3. IL RAPPORTO HARMEL: I DUE PILASTRI DELLA SICUREZZA OCCIDENTALE
3.2. Il Rapporto Harmel come framework per l’Entspannungspolitik
confronti degli avversari,177 il Rapporto finì dunque per rappresentare una carta d’intenti dalla formula aperta che ‐ proprio grazie a tale approccio ‐ poté rimanere attuale per tutta la durata della Guerra Fredda.178 Il testo finale venne adottato e reso pubblico il 14 dicembre 1967, come annesso al comunicato del meeting di Bruxelles dei Ministri degli Esteri della NATO.
particolarmente convinta della necessità di includere fin dall’inizio la Francia nel processo di discussione proposto da Harmel.181
La Repubblica Federale Tedesca si trovò poi a ricoprire un ruolo di primo piano nei lavori preliminari del Rapporto Harmel, in quanto, come si è sopra accennato, le fu assegnato il compito di guidare insieme alla Gran Bretagna una delle quattro sotto‐commissioni. Fu la Germania stessa a manifestare il proprio interesse nei confronti del gruppo di lavoro che avrebbe dovuto analizzare gli argomenti relativi ai rapporti Est‐Ovest (questione tedesca compresa) e alla sicurezza generale del continente europeo. Fonti del Ministero degli Esteri ritenevano estremamente utile che la Germania riuscisse ad aggiudicarsi la presidenza di tale commissione, per avere l’occasione di presentare direttamente agli alleati il proprio punto di vista sulla questione tedesca e su un ordinamento di pace europeo. Nonostante l’eterogeneità delle posizioni interne al governo tedesco, nell’ambiente diplomatico si poteva riscontrare un generale consenso attorno al concetto di indivisibilità della distensione e alla necessità di migliorare il processo di consultazione interno all’Alleanza Atlantica.182
In seguito alla perplessità espressa da alcuni paesi membri circa l’opportunità di affidare la prima commissione alla Germania, fu deciso infine di far guidare tale gruppo di lavoro alla BRD stessa ma congiuntamente alla Gran Bretagna, che sembrava esprimere un governo più decisamente favorevole alla distensione e maggiormente in linea con le correnti tendenze occidentali.183
181 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.398.
182 Aufzeichnung des Ministerialdirektors (d’ora in poi MD) Reute, „Stand der Harmel‐Studie”, 26/5/1967, AAPD 1967, vol.II, Dok.184, pp.785‐789; Aufzeichnung des Ministerialdirigenten (d’ora in poi MDg) Sahm, „Sitzung der Rapporteure der Harmel‐Studiengruppe am 21 Juli im Hotel Petersberg“, 25/7/1967, AAPD 1967, vol.II, Dok.282, pp.1132‐1137.
183 Nel primo gruppo di lavoro la Gran Bretagna fu rappresentata da J. H. Adam Watson, Deputy Assistant Under‐Secretary al Ministero degli Esteri; H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.331. Per quanto riguarda la situazione politica inglese in quel periodo si vedano: Gerald R. Hughes, Britain, Germany and the Cold War: the search for a European Détente. 1949‐1967 (London; New York:
L’incarico di Rapporteur per la Germania occidentale fu affidato a Klaus Schütz, politico e diplomatico socialdemocratico, che ricopriva in quel periodo il ruolo di Segretario di Stato presso il Ministero degli Esteri. La nomina di un personaggio di spicco e molto vicino al Ministro degli Esteri Brandt, come Schütz, palesava l’attenzione che la Germania occidentale cominciava a nutrire nei confronti del progetto. Il contributo della BRD ai lavori del Rapporto Harmel – peraltro ‐ non si concretizzò solo relativamente alla co‐presidenza del primo gruppo di lavoro, ma si riscontrò anche nella partecipazione di eminenti diplomatici tedesco‐
occidentali alle altre tre commissioni.
