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Il monastero nel disegno politico di re Desiderio

I. Il periodo longobardo

2. Il monastero nel disegno politico di re Desiderio

a. La località della fondazione

La fondazione del monastero nel luogo di Leno, in una località compresa in quella porzione di territorio delimitata dai fiumi Oglio, Mella e Chiese, e non in altra parte dello spazio tra i fiumi, può essere spiegata con una serie di ragioni. Anzitutto, ricordiamo che la località prescelta, al centro della pianura bresciana, era un’area di antico insediamento longobardo, come lasciano intendere le testimonianze funerarie trovate in loco21. Esse

risalgono alla fine del VI secolo, vale a dire ai primi tempi della migrazione in Italia della gens Langobardorum: del resto, si sa anche da Paolo Diacono22 che Brescia fu tra i primi centri italici a conoscere l’occupazione

longobarda, ed il suo territorio rappresentò tradizionalmente una delle aree più precocemente e densamente abitate dai nuovi venuti.

Inoltre, la presenza, a poche centinaia di metri a sud-est del sito dell’abbazia, della chiesa di San Giovanni Battista, la stessa chiesa che nei

20 SERRA, Per la storia dei nomi, pp. 540-541. Il Serra, proponendo una correzione

all’Olivieri (il quale aderirà alla sua interpretazione: OLIVIERI, Aggiunte, p. 254), afferma che «poiché l’esito suo volgare, Leno, porta l’accento non sulla o, ma sulla e, [...] la grafia antica Leonis [...] deve essere letta Léonis e intesa come la trascrizione tradizionale di un locativo plurale, per rimandare ad una fase anteriore *Leunis, foggiata su di un nome etnico, pari a quello dei Leuni». L’etnotoponimo Leunes individuerebbe quindi una popolazione autoctona, costretta ad emigrare oltre il Po al sopraggiungere dei Galli Salluvii, secondo la ricostruzione proposta dal SERENI (Comunità rurali, p. 324, n. 35; cf. p. 192 n. 41). Cf. BARONIO, ‘Monasterium et populus’, pp. 174-175 e n. 13.

21 Cf. BREDA, Leno: monastero e territorio; DE MARCHI, BREDA, Il territorio

bresciano.

22 PAOLO DIACONO (Historia Langobardorum, II, 32, p. 90), cita la presenza di un

duca longobardo a Brescia, di nome Alichis, già all’indomani della morte del re Clefi, nel 574.

documenti del X e XI secolo compare prima come ecclesia baptismalis e poi come plebs già dipendente dal monastero, e ravvisabile ancora oggi nel toponimo Campo San Giovanni, può aver rappresentato un polo di attrazione per un insediamento, come proverebbe il ritrovamento di resti di edifici lignei e di attività artigianali23. A queste strutture si affianca e

parzialmente si sovrappone poi un gruppo di oltre 90 sepolture, databile almeno alla prima metà del VII secolo, nel quale è da ravvisare il cimitero della chiesa. A questo edificio sacro, che dovette rappresentare dunque il principale luogo di culto del circondario, è inoltre riferibile un’epigrafe databile al V o VI secolo, che lo Zaccaria vide murata nelle case dell’abbazia e trascrisse integralmente24. La menzione in questa iscrizione di

un suddiacono ha fatto supporre che a Leno, già in età prelongobarda, vi fosse un clero locale gerarchicamente organizzato.

Infine, nel XV secolo il Malvezzi, ricordando nel suo Chronicon

Brixianum che Desiderio deteneva amplissime proprietà – «spatia, et lata

pratorum, terrarumque, atque sylvarum» – nel territorio di Leno e in quelli vicini di Porzano, Ghedi, Gottolengo, Gambara, Pavone, e fino al fiume Oglio, fa menzione anche di una regalis domus, cui doveva essere annessa la già ricordata chiesetta o cappella dedicata al Salvatore, a Santa Maria e all’arcangelo Michele25. Diversamente da quest’ultima chiesa, di cui

abbiamo attestazione documentaria, nessun documento menziona invece una residenza ducale o regia di Desiderio. Pur tenendo conto dell’incertezza interpretativa di questa testimonianza del Malvezzi, appare comunque verosimile che il monastero abbia avuto una vicenda istituzionale ed edilizia in qualche modo analoga a quella del monastero coevo di Santa Giulia di Brescia, e sia pertanto sorto su un’area precedentemente occupata da un complesso di proprietà desideriane.

