3. IL RAPPORTO HARMEL: I DUE PILASTRI DELLA SICUREZZA OCCIDENTALE
3.1. L’Alleanza Atlantica e il compito della distensione: “Military security and a policy of détente are not contradictory but complementary” 157
Se si cerca di individuare una periodizzazione relativa alla fase della détente, una data iniziale può essere riconosciuta nel 14 dicembre 1967, il giorno dell’adozione del Rapporto Harmel da parte degli stati membri della NATO. Tale documento allontanò il pericolo di tendenze centrifughe nell’alleanza occidentale,158 dimostrando come la NATO fosse in grado di affrontare le nuove sfide del sistema internazionale e fornendo nuovi motivi per la sua stessa sopravvivenza anche dopo il 1969.159 Tra i paesi membri circolavano del resto dubbi relativi all’opportunità di mantenere attiva l’Alleanza Atlantica, che non
156 D. Krüger ,“Schlachtfeld Bundesrepublik?“, cit., p.224.
157 Paragrafo 5 del “Report of the NATO Council: The Future Tasks of the Alliance” (The Harmel Report), Brussels, 13‐14 Dicembre 1967, http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_26700.htm (accesso 14/09/2012).
158 Lawrence S. Kaplan “Il 40° anniversario del Rapporto Harmel” in Rivista della NATO, (primavera 2007), http://www.nato.int/docu/review/2007/issue1/italian/history.html.
159 Com’è noto, il Patto Atlantico del 1949 lasciava aperta ‐ nell’articolo 13 ‐ la possibilità per gli stati membri di recedere dall’Alleanza, quando fossero trascorsi almeno venti anni dall’entrata in vigore del trattato istitutivo stesso.
rendevano appunto scontata la continuazione di tale esperienza in una fase dalle caratteristiche così diverse da quelle del contesto della sua fondazione.160
Nel novembre del 1966 Pierre Harmel, Ministro degli Esteri belga, propose di intraprendere un’analisi interna all’Alleanza Atlantica, mirante a definirne lo stato di salute attuale e i compiti per il futuro. Nel campo occidentale si avvertiva infatti una diffusa necessità di ripensare le funzioni e le priorità dell’Alleanza, per renderla uno strumento maggiormente adatto a muoversi nel clima internazionale di quel periodo.161 La realizzazione di tale studio non fu semplice e richiese più di un anno di attività da parte degli stati membri. Parallelamente dunque ai lavori per la stesura di un documento sul nuovo concetto strategico, gli stati della NATO nel 1967 furono impegnati nell’analisi sui futuri compiti dell’Alleanza e i risultati di entrambi i percorsi vennero presentati a Bruxelles, in occasione della sessione di dicembre del Consiglio Nord Atlantico.
Nonostante non si attendessero significativi sviluppi dall’iniziativa belga, gli Stati Uniti vi acconsentirono nella speranza che questa potesse rafforzare la coesione della NATO. Inoltre, dal punto di vista statunitense, conveniva assecondare la proposta europea, auspicando di ottenere contemporaneamente l’approvazione della nuova dottrina strategica da parte dell’Europa occidentale.
160 Ulrich Sahm (nel 1967 Direttore del Dipartimento Politico II‐A al Ministero degli Esteri e da ottobre dello stesso anno Rappresentante della BRD nel gruppo di lavoro I del Rapporto Harmel), “Ein Rückblick auf den Harmel‐Bericht“, p.6, Zeitzeugenbeitrag, Conferenza tenutasi ad Ebenhausen il 10/11/1989, Dok. NHP, MGFA, scatola 35. Come ricordava qui il diplomatico tedesco Ulrich Sahm: “La diminuzione della tensione tra Est e Ovest, che stava cominciando a manifestarsi, dava luogo alla speranza o alla convinzione che il pericolo di un attacco da parte dell’Unione Sovietica fosse divenuto più limitato, o lo sarebbe comunque divenuto a breve. Da qui si formarono, nell’opinione pubblica degli stati membri, dubbi relativi alla necessità della continuazione di tali impegni militari, anzi persino dubbi circa il senso generale di un’alleanza che era stata creata con lo scopo di difendere la parte libera dell’Europa dai desideri di espansione sovietici.”
