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I. La storiografia erudita

1. Zaccaria e Leno

a. Notizie biografiche

Il gesuita Francesco Antonio Zaccaria, figura tra le più significative dell’erudizione storica e del dibattito teologico della seconda metà del Settecento1, giunse a Crema nella primavera del 1763, invitato nella città

lombarda per predicare la Quaresima dal vescovo Marcantonio Lombardi, che era anche abate commendatario dell’abbazia di Leno.

Nella sua attività di predicatore inviato di volta in volta dai suoi superiori in varie città, lo Zaccaria aveva avuto modo di svolgere indagini d’archivio e ricerche sulle raccolte documentarie delle chiese che andava a visitare2; così aveva fatto a Pistoia già nel 1742, con la pubblicazione nella

1 Per un profilo biografico di Zaccaria si veda SCIOSCIOLI, La vita. Sulla sua figura e la

sua erudizione, cf. SALVESTRINI «Ameno pascolo di gentiluomini curiosi», pp. 136- 37. Ricordiamo solo, per fornire un’idea del peso relativo della sua figura nel bilancio della storiografia erudita della metà del XVIII secolo, che nel 1751 era stato chiamato a succedere al Muratori, morto da pochi mesi, come Prefetto della Biblioteca del Duca di Modena. Per quanto riguarda le opere a stampa a lui ascritte – ben 161 – si veda invece SOMMERVOGEL, Bibliothéque, pp. 1381-1435.

2 L’interesse per la ricerca storica dovette essere d’altra parte preponderante per lo

Bibliotheca Pistoriensis di un gruppo di preziosi manoscritti trovati

nell’archivio dei canonici, e così anche altrove.

Se dunque già prima della sua venuta a Crema lo Zaccaria si era distinto per le sue ricerche storiche, è proprio nella città lombarda che prese forma il frutto più maturo della sua produzione, quei tre libri

Dell’antichissima badia di Leno che sono anche considerati il punto iniziale

da cui si dipana la produzione storiografica sull’antica fondazione longobarda3.

b. La genesi di un progetto Zaccaria e Querini

La storia Dell’antichissima badia di Leno fu stampata a Venezia nel 1767, pochi anni dopo il viaggio di Zaccaria a Crema. Alla genesi di questo progetto non fu certo estraneo Mons. Lombardi, che d’altra parte aveva anche permesso allo Zaccaria di prendere visione dei documenti custoditi nell’archivio abbaziale4.

Il casus concreto da cui prese forma l’idea di tornare sulla storia dell’abbazia fu però rappresentato per lo Zaccaria dalla scoperta, tra i documenti conservati all’interno dell’archivio abbaziale, di un libro ignorato dall’abate Luchi, che appena un decennio prima aveva dato alle stampe i suoi Monumenta monasterii Leonensis. Fu quindi alla necessità di apportare una sostanziale integrazione all’opera del Luchi che lo Zaccaria legò la nascita della sua opera5.

Se dobbiamo ritenere certamente quella appena descritta la genesi materiale dell’opera, non si possono tuttavia ignorare i contatti che lo Zaccaria aveva avuto già una decina d’anni prima della sua venuta a Crema con il predecessore del Lombardi in qualità di abate commendatario di Leno, ossia il cardinale Angelo Maria Querini, vescovo di Brescia dal 1727 al 1755, considerato uno dei ‘principi’ dell’erudizione dell’epoca6.

CUCCAGNI, Elogio storico.

3 Riguardo allo Zaccaria come storico dell’abbazia di Leno si vedano gli atti del

congresso Francesco Antonio Zaccaria e Leno; cf. anche PICASSO, L’abbazia.

4 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. XIV.

5 Ivi, pp. XII-XIII: «Però chiamato a Crema a predicarvi la Quaresima [...] tutto ebbi

l’agio di svolgere quella massa di libri, e m’accorsi subito, che all’opera del P. Luchi poteasi far qualche giunta, e correzione».