Leno rappresentava dunque un territorio ricco e popolato, già ben strutturato sotto il profilo economico e sociale, e con ogni probabilità già in gran parte controllato dall’autorità ducale e regia attraverso possessi e dipendenze. Non stupisce quindi che proprio questa località sia stata coinvolta dall’iniziativa desideriana in un progetto strategico di consolidamento del proprio potere, di cui faceva parte l’istituzione, a pochi anni di distanza, dei grandi monasteri di Santa Giulia di Brescia e di San

23 Per il ritrovamento di un impianto per la fusione del vetro, cf. BREDA, Leno (BS),

Campi San Giovanni. A Leno, oltre alla lavorazione del vetro, in età altomedievale

operava probabilmente anche un fabbro/orefice, libero e di alto lignaggio vissuto in pieno pieno VII secolo. Cf. DE MARCHI, BREDA, Il territorio bresciano, p. 473.

24 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. 61-63, n. 1, in part. p. 63. Di questa

epigrafe oggi si conservano solo frammenti.

Benedetto di Leno. b. Desiderio e Brescia

Desiderio, che era stato fiduciario in Toscana del suo predecessore nella carica regia Astolfo (749-756)26, alla morte di questi, avvenuta nel dicembre

del 756 durante una battuta di caccia, si era impadronito del trono. Egli incontrò però l’opposizione di gran parte dell’aristocrazia longobarda, che appoggiava invece Ratchis, richiamato per l’occasione dal suo ritiro monastico. Poiché ai primi di marzo del 757 Ratchis tornava a ritirarsi a Montecassino, dovette essere in questi mesi che Desiderio completò il consolidamento della sua presa di potere27.

In una situazione così contrastata, si capisce come Desiderio abbia avuto necessità di perseguire una strategia di rafforzamento della propria posizione, politica ed economica. Innanzitutto, egli mise in atto una spregiudicata politica che lo portò a ricercare l’appoggio del pontefice con la promessa della restituzione al patrimonium sancti Petri dei territori emiliani e marchigiani che erano stati conquistati dal predecessore Liutprando. Desiderio non mantenne però l’impegno, e anzi, dopo il ritorno di Ratchis a Montecassino, seppe sfruttare la congiuntura favorevole per acquisire un più saldo controllo anche dei ducati di Spoleto e Benevento, suscitando l’allarme dei pontefici che si appoggiarono da questo momento ai Franchi28.

Alla luce di questa premessa, bisogna considerare che, anche se la fondazione di Leno come di altri monasteri potrebbe essere inquadrata all’interno di una precisa strategia dei re longobardi di apertura nei confronti dell’elemento romano-cattolico del regno, la sostanziale ed innegabile ostilità dei pontefici nei confronti di Desiderio impedì di fatto ogni reale

26 Catalogi regum Langobardorum, p. 503. Sul regno di Astolfo, cf. DELOGU, Il regno

longobardo, pp. 168-178; JARNUT, Storia dei Longobardi, pp. 110-118.

27 Cf. Liber Pontificalis, Stephanus II, c. XLVIII-LI, p. 454-455; Codex Carolinus, n. 11,

p. 506; Pauli Diaconi continuatio tertia, p. 211; DELOGU, Il regno longobardo, pp. 178-180; JARNUT, Storia dei Longobardi, p. 118; GASPARRI, Il passaggio dai

Longobardi ai Carolingi, pp. 32-33. Il testo dei Catalogi regum Langobardorum (p.

