2. UNA NUOVA STRATEGIA PER LA NATO: LA “RISPOSTA FLESSIBILE” COME ADATTAMENTO AL MUTATO CONTESTO INTERNAZIONALE
2.1. Crisi di credibilità statunitense e necessità di un ripensamento strategico nella NATO
Il 12 dicembre 1967 il Defence Planning Committee della NATO, riunitosi a Bruxelles, adottò ufficialmente una nuova dottrina strategica, che divenne poi nota con il nome di “Risposta Flessibile”.52 Il nuovo “Overall Strategic Concept for the Defence of the NATO Area”, formalmente definito “MC 14/3”, era il prodotto di anni di riflessioni e dibattiti interni alla NATO, miranti a cercare di adattare la dottrina strategica in vigore ai mutamenti del sistema internazionale.53
51 Timothy Garton Ash, In Europe’s name: Germany and the divided continent (London: Vintage, 1994) p. 53; W. F. Hanrieder, Germany, America, Europe, cit., pp.350‐354.
52 Per evitare confusione con alcuni precedenti aggiornamenti strategici, che auspicavano già una maggiore flessibilità, Beatrice Heuser la definisce invece “Flexible Escalation”; si veda a tal proposito: B.
Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., pp.52 e segg. Qui si è scelto tuttavia di utilizzare la formula più comune di “Flexible Response”. La formulazione della nuova strategia si trovava già espressa nella Ministerial Guidance approvata il 9 maggio 1967 a Parigi dai Ministri della Difesa della NATO. Dopo l’adozione ufficiale da parte del DPC NATO (Defence Planning Committee) nel dicembre dello stesso anno, la versione finale di tale documento sul nuovo Concetto Strategico ‐ che abrogò e sostituì ufficialmente la dottrina di Rappresaglia Massiccia (“MC 48”) ‐ fu infine resa pubblica il 16 gennaio 1968.
53 Sul cambiamento di strategia della NATO da Rappresaglia Massiccia a Risposta Flessibile si vedano soprattutto: H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit.; B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG. Nuclear strategies and forces for Europe, cit.; J. E. Stromseth, The origins of flexible response.
La definizione di una linea strategica è determinata dalla percezione di una minaccia e dalla conseguente pianificazione di una difesa credibile ed efficace per contrastarla.54 Analizzare l’evoluzione della strategia ufficiale della NATO nel corso della Guerra Fredda significa quindi in primo luogo avere a che fare con un processo di adattamento della stessa strategia rispetto alle minacce politiche e militari percepite dall’Alleanza. Tali minacce a loro volta non sono statiche, dipendendo direttamente dalle potenzialità e dalle intenzioni degli avversari, che sono elementi dinamici e che possono inoltre essere soggetti a diverse interpretazioni.55
Dopo l’utilizzo delle bombe atomiche americane sul Giappone alla fine della seconda guerra mondiale e il conseguente ingresso del mondo nell’era nucleare, divenne presto evidente che, proprio per evitare una nuova guerra in cui tali armi avrebbero potuto essere usate, una strategia efficace si sarebbe dovuta basare sul concetto di deterrenza più che su quello di difesa.56 Per deterrenza si intende il proposito di servirsi della struttura militare di uno stato non tanto per respingere un’aggressione, quanto piuttosto per cercare di prevenirla, minacciando una reazione dai costi inaccettabili per il potenziale
NATO’s debate over strategy in the 1960s, cit.; C. Bluth, Britain, Germany and Western nuclear strategy, cit.; utili per un inquadramento di ampio respiro circa la situazione della NATO durante la distensione sono poi il volume collettaneo: Andreas Wenger, Christian Neunlist, Anna Locher (eds.), Transforming NATO in the Cold War: challenges beyond deterrence in the 1960s (USA and Canada: Routledge, 2007), e l’articolo:
Andreas Wenger, “Crisis and opportunity: NATO’s transformation and the multilateralization of détente, 1966‐1968”, in Journal of Cold War Studies, vol.6, n.1 (Winter 2004), pp.22‐74.
