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I. La storiografia erudita

2. Le fonti cinquecentesche su Leno

a. Cornelio Adro

I giudizi della storiografia settecentesca: Zaccaria e Luchi

Tra gli storici che si sono occupati dell’abbazia leonense passati in rassegna nella sua Prefazione, lo Zaccaria cita «Fra Cornelio domenicano adriese», non menzionato dai «Bibliotecari dell’Ordine», e della cui operetta,

Historia dell’abbadia di Leno, pronuncia un giudizio non molto benevolo,

definendola «uno zibaldone di notizie … senza niuna critica»21, unendosi in

questo alla voce del Luchi che vi aveva trovato molte discrepanze, corruttele ed omissioni, concludendo che se l’opera era rimasta inedita, questo fatto aveva comportato «nullo aut levissimo reipublicae literariae detrimento»22.

Se appare molto severo il Luchi, che non perde occasione per mettere in dubbio l’affidabilità di Cornelio ironizzando su alcuni passi23, lo Zaccaria,

pur non essendo troppo indulgente, parlando del Libro VV da lui utilizzato per compilare la sua opera, afferma che se il Luchi lo avesse avuto presente non «avrebbe in dubbio messi alcuni racconti di Frate Cornelio, i quali dalle carte qui registrate son confermati», dimostrando così di riconoscergli,

21 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. IX, XII. 22 LUCHI, Monumenta monasterii Leonensis, p. XXII. 23 Ivi, p. 37.

almeno in parte, una certa affidabilità24.

Notizie biografiche

Citato dallo Zaccaria come Cornelio Adriese e generalmente definito Cornelio Adro, viene attualmente accettata la sua identificazione con Cornelio Cozzando: identificazione operata da Andrea Valentini25, ma già

presente nel 1778, quando Baldassarre Zamboni, l’ordinatore della biblioteca Martinengo, lo cita come «Fra Cornelio Cozzando da Adro Domenicano»26.

Sul Cozzando, da non confondersi con il più famoso, sempre in ambito bresciano, Leonardo Cozzando, lo scrittore della Libraria Bresciana, si possono raccogliere solo poche notizie, sostanzialmente ricavabili dalla lettera dedicatoria al vescovo Giovanni Francesco Morosini che lo stesso Cornelio pone all’inizio della sua operetta, e riportata anche dallo Zaccaria e dal Luchi27. In essa spiega che, trovandosi ad essere Vicario dell’abate

commendatario Girolamo Martinengo, ne era stato appunto incaricato di scrivere un «breve sommario», ma essendo il Martinengo prematuramente scomparso, Cornelio aveva dedicato la sua «fattica» al di lui successore28.

L’opera

Occasione e finalità dell’opera L’operetta di Cornelio, della quale sono presenti ben tre copie manoscritte con titoli diversi nella sola Biblioteca Queriniana di Brescia29, è databile al 1591, anno in cui Giovanni

Francesco Morosini, vescovo di Brescia tra il 1585 e il 1596, è eletto abate

24 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. XIV.

25 VALENTINI, Scrittori bresciani, vol. XVIII, cc. 890-894; poche righe gli dedica anche

Vincenzo PERONI nella sua Biblioteca bresciana, I, p. 298. Cf. SIGNORI, Due fonti

moderne, p. 289 e n. 6 p. 337.

26 ZAMBONI, La libreria, pp. 88 e 91. Su Baldassarre Zamboni (1724-1797), cf.

BIGLIONE DI VIARIGI, La cultura, pp. 269-270.

27 Cf. ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. 53 sg. La stessa narrazione è

fornita anche dall’ancora utile testo di ARMELLINI, Bibliotheca, I, p. 71.

28 CORNELIO ADRO, Historia, p. 301.

29 Si tratta della Badia di Leno (ms. E.VII.5), dell’Historia dell’abbadia di Leno del padre

Cornelio Adro dominicano (ms. C.I.10) e del Sommario dell’origine, privileggi e successo dell’abbadia di Leno (ms. G.IV.2). Per la datazione e la descrizione dei tre

manoscritti si rimanda a SIGNORI, Due fonti moderne, in part. pp. 289-291 e nn. 7-11; il medesimo articolo fornisce una trascrizione dell’opera alle pp. 301-332. Le citazioni da Cornelio sono fatte dal ms. C.I.10, sulla scorta della Signori, che considera quest’ultimo esemplare «non solo presumibilmente il più vicino all’originale … ma sembra anche appartenere ad un ramo della tradizione diverso dagli altri due» (p. 290).

commendatario di Leno alla morte del suo predecessore Girolamo Martinengo, rimanendo in questa carica fino al 1595. La stessa data del 1591 è del resto riportata in calce alla lettera dedicatoria al Morosini nel ms. C.I.1030, ma è probabile che il lavoro di applicazione alle antiche memorie

dell’abbazia, che Cornelio stesso ci confessa essere stato lungo e difficoltoso, sia cominciato almeno qualche anno prima, forse proprio in quel 1583 che ci viene tramandato dallo Zaccaria e dall’Armellini31, anno in

cui Cornelio era vicario a Leno per il conte Girolamo Martinengo.

