La distensione come creazione per via negoziale di un equilibrio internazionale stabile è il tema centrale dell’analisi svolta da Jeremi Suri nel libro
“Power and Protest. Global revolution and the rise of Détente”.81 Affrontando lo studio del periodo con un metodo che indaga le connessioni tra politica estera e interna degli stati protagonisti, Suri sostiene che la distensione fu essenzialmente una risposta conservatrice ai disordini interni che investivano in quegli anni numerosi stati di entrambi i blocchi.82 Suri affianca dunque al diffuso bisogno dei governi (tradizionalmente riconosciuto dagli studiosi) di porre un freno alla corsa agli armamenti e di limitare l’instabilità dell’ordine mondiale, la tesi che la distensione abbia avuto anche origini sociali e di politica interna. Secondo l’autore, infatti, i leader delle maggiori potenze, avvertendo la precarietà del proprio potere per effetto delle proteste sempre più diffuse e radicali, avevano interesse a cooperare per salvaguardare la comune sopravvivenza. Soprattutto dal punto di vista delle due superpotenze il contesto degli anni ’60 stava dunque rivelando una propria maggiore complessità rispetto al passato, poiché – nelle parole di Suri – “i cittadini assediavano i propri leader e le nazioni più piccole sfidavano l’influenza delle maggiori potenze”.83
Una gestione negoziata dell’ordine mondiale avrebbe risposto dunque a una duplice esigenza: evitare pericolose escalations che nell’era nucleare potevano condurre ad un annientamento reciproco, ma anche proteggere la
81 Jeremi Suri, Power and protest. Global revolution and the rise of detente (Harvard University Press, 2003)
82 J. Suri, Power and protest, cit., p.5.
83 J. Suri, Power and protest, cit., p.256.
propria autorità dalla sfida dei movimenti di protesta interni.84 La distensione, secondo Suri, fu pertanto un meccanismo difensivo e “controrivoluzionario” che permise ai leader di contenere le pressioni interne attraverso una gestione pragmatica (in quanto de‐ideologizzata) e condivisa delle maggiori questioni internazionali.85 In questo senso, la détente non fu un periodo in cui si iniziarono a sciogliere le tensioni della Guerra Fredda, ma al contrario rappresentò ‐ a suo avviso ‐ un prolungamento di quest’ultima, “normalizzando” lo stesso conflitto Est‐Ovest.86 Ciò sarebbe riscontrabile – secondo Suri – anche nel caso dell’Ostpolitik di Bonn la quale, nonostante le premesse originarie e l’obiettivo che si era essa stessa posta di superare la divisione del continente europeo, finì tuttavia per favorire al contrario un congelamento di tale contesto.87
Suri avanza dunque una spiegazione al fenomeno della détente che in qualche modo si può considerare complementare alle interpretazioni “più tradizionali” che abbiamo in parte già analizzato. Se infatti la maggioranza degli storici sostiene che il fondamento di un nuovo corso in politica estera in quel periodo sia da rintracciare essenzialmente nella necessità delle maggiori potenze di collaborare per una comune sopravvivenza e per gestire in modo congiunto i
84 J. Suri, Power and protest, cit., p.216. Secondo l’autore, proprio questo bisogno di stabilizzazione e “conservazione” determinava un’indifferenza nei confronti degli atti repressivi compiuti dagli avversari all’interno dei confini della propria sfera di egemonia e “controllo”.
85 J. Suri, Power and protest, cit., pp.213 e segg.; 262.
86 J. Suri, Power and protest cit., p.5; 214. L’autore ritiene che le politiche di distensione portate avanti dalle maggiori potenze (Suri prende in esame Stati Uniti, Unione Sovietica, Cina, Repubblica Federale Tedesca) durante gli anni ’70 ebbero l’effetto di cristallizzare lo status quo della Guerra Fredda, soprattutto nel contesto europeo. La tesi di Jeremi Suri sostiene infatti che, anche nei casi in cui le divisioni derivanti dal conflitto Est‐Ovest divennero meno rigide, esse assunsero tuttavia un carattere di maggiore continuità, trasformandosi in degli elementi costanti e ancora più difficilmente modificabili rispetto ai decenni precedenti. La controversa questione relativa ad una presunta legittimazione dei regimi comunisti al potere negli anni ’60, a cui in un certo senso potrebbe aver contribuito la politica di distensione del campo occidentale è affrontata in modo approfondito dal professore e giornalista inglese Timothy Garton Ash (soprattutto per quanto riguarda il caso tedesco): T. G. Ash, In Europe’s name, cit., pp.176‐215. Ash indaga e problematizza a tal proposito i concetti di liberalizzazione, stabilizzazione e destabilizzazione, normalizzazione, rivoluzione e riforma.
87 J. Suri, Power and protest, cit., p.226.
pericoli del sistema internazionale, Suri è convinto che questo paradigma dia troppo peso alla dimensione nucleare‐strategica, trascurando invece le questioni di politica interna.88 A suo giudizio, la nuova fase di relazioni internazionali che iniziò alla fine degli anni ’60 sarebbe stata originata da un bisogno di stabilità condiviso dai leader, in cui per stabilità Suri intende sia il concetto di “stabilità internazionale” sia quello di “stabilità interna”.89 Il processo di distensione – come interpretato da Suri – appare dunque come una “cospirazione” dei governi delle maggiori potenze contro i loro stessi cittadini.90
Lo stile peculiare della politica estera in uso durante gli anni della distensione (spesso segnato da una segretezza e da un distacco rispetto alle interferenze dell’opinione pubblica) viene enfatizzato e interpretato dall’autore come un elemento funzionale agli interessi dei leader, che finì tuttavia per isolare in modo pressoché irreversibile le classi dirigenti dalle loro stesse società, effetto che a giudizio di Suri sarebbe ancora osservabile nel nostro ventunesimo secolo.91 La pace costruita mediante le politiche degli anni ’60 e ’70 risulta pertanto ‐ secondo tale lettura ‐ essere un’intesa sullo status quo, destinata a durare solo per il breve lasso di tempo nel quale le proteste interne furono maggiormente difficili da gestire. L’originale studio di Jeremi Suri appare senza dubbio interessante, nonostante non risulti sempre convincente e in alcuni passaggi abusi forse di un’eccessiva generalizzazione nell’esplorare un campo d’analisi
88 Un interessante articolo scritto da Andreas Wenger e lo stesso Jeremi Suri, che combina i diversi piani d’analisi possibili nello studio della distensione è: Andreas Wenger, Jeremi Suri, “At the crossroads of Diplomatic and Social History: The nuclear revolution, dissent and Détente”, in Cold War History, vol.1, n.3 (2001), pp.1‐42.
89 J. Suri, Power and protest, cit., p.216. Suri ritiene che la minaccia di una “domestic instability”
fosse probabilmente ‐ dal punto di vista delle leadership delle maggiori potenze ‐ in certi periodi maggiore e più preoccupante di quella costituita dal rischio di un conflitto atomico.
90 J. Suri, Power and protest, cit., p.258.
91 Jeremi Suri, “Counter‐cultures: the rebellions against the Cold War order, 1965‐1975”, in Melvyn P. Leffler, Odd Arne Westad (eds.), The Cambridge History of the Cold War (Cambridge University Press, 2010), vol. 2, p.479.