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L’Alto Adige ( 1919 ) di Gino Luzzatto

letto da Paola Lanaro

Se fossimo sicuri insomma che il nostro Governo saprà fare dell’Alto Adige una specie di cantone svizzero, del tutto libero nell’amministrazione, nelle scuo-le, nella vita religiosa, con Dieta propria del tutto indipendente dal parlamento di Roma […], se fossimo sicuri, insomma, della intelligenza e del buon senso del nostro parlamento, della nostra burocrazia e del nostro giornalismo – noi aderiremmo con assai minori esitazioni al confine del Brennero. Ma abbiamo dei dubbi […].

Passato il primo eccitamento della vittoria, in cui l’Alto Adige, agli occhi di molti, doveva considerarsi come un territorio riconquistato da riguadagna-re razionalmente all’Italia… si convinsero insomma per dirla con le parole di uno di questi osservatori, che l’Alto Adige non è un’appendice del Trentino, dove sia lecito attendersi benevola attesa, se non entusiastico consenso, per l’amore della gran patria italiana, né può essere ritenuto una specie di colo-nia dove qualunque sistema di governo sia sufficiente per tener tranquilla la popolazione […].

A queste idee, che dovevano necessariamente trionfare al contatto della real-tà, finì presto per ispirarsi anche l’autorità militare, a cui restò affidata l’ammi-nistrazione civile; tolti gli errori iniziali dell’immediata italianizzazione dei nomi di luogo e della soppressione di vari enti locali senza sostituirvi alcun ufficio corrispondente, per tutto il resto si ebbe cura di evitare ogni mutamento, che potesse suonare offesa al sentimento ed alle suscettibilità nazionali. Anzi messi su questa strada, si arrivò in molti casi all’esagerazione opposta. […]

Ma in queste ultime settimane, riaffacciatosi […] il problema dell’ordina-mento amministrativo del Trentino e dell’Alto Adige, […] si son viste ricompari-re, più o meno timidamente, sui giornali molte delle vecchie idee sull’opportu-nità di comprendere l’Alto Adige in una sola provincia con Trento e Rovereto, sulla debolezza poco dignitosa di cui darebbero prova i vincitori usando troppi riguardi verso i vinti […]. Di fronte al riaffacciarsi di queste aberrazioni, che oggi incontrano ancora molte opposizioni, ma domani potranno essere rappre-sentate alle masse come una questione di dignità e di difesa nazionale, noi riaf-fermiamo dopo dieci mesi, la nostra tesi della più larga autonomia regionale

Paola Lanaro 75 imposta non solo da un dovere di giustizia, ma anche dal beninteso interesse

dello Stato italiano […].

Perché ho scelto per questa occasione dedicata a celebrare i cento-cinquant’anni dell’Unità italiana un testo di Gino Luzzatto?