Nonostante fosse scettico relativamente agli effetti concreti che questo studio avrebbe potuto determinare, il governo di Bonn era particolarmente interessato ad una sua possibile utilità per potenziare la coesione dell’Alleanza Atlantica e farla sopravvivere anche nella fase di distensione.184 Negli ambienti del Ministero degli Esteri alcuni funzionari sollecitavano lo stesso Ministro Brandt ad esprimere un convinto appoggio nei confronti dei futuri lavori della commissione guidata da Schütz, sottolineando l’opportunità di poter avviare un’ampia discussione sui temi più urgenti della politica estera tedesca. Tra questi aspetti venivano messi in risalto la presenza di truppe statunitensi in Europa, la protezione atomica degli USA e una gestione più condivisa della sicurezza transatlantica.185
Principalmente i socialdemocratici speravano di contribuire a creare un documento comune che avrebbe potuto in seguito rappresentare un framework a
Routledge, 2007), pp.123 e segg., Sean Greenwood, Britain and the Cold War. 1945‐1991 (Basingstoke:
Macmillan, 2000), Luca Ratti, Britain, Ost‐and Deutschlandpolitik, and the CSCE. 1955‐1975 (Bern: Peter Lang Publishing, 2008), pp.23‐68.
184 H. Haftendorn, “The Harmel Report and its impact on German Ostpolitik”, cit., p.105.
185 Aufzeichnung des MDg Sahm, „Untersuchung der künftigen Aufgaben der NATO Harmel‐
Vorschlag”, 17/12/1967, geheim, AAPD 1967, vol.I, Dok. 60, pp.299‐301.
livello di alleanza, in cui poter perseguire un’innovativa idea tedesca di distensione (Entspannungspolitik). In occasione dei lavori per il Rapporto Harmel, la Germania occidentale fu tuttavia portavoce di una posizione ancora piuttosto legata a logiche tradizionali relativamente alla questione tedesca.186 Nonostante le parziali aperture nei confronti di un processo di dialogo e di cooperazione con gli stati del campo comunista, la BRD anche allora rimaneva infatti ancorata alla sua particolare posizione giuridica quale stabilita fin dalla propria fondazione, in base alla quale si dichiarava l’unica legittima rappresentante della Germania e rifiutava ogni riconoscimento anche de facto dell’assetto politico e territoriale costituitosi alla fine della Seconda Guerra Mondiale.187 Tale linea deluse in parte gli alleati, insofferenti verso la rigidità politica dei conservatori tedeschi, la quale teneva in ostaggio ogni possibilità di un’ampia distensione europea.188
Esaminando le fonti relative ai lavori delle commissioni, si può notare come l’iniziativa di Harmel divenne un’opportunità per i membri della NATO per approfondire l’analisi del contesto internazionale. Un ampio spazio venne in quest’ambito dedicato alla riflessione sul concetto di distensione, nelle sue differenti accezioni. I partecipanti rilevarono come la concezione sovietica di distensione sarebbe nel tempo entrata in contrasto con quella occidentale, a causa degli obiettivi diversi che ne erano alla base.189 Se infatti da un lato l’Unione Sovietica era interessata a una cooperazione con il campo occidentale, dall’altro lato la stessa URSS era interessata in primo luogo a consolidare la divisione
186 A. Wenger, “NATO’s transformation in the 1960s and the ensuing political order in Europe”, cit., p.238; W. G. Grewe, Rückblenden, 1976‐1951, cit., p.668.
187 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., pp.333;338.
188 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.340.
189 Entwurf: Bericht der Untergruppe 1, „I) East‐West relations, détente and European settlement;
II) The German Problem; III) Critical steps and procedures“, Allegato a: Ulrich Sahm, “Aufzeichnung:
Harmel‐Studie“, 1/9/1967, Politisches Archiv des Auswärtigen Amts, Berlin, (d’ora in poi PA AA), B 40, Bd.146, pp.294 e segg; Gespräch des BM Brandt mit Generalsekretär Brosio, NATO, 20/7/1967, geheim, AAPD 1967, vol.II, dok.274 pp.1107‐1110.
bipolare del continente e temeva dunque che un’eccessiva apertura nelle relazioni tra i due blocchi avrebbe potuto mettere in pericolo la solidità del Patto di Varsavia.
