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II. Le fonti librarie

2. Le fonti librarie per la storia di Leno

Oltre ai codici della perduta biblioteca di Leno, ci restano diverse altre fonti librarie per la storia del monastero la cui produzione fu legata ad esso. In questo paragrafo non ci soffermeremo su quei testi che, trattando tra le altre cose anche delle vicende del monastero, risultano pure utilissimi per la nostra ricostruzione storica, quali per esempio la Cronaca cassinese, o varie cronache e testi annalistici tra i quali spiccano gli Annali di Nieder Altaich ed ovviamente gli Annali Bresciani84. Ad essi si farà riferimento di volta in

volta nel corso della trattazione. Quello che vale la pena di ricordare ora sono due tipologie di fonti la cui produzione appare, direttamente o indirettamente, legata al monastero ed ai monaci leonensi stessi, ovvero una cronaca del IX secolo e le liste dei monaci, anch’esse dello stesso secolo.

Una menzione a parte merita un sacramentario del secolo XI, di provenienza bresciana, da un ambiente benedettino, che riporta un interessante riferimento alla festa di san Benedetto. Il manoscritto faceva

Biblioteca Civica Queriniana. La presenza, fra i codici più preziosi della Biblioteca

Queriniana, del celebre Liber concordantiarum di Eusebio di Cesarea, ms. F.II.1, databile al secolo XI e prodotto nello scriptorium della Reichenau, abbazia con cui la comunità monastica di Leno ebbe fortissimi legami, fornisce suggestioni affascinati, ma del tutto da verificare. Cf. FERRAGLIO, Una biblioteca perduta, p. 153 n. 17.

83 Cf. VECCHIO, L’archivio nell’Archivio, p. 76.

84 Annales Altahenses maiores; Annales Brixienses; Chronica monasterii Casinensis;

Epitome chronicorum Casinensium. Si vedano inoltre BONIZONIS EPISCOPI

SUTRINI Liber ad amicum. Non va dimenticato neppure il quattrocentesco MALVECII

parte della collezione di Domenico Domenichi, vescovo di Torcello e di Brescia, legato apostolico sotto Pio II e poi vicario di Roma nel 146585, e si

trova oggi nella Biblioteca Universitaria di Bologna86, dopo essere passato

dal monastero bolognese dei canonici agostiniani di San Salvatore, dove era stato studiato, verso la fine del Settecento, da un celebre erudito, il padre Giovanni Crisostomo Trombelli, allora rettore della canonica87.

La parte più interessante di questo codice è senza dubbio il Calendario, che costituisce il più antico documento completo del genere sulla Chiesa bresciana, anteriore di due secoli a quello pubblicato dal Migne88. Il Calendario attirò l’attenzione di diversi eruditi e storici bresciani

già dal secolo XVIII89, ed in seguito l’evidente fisionomia ‘benedettina‘

della liturgia indusse dom Morin a ricollegare il codice proprio al monastero di Leno90. Tuttavia oggi gli studiosi appaiono concordi nell’indicare

l’abbazia di Sant’Eufemia quale luogo d’origine del manoscritto91. Il Codice

in ogni caso attesta di una liturgia che si era ben radicata in ambiente bresciano, e contiene indizi suggestivi per quanto riguarda la festività di san Benedetto e la liturgia leonense che avremo modo di esaminare più avanti.

85 Sulla figura del Domenichi e sulla sua biblioteca, cf. VILLA, Brixiensia. 86 Ivi, p. 264. Il manoscritto reca la segnatura BO 98 ms. 2547.

87 Una lettera allegata al manoscritto dimostra che il padre Trombelli conobbe e studiò il

Sacramentario nel suo convento di Bologna, dove gli era stato inviato forse dal Doneda, conservatore dell’Archivio Capitolare e primo bibliotecario della Queriniana: ZANA, Il

sacramentario benedettino-bresciano del secolo XI, p. 152 n. 39; VILLA, Due antiche biblioteche bresciane, pp. 72-73. Sul monastero bolognese di San Salvatore e

sull’attività del padre Trombelli, si veda VILLA, Brixiensia, p. 262 n. 1; VENTURA FOLLI, I codici posseduti da Giovanni Grisostomo Trombelli.

88 PL 138, cc. 1265-1280 (Ms. 2246 della Biblioteca dell’Università di Bologna).

89 ZACCARIA, Excursus litterarii per Italiam, I, pp. 351-358; GRADENIGO, Brixia

Sacra, pp. XVII, XVIII, n. 8, XIX, 47, 445; ZAMBONI, Dissertazione sopra di un antico rituale, pp. 89, 90, 93, 94, 109; BRUNATI, Vita o gesta di Santi Bresciani, I, pp.