503) pone l’inizio del regno di Desiderio proprio al mese di marzo del 757: «Non longe post ipse Aistulfus rex obiit, gubernavitque palacium Ticinensem Ratchis, gloriosus germanus eius, dudum rex, tunc autem Christi famulus, a decembrio usque martium. In mense vero martio suscepit regnum Langobardorum vir gloriosissimus Desiderius rex anno incarnationis domini 757, indictione X».

28 Per una sintesi generale del regno di Desiderio, cf. JARNUT, Storia dei Longobardi, pp.

118-127. Sugli interventi di Desiderio a Roma, tra il 767 e il 771, cf. BERTOLINI,

Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, pp. 622-663. Un’efficace sintesi in

saldatura d’interessi e solidarietà tra Roma ed il sovrano, pure cattolico, dei Longobardi.

Piuttosto, la fondazione del monastero deve essere inquadrata in un diverso processo, ovvero in quella strategia consapevolmente messa in atto da Desiderio che lo vide concentrare ricchezze e legami personali in un determinato territorio a lui amico, che nella fattispecie fu il Bresciano. La presa di potere di Desiderio, infatti, comportò la fine del pur breve periodo in cui la carica regia era stata detenuta da duchi friulani (744-756), con Ratchis e poi con Astolfo, ed il conseguente spostamento del baricentro politico del regno dal Friuli a Brescia. Non è certo che Desiderio fosse originario proprio di Brescia, come talvolta viene affermato29, ma è un fatto

che proprio nel Bresciano egli disponesse di una solida base di potere politico ed economico, e che fosse inoltre riuscito a far eleggere duca della città suo figlio Adelchi30. Si trattava, come ho già detto, di una precisa

operazione dinastica, nella cui prospettiva rientrava anche la fondazione dei monasteri.

Bisogna a questo punto premettere che la fondazione di Leno non rappresentava un episodio isolato nella storia religiosa dei Longobardi, bensì si collocava nel solco di una prassi ormai consolidata di promozione di fondazioni religiose da parte dei monarchi31, il controllo delle quali, con i

relativi patrimoni, rappresentava un efficace e concreto strumento di dominio. Già agli inizi del VII secolo, prima quindi della conversione al cattolicesimo della gens Langobardorum, Agilulfo (591-615) aveva sostenuto Bobbio. Non molto tempo dopo re Liutprando (713-744) aveva istituito a Pavia il monastero di San Pietro in Cieldoro e sostenuto attivamente quello che sorgeva a Berceto sul Monte Bardone, lungo l’itinerario che dalle Alpi conduceva a Roma. Anche le maggiori fondazioni della Langobardia minor sono riconducibili all’azione di diversi membri dell’aristocrazia longobarda, come nel caso di Farfa intorno al 680 e di San Vincenzo al Volturno fra VII e VIII secolo. Non bisogna poi dimenticare l’opera del bresciano Petronace a favore della rinascita di Montecassino, negli anni venti dell’VIII secolo32. È comunque a partire dagli anni

29 Cf. JARNUT, Storia dei Longobardi, p. 118; AZZARA, Il re e il monastero, p. 27-28. 30 Cf. BROGIOLO, Desiderio e Ansa, p. 143. Sul rapporto tra Desiderio e Brescia e le sue

strategie di consolidamento del potere, si veda BARONIO, Il monastero di San

Salvatore/San Benedetto di Leno e le sue pertinenze.

31 Per una prima introduzione al tema dei monasteri nell’Italia longobarda, cf. DE JONG,

ERHART, Monachesimo tra i Longobardi e i Carolingi; AZZARA, Ecclesiastical

institutions, pp. 94-99. Per la fondazione di monasteri durante il regno di Desiderio, cf.