161 Helga Haftendorn, “The Harmel Report and its impact on German Ostpolitik”, in Wilfried Loth, Georges‐Henri Soutou (eds.), The making of Détente. Eastern and Western Europe in the Cold War. 1965‐
1975 (London; New York: Routledge, 2008), p.103.
La convinzione che fosse estremamente importante coinvolgere la Francia in questo progetto era un’opinione condivisa dagli stati membri della NATO e in particolare dal governo di Bonn.162 La presenza francese non avrebbe rappresentato una contraddizione con le recenti scelte di de Gaulle, dal momento che la Francia nel 1966 aveva preso la decisione di uscire dalle strutture di difesa integrata, ma non dalla stessa Alleanza Atlantica. Pertanto, una sua partecipazione alle discussioni di carattere più eminentemente politico poteva essere funzionale a consolidare la coesione del campo occidentale e ad impedire un eccessivo isolamento francese. Durante il corso dei lavori fu soprattutto la Germania occidentale ad impegnarsi per una mediazione tra le diverse posizioni, tentando di mantenere intenso il coinvolgimento francese nel dibattito sul Rapporto, senza al contempo suscitare negli alleati lo spettro di un proprio allontanamento dalla NATO sulla scia dell’esempio di Parigi.163
Dando seguito all’iniziativa di Harmel nel marzo del 1967 furono costituiti dei gruppi di lavoro che, sotto la supervisione del Segretario Generale della NATO Manlio Brosio,164 lavorarono fino all’ottobre dello stesso anno occupandosi di un complessivo riesame relativo ai compiti dell’Alleanza Atlantica. L’analisi proposta da Harmel fu affidata ad un comitato ad hoc (Special Group), che a sua volta decise di costituire quattro gruppi di lavoro specifici. Tali commissioni erano dedicate rispettivamente: 1) ai rapporti Est‐Ovest (sotto la guida della Gran Bretagna e della Germania occidentale), 2) alla difesa (assegnato agli Stati Uniti),
162 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., pp.359; 361.
163 Botschafter (d’ora in poi Bo.) Grewe, Brüssels (NATO), an das Auswärtiges Amt (d’ora in poi AA), „Harmel‐Studie“, 7/12/1967, telex, AAPD 1967, vol.III, Dok.422, pp.1616‐1620.
164 Il Segretario Generale della NATO Manlio Brosio era personalmente alquanto scettico rispetto al senso dell’iniziativa di Harmel, temendo che il Patto di Varsavia – guidato a suo giudizio unicamente dalla propria brama espansionistica e dalla volontà di indebolire il campo occidentale ‐ si sarebbe servito di un’eventuale apertura occidentale al dialogo per cercare di minare la coesione interna dell’Alleanza Atlantica e sfruttare a proprio esclusivo vantaggio le opportunità di una distensione con gli stati della NATO; si vedano a tal proposito i suoi diari: Manlio Brosio, Diari NATO, 1964‐1972 (Bologna: Il Mulino, 2011).
3) alle relazioni tra i paesi membri (di cui fu incaricato il Belgio) e 4) agli sviluppi all’esterno dell’area della NATO (affidato all’Olanda).
Nel Rapporto finale, formulato poi accorpando i contributi delle diverse commissioni, i Ministri degli Esteri riuniti nel Consiglio Nord Atlantico assegnavano all’Alleanza, accanto al tradizionale compito della difesa collettiva, il perseguimento di una distensione politica con i paesi del blocco comunista. Per la prima volta il concetto di distensione veniva inserito formalmente in un documento ufficiale ed era elevato appunto ad obiettivo della NATO per il prossimo futuro. Proprio gli stessi paesi che si erano organizzati nel 1949 allo scopo di contenere il comunismo, diciotto anni dopo si ponevano dunque come missione comune quella di provare ad individuare un terreno di collaborazione con il Patto di Varsavia.165 Il perseguimento di un dialogo tra i due campi, come descritto nel Rapporto, auspicava la diminuzione del pericolo di errori di percezione circa i comportamenti dell’avversario, ritenuti dagli occidentali la più probabile causa di un conflitto con il blocco comunista. Quest’aspetto collocava dunque il Rapporto Harmel in una posizione di coerenza con le riflessioni relative alla strategia di sicurezza occidentale.166
Affidandosi il compito di ricercare una distensione politica nei rapporti tra i due campi, l’Alleanza Atlantica dava ascolto alle pressioni delle nazioni più piccole, che chiedevano un’attenuazione delle tensioni Est‐Ovest funzionale a creare un assetto europeo più stabile e pacifico. Così facendo si allentava almeno in parte l’egemonia statunitense nella NATO, lasciando spazio alla ricettività dell’Alleanza nei confronti degli interessi dei partner minori.167 Un aspetto