Il contesto in cui matura la scrittura dell’operetta è subito chiarito dallo stesso Cornelio nella lettera dedicatoria, dove ricorda di essere stato incaricato di scrivere un «breve sommario» dal Martinengo per la necessità dell’abate commendatario di «sapere come stavano le cose» dell’abbazia per poter fare «quanto si conveniva in quella», e questo non solo «per sodisfatione della propria conscienza», ma anche – e noi potremmo dire soprattutto, visto la generale tendenza con cui venivano trattate le commende – «per poterne cavare giustamente il dovuto utile»32. Una finalità

dunque eminentemente pratica, il cui contenuto sostanziale viene esplicitato poco più avanti, quando si esprime la necessità di «ricuperare et diffendere i beni d’essa abbadia anzi di Santa Chiesa, i quali da molto tempo in qua da diverse sorti d’arpie sono stati distrutti … considerando le molte ricchezze ch’haveva … et confrontandole col poco ch’ora possiede»33.

Carattere dell’opera e notizie contenute Cornelio non dice mai di voler scrivere una “storia” del monastero, né ha velleità da storico: non per niente l’opera viene da lui stesso più frequentemente definita «sommario» piuttosto che «storia» dell’abbazia. L’intento che Cornelio si prefigge all’inizio di questo suo «sommario» è infatti, come abbiamo già visto, quello di recuperare la memoria dei documenti che possano essere utili alla salvaguardia dei diritti dell’abbazia, ed a questo scopo è prettamente funzionale il modo di procedere della narrazione, che consiste, dopo la presentazione della leggenda della fondazione, in un excursus che prende in esame i documenti fondativi dei diritti e del patrimonio dell’abbazia, di cui viene fornito un breve regesto. Non ci si sofferma tanto sugli accadimenti

30 La data del 1521 riportata dai mss. E.VII.5 e G.IV.2 è da considerarsi un errore di

copiatura, come del resto avverte anche lo ZACCARIA (Dell’antichissima badia di

Leno, p. IX). Ricordiamo inoltre che, sebbene la narrazione dei fatti copra un arco

cronologico più ampio del 1591, arrivando al 1636 in E.VII.5 e in G.IV.2 e al 1663 in C.I.10, non può che trattarsi di aggiunte posteriori.

31 ARMELLINI, Bibliotheca, I, p. 71. 32 CORNELIO ADRO, Historia, p. 301. 33 Ivi, p. 302.

storici, ed anche l’elencazione dei primi abati è funzionale a questo scopo: sono infatti citati solo quelli concomitanti a qualche importante privilegio.

Non infrequenti sono le osservazioni moraleggianti, come nel caso della descrizione di una vertenza tra l’abbazia e il comune di Leno, i cui abitanti sono definiti «ingratissimi» poiché non erano riconoscenti per i terreni ricevuti dai monaci34.

Uno dei giudizi più interessanti viene espresso quando Cornelio cerca di trovare una spiegazione al decadimento dell’abbazia, che appare evidente dal confronto col passato35. Per spiegare questa decadenza, in primo luogo

egli accusa la scelta di dipendere direttamente dal Papa e di non entrare a far parte della Congregazione benedettina36, ed in seconda istanza evoca il

mancato rispetto dei diritti riconosciuti all’abbazia, la negligenza nel conservare le «raggioni» – ovvero i documenti che provavano tali diritti – e l’aver distribuito i terreni che non potevano coltivare direttamente, senza altra pretesa che «d’essere riconosciuti per signori», lasciando cioè che vi si edificasse liberamente37.

Le fonti letterarie Le due fonti da cui Cornelio attinge principalmente sono citate subito dopo la dedicazione, quando, parlando diffusamente della fondazione del monastero, Cornelio si impegna a dirimere le divergenze tra esse per ricomporre un racconto della fondazione i cui contorni appaiono decisamente sfumati nel campo della leggenda38. Si tratta della nota

Chronica di Elia Capriolo e di una non meglio identificata Cronichetta,

«pure di Brescia», che Cornelio definisce «molto volgata», senza fornirne ulteriori particolari. È probabile che tale fonte si possa identificare con la

Cronichetta breve e dilettevole nella qual si narra il principio di questa città di Brescia, operetta anonima al tempo di Cornelio ed ora attribuita al

bresciano Bernardino Vallabio, la cui sigla B. V. ricorre nel frontespizio dell’edizione cinquecentesca39, e che presenta la medesima, circostanziata

34 CORNELIO ADRO, Historia, p. 315.

35 Ivi, pp. 305 e 313. Non solo il patrimonio, Cornelio (pp. 311-312) attesta che anche gli

stessi edifici abbaziali alla fine del XVI secolo versavano in condizioni precarie: cf. PANAZZA, Reliquie.