54 Beatrice Heuser, “The development of NATO’s nuclear strategy”, in Contemporary European History, vol.4, n.1 (1994), pp.37‐66.
55 B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., pp.1; 6‐7. Heuser sottolinea la centralità degli elementi di capabilities e intentions dell’aggressore ai fini di un’accurata analisi delle minacce.
56 B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., p.27.
aggressore.57 Una difesa teoricamente plausibile rappresenta dunque un aspetto fondamentale della deterrenza.58
Fino al 1967 la dottrina strategica della NATO si basava ancora formalmente sul concetto di “Massive Retaliation” o “Rappresaglia Massiccia”, adottato nel 1954 con la sigla di “MC 48”59 e non più credibile nelle condizioni internazionali della seconda metà degli anni ’60. Tale strategia era stata formulata con lo scopo di valorizzare la superiorità statunitense nel campo nucleare e di contenere i costi della difesa convenzionale. Secondo la Rappresaglia Massiccia, la NATO (servendosi degli armamenti strategici USA) avrebbe dovuto rispondere con un attacco nucleare rapido e massiccio ad un’eventuale aggressione da parte del Patto di Varsavia, di qualsiasi entità essa fosse stata.60 Questo schema sembrava essere ‐ all’inizio degli anni ’50 ‐ l’unica rassicurazione credibile che gli Stati Uniti avessero potuto offrire agli alleati europei, in quanto era nota la superiorità convenzionale del campo comunista rispetto alle corrispondenti forze occidentali stanziate in Europa.61 Il contesto nucleare strategico di quel periodo era invece ancora talmente asimmetrico a vantaggio degli USA rispetto all’Unione Sovietica da rendere credibile ed efficace il paradigma di una massive retaliation nucleare.
57 Leopoldo Nuti, La sfida nucleare. La politica estera italiana e le armi atomiche. 1945‐1991 (Bologna: Il Mulino, 2007), p.74. Sul concetto di deterrenza si veda anche: Roberto Gaja, Introduzione alla politica estera dell’era nucleare. 1945‐1985 (Milano: Franco Angeli, 1987), pp.22‐23. L’autore definisce a p.22 la deterrenza come una strategia che “tende a paralizzare l’avversario con la minaccia di infliggergli danni superiori ai vantaggi che egli può trarre dalla sua azione”.
58 J. E. Stromseth, The origins of Flexible Response, cit., p. 5.
59 I principi fondamentali della strategia di Risposta Flessibile furono enunciati nel documento MC/48, approvato in ambito NATO nel 1954. La versione complessiva e finale di tale concetto strategico fu però emanata solo nel 1957.
60 Marc Trachtenberg, A constructed peace. The making of the European settlement 1945‐1963 (Princeton: Princeton University Press, 1999), p.159.
61 B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., p.37.
Durante gli anni ’60, tuttavia, la dottrina di Rappresaglia Massiccia divenne sempre più criticata e svuotata del suo significato a causa di due processi: il progresso tecnologico sovietico e il mutamento della percezione occidentale della minaccia comunista. Gli sviluppi dell’Unione Sovietica nell’ambito militare‐
tecnologico avevano ridotto considerevolmente il vantaggio competitivo nucleare della NATO e sfatato il mito di invulnerabilità del territorio statunitense. La nuova tecnologia nel campo dei missili a lungo raggio (Intercontinental Ballistic Missiles ‐ ICBM) in possesso dell’URSS aveva infatti reso concreta già dalla fine degli anni
‘50 la possibilità di colpire gli USA dalle basi sovietiche e aveva pertanto imposto un riesame del concetto di deterrenza finora abbracciato dall’Alleanza Atlantica.62 L’impegno di una reazione massiccia nucleare a qualsiasi aggressione sovietica, formalizzato dagli Stati Uniti ai propri alleati in un periodo di effettiva superiorità rispetto all’altra superpotenza, era infatti seriamente minato dalla possibilità che l’Unione Sovietica rispondesse a sua volta con un attacco al territorio stesso degli USA.