10-13.

90 MORIN, La translation de S. Benoit et la chronique de Leno.

91 Cf. EBNER, Quellen und Forschungen, p. 15; D.A.C.L., II, cc. 977-978; FRATI, Indice

dei codici latini conservati nella R. Biblioteca Universitaria di Bologna, p. 493;

BOURQUE, Etude sur les Sacramentaires Romains, p. 49; ZANA, Il sacramentario

a. La Cronaca dei re longoardi

Il Chronicon regum Langobardorum del secolo IX rappresenta una fonte importantissima circa le origini del monastero di Leno, tanto che il suo anonimo autore è stato tradizionalmente ritenuto un monaco della stessa abbazia. Questa Cronaca fu edita per la prima volta nel 1741 da Ludovico Antonio Muratori92, il quale lo datò all’anno 883. Il Muratori lo ritenne

opera di un monaco di Leno93, sulla base del fatto che nel testo, altrimenti

stringato, ci si sofferma con particolare attenzione a descrivere le origini del monastero di Leno.

Il Chronicon interessò da subito, specialmente per la parte riguardante Leno, gli storici bresciani Luchi, Zaccaria, Bravo ed Odorici94, ed anche i

benedettini per quanto riguarda la traslazione a Fleury delle reliquie del santo fondatore dell'ordine. Tuttavia va notato che Muratori non ebbe modo di visionare l’originale del documento, che gli era stato fornito in trascrizione da un corrispondente pavese, Giovanni Brunacci, il quale a sua volta l’aveva rinvenuto in un codice patavino. Per un secolo e mezzo tuttavia nessuno studioso era più riuscito a rintracciare il codice, e pertanto tutti si erano appoggiati all’autorità del Muratori attribuendolo all’anonimo monaco leonense. Così avevano fatto anche gli editori dei Monumenta

Germaniae Historica, prima il Pertz con il Bethmann, e poi il Waitz95, che

lo ripubblicarono traendolo dalle Antiquitates ed apportando solo qualche variazione che ritenevano più compatibile con il manoscritto smarrito.

Fu Giovanni Mercati, nel 1895, a ritrovare il testo nel codice 27 della Biblioteca Antoniana di Padova, pubblicandolo parzialmente. Tale edizione rimase sconosciuta a dom Morin, che in maniera indipendente lo ripubblicò nel 1902, affermando di averlo scoperto egli stesso a Padova. Entrambi aderirono all’opinione del Muratori, cioè dell’origine leonense del manoscritto96. Da ultimo, il testo della Cronaca dei re longobardi è stato

pubblicato da Mechthild Sandmann, che lo intitola Fundatio monasterii

Leonensis97. La storica ha basato la sua trascrizione sul manoscritto, ed in

92 Breve chronicon ab anno Christi DLXVIII usque ad annum DCCCLXXXIII.

93 Ivi, p. 942: «scriptum [...] a quodam monacho monasterii Brixiani ad Leones olim

celebratissimi».

94 LUCHI, Monumenta monasterii Leonensis, pp. I, 6, 36; ZACCARIA, Dell’antichissima

badia di Leno, pp. 4, 7; BRAVO, Festeggiandosi in Leno la traslazione, p. 6 n. 3;

ODORICI, Codice Diplomatico Bresciano, p. 2; ID., Storie Bresciane, IV, pp. 11-12.

95 Chronicon Brixiense, ed. G. H. Pertz; BETHMANN, Die Geschichtsschreiburg der

Langobarden, p. 401; Catalogi regum Langobardorum, ed. G. Waitz.

96 MERCATI, Il catalogo leonense dei re longobardi e franchi; MORIN, La translation

de S. Bénoit et la cronique de Leno. Cf. anche LECLERCQ, Fleury sur Loire, XII, Le témoignage de la cronique de Leno, in D.A.C.L., V, c. 1730.

questo modo ha potuto sciogliere alcuni dubbi e proporre la correzione di alcuni elementi rispetto al testo proposto dai Monumenta. Come si vedrà nei capitoli successivi, si tratta di questioni solo apparentemente minori, e che ritengo assolutamente convincenti alla luce di un contesto storico specifico ancora da valorizzare98.

Il codice Antoniano che riporta il testo della Cronaca, segnato Scaff. 1-27, è costituito di carte 134 ed è una miscellanea scritta in vari momenti da più persone, probabilmente sette, di uno stesso ambiente, in quanto la scrittura, pur essendo di più mani, appare come il prodotto di uno stesso scrittorio. È stato un attento esame paleografico del codice, unitamente a delle considerazioni sul contenuto, che ha consentito al Pagnin di sciogliere in maniera convincente i numerosi interrogativi che gravavano sul testo fin dall’edizione del Muratori99. Sulla base di stringenti argomenti paleografici,

il Pagnin ha infatti dimostrato che i caratteri del codice, la pergamena, la composizione dei quaderni, l’inchiostro, la rilegatura a secco di ogni foglio e la numerazione sono propri dei codici veronesi del secolo IX100.