36 CORNELIO ADRO, Historia, p. 305: «Le guerre poi succedute … hanno cagionato

aver la rovina di quest’abbadia … la quale secondo ’l suo istituto, mai si è unita alla Congregatione de monaci benedettini, ma s’è voluta conservare sotto ’l solo dominio de Sommi Pontefici et de regi d’Italia. Il che se avessero fatto, forsi si saria conservata nel proprio decoro».

37 CORNELIO ADRO, Historia, p. 314. 38 Ivi, pp. 303-304.

39 Cronichetta breve e dilettevole, c. [11]v. Per l’identificazione si veda: Short-title

narrazione dei fatti.

Rapporto con le fonti documentarie L’esposizione ordinata dei diritti e del patrimonio abbaziale attraverso la rassegna dei suoi documenti più importanti rappresenta il corpo centrale del «sommario». La serie dei documenti presentati è abbastanza cospicua ed inizia con una prima parte dedicata soprattutto ai privilegi imperiali e papali, che va da Ludovico II (datato da Cornelio all’868) a Federico I (1177)40, seguita da una seconda

dedicata soprattutto alle investiture degli abati, alle vertenze sostenute dal monastero con diversi comuni e persone ed infine ad atti di varia natura stipulati nel corso del tempo dagli abati (compravendite, compromessi, locazioni).

È possibile che Cornelio, in qualità di vicario dell’abate commendatario, abbia preso visione direttamente di questi documenti, ed in effetti egli accenna alla lettura che di essi fece, lamentandone la difficoltà41.

Esaminando però gli indizi disseminati nel corso della trattazione per cercare di ricostruire quali fossero state le carte effettivamente esaminate, si vede che Cornelio si basò, più che su carte sciolte – «carte pecorine» o «scritture»42 –, i rimandi alle quali sono in effetti generici, soprattutto sui

registri di imbreviature e volumi, cui i riferimenti sono più precisi e circostanziati43.

Si fa riferimento in particolare ad un «libro de registri», forse un registro di imbreviature dei privilegi e dei documenti inerenti le cause sostenute dall’abbazia44, a sette volumi di investiture dell’abate Pietro Pagati

segnati «sesto, quinto, quarto, ottavo, nono, decimo, undecimo»45, e ad «un

libro bislongo» scritto nel 1486 «di mano propria» dall’abate Francesco Vettori46. Infine ricorda le copie che furono fatte trarre dei documenti

nel corso del XVI e XVII secolo; segno che dovette avere grande diffusione.

40 Cornelio nomina anche, come esistiti ma ormai perduti, i privilegi di Carlo Magno,

Ludovico e Lotario, della cui esistenza il Luchi, anche con toni polemici nei confronti dello stesso Cornelio, si dichiara dubbioso: LUCHI, Monumenta monasterii Leonensis, pp. 26 e 30.

41 CORNELIO ADRO, Historia, p. 301: «difficili a leggersi, sì per l’antichitade, sì anco

per li caratteri difficilissimi da puoter conoscere et per le loro oscurezze quasi non intelligibili».

42 Ivi, p. 313.

43 Così osserva SIGNORI, Due fonti moderne, p. 297.

44 I riferimenti a questo «libro de registri» ricorrono alle cc. 368r, 370r-v, 375r, 376v,

377r, 378r-v, 379r, 380r-v, 381r; a c. 365r Cornelio riferisce del privilegio di Ludovico il Germanico trascritto nel «libro grande al foglio 3°» che sembra possa trattarsi comunque del medesimo «libro de registri».

45 CORNELIO ADRO, Historia, p. 321.

dell’abbazia sotto due abati commendatari omonimi, i due Girolamo Martinengo, rispettivamente alla metà e alla fine del XVI secolo47. Non è

invece menzionato il Libro VV utilizzato dallo Zaccaria.