L’equilibrio del terrore, basato sul concetto di Mutual Assured Destruction (efficacemente abbreviato in “MAD”), rendeva estremamente pericoloso lo scoppio di qualsiasi tipo di ostilità, a causa della possibilità di innescare un processo di escalation difficilmente controllabile.63 Il paradigma di Rappresaglia
62 Negli Stati Uniti la ricaduta psicologica dei progressi tecnologici e militari sovietici della fine degli anni ’50 fu fortissima, sia sulla classe dirigente sia sull’opinione pubblica (del 1957 sono il lancio del primo satellite artificiale “Sputnik” da parte dei sovietici e il raggiungimento di una capacità missilistica intercontinentale dell’URSS). John Lewis Gaddis sostiene che lo shock provocato dallo Sputnik sovietico eguagliava per gli Stati Uniti solo quelli relativi a Pearl Harbor e alla Guerra di Corea. John Lewis Gaddis, Strategies of containment. A critical appraisal of postwar American National Security Policy (Oxford:
Oxford University Press, 1982), p.182. Si veda anche: B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., pp.16‐17, in cui l’autrice definisce il 1957 come uno spartiacque nella Guerra Fredda e nelle relazioni transatlantiche, proprio a causa delle conseguenze dei grandi progressi militari e tecnologici sovietici.
63 Sono chiare in tal senso le parole di Beatrice Heuser: “If both sides, (as was assumed in MC/48) followed this strategy of striving to deliver a large portion of their accumulated stockpiles of atomic weapons as rapidly and effectively as possible in an effort to neutralize the opponent’s atomic delivery capability, they were more likely to unleash Armageddon than to prevent it”, B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., p.35.
Massiccia della NATO dunque non sembrava più né efficace nell’eventualità di un conflitto, né tantomeno credibile nei confronti dei partner europei. Se infatti nell’ambito dell’autodifesa la minaccia di una ritorsione nucleare massiccia manteneva una sua plausibilità, il problema della credibilità entrava invece seriamente in gioco proprio per quanto riguardava la cosiddetta “extended deterrence”, ovverosia la difesa che gli Stati Uniti, in quanto potenza egemone della NATO, garantivano agli alleati.64 Lo storico americano Marc Trachtenberg ritiene a tal proposito che, nel contesto internazionale della metà degli anni ’60, la deterrenza nucleare come precedentemente intesa rappresentasse per le amministrazioni statunitensi qualcosa di simile ad una “finzione”.65 Come si usava dire in quel periodo: avrebbero gli Stati Uniti rischiato la distruzione di New York per difendere una delle capitali europee?
Come si è sopra accennato, parallelamente agli sviluppi militari‐tecnologici sovietici, si può riscontrare un cambiamento per quanto riguarda la percezione della minaccia comunista da parte degli stati occidentali. In seguito all’evoluzione della politica sovietica dell’era post‐stalinista e allo scisma sino‐sovietico,66 nel campo occidentale si cominciò ad incrinare la concezione dell’avversario quale
64 B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., p.38; un esame dell’evoluzione strategica della NATO che pone al centro le complessità relative al concetto di “extended deterrence” è poi quello di:
Christoph Bluth, “Reconciling the irreconcilable: Alliance politics and the paradox of Extended Deterrence in the 1960s”, in Cold War History, vol.1, n.2 (2001), pp.73‐102.
65 Scrive Trachtenberg: “The assumption was that nuclear deterrence was something of a sham.
The United States would never launch a full‐scale nuclear attack on the Soviet Union in the event of a European war.”, in Marc Trachtenberg, The Cold War and after. History, theory, and the logic of International Politics (Princeton, New Jersey: Princeton University Press, 2012), p.166.