Va peraltro notato che lo stesso codice contiene anche un calendario dei dodici mesi, alle cc. 103r-108v, che Morin aveva attribuito anch’esso ad un monaco di Leno101, ma che, attraverso una considerazione dei santi in

esso riportati, Pagnin ha ricondotto con certezza all’ambiente veronese102.

Inoltre, i caratteri estrinseci ed in particolare le evidenti sgrammaticature del testo lo riconducono, sempre secondo l'analisi del Pagnin, ad un ambiente scolastico. Esso dovette essere scritto sotto il ricordo di una lezione in cui furono riferiti gli avvenimenti longobardi desunti da un testo come l’Origo gentis Langobardorum, oppure lo scriptor stesso può aver tratto gli elementi cronologici direttamente dall’Origo o da un altro testo da questo derivato. In effetti, si riscontrano frasi identiche o quasi nell’Origo, non solo nella trascrizione del codice Gotano, con le aggiunte cioè fino a Carlo Magno, ma anche in quella dei codici più antichi di Madrid e Modena103.

Dunque il codice fu scritto nella sua prima parte a Verona, verso la fine del secolo IX, e rappresenta l’esercizio di scuola di una persona legata comunque al monastero di Leno. Infatti, il racconto della fondazione del

WATTENBACH, LEVISON, Deutschlands Geschichtsquellen, pp. 405-406, con ampia bibliografia alla p. 405 n. 8.

98 Cf. più avanti, alle pp. 189-190.

99 PAGNIN, La provenienza del Codice, pp. 29-41; cf. PINI, Un calendario dei riposi

festivi del secolo IX.

100 PAGNIN, La provenienza del Codice, p. 33.

101 MORIN, La translation de S. Bénoit et la cronique de Leno, p. 349. 102 PAGNIN, La provenienza del Codice, pp. 35-36.

monastero e del trasferimento delle reliquie di san Benedetto inserito in questa esercitazione scolastica è comprensibile solo se si pensa al racconto di una persona proveniente da questo monastero. Non va dimenticato infatti che Verona era un centro culturale di primaria importanza verso il quale affluivano laici e religiosi dalle città vicine104. Questa conclusione non toglie

nulla all’importanza del monastero come centro culturale, ma anzi la arricchisce, se si prendono in considerazione questi legami e scambi così stretti con un centro scrittorio tanto importante.

b. Le liste dei monaci leonensi

Un’ultima tipologia di testi che risulta molto importante per la ricostruzione della storia dell’abbazia è rappresenta dalle liste dei monaci. Occorre qui anticipare che il monastero di Leno fu inserito nella rete di fratellanze che faceva capo all’abbazia di Reichenau, sul Lago di Costanza. Si tratta di un movimento spirituale, culturale e politico al tempo stesso che, come vedremo, aveva la sua ragione profonda nella necessità di mettere in relazione le diverse parti dell’Impero, formando un ceto intellettuale coeso ed integrato, da inserire non solo nella vita culturale ma anche nell’amministrazione. I cosiddetti libri memoriales, libri vitae, libri

confraternitatum, o, per usare un’espressione tedesca, Gedenkbücher, cioè

libri commemorativi, sono appunto le liste di monaci scambiate tra i centri affratellati. Queste liste non sono semplici necrologi od obituari contenenti nomi di defunti, ma registrano, insieme ai nomi dei morti, anche quelli dei viventi, oltre che quelli di coloro che in qualche modo avevano beneficiato il monastero. Le due comunità, scambiandosi le rispettive liste di monaci vivi e defunti, venivano così a intrattenere una reciproca relazione di preghiera.

I libri memoriali rappresentano, come si può intuire, una fonte eccezionale per lo studio dell’Alto Medioevo, che ha cominciato ad essere valorizzata nell’ultimo trentennio grazie alla Scuola storica tedesca, a partire dagli studi di Karl Schmid. Dopo anni di ricerche e lavori preparatori, le nuove edizioni dei più importanti libri vitae altomedievali sono state pubblicate all’interno della nuova serie dei Libri memoriales et necrologia

104 Cf. MEERSSEMAN, Il codice XC della Capitolare di Verona; MARCHI, Per una

storia delle istituzioni scolastiche, pp. 8-10. Il monastero di Leno inoltre possedeva

diversi beni in territorio veronese. I rapporti di San Benedetto di Leno con il territorio veronese dovettero essere molto risalenti, come attestato anche dal possesso da parte del monastero di una serie di dipendenze nel veronese già a partire dalle donazioni desideriane: cf. BARONIO, Il ‘dominatus’ dell’abbazia.

dei Monumenta Germaniae Historica105.