DELOGU, Il regno longobardo, pp. 182-183; JARNUT, Storia dei Longobardi, p. 120; VOIGT, Die königlichen Eigenkölster, p. 20.

cinquanta del secolo VIII che l’attività di fondazione di monasteri per iniziativa del re e dell’aristocrazia conobbe una rapida accelerazione in tutta l’Italia longobarda. In breve tempo apparvero – oltre a Leno – San Salvatore a Brescia, Nonantola sull’Appennino emiliano, Monteverdi e Monte Amiata, entrambi in Tuscia.

Non era certamente estraneo a queste fondazioni uno specifico valore di presidio, in virtù del loro posizionamento geografico a ridosso dei confini del regno, in corrispondenza di aree strategiche su cui potevano esercitare un’efficace opera di penetrazione economica, politica e culturale. Attraverso cospicue donazioni di beni, in questi monasteri le élites longobarde potevano inoltre concentrare e gestire ricchezze33, anche attraverso la

monacazione di propri elementi34.

Dunque a Brescia Desiderio promosse lo sviluppo del monastero di San Salvatore, istituito, secondo la tradizione, al tempo di Astolfo, nel 753, attraverso la donazione di beni e risorse tratte anche dal fisco. Il carattere dell’istituzione era quello di un monastero a valenza familiare, sottoposta direttamente alla protezione del re, alla cui guida fu posta non a caso una figlia dello stesso monarca, Anselperga35. Tale istituzione sarà destinata ad

acquisire un ruolo di primo piano nella vita non solo religiosa ma anche politica dell’Italia longobarda.

Altro tassello di questo stesso disegno, tutto rivolto al consolidamento personale e familiare nel Bresciano da parte del nuovo re dei Longobardi, fu dunque anche la fondazione di Leno, all’indomani, come si è visto, della sua salita al trono, ed in una località densa di significati, in quanto area di antico

monastero, pp. 23-25.

33 Claudio Azzara ha messo in luce come fosse intesa a favorire il processo di costituzione

ed incremento di rilevanti patrimoni ecclesiastici anche l’introduzione di un nuovo istituto nel campo del diritto, la donatio pro anima. Questo dispositivo giuridico apportò elementi di forte novità nelle forme di trasmissione patrimoniale dei Longobardi: AZZARA, La normativa sui monasteri; ID., Il re e il monastero, pp. 25-26 e 31 nn. 13- 14). Sulle strategie di gestione dei patrimoni familiari, sulle manifestazioni del grado sociale e sulla potenza dei gruppi parentali longobardi legati all’esercizio del potere, si veda LA ROCCA, La legge e la pratica, pp. 54-55.

34 Il coinvolgimento sempre crescente dei più potenti gruppi familiari longobardi nella vita

e nella gestione di queste istituzioni monastiche, acceleratosi poco prima del tracollo del regno, può far sembrare che vi sia dietro un tentativo da parte dell’aristocrazia di mettere in salvo se stessa e i propri beni alla vigilia della catastrofe politica e militare. Bisogna tuttavia notare che una qualche forma di ‘aristocratizzazione’ della vita monastica appare comunque un fenomeno più generale dell’Occidente altomedievale: cf. DE JONG, ERHART, Monachesimo tra i Longobardi e i Carolingi, pp. 113 e 119.

35 Sulla fondazione del San Salvatore di Brescia, cf. BROGIOLO, Desiderio e Ansa. Sul

ruolo rivestito da questa fondazione nell’ambito della politica desideriana, si veda BARONIO, Il monastero di San Salvatore/San Benedetto di Leno e le sue pertinenze.

insediamento longobardo, ed in cui già una volta si era manifestata l’iniziativa desideriana con l’edificazione della prima chiesetta.

c. La dotazione desideriana

Le reliquie dei santi Vitale e Marziale

Desiderio dunque fondò il nuovo monastero presso una località nella quale deteneva ampi beni e dove già sorgeva una chiesa di sua proprietà, provvedendo a dotarlo riccamente di possessioni e terre. Ma l’impulso impresso dal sovrano longobardo alla nuova fondazione nel suo nascere non fu unicamente materiale, e non si limitò ai donativi di ricchezze e beni, che pure dovettero essere grandi. Desiderio fece anche di più: intendendo conferire da subito al cenobio una connotazione di prestigio, operò precise scelte volte a determinare una specifica fisionomia della nuova fondazione fin dalle sue origini. Vanno in questa direzione la deduzione del primo gruppo di monaci da Montecassino e la concomitante traslazione di preziose reliquie: una porzione del corpo di san Benedetto da Montecassino, e, da Roma, le spoglie dei martiri Vitale e Marziale.