66 Dopo una crescente tensione durante tutti gli anni ’60 nelle relazioni tra l’Unione Sovietica e la Cina comunista, la conflittualità tra i due stati ebbe il suo apice negli scontri armati di confine avvenuti nel marzo del 1969 presso il fiume Ussuri. Per quanto riguarda la politica estera cinese durante la Guerra Fredda si rimanda a: Chen Jian, Mao’s China and the Cold War (Chapel Hill; London: The University of North Carolina Press, 2001); specifici invece sullo scisma sino‐sovietico sono: Lorenz M. Lüthi, The Sino‐
Soviet split. Cold War in the communist world (Princeton, New Jersey: Princeton University Press, 2008);
Sergey Radchenko, “The Sino‐Soviet split”, in Melvyn P. Leffler, Odd Arne Westad (eds.), The Cambridge History of the Cold War, vol. II, Crisis and Détente (Cambridge, New York: Cambridge University Press, 2010), pp.‐349‐372.
coeso sistema monolitico mirante ad una continua espansione del comunismo tramite metodi aggressivi. La cresciuta frammentazione del campo comunista e la propaganda sovietica in direzione di una coesistenza pacifica tra i due blocchi contribuirono a dare impulso ad uno sviluppo politico‐strategico occidentale che si discostava dai presupposti della Rappresaglia Massiccia.67
In particolare, la preoccupazione per l’eventualità di poter innescare un conflitto nucleare a causa di errori di valutazione relativi alle intenzioni dell’avversario, spinse politici ed esperti a sondare una possibile differenziazione del tipo di risposta che la NATO avrebbe dovuto attuare in caso di attacco nemico.
Inoltre, dal punto di vista occidentale, sembrava progressivamente sempre meno verosimile la prospettiva di un attacco generale nucleare a sorpresa da parte del Patto di Varsavia (la cosiddetta “all‐out nuclear war”), che era stata considerata l’ipotesi di conflitto più probabile dal dopoguerra in poi.68
Tale percezione derivava essenzialmente dall’aumento del potere distruttivo delle armi nucleari e dall’accresciuta consapevolezza generale degli effetti derivanti dall’utilizzo di queste armi, che rendevano apocalittico e controproducente anche per lo stesso aggressore lo scenario di un massiccio scambio nucleare. Cambiando la prospettiva di un eventuale attacco sovietico in direzione di più verosimili guerre limitate (per obiettivi, estensione geografica e natura delle armi utilizzate), si doveva necessariamente modificare anche la risposta che gli occidentali intendevano predisporre come strategia di deterrenza e difesa. La diversa percezione dello scenario bellico più probabile concorse dunque anche essa al mutamento del paradigma strategico della NATO.
67 J. L. Gaddis, Strategies of containment, cit., pp.210 e segg.
68 B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., pp.9‐15; H. Haftendorn, NATO and the nuclear revolution, cit., p.60.
La strategia di Risposta Flessibile si basava essenzialmente sull’idea di una molteplicità di opzioni possibili per rispondere ad un eventuale attacco nei confronti dell’Alleanza Atlantica, in base all’entità stessa dell’aggressione subita.69 Prendendo in considerazione un tipo di risposta maggiormente “simmetrico” per far fronte ad un attacco, ci si discostava dunque in modo significativo dall’automaticità dell’impiego di armi nucleari presente invece nel concetto di Rappresaglia Massiccia.70 Il paradigma precedente finiva per implicare infatti la scelta paradossale tra due opzioni opposte e assolute, ovverosia un’assenza di reazione all’aggressione del nemico (e quindi una resa ed un’umiliazione) o un’immediata escalation, scatenata da una risposta ad un livello che poteva essere anche superiore alla provocazione originaria.71 Le linee stabilite formalmente nel 1967 si basavano invece su una risposta commisurata alla natura dell’aggressione, che solo deliberatamente e in un secondo momento avrebbe potuto dar luogo ad una escalation nucleare.72
Il percorso per arrivare all’enunciazione formale della nuova dottrina strategica fu lungo e complesso. La determinazione della strategia nell’ambito
69 Uno schema utile per avere una visione d’insieme delle principali differenze tra Rappresaglia Massiccia e Risposta Flessibile si trova in: Christian Tuschhoff, Deutschland, Kernwaffen und die NATO, 1949‐1967. Zum Zusammenhalt von und friedlichem Wandel in Bündnissen (Nuclear History Program ‐ Internationale Politik und Sicherheit; Stiftung Wissenschaft und Politik SWP; Baden Baden: Nomos Verlagsgesellschaft, 2002), p.219.
