proprio per questo, è da credere che la scomparsa non sarà definitiva, ma che potrà essere sanata con un fortunato ritrovamento delle pergamene finite, con ogni probabilità, fuori posto»55. Anche se non si può

escludere per il futuro un fortunato ritrovamento, per ora di esse ci rimane solo il settecentesco Indice delle pergamene, ritornato anch’esso nell’Archivio di Stato di Modena dopo il 1860. Purtroppo l’Indice non è particolarmente accurato, la data è ridotta soltanto all’anno ed autori e destinatari dei negozi giuridici sono indicati in modo vago56.

Di questo gruppo, riuscì a salvarsi solo una pergamena che era rimasta a Milano: la più antica del monastero di San Benedetto, datata al 1175 agosto 5, Leno, e riguardante Sant’Igilio della Muzza. Essa fu inserita, in maniera del tutto arbitraria, nella cartella 94 dedicata al monastero bresciano. Si tratta tuttavia di una pergamena non pertinente al fondo propriamente leonense, che già ai primi del Settecento era conservato a Santa Giulia. E difatti essa reca nel verso una segnatura totalmente estranea rispetto alle segnature di Astezati presenti su tutte le altre pergamene della cartella57. Peraltro il Luchi, nel dare alle stampe la sua trascrizione di questa

pergamena, aveva affermato che tale documento era ricavato dall’archivio di San Pietro di Modena, ed esso risulta oltretutto registrato nell’Indice delle

pergamene del fondo «Soppressioni napoleoniche», alla p. 24558.

Un ultimo piccolo gruppo di quattro pergamene (una del secolo decimo, una dell’undecimo e due del duodecimo) è costituito da quelle conservate dell’Archivio capitolare di Modena, riguardanti le dipendenze

materiale originario dell’archivio di Leno. Non si tratta comunque dell’unico indice di documenti compilato nell’Archivio del monastero modenese, ma dell’unico, allo stato attuale delle ricerche, in cui compaiono appunto registrazioni di documenti provenienti da San Benedetto di Leno.

55 BARBIERI, Le carte emiliane del monastero di Leno, p. 363.

56 Si tratta di un documento del secolo XII, di tre del XIII e di uno senza data (ma

probabilmente dello stesso secolo), oltre che di successivi documenti del secolo XIV: ASMo, Soppressioni napoleoniche, n. 2706 (già n. 2170), Indice delle pergamene, tomo I, pp. 245-247; cf. BARBIERI, Le carte emiliane del monastero di Leno, pp. 380-382.

57 Segnatura «M. 2. Q».

58 Il documento è citato nell’Indice delle pergamene con il solo anno, senza indicazione

del priorato di Panzano59. Essere furono date alle stampe, in due volumi, da

Emilio Paolo Vicini negli anni ’30 del Novecento, nella prestigiosa collana dei Regesta Chartarum Italiae dell’Istituto Storico Italiano60. Pur tenendo

conto della sicura rilevanza scientifica di questa edizione, della quale anche la collocazione editoriale si pone a garanzia, in tempi recenti Barbieri ne ha proposto la riedizione. Questo in considerazione del fatto che il progetto di trascrizione dell’intero corpus documentario leonense non può prescindere da una ripresa puntuale di queste carte, da riproporre con criteri scientifici più adatti a soddisfare le esigenze attuali61.

Due parole a parte merita il secondo dei documenti proposto in questa edizione, la famosa permuta con Adalberto Atto della curtis di Gonzaga del 22 aprile 967 aprile 22, già più volte data alle stampe. Esso si trova attualmente nell’Archivio di Stato di Milano62, ma gli archivisti milanesi lo

hanno assegnato ad un’omonima istituzione monastica, il San Benedetto polironiano in luogo di quello leonense.

d. Emersioni dal mercato antiquario

Un ultimo importante settore da considerare per ricostruire le travagliate vicissitudini delle pergamene leonensi è quello rappresentato dal mercato antiquario. Habent sua fata libelli, scriveva Terenziano Mauro63. Seppure

proveniente da un contesto diverso, l’espressione esprime bene quel margine di imprevedibilità che caratterizza le vicende delle scritture umane più mobili, come libri e documenti, che prendono spesso vie e percorsi assai difficili da seguire. I mille rivoli in cui si disperse l’archivio di Leno a partire dai secoli del Medioevo ne rappresenta appunto un esempio quanto mai calzante. Oltre alle sottrazioni erudite, alle vendite, ai depositi archivistici seguiti alle soppressioni, ai riordinamenti arbitrari ed agli intrecci con gli archivi di famiglie o di altre istituzioni, va considerato anche il mercato antiquario, che rappresenta un capitolo importante per lo studio dei percorsi dei documenti. Le carte che in diversi momenti furono acquisite da questo mondo sommerso rappresentano l’emersione, spesso imponderabile e soggetta ai capricci della casualità, di scritture sconosciute

59 ACapMo, A, 13, XV; C, 26, CCXII; F, 21, CCCLXIIII; F, 26, CCCLXXXX.

60 VICINI, Regesto della chiesa cattedrale di Modena. I numeri di edizione sono 511 per

il primo volume di Vicini, fino all’anno 1159, e 419 per il secondo, dall’anno 1160 al 1200.