165 J. Suri, “The normative resilience of NATO”, cit., p.25.
166 Circa i collegamenti tra il Rapporto Harmel e l’elaborazione del nuovo concetto strategico della NATO si veda soprattutto: H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., in particolare qui pp.401 e segg.
167 L. S. Kaplan, NATO divided, NATO united, cit., p.43.
fondamentale diventava infatti quello delle consultazioni interne all’Alleanza, che gli stati membri si proponevano di approfondire e migliorare, al fine di “impedire che la ricerca della distensione potesse nuocere alla stessa NATO”.168
Ritenendo che non fosse più utile considerare il blocco comunista come un monolite interessato solamente alla propria espansione, l’Alleanza Atlantica espresse nel Rapporto Harmel la determinazione ad ingaggiare i paesi del Patto di Varsavia come potenziali partner in un dialogo circa un nuovo ordine europeo.
Ufficializzando il concetto di détente in un documento formalmente adottato nell’ambito della NATO, si delineava una cornice entro la quale poter far rientrare le diverse politiche nazionali che si stavano muovendo in questo campo in modo piuttosto eterogeneo. L’Alleanza, avallando un processo di “normalizzazione” dei rapporti Est‐Ovest, cercava dunque di porsi non soltanto come un garante della sicurezza comune, ma anche come un’entità in grado di promuovere una riconciliazione tra i due campi.169 Nel definire la distensione come scopo comune della NATO, quest’ultima cercava inoltre di rafforzare la propria coesione interna e di prevenire la possibilità che l’Unione Sovietica riuscisse ad applicare una temuta strategia di “distensione selettiva”, volta a dividere e indebolire il campo occidentale.170 La NATO riconosceva quindi il carattere multilaterale della distensione, ma al tempo stesso anche l’esigenza di regolamentarla e di attuarla in un quadro comune condiviso.
Il Segretario Generale della NATO Manlio Brosio non riponeva molta fiducia nel progetto di Harmel e temeva in primo luogo che, ponendo l’enfasi sulla
168 Paragrafo 7 del “Report of the NATO Council: The Future Tasks of the Alliance” (The Harmel Report), Brussels, 13‐14 Dicembre 1967, http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_26700.htm (accesso 14/09/2012).
169 J. Suri, “The normative resilience of NATO”, cit., p.24.
170 Andreas Wenger, “NATO’s transformation in the 1960s and the ensuing political order in Europe”, in A. Wenger, C. Nuenlist, A. Locher (eds.), Transforming NATO in the Cold War, cit., p.235.
détente e sull’attenuazione del pericolo sovietico, l’Alleanza si sarebbe resa responsabile di un proprio pericoloso indebolimento.171 In particolare, secondo Brosio, pensare di poter rendere in qualche modo omogeneo il processo di distensione non era altro che un “wishful thinking”, poiché in realtà ogni stato occidentale desiderava perseguire tale politica per propri individuali interessi nazionali, spesso in contraddizione con quelli degli alleati. Brosio inoltre dubitava (nel 1967 come anche negli anni seguenti) della capacità della NATO di riuscire a resistere al disegno sovietico di una distensione discriminatoria, che a suo parere implicava la legittimazione del dominio dell’URSS in Europa centro‐orientale e la continuazione altrove di una “guerra permanente sotto la soglia di un aperto conflitto”.172
Partendo dal presupposto che l’Unione Sovietica rappresentasse nella seconda parte degli anni ’60 una minaccia prevalentemente politica piuttosto che militare, il Rapporto Harmel suggeriva una nuova impostazione dei rapporti interni ed esterni alla NATO. Per affrontare nel modo più opportuno il nuovo contesto e per poter quindi legittimare il processo di distensione tra i due blocchi, il campo occidentale decise dunque di valorizzare il ruolo politico dell’Alleanza.173 Nel Rapporto si sottolineava comunque come la difesa degli stati membri della
171 Per quanto riguarda il punto di vista del Segretario Generale Manlio Brosio e il suo timore per le possibili conseguenze negative della distensione sulla NATO si veda: Bruna Bagnato, “NATO in the mid‐
‘60s: the view of Secretary‐General Manlio Brosio”, in Christian Nuenlist e Anna Locher (eds.), Transatlantic relations at stake: aspects of NATO, 1956‐1972 (Zurich: ETH Center for Security Studies, 2006), pp.165‐187; sullo stesso punto si veda anche H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., pp.325; 336.