Considerazioni Ricollocando questo «Sommario» nella sua giusta dimensione, appaiono da sfumare le considerazioni negative che ne diedero gli storici del Settecento; se la narrazione certamente indugia talvolta nel fascino della leggenda, ha almeno il merito di una certa precisione nell’indicare il riscontro documentario. D’altra parte l’opera dovette avere una certa diffusione, come dimostra il buon numero di copie conservate nella sola Biblioteca Queriniana: aveva infatti, questo trattatello, un merito non trascurabile, quello di essere una delle poche fonti storiche per Leno prima del Settecento.

b. Arnold Wion Notizie biografiche

Nel ms. C.I.10, di seguito alla copia dell’operetta di Cornelio, troviamo il frammento di un’altra cronaca dell’abbazia sotto il titolo di Historia del

regio monasterio et chiesa di S. Benedetto dell’Abbatia di Leno nel territorio bresciano, cavata dalli manoscritti del Padre Arnoldo Vuione monaco cassinese48; una nota posta in calce a queste poche pagine avverte:

«Qui resta imperfetta la sodetta historia senza proseguire più avanti, composta dal sopradetto padre Arnoldo Vuione fiamengo, cronista diligentissimo della religione benedittina, il quale in doi tomi stampò l’historia intitolata Lignum vitae della medesima religione»49, dove Arnoldo

Vuione è da identificarsi con Arnold Wion, nato nel 1554 a Douai, cittadina del nord della Francia, allora territorio delle Fiandre. Monaco benedettino nell’abbazia di Altenburg, venne poi in Italia dove entrò a far parte del ramo

dell’archivio abbaziale che erano andati persi a causa delle guerre.

47 Il Girolamo Martinengo predecessore del Girolamo di cui Cornelio era vicario aveva

fatto registrare privilegi e investiture in un «libro ben scritto» prima del 1567, anno della sua rinunzia al titolo di commendatario, mentre il Girolamo Martinengo di cui era vicario «volle con diligenza vedere e far vedere tutte le scritture di essa [abbazia], facendole registrare nel meglior modo che fu possibile acciò si conservassero» Cf. CORNELIO ADRO, Historia, pp. 330-331.

48 Ms. C.I.10, cc. 390r-392v; per la descrizione del manoscritto si rimanda a SIGNORI,

Due fonti moderne, p. 290 e n. 7 p. 337. La trascrizione dell’opera è fornita alle pp. 332-

336.

cassinese50; è autore del Lignum vitae, opera in cui esponeva la profezia di

Malachia sui papi futuri e che ebbe a quel tempo larga diffusione.

Non vi sono notizie precise e circostanziate riguardo il legame tra Arnold Wion e l’abbazia di Leno, e quindi rimane oscura la motivazione per cui questo monaco fiammingo avesse iniziato una storia del monastero: l’unica traccia rimane l’affermazione dello stesso Wion di avere letto direttamente i documenti «per debito dell’officio mio», lasciando così forse intendere di avere ricoperto una qualche carica all’interno dell’abbazia51.

L’unica evidenza certa è la singolare corrispondenza tra il testo di Cornelio e quello, per quanto ci rimane, del Wion, e il fatto che i due testi siano stati copiati uno di seguito all’altro.

L’opera: fonti e narrazione

Le poche pagine che ci restano sembrano riprodurre lo schema e la scansione narrativa della Historia di Cornelio: ciò appare evidente fin dalla narrazione delle vicende riguardanti la leggenda della fondazione, per la quale vengono citate le stesse fonti di Cornelio, ovvero il Capriolo e la

Cronichetta, i contrasti tra le quali vengono risolti con argomentazioni

molto simili a quelle di Cornelio52. Segue una rassegna piuttosto veloce e

sommaria degli abati, corredata dalla citazione dei privilegi concessi loro dai vari re ed imperatori. La narrazione s’interrompe all’anno 1001.

I documenti del monastero

Abbiamo già ricordato l’affermazione del Wion di aver letto direttamente i documenti; ancora, parlando dei privilegi, fa più volte riferimento alle «scritture dell’abbadia» e afferma di averne presa diretta visione «con diligenza particolare».

È assai probabile, anzi certo, che le scritture abbaziali da lui esaminate consistessero in fascicoli di copie e registri di imbreviature, esattamente come ne dà notizia Cornelio: a quest’altezza cronologica, ormai, buona parte dei documenti sciolti doveva essere già dispersa e molti atti pubblici erano noti attraverso copie. Pertanto, le varie affermazioni sulla consultazione diretta di carte e pergamene da parte della storiografia della prima età moderna non devono ingannare circa la reale consistenza della documentazione di San Benedetto: le affermazioni fin troppo ottimistiche sulla documentazione monastica potrebbero nascondere una realtà opposta, ossia quella della sostanziale povertà del tabularium monastico.

50 FOPPENS, Bibliotheca belgica, p. 106.

51 WION, Historia, p. 333: «io, che con diligenza particolare ho voluto leggere le scritture

che hora si trovano nell’abbadia per debito dell’officio mio».