Nelle discussioni all’interno della prima commissione sembrava cominciare a profilarsi ‐ soprattutto nelle opinioni degli europei ‐ l’idea che, sebbene un periodo di allentamento delle tensioni avrebbe fornito opportunità politico‐
economiche vantaggiose per tutti gli stati d’Europa, nel lungo periodo i risvolti più interessanti avrebbero potuto essere sfruttati dal campo occidentale. Questa ipotesi si fondava sull’opinione che, grazie alla distensione (definita “fluctuating process” nel rapporto della commissione), il dominio sovietico si sarebbe probabilmente indebolito nel contesto di società europee più aperte e connesse tra loro. Tale concezione prefigurava il ruolo dinamico svolto poi dai paesi dell’Europa occidentale nell’ambito della CSCE, la cui convocazione veniva tuttavia da loro stessi considerata nel 1967 ancora in modo molto critico. Da parte tedesca, almeno per tutta la durata in carica del governo di Grande Coalizione, continuò a prevalere la valutazione che reputava la proposta sovietica di una conferenza per la sicurezza e cooperazione europea prematura e pericolosa per la Germania occidentale.190
Le discussioni della Commissione Watson‐Schütz evidenziarono sensibili sfumature tra le posizioni dei partecipanti. Alcuni funzionari tedeschi lamentavano un eccessivo ottimismo da parte del rappresentante britannico nei confronti delle prospettive di distensione e sottolineavano l’esigenza di dedicare la dovuta attenzione agli obiettivi dell’Unione Sovietica e al potenziale militare di
190 MD Hans Ruete, (Direttore del Dipartimento Politico II del Ministero degli Esteri), „Europäische Sicherheit“, 26/3/1968, PA AA, B 14‐II A7, Bd.1188.
quest’ultima, in continuo aumento.191 La posizione negoziale tedesca dimostrava ancora una volta come la Grande Coalizione rappresentasse un difficile equilibrio tra gli interessi dei diversi partiti e non potesse ancora attuare svolte significative nella politica estera della BRD.
Nel corso delle discussioni relative al Rapporto Harmel si possono infatti riscontrare spiccate differenze all’interno del contesto politico tedesco‐
occidentale.192 Ulrich Sahm ‐ direttore del dipartimento politico II‐A presso il Ministero degli Esteri ‐ subentrò a Klaus Schütz nell’ottobre del 1967, quando quest’ultimo divenne sindaco di Berlino Ovest. In alcuni documenti Sahm mise in luce come la complessa situazione interna della BRD rendesse particolarmente difficile il compito di rappresentare una posizione coerente e condivisa dalle forze politiche tedesche e farla valere nel rapporto con gli alleati. A tal proposito è opportuno citare le sue stesse parole:
Il delegato si trovava di fronte ad una situazione in cui doveva rappresentare il punto di vista del proprio governo, nonostante talvolta un tale punto di vista non esistesse veramente, a causa delle contraddizioni interne. (…) Nel governo (della BRD) erano evidenti i contrasti tra le posizioni politiche del Cancelliere Kiesinger e quelle del Ministro degli Esteri Brandt. Kiesinger e la CDU/CSU sostenevano allora una prudente apertura delle relazioni con i paesi dell’Europa dell’Est, ma senza voler includere contemporaneamente nelle discussioni i principi di base della questione tedesca. (…) Kiesinger era disponibile a cambiamenti dello status quo solo nel caso in cui avessero portato a progressi nell’ambito della riunificazione. Anche Brandt era favorevole ad un cambiamento dello status quo, ma come processo dinamico verso una fondamentale trasformazione delle relazioni della BRD con tutti i paesi del Patto di Varsavia, nell’idea che un miglioramento delle condizioni generali europee avrebbe favorito un superamento della questione tedesca.193
191 Si vedano ad esempio queste note di Ulrich Sahm: Ulrich Sahm, Aufzeichnung „Sitzung der Untergruppe 1 des Harmel‐Ausschusses am 27‐28 Juni 1967 im NATO‐Gebäude Paris“, 10/7/1967, PA AA, B 40, Bd.146, pp.57‐58; Aufzeichnung des MDg Sahm, „Sitzung der Rapporteure der Harmel‐
Studiengruppe am 21 Juli im Hotel Petersberg“, 25/7/1967, AAPD 1967, vol.II, Dok.282, pp.1132‐1137.