6 L’opera più completa sulla biografia di Querini è BAUDRILLART, De Cardinalis

Querini; aspetti particolari della stessa sono stati successivamente affrontati in più d’una

occasione: tra i lavori più recenti si veda la miscellanea Cultura, religione e politica; SALVESTRINI, ‘Disciplina caritatis’, p. 156. Per quanto riguarda il rapporto tra

Con l’affacciarsi sulla scena culturale italiana di una personalità per certi versi prorompente come quella dello Zaccaria, era quasi inevitabile il sorgere di un interessamento da parte del Querini. Sappiamo che già nel 1751, anno in cui lo Zaccaria succedeva al Muratori, il Querini aveva pensato proprio a lui quale suo bibliotecario7. Tuttavia, la morte improvvisa

del cardinale, avvenuta il 6 gennaio 1755, proprio quando lo Zaccaria si preparava a raggiungere Brescia per predicarvi la Quaresima, aveva privato l’erudito gesuita del suo interlocutore8.

Se il cardinale eccelse in varie attività in campo culturale, nulla possiamo invece aggiungere su Querini abate commendatario di Leno, alla cui realtà pare essere stato sostanzialmente disinteressato9. Parimenti,

un’altra mancanza che gli si può imputare fu il venire meno del progetto degli Annales Benedectini Italiae, un lavoro che avrebbe potuto rivelarsi assai utile, e che invece non fu mai completato, come lamenta fra gli altri anche lo stesso Zaccaria10.

Zaccaria e Querini, cf. MARTINELLI, Francesco Antonio Zaccaria.

7 La notizia ci è fornita dalla seconda delle lettere a stampa con cui il Sambuca, segretario

del cardinale, aveva partecipato l’Europa erudita alla notizia della morte e delle cerimonie relative alle esequie del porporato: SAMBUCA, Lettere intorno alla morte. A comprovare la stima del cardinale verso lo Zaccaria, il Sambuca riferisce poi un ulteriore episodio: «Io so da un amico, che il Cardinale un giorno, mentre di cose dotte con lui discorreva, preso in mano uno de’ Tomi della Storia Letteraria d’Italia, da esso stampato, “Vorrei”, diss’egli in tuono alto di voce, “Vorrei trovare un altro, che fosse buono di far altrettanto”: con che diegli a divedere assai chiaramente, in qual alto posto di stima fosse egli presso di lui».

8 Il ripianto per il mancato incontro del 1755 viene espresso dallo Zaccaria con l’esordio

della sua prima predica in Duomo, il giorno delle ceneri, mercoledì 12 febbraio 1755; un elogio del cardinale, «gloria immortale d’Italia, e della Chiesa», sarà riproposto anche nel volume XIV della sua Storia letteraria d’Italia. La corrispondenza di Zaccaria con il Querini annovera solo nove lettere, conservate autografe, due alla Biblioteca Queriniana, e sette alle Biblioteca Querini Stampalia di Venezia, che coprono complessivamente gli anni dal 1740 al 1752. Ricordiamo che comunque Zaccaria e Querini si erano già incontrati nel maggio del 1752, quando il primo aveva fatto sosta a Brescia, provenendo da Milano. Querini viene ricordato anche nel corso della trattazione sugli abati commendatari di Leno: ZACCARIA, Dell’antichissima badia di

Leno, p. 60.

9 Su Querini abate commendatario di Leno si veda soprattutto SPINELLI, Intorno a due

abati commendatari, e bibliografia. Si vedano anche GUERRINI, Il cardinale;

PIZZATI, Commende e politica ecclesiastica, pp. 298-299. Mons. Paolo Guerrini, storico bresciano, ha detto che «il Querini, assorbito negli ultimi anni di vita dalla attività edilizia per la sua biblioteca e per la nuova cattedrale, non badò a fermare a Leno il fatale declino della sua Badia, e per un cardinale benedettino, insigne cultore della storia del suo ordine, quale fu il Querini, non è certamente un titolo di lode e di cuore» (GUERRINI, Il cardinale, p. 231).

c. Le fonti di Zaccaria per la storia di Leno Le fonti letterarie

Nel momento in cui si apprestò alla ricomposizione della storia dell’abbazia di Leno, lo Zaccaria avvertì nella Prefazione come l’impresa risultasse per lui particolarmente ardua, data la scarsità non solo delle fonti documentarie11, ma anche degli studi relativi. Pochi cenni erano stati spesi

dal Mabillon nei suoi Annali, non molti di più dal Muratori nelle

Antiquitates Italicae Medii Aevi, né, in ambito locale, vi si era soffermato

troppo il Gradenigo nella sua Brixia sacra12; bisognerà attendere, per uno

studio di maggior respiro e profondità, l’opera dell’abate Luchi, i

Monumenta monasterii leonensis, uscita alle stampe appena un decennio

prima.