172 Manlio Brosio, “Kann die NATO eine Entspannung überleben?”, Europa Archiv, Folge 10/1971, pp.341‐353. A proposito del concetto sovietico di distensione, a p.345 Brosio sosteneva che il campo occidentale non potesse accettare l’idea sovietica di distensione, in quanto gli scopi delle proposte sovietiche consistevano chiaramente nel “ratificare e consacrare in Europa lo status quo dei confini territoriali e della divisione tedesca e nel puntare al raggiungimento di un nuovo sistema collettivo di sicurezza, volto a liquidare la NATO e a far ritirare gli USA dall’Europa.” Per il punto di vista di Manlio Brosio si rimanda anche ai suoi già citati diari: M. Brosio, Diari NATO, 1964‐1972, cit.
173 A. Wenger, “NATO’s transformation in the 1960s and the ensuing political order in Europe”, cit., p.235; A. Wenger, “Crisis and opportunity”, cit., pp.59‐74.
NATO dalla minaccia comunista, portata avanti con successo fino a quel momento, dovesse rimanere un cardine della stessa Alleanza Atlantica, anche in una fase di allentamento delle tensioni internazionali.
Coerentemente con questa prospettiva, la NATO si proponeva quale luogo di armonizzazione delle politiche di arms control degli stati membri, cercando di farle convergere in un rinnovato progetto di sicurezza europea.174 L’esplicita assunzione di una competenza comune nel campo del controllo degli armamenti rappresentava una novità nella storia dell’Alleanza, le cui conseguenze si riscontrarono negli anni seguenti.
Il periodo dei lavori finalizzati a dar seguito alla proposta Harmel testimoniò una condivisa volontà degli stati del campo occidentale di proseguire l’esperienza dell’Alleanza Atlantica anche dopo la critica data del 1969, confermandone l’importanza e consolidandone le funzioni. Ritenendo che la propria sicurezza dipendesse non solo dalla difesa ma anche dalla distensione, i paesi membri della NATO si proposero quindi di considerare il controllo degli armamenti come una delle maggiori sfide da affrontare a partire dalla fine degli anni ‘60.175 A causa soprattutto dell’opposizione francese, si rivelò alla fine impossibile adottare formalmente i documenti specifici dei vari sottogruppi e si decise invece di approvare solamente il report finale: un testo piuttosto snello (composto da diciassette brevi punti) e dal carattere molto generale.176 Delineando un complessivo orientamento occidentale di “doppio‐binario” nei
174 A. Wenger, “NATO’s transformation in the 1960s and the ensuing political order in Europe”, cit., p.236.
175 Militärgeschichtlichen Forschungsamt, Verteidigung im Bündnis, cit., p.304.
176 U. Sahm, “Ein Rückblick auf den Harmel‐Bericht“, cit., p.12. Sullo stesso punto si veda anche:
H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., pp.399; 371; “Report of the NATO Council: The Future Tasks of the Alliance” (The Harmel Report), Brussels, 13‐14 Dicembre 1967, http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_26700.htm (accesso 14/09/2012).
confronti degli avversari,177 il Rapporto finì dunque per rappresentare una carta d’intenti dalla formula aperta che ‐ proprio grazie a tale approccio ‐ poté rimanere attuale per tutta la durata della Guerra Fredda.178 Il testo finale venne adottato e reso pubblico il 14 dicembre 1967, come annesso al comunicato del meeting di Bruxelles dei Ministri degli Esteri della NATO.