I caratteri e le potenzialità di ricerca offerti da queste specialissime fonti saranno esaminate in dettaglio nel paragrafo dedicato. Per ora basti ricordare che il liber vitae di Reichenau ed il codice memoriale-liturgico di Santa Giulia ci tramandano le uniche, preziosissime liste di monaci leonensi di cui possiamo disporre. Si tratta di una fonte speculare, che ci conserva le liste di Leno attraverso i libri delle comunità affratellate, mentre Leno non ci ha lasciato nulla, e non possiamo sapere quali altri legami di preghiera avesse stretto. In ogni caso è logico presupporre che tali scambi non furono a senso unico, ma che anche da Reichenau e Santa Giulia fossero state inviate altrettante liste verso Leno. Tra l’altro il codice giuliano è l’unico che si sia conservato in Italia, anche se tale vuoto è da legare forse a differenti esiti nella prassi della gestione di tali memorie, piuttosto che ad una vera e propria carenza nella produzione.

Le tre liste di monaci di Leno registrate nel liber vitae di Reichenau attestano contatti frequenti, che possono essere accertati per un periodo superiore ai cinquant’anni. La prima si può collocare agli anni Settanta dell’VIII secolo, la seconda fu probabilmente ricevuta a Reichenau verso l’810, e la terza risale a poco prima dell’anno 830106. A intervalli più o meno

brevi vennero in seguito inserite nel liber vitae di Reichenau altre corte liste corte di nomi provenienti da Leno107: queste registrazioni limitate a pochi

nominativi fanno intuire quanto fossero intense le relazioni, che rimasero vive per decenni.

Invece il Codice memoriale e liturgico del San Salvatore di Brescia registra al fol. 8r il nome dell’abate Badolfo, all’interno di un elenco dei grandi del Regno aperto dal nome dell’imperatore Ludovico II108. Inoltre,

alle carte 28r-29r fu inserita, poco dopo la compilazione del nucleo originario del codice, una lista di 159 nomi desunti da elenchi preesistenti, e

105 MGH, Libri memoriales et necrologia. Nova Series. Sono già stati pubblicati i libri di

Reichenau, di Merseburg, Magdeburg e Lüneburg, di Sankt Emmeram di Ratisbona, di San Salvatore/Santa Giulia di Brescia, del Capitolo del Duomo di Minden, dell’abbazia di Michelsberg a Bamberga, del Capitolo del Duomo di Costanza e di San Massimino di Treviri, mentre è in preparazione quello di San Gallo.

106 Das Verbrüderungsbuch der Abtei Reichenau, pp. 18-19 e 111; Libri confraternitatum

Sancti Galli, Augiensis, Fabariensis, pp. 175-177, coll. 68-73; p. 288, coll. 446-448. Cf.

SANDMANN, Herrscherverzeichnisse, pp. 362-416. Per la datazione degli elenchi di Leno si veda ivi, pp. 366 ss., 377 e 381; LUDWIG, Transalpine Beziehungen, pp. 128 sgg. e 142-143.

107 Das Verbrüderungsbuch der Abtei Reichenau, pp. 19, 123 e 74; Libri confraternitatum

Sancti Galli, Augiensis, Fabariensis, p. 177 col. 74, p. 308 coll. 507 e 509, e p. 242 col.

297.

108 Der Memorial- und Liturgiecodex von San Salvatore/Santa Giulia in Brescia, p. 148

qui figura, accanto ad altri importanti personaggi, Rataldus abbas109, seguito

dai nomi di altri tredici monaci di Leno.

Oltre all’intensità delle relazioni internazionali e degli scambi culturali, e la preminenza politica dei personaggi posti a capo del cenobio leonense, un altro dato importante che emerge dalla lettura di queste liste è lo straordinario sviluppo della comunità monastica, i cui membri passarono da dodici, compreso l’abate, al tempo della fondazione, fino al centinaio nel giro di due decenni, mantenendo questo numero stabile per almeno sessanta o settant’anni, e probabilmente pure più a lungo: si tratta di un numero davvero considerevole, se si tiene conto delle dimensioni di altre fondazioni coeve.

109 Der Memorial- und Liturgiecodex von San Salvatore/Santa Giulia in Brescia, p. 167

Capitolo 2

Il monastero di Leno

nella storiografia e nell’erudizione storica