Nella sua panoramica degli storici che si sono occupati dell’abbazia leonense, lo Zaccaria cita «Fra Cornelio domenicano adriese», ora identificato con Cornelio Adro, ritenuto impreciso ed eccessivamente sintetico, ma non del tutto inaffidabile – rettificando, in questo, il giudizio che ne aveva dato il Luchi. Nel corso della trattazione, lo Zaccaria cita poi anche due storici bresciani del XV secolo, Giacomo Malvezzi13 ed Elia

Capriolo14, oltre che l’Epitome cassinese.

GOLINELLI, Figure, motivi e momenti, in part. pp. 704-707.

11 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. VIII-IX: «Le memorie, sulle quali ho

io lavorato questa mia storia, non sono che poche tavole avventurosamente sottratte a sommergitore naufragio. Le guerre, gl’incendi, i saccheggi, la perfidia dei litiganti, la negligenza de posseditori, i trasporti or necessari per minacciate incursioni, or richiesti da fini privati, e soprattutto il passaggio della Badia ad Abati, i più de’ quali per la lontananza loro non ebbero agio di riparare il grave danno, le cagioni sono, onde dolerci dobbiamo, che pochissimi de’ più preziosi monumenti suoi ci sien pervenuti; ma le cagioni pur sono, che han similmente dato un orribile guasto alle memorie di altri nobilissimi Monasteri»; cf. anche pp. XII-XIII.

12 MABILLON, Annales, XXIII, c. 53; MURATORI, Antiquitates, II c. 821, III c. 599, IV

c. 27; GRADENIGO, Brixia sacra, p. 78, n. 4.

13 Il Malvezzi, medico, nasce intorno al 1380 (cf. Chronicon Brixianum, col. 823). La sua

opera, che è stata definita la prima cronaca che dà «un ordine cronologico e narrativo alle tradizioni leggendarie e alle memorie storiche di Brescia (GUERRINI, La casa, p. 20), è di impianto ancora medievale, e rappresenta una fonte preziosa soprattutto per la descrizione degli avvenimenti più strettamente connessi con lo sviluppo e la dialettica delle istituzioni comunali tra l’XI secolo e il 1332.

14 Il Capriolo nasce a Brescia nella prima metà del XV secolo ma è incerta la sua data di

morte. La sua Chronica narra la storia di Brescia dalle origini al 1500, in dodici libri. Ne esiste un’edizione ampliata pubblicata nel XVIII secolo dal Burman nel Thesaurus

La lettura cui lo Zaccaria sottopone le sue fonti appare attenta e puntuale, come si può vedere già a partire dai primi capitoli, nel momento in cui si occupa della ricomposizione delle vicende legate alla fondazione dell’abbazia: le testimonianze sono dapprima analizzate singolarmente, soppesate attraverso precise valutazioni critiche e poi ricomposte come le tessere di un mosaico per delineare la ricostruzione storica, cosicché l’impianto documentario che ne risulta appare solido.

Tuttavia, se non si può non segnalare l’acutezza di certe considerazioni, pesa l’accettazione acritica della Cronaca di Rodolfo il Notaio, un falso del quale la critica ottocentesca ha ormai acquisito certezza; fatto questo che deve indurre ad introdurre più di una riserva, nella prospettiva della necessità di una seria revisione dell’intera opera.