Riguardo ai rapporti ricercati e stabiliti dal sovrano per il nuovo cenobio con il centro del monachesimo altomedievale, la questione è importante e complessa e merita pertanto di essere trattata con ampiezza nei paragrafi successivi. Qualche parola può essere invece spesa subito sulla traslazione delle reliquie dei due martiri romani, indicati dalla tradizione come i figli di santa Felicita.

Su questa dotazione di reliquie il testo del Catalogus regum

Langobardorum suggerisce una cronologia assai poco precisa, lasciando

intendere che la circostanza della traslazione sia da mettere in relazione con le trattative condotte da Desiderio con il neoeletto papa Paolo I, in San Pietro, fuori dalle mura di Roma, nella primavera del 758:

«Non longe post introitum regni et inchoationem huius coenobii, Domino cooperante et praenominato excellentissimo rege, translatum est a civitate Beneventum de Cassino castro quaedam corporis partem beatissimi atque excellentissimi confessoris Benedicti abbatis, et ab urbe Roma corpora beatorum martyrum Vitalis et Martialis, et in eodem sacrosanctum conditum est coenobio»36.

Occorre ricordare che in occasione di questo incontro, il re longobardo era reduce dalla fulminea campagna che, con la cattura di Alboino e la fuga di

Liutprando e Giovanni, gli aveva messo in mano i ducati di Spoleto e Benevento raddrizzandoli dalla precedente alleanza franco-papale37.

Pertanto, in posizione di forza, aveva potuto ricusare nettamente la promessa restituzione al pontefice di Bologna, Ancona, Numana e Osimo e porre precise condizioni per quella di Imola38.

In questa prospettiva, l’interpretazione generalmente accolta vede il dono dei corpi dei due santi martiri come una mossa conciliante da parte del pontefice, forse anche per rassicurare il re longobardo a proposito della richiesta liberazione degli ostaggi lasciati ai Franchi dalla sconfitta di Astolfo, e la stipulazione di nuovi accordi con Pipino39.

A tale interpretazione, Paolo Tomea ha di recente opposta una lettura diversa40. Il silenzio del Catalogo sul ruolo che nel dono avrebbe avuto

eventualmente il papa, poco spiegabile data l’importanza del fatto nella prospettiva dell’anonimo cronista – vi si dice infatti solo che i corpi provenivano «ab urbe Roma» –, rende infatti per Tomea lecito il sospetto che il possesso delle spoglie di Vitale e Marziale risalga in realtà ad una diversa e meno edificante circostanza. Una ‘rapina’ da collegare probabilmente a quel 756 in cui, durante l’assedio portato a Roma, il grosso dell’esercito longobardo di re Astolfo si era stanziato presso la via Salaria41.

Proprio qui, secondo quanto ci informa il De locis sanctis martyrum, i due

37 Cf. le opposte interpretazioni dell’azione longobarda in DUCHESNE, I primi tempi, p.

58, e in HALLENBECK, King Desiderius, pp. 54-55: mentre il primo giudica legittima l’iniziativa desideriana, poiché l’azione con cui Stefano II aveva invocato il protettorato franco per Spoleto e Benevento rappresentava una vera e propria intromissione negli affari interni del regno longobardo, il secondo mette al contrario in rilievo come l’attraversamento del territorio papale e l’attacco ai due ducati avrebbero giustificato un intervento di Pipino.