192 H. Haftendorn, “The Harmel Report and its impact on German Ostpolitik”, cit., p.106.
193 U. Sahm, “Ein Rückblick auf den Harmel‐Bericht“, cit., pp.13‐14.
Il Ministro degli Esteri Brandt cercava dunque di affermare una politica in favore del perseguimento di una distensione generale europea nel presente come premessa per la ricerca di una soluzione della questione tedesca, ma si trovava spesso in contrasto con le posizioni espresse dalla Cancelleria e dai funzionari più conservatori presenti nello stesso Ministero.194 Grewe ‐ ad esempio ‐ temeva che, a causa di una possibile accentuazione dei differenti punti di vista nazionali, una discussione troppo articolata su tali temi potesse avere delle conseguenze negative su un’Alleanza Atlantica da lui giudicata meno coesa e pericolosamente indebolita rispetto al decennio precedente.195
Gli stati della NATO, dal loro punto di vista, erano sempre più restii a sostenere la linea politica della BRD, che ufficialmente si basava ancora sulla
“dottrina Hallstein” e sul rifiuto di riconoscere lo status quo, mentre la Germania occidentale faceva fatica ad esprimere una nuova posizione coerente su come gestire i rapporti con i paesi dell’Est.196
Nell’analizzare i comportamenti dei paesi membri della NATO in questo periodo, si può inoltre notare un dilemma relativamente al rapporto con la Germania. Dal punto di vista degli alleati della BRD, un eventuale cambiamento nella politica estera tedesco‐occidentale veniva considerato allo stesso tempo con sollievo e con sospetto.197 Se infatti da una parte veniva spesso avanzato il timore
194 Come si vedrà anche relativamente alla questione dell’adesione della Germania occidentale al Trattato di Non Proliferazione nucleare ‐ oltre all’ambasciatore Grewe ‐ particolarmente attivo nel rappresentare una linea conservatrice all’interno del Ministero degli Esteri era l’ambasciatore Swidbert Schnippenkötter, direttore del Dipartimento Politico II‐B e incaricato speciale del governo sulle questioni di disarmo e arms control. H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.334.
195 Bo. Grewe, Paris (NATO), an das AA, „Harmel‐Studie, Bewertung“, 22/8/1967, AAPD 1967, vol.II, Dok.307, pp.1215‐1218.
196 U. Sahm, “Ein Rückblick auf den Harmel‐Bericht“, cit., p.15.
197 Gottfried Niedhart, “Ostpolitik and its impact on the Federal Republic’s relationship with the West” in Wilfried Loth, Georges‐Henri Soutou (eds.), The making of Détente. Eastern and Western Europe in the Cold War. 1965‐1975 (London; New York: Routledge, 2008), p.119.
che la Repubblica Federale Tedesca continuasse a frenare l’auspicata distensione europea, dall’altra parte si esprimeva la preoccupazione opposta, vale a dire che la BRD, facendosi fautrice di una normalizzazione dei rapporti con i paesi dell’Est, potesse essere tentata da atteggiamenti neutralisti.198 I principali esponenti dell’SPD da parte loro cercavano di sfatare quest’ultimo timore, assicurando gli alleati che una politica tedesca di distensione non avrebbe messo in pericolo in alcun modo la solidità della NATO.
In occasione di una testimonianza sul Rapporto Harmel, Ulrich Sahm sottolineò come il risultato del contributo tedesco fu un compromesso piuttosto piatto che, “mancando di audacia”, non soddisfece pienamente né gli alleati, né lo stesso Ministero degli Esteri.199 Il documento finale del gruppo di lavoro a guida anglo‐tedesca era infatti un testo accuratamente bilanciato tra differenti posizioni, in cui, sebbene la distensione Est‐Ovest venisse presentata come un obiettivo per il prossimo futuro, soprattutto relativamente alla questione tedesca non si esponevano in maniera chiara e condivisa le possibili misure da adottare.200 A causa della mancanza di consenso all’interno della commissione, fu deciso che il testo avrebbe dovuto essere considerato una dichiarazione personale dei due Rapporteurs, la cui responsabilità finale veniva assunta solamente dai reciproci governi.201
Il carattere di compromesso che il Report assunse relativamente alla situazione tedesca è riscontrabile anche nella versione finale del documento
198 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.341.
199 U. Sahm, “Ein Rückblick auf den Harmel‐Bericht“, cit., pp.14‐15. Si veda anche H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.338.
200 “Updated version of sub‐group 1 Final report: East West Relations, Détente and a European Settlement, (November 1967)”, disponibile online, http://www.nato.int/cps/en/natolive/80986.htm (accesso 25/9/2012).
201 H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.342.
comune, ad esempio quando si dice che: “non sarà possibile una sistemazione finale e stabile in Europa, senza una soluzione per la questione tedesca, che giace al centro delle attuali tensioni nel continente.”202 Tale formulazione era piuttosto vaga, non lasciando intendere con chiarezza l’ordine temporale tra i diversi obiettivi: sarebbe stato necessario prima cercare di risolvere la questione tedesca e poi eventualmente lavorare ad una distensione europea (come avevano sempre sostenuto i conservatori) o viceversa l’allentamento delle tensioni in Europa avrebbe favorito un’evoluzione della situazione tedesca?
Willy Brandt ‐ prima come Ministro degli Esteri e in seguito come Cancelliere ‐ trovò comunque nel Rapporto Harmel un’utile cornice transatlantica nella quale inserire la propria politica di distensione. Richiamandosi al documento della NATO, Brandt poteva infatti perseguire la propria innovativa linea politica e rassicurare al tempo stesso gli alleati circa la determinazione tedesca di rimanere fedele al percorso tracciato collettivamente in quell’occasione. Secondo Helga Haftendorn, la Entspannungspolitik di Brandt non sarebbe stata addirittura realizzabile senza l’esperienza preliminare dell’Esercizio Harmel.203
Dal punto di vista tedesco, il lavoro per il Rapporto Harmel fu utile in primo luogo per creare un forum di discussione con gli alleati sul tema delle relazioni Est‐Ovest, che stava diventando di estrema attualità nel 1967.204 All’interno della
202 Paragrafo 8 del “Report of the NATO Council: The Future Tasks of the Alliance” (The Harmel Report), Brussels, 13‐14 dicembre 1967, http://www.nato.int/cps/en/natolive/official_texts_26700.htm (accesso 14/09/2012).
203 H. Haftendorn, “The Harmel Report and its impact on German Ostpolitik”, cit., pp.110‐111;
l’importanza della “copertura politica” del Rapporto Harmel ai fini dell’Ostpolitik tedesca è sottolineata anche in Kori N. Schake, “NATO strategy and the German‐American relationship”, in Detlef Junker (ed.), The United States and Germany in the era of Cold War, 1945‐1990. A handbook, vol.2, 1968‐1990 (New York: Cambridge University Press, 2004), p.135.
204 “Speech by BM Willy Brandt at the NATO Ministerratstagung”, Brüssels, 14/12/1967, WBA – AdsD, A 3, 267. A proposito della necessità di continuare, anche dopo l’Esercizio Harmel, a considerare l’Alleanza Atlantica come una cornice all’interno della quale formulare la politica estera, Brandt diceva: “E’
essenziale che l’Alleanza sia un framework entro il quale scambiarsi opinioni e sviluppare una volontà
stessa Germania occidentale l’iniziativa di Harmel rappresentò poi un’occasione per mettere in luce le posizioni delle diverse anime della Grande Coalizione e per contribuire a dare impulso alle idee socialdemocratiche che, almeno come base, apparivano più in linea con il desiderio di maggiore flessibilità degli altri membri dell’Alleanza Atlantica. Infine, facendo riferimento al Rapporto Harmel, i fautori di una distensione presenti nella classe politica tedesco‐occidentale riuscirono a respingere in parte le accuse di danneggiare l’Alleanza rivolte loro dalla CDU‐CSU e ad aumentare di conseguenza il proprio fragile consenso interno. Sebbene dunque il Report fosse piuttosto generico nella sostanza, il fatto stesso che in un documento della NATO si nominasse la distensione serviva a costruire proprio quel necessario framework di multilateralismo di cui Brandt e Bahr avevano bisogno.
Nel dibattito parlamentare che ebbe luogo al Bundestag pochi giorni prima dell’approvazione ufficiale del Report, il Ministro degli Esteri Brandt dedicò ampio spazio proprio ad illustrare il lavoro svolto dai paesi NATO nell’ambito dell’iniziativa belga.205 Cercando di avvalorare un’interpretazione del Rapporto Harmel che fosse funzionale a riservare un ruolo attivo per la BRD, Brandt sosteneva che tale documento intendeva creare le basi per definire delle misure realistiche e prive di illusioni miranti al controllo degli armamenti. Nel presentare i due pilastri che avrebbero dovuto sostenere la sicurezza occidentale,206 nei confronti dei quali grande risalto veniva dato a quello della distensione, Brandt metteva comunque in guardia la classe politica tedesca contro sviluppi
politica, e in cui i diversi pareri vengano affrontati in un modo che non limiti allo stesso tempo l’iniziativa individuale”.
205 BM Willy Brandt, “Verteidigungspolitischen Debatte vor dem Deutschen Bundestag. 141.
Sitzung“, 7/12/1967, WBA – AdsD, A 3, 267.
206 In tale occasione Brandt li definiva in questo modo: “Il tetto della sicurezza è poggiato su due colonne: le opportune misure per la deterrenza e la difesa, e la disponibilità a misure reciproche di arms control e disarmo”, BM Willy Brandt, “Verteidigungspolitischen Debatte vor dem Deutschen Bundestag, 141. Sitzung“, 7/12/1967, WBA – AdsD, A 3, 267.
precipitosi, ribadendo come l’evoluzione del contesto europeo fosse invece da considerarsi in una prospettiva di lungo periodo.
I socialdemocratici ritenevano appunto che un approccio comune più disponibile del passato nei confronti della distensione e del controllo degli armamenti, quale espresso nel testo sui futuri compiti dell’Alleanza, avrebbe favorito in primo luogo gli interessi di sicurezza degli stessi tedeschi.207 Il Rapporto Harmel sembrava infatti riuscire a conciliare finalmente i due settori della politica estera tedesco‐occidentale, ovverosia la Westpolitik (consistente nella consolidata partecipazione della BRD all’interno dell’Alleanza Atlantica) e la Ostpolitik (vale a dire il suo rapporto, in evoluzione, con i paesi del Patto di Varsavia).208
Negli anni seguenti, il Report divenne inoltre un elemento sensibile per misurare le differenze tra i partiti politici tedeschi. Se infatti nel documento veniva accordato un uguale peso alla distensione e alla difesa nel quadro di una sicurezza europea, le diverse forze politiche tedesche cercavano tuttavia di interpretarlo secondo la propria convenienza, accentuando di volta in volta ora l’aspetto della difesa ora quello della distensione.209 Tali atteggiamenti si riflettevano inevitabilmente nel rapporto degli stessi partiti politici in questione con gli Stati Uniti, i quali cominciarono a temere che un eccessivo sbilanciamento