Le fonti documentarie

Lo Zaccaria afferma che l’abate Luchi «avendo avuta occasione di vedere e spogliare le carte del Monastero … pubblicò quest’opera ben degna delle lodi … ma di 168 e più libri, che nell’Archivio sono della Badia, pochi altri ne accenna il degnissimo P. Abate oltre quattordici, o che realmente questi soli ch’egli ricorda, gli fosser mostrati, o che avendogli pur veduti, non avesse pensato di trovare in questi cosa d’alcun momento»15. Parole

ambigue, queste dello Zaccaria, che hanno fatto sorgere un equivoco per molto tempo avallato in molti studi sull’abbazia, cioè la convinzione che l’antico tabularium, o perlomeno una sezione consistente del patrimonio documentario monastico, fosse ancora, se non nell’edificio dell’abbazia, almeno tra le mura della curia del vescovo commendatario.

Analizzando le fonti di cui si serve nella sua opera, è invece stato dimostrato che lo Zaccaria consultò ben poco della documentazione leonense16. La maggior parte dei documenti riportati proviene, infatti, da due

fascicoli in cui alla fine del medioevo furono trascritti i documenti usciti dalle cancellerie laiche dall’età carolingia fino al secolo XII e quelli prodotti dalla cancelleria pontificia, oppure sono tratti dall’opera di Luchi; altri documenti pubblicati sono invece il risultato di «trascrizioni manoscritte fornite all’autore da corrispondenti … non di Leno o di Brescia»17. A

quest’altezza cronologica, infatti, l’antico archivio monastico era già da tempo disperso, come abbiamo visto.

dallo Zeno, che conducevano la narrazione fino al 1510. Per alcuni cenni sui cronisti bresciani Malvezzi e Capriolo, si veda CACCIA, Cultura e letteratura, pp. 492-493.

15 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, pp. XII-XIII. Cf. LUCHI, Monumenta

monasterii Leonensis, p. XX.

16 BARBIERI, L’archivio. 17 Ivi, pp. 255, 260-261 nota 4.

Due parole in più meritano di essere spese per quel libro ignorato dal Luchi e scoperto dallo Zaccaria nell’archivio di Leno: si tratta di un fascicolo «che una grandissima quantità contiene di Pontificie Bolle, d’Imperiali diplomi, e d’altre carte ricopiate nel quindicesimo, o nel seguente secolo in più riprese dagli originali ora pressoché tutti smarriti … questo libro, che segnato è VV»18. Tale volume da cui lo Zaccaria trasse le

trascrizioni dei documenti è stato identificato con un codice della Biblioteca Nazionale di Firenze acquistato sul mercato antiquario19. Nel darci notizia di

tale testo, l’Amelli constata notevoli difformità ed omissioni nell’edizione dello Zaccaria rispetto al testo dell’esemplare fiorentino. Da segnalare, oltre alla trascuratezza nella trascrizione di alcuni documenti, l’omissione nell’edizione dei documenti pontifici di Onorio II e di Paolo III.

Anche a livello di esegesi delle fonti documentarie, per esempio quando si dà conto dei falsi dei Gambara, le osservazioni sono fatte sulla scorta del Luchi, che già prima di lui aveva segnalato le interpolazioni. Insomma, lo Zaccaria appare sostanzialmente debitore del Luchi, almeno per quanto riguarda la trascrizione e l’interpretazione dei documenti.

d. L’opera

Impianto generale

L’opera è organizzata in tre libri. Nel primo l’autore ricostruisce la vicenda storica del monastero, strutturandola per temi; per ogni tema lo Zaccaria presenta prima un conciso excursus storiografico, e poi, dopo un’analisi delle conclusioni proposte dai vari cronisti abbaziali, presenta le sue valutazioni. La cadenza cronologica della narrazione è scandita dalla successione degli abati.

Nel secondo libro sono raccolti i monumenta più importanti, 71 tra documenti pontifici, privilegi imperiali ed altri atti pubblici e privati. Essi vanno dall’862, anno del diploma di Ludovico II, fino al 1763, anno della ricognizione delle reliquie dei santi Vitale e Marziale effettuata da Mons. Lombardi.