61 BARBIERI - SUCCURRO, Le carte emiliane del monastero di Leno (II), p. 296. 62 ASMi, Museo Diplomatico sec. X, 99 (236). Edizione: BARBIERI, SUCCURRO, Le

carte emiliane del monastero di Leno (II), pp. 300-303, n. 2.

o che per lungo tempo furono ritenute perdute.

È questo il caso del registro di cui si servì lo Zaccaria per le sue trascrizioni, chiamandolo “libro VV”. Questo registro contiene le copie imitative del XV e XVI secolo di bolle pontificie e diplomi imperiali, i cui originali andarono perduti probabilmente già in epoca risalente. Così scrive nel 1912 padre Ambrogio Amelli, abate della Badia fiorentina, che per primo diede notizia della ‘riscoperta‘ di questo registro: «Dopo essere stato utilizzato dallo Zaccaria pare sia sfuggito alle ulteriori indagini fatte anche recentemente dai dotti editori dei Monumenta Germaniae Historica e dallo stesso Kehr e da Schiaparelli, i quali lo ritennero perduto»64.

Di tale codice si erano dunque perse le tracce dopo lo Zaccaria, tanto da farlo ritenere perduto per sempre. Esso però fu acquistato nel 1905 dalla Biblioteca Nazionale di Firenze, presso la quale, nel Catalogo delle Opere manoscritte di nuovo acquisto, si trova al n. 14, col titolo: Raccolta dei

Privilegi dell’Abbazia di Leno (Brescia) del sec. XV. Il Codice è cartaceo di

formato in 4° grande, consta di 59 fogli scritti e contiene 29 documenti65.

Ancora più segnate dall’arbitrarietà del caso sono le vicende delle pergamene leonensi confluite in una parte dell’archivio del ramo bresciano della famiglia Secco d’Aragona66. Non risulta chiaro se esse furono cedute

dal monastero in occasione della vendita di beni o se, come è più probabile, fossero custodite presso il conte Girolamo Martinengo, abate commendatario del monastero dal 1583 al 1591, passando poi ai Secco d’Aragona in seguito al matrimonio di Paola Martinengo Cesaresco, figlia di Lodovico, col marchese Giovan Battista Secco d’Aragona (1733).

Diverse pergamene appartenenti alla famiglia Secco d’Aragona furono in seguito acquisite dal Comune di Milano per l’Archivio Storico Civico. L’acquisizione avvenne in due fasi: nel dicembre del 1933 un primo gruppo di 64 pergamene fu acquistato dalla famiglia Prevosti. Infatti nel 1884, alla morte senza discendenti del marchese Carlo, l’amministratore Achille Prevosti ne era stato nominato erede. Nel 1334 poi l’Archivio venne in

64 AMELLI Ambrogio, Un codice della Badia di Leno, pp. 241-242. 65 Si veda ivi la descrizione del codice.

66 Per maggiori notizie sulla famiglia si veda http://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-

bin/pagina.pl?TipoPag=prodfamiglia&Chiave=28697. La maggior parte della documentazione dei Secco d’Aragona, relativa al ramo milanese, è custodita nell’Archivio di Stato di Bergamo (ASBg): si veda ALMINI (a cura di), Il Fondo Secco

d’Aragona. Altre fonti sono in ASMi, Famiglie, cart. 173; ASMi, Atti di governo,

Finanza reddituari, cart. 740; ASMi, Atti di governo, Finanza apprensioni, cart 486 fasc. 3; ASMi, Atti di governo, Finanza confische cartt. 2696-2707; ASMi, Atti di governo, Feudi camerali p.a., cart. 131, in particolare i fascc. 1, 1/c, 1/e, 4, 4/g, 4/l, 4/m, 4/n, 4/o, 4/r, 4/s; un elenco dei privilegi dei Secco d’Aragona si trova in ASMi, Atti di governo, Araldica p.a., cart. 119, fasc. 3 “Secco d’Aragona”.

possesso di un altro gruppetto di 7 pergamene per mezzo di una libreria