207 W. Hanrieder, Germany, America, Europe, cit., p.99.
208 H. Haftendorn, Coming of age, cit., p.239.
209 Matthias Zimmer, “The German political parties and the United States”, in Detlef Junker, (ed.) The United States and Germany in the era of Cold War, 1945‐1990, A handbook, vol.2, 1968‐1990 (New York: Cambridge University Press, 2004), pp.89 e segg; sull’importanza del Rapporto Harmel nel contesto politico della BRD si veda anche: T. G. Ash, In Europe’s name, cit., p.41, in cui Ash descrive come il Rapporto Harmel divenne un documento molto citato dalla classe politica tedesco‐occidentale, venendo a rappresentare la “bibbia delle relazioni Est‐Ovest”. Nel contempo Ash evidenzia come, nel quadro della formula generale dello stesso Report, la difesa e la distensione potevano venire definite in modi diversi, in modo dunque strumentale rispetto alla prospettiva che si intendeva avanzare.
della BRD nei confronti della distensione avrebbe potuto nuocere ai propri interessi.
Il collegamento che venne stabilito nel dicembre 1967 tra la dimensione politica e quella militare della sicurezza europea era peraltro coerente con l’evoluzione politica in atto in Germania occidentale.210 I documenti risalenti al 1967 sottolineano infatti come soprattutto Brandt e Bahr ritenessero che le condizioni internazionali della metà degli anni ’60 rendevano immaginabile una graduale riduzione del confronto politico‐militare con il Patto di Varsavia, da attuarsi auspicabilmente in accordo con tutto il campo occidentale. A tal proposito, in un testo dell’estate 1967 che riprendeva precisamente le parole del rapporto prodotto dalla Commissione Watson‐Schütz, Willy Brandt scriveva:
La NATO e la Entspannungspolitik non sono alternative che si escludono a vicenda. (…) Diminuendo l’efficacia della NATO si ridurrebbero anche le basi per la Entspannungspolitik. La deterrenza militare ha assicurato la pace in Europa. Sarebbe sconsiderato danneggiarla e mettere in gioco quello che è stato raggiunto finora.211
L’Esercizio Harmel assurse rapidamente a pietra miliare nella storia dell’Alleanza Atlantica, malgrado il suo spirito fosse presto oscurato ‐ peraltro solo temporaneamente ‐ dagli eventi dell’estate 1968. Nell’agosto 1968 la brutale repressione sovietica della Primavera di Praga evidenziò il carattere ancora aggressivo del campo comunista, confermando per la NATO l’impossibilità di illudersi nei confronti delle intenzioni del Patto di Varsavia e la necessità di mantenere di conseguenza una forte difesa militare.212 Il tema della crisi
210 “Entwurf: Regierungserklärung für die Verteidigungsdebatte des Deutsche Bundestages am 6/12/1967“, 4/12/1967, Dep. Bahr ‐ AdsD, 1/EBAA001060 (ex 401), A 10; W. Hanrieder, Germany, America, Europe, cit., pp.20‐21.
211 Willy Brandt, “Entspannungspolitik mit langem Atem. Das Erreichte sichern und eine dauerhafte, gerechte Friedensordnung in Europa errichten“, Articolo per Außenpolitik, agosto 1967, WBA – AdsD, A 3, 258.
212 Helmut Schmidt, “Konsequenzen der Breshnew‐Doktrin”, 21/1/1969, HSA – AdsD, 1/HSAA008088 (Militaria), Bd.8.