Il terzo libro, intitolato «de’ beni, diritti, privilegi, e delle esenzioni della badia di Leno», rappresenta una proposta di ricostruzione della dimensione patrimoniale dell’abbazia. Se questo libro è certamente la sezione che più delle altre mette in luce l’erudizione dello Zaccaria e la sua capacità interpretativa, necessita d’altra parte ancora di una profonda

18 ZACCARIA, Dell’antichissima badia di Leno, p. XIII. 19 BNCF, Nuovi Acquisti, n. 14; cf. AMELLI, Un codice.

revisione, come già le ricerche di Angelo Baronio hanno dimostrato. Temi e metodi

Nella sua impostazione per temi, sia che si tratti del momento quasi leggendario della fondazione, sia che si tratti della complessa questione delle reliquie di san Benedetto, Zaccaria procede attraverso una ponderata graduazione delle fonti fino a proporre le sue valutazioni, dando prova anche di una certa acutezza di analisi.

Gli indici onomastico e cronologico in appendice nonché il glossario costituiscono ulteriori strumenti per la comprensione del percorso di ricerca dello Zaccaria, che per certi aspetti, nonostante tutte le considerazioni già espresse, appare decisamente ‘moderno’.

Il momento in cui lo Zaccaria dà maggiormente prova delle sue capacità interpretative è quando si tratta di mettere in rilievo l’articolazione istituzionale del monastero, che emerge tanto dal ritmo della narrazione nel primo libro quando dall’alternarsi dei privilegi e delle donazioni nel secondo, per essere esposto in maniera sistematica nel terzo. Accanto agli aspetti economici e sociali emerge l’insieme di una giurisdizione organizzata secondo forme inedite, ma che riceve un brusco colpo di arresto dopo il XII secolo.

È col mutare della fortuna del monastero ed il ridimensionamento del suo tradizionale ruolo politico che cambia lo stile, facendosi asciutto, denso di dati e di nomi; la serie degli abati commendatari, che inizia dopo il provvedimento del 1479, è poco più che una lista di nomi, segno del declino irreversibile di un’istituzione ridotta ormai alla sola dimensione patrimoniale, gestita dal vicario dell’abate ed in condizioni piuttosto precarie anche nelle sue fabbriche, come risulta dagli atti della visita pastorale di san Carlo Borromeo, giunto a Leno il 6 marzo 1580.

Considerazioni sull’opera dello Zaccaria

Lo Zaccaria è stato percepito come l’iniziatore della storiografia sull’abbazia di Leno20, e la sua opera come il punto di partenza inevitabile

da cui tracciare la storia dell’antico insediamento monastico, anche se in realtà, esclusi gli accenni più o meno strutturati in opere storiche di portata più generale, dopo il sommario cinquecentesco di Cornelio Adro almeno un altro illustre erudito bresciano, il Luchi, si era occupato della nostra istituzione.

20 Cf. PICASSO, L’abbazia, p. 20: «… il fondatore della storiografia sull’antica abbazia di

Leno. Con lui, Francesco Antonio Zaccaria, è nata la storia del celebre insediamento monastico alto medievale … La storiografia su Leno è ancora ai primi passi, anche se dallo Zaccaria al Baronio, sono state poste basi sicure».

Tuttavia, quello che molti hanno sottolineato dello Zaccaria è la modernità della sua prospettiva storiografica, non solo per le modalità della ricerca, ma anche per il fatto di aver collocato la sua monografia non più solo nell’ambito della storia locale, ma nel quadro più ampio della storia universale. Se nel suo insieme l’opera appare un insieme di intuizioni felici, alcune valutazioni però richiedono ancora una serrata revisione critica.

Pertanto, anche se altre più recenti considerazioni hanno dimostrato quanto lo Zaccaria appaia in debito nei confronti dei suoi predecessori, tenderei comunque in definitiva a considerarlo uno spartiacque per la storiografia su Leno, punto d’arrivo della storiografia erudita dell’età moderna e punto d’avvio per gli studi più recenti. Quello che ora mi ripropongo è di fare qualche passo indietro, ripercorrere la storiografia erudita precedente allo Zaccaria non solo per valutarne il peso degli apporti, ma anche per vedere come si è giunti a questo prodotto storiografico, che è solo il frutto più maturo di un’intera stagione.