70 Per un’analisi delle strategie degli Stati Uniti in tutto l’arco temporale della Guerra Fredda in base ai concetti di asimmetria o simmetria rispetto all’ipotetica aggressione si veda: J. L. Gaddis, Strategies of containment, cit. In particolare si vedano le pp.213‐232, sul carattere di spiccata simmetria insito nell’idea statunitense di Risposta Flessibile.
71 J. E. Stromseth, The origins of Flexible Response, cit., p.3, in cui l’autrice definisce tale situazione come “the suicide or surrender dilemma of NATO”; e B. Heuser, NATO, Britain, France and the FRG, cit., p.39, che invece descrive la Massive Retaliation come una “all‐or‐nothing‐strategy”. Su questo punto si veda anche: J. L. Gaddis, Strategies of containment, cit., p.214.
72 Nel MC 14/3, l’escalation veniva definita proprio “deliberate escalation”. Tale espressione significava appunto l’intenzione di innalzare l’intensità e il livello di conflitto solo gradualmente e deliberatamente, tramite “escalatory steps”, aumentando progressivamente la minaccia di usare armi nucleari. Questa strategia doveva servire a cercare di mantenere il controllo sul processo, ad evitare una rapida degenerazione del conflitto e a far ricadere sull’aggressore la responsabilità dell’eventuale escalation; “NATO MC 14/3”, disponibile online: http://www.nato.int/docu/stratdoc/eng/a680116a.pdf.
dell’Alleanza Atlantica fu infatti anche l’occasione attraverso la quale gli stati cercarono di far valere i propri interessi nazionali e di affermare il proprio status politico all’interno della stessa alleanza.73 Il risultato finale fu una definizione piuttosto ambigua, frutto di un faticoso compromesso tra i membri della NATO, le cui posizioni spesso non coincidevano.74
Probabilmente fu proprio la sua evidente ambiguità che permise agli stati membri della NATO (ad eccezione della Francia, uscita l’anno precedente dal sistema integrato di difesa) di far convergere le loro posizioni e di adottare il nuovo concetto strategico.75 L’adozione della nuova dottrina fu forse un evento più rilevante dal punto di vista della retorica che non da quello dei cambiamenti militari operativi che realmente ne conseguirono, che furono limitati a causa sia dei costi economici elevati della strategia sia delle difficoltà interne al campo occidentale.76 I contrasti interni alla NATO furono infatti superati ma non veramente risolti.77 Tuttavia la sostituzione ufficiale del concetto strategico fu un test per la capacità dell’Alleanza Atlantica di evolversi e adattarsi alle trasformazioni della Guerra Fredda.
73 J. E. Stromseth, The origins of flexible response, cit., p.8.
74 J. E. Stromseth, The origins of flexible response, cit., p.194.
75 L. S. Kaplan, The long entanglement, cit., p.111; C. Bluth, Britain, Germany and Western nuclear strategy, cit., p.142.
76 Di questa opinione sono Frank Gavin, si veda: F. J. Gavin, “The myth of flexible response”, cit., pp.847‐875, (in particolare pp.872‐873) e Dieter Krüger, che condivide e argomenta la tesi di Gavin, nell’articolo: Dieter Krüger, “Schlachtfeld Bundesrepublik? Europa, die deutsche Luftwaffe und der Strategiewechsel der NATO, 1958‐1968“, Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 2/2008, p.212.
77 Per quanto riguarda i punti poco chiari della nuova strategia, rimasti aperti a diverse interpretazioni, si veda: D. Krüger, “Schlachtfeld Bundesrepublik?“, cit., pp.221‐222.