38 Un resoconto abbastanza dettagliato delle trattative svoltesi a Roma nel 758 in

BERTOLINI, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, pp. 586-587. Va fatta notare la doppiezza dell’atteggiamento tenuto da Paolo I in questa occasione, e dimostrata dalle due lettere scritte a Pipino (Codex Carolinus, nn. 16-17, pp. 513-514, 514-517): mentre nella prima, che probabilmente poteva essere vista dai Longobardi, il pontefice caldeggiava le richieste di Desiderio, nella seconda, segreta, si reclamava una pronta azione nei confronti di Desiderio; cf. la voce Paolo I, curata da Delogu, in Enciclopedia

dei Papi, I, pp. 665-670, in part. pp. 666-667.

39 Anche la Sandmann ritiene «wohl denkbar» che i resti di Vitale e Marziale provenissero

all’abbazia di Leno da Paolo I: Herrscherverzeichnisse, pp. 105-106. Cf. anche BROGIOLO, Desiderio e Ansa, pp. 146- 148.

40 TOMEA, Intorno a Santa Giulia, pp. 46-47. Cf. AZZARA, Il re e il monastero, pp. 21-

22.

41 Le informazioni più particolareggiate sulle località presso le quali si erano attestati i

corpi d’armata di Astolfo ci provengono dalla lettera di papa Stefano II a Pipino datata 24 febbraio 756: Codex Carolinus, n. 8, p. 495. Cf. DUCHESNE, I primi tempi, pp. 49- 50, 57.

figli di Felicita erano sepolti con un terzo fratello, Alessandro42. Secondo

questa differente interpretazione, Astolfo potrebbe dunque aver portato le reliquie a nord nel 756, e solo successivamente Desiderio le avrebbe collocate a Leno, «non longe post introitum regni et inchoationem huius coenobii»43.

La prima dotazione territoriale

Come abbiamo visto, l’abbazia di San Benedetto ad Leones dovette essere edificata su beni di proprietà di Desiderio, ed il sovrano si interessò personalmente alle varie fasi della sua istituzione, dall’insediamento della prima colonia di monaci alla traslazione delle preziose reliquie, fino alla prima dotazione territoriale. Anche se è certo che l’abbazia dovette essere generosamente dotata di beni già dal suo fondatore, non ci è pervenuto nessun polittico o inventario di sostanze patrimoniali che, analogamente a quello di San Salvatore di Brescia44 o di altri monasteri benedettini

altomedievali italiani ed europei45, ci informi sulla consistenza degli

appannaggi del monastero di Leno a quest’altezza cronologica.

42 De locis sanctis martyrum, pp. 318-319: «Iuxta viam Salariam ecclesiam est Sanctae

Felicitatis ubi ipsa iacet corpore [...] In alia quoque ecclesia sanctus Chrisantus et Daria virgo et LXII martyres. Propeque ibi sanctus Alexander et sanctus Vitalis sanctusque Martialis, qui sunt iii de vii filiis Felicitatis, cum multis martyribus iacent». Itinerarium

Malmesburiense, pp. 325-326: «Et in altera basilica sanctus Alexander, Vitalis,

Martialis, filiis sanctae Felicitatis».

43 Cf. sopra. Pur tenendo conto della poca attendibilità di certi passaggi, e la grande

distanza nel tempo, cf. comunque anche il Malvezzi, per il quale la provenienza dei corpi di Vitale e Marziale, che a sua detta il re avrebbe portato da Benevento, va mantenuta separata dai donativi di reliquie fatte da Paolo I al primo abate di Leno, Ermoaldo: «Erat autem illis diebus Romanae Ecclesiae Antistes Paulus vir misericors et mitissimus, qui anno Christi Domini DCCLVI pontificatum assumens, apostolicam sedem annis X tenuit. Hic ergo Hermoaldum gratiose recipiens honorifice benedixit, regique donis caris et magnis onustum remisit. Dedit namque sanctorum apostolorum Petri et Pauli reliquias, multorumque simul sanctorum, quae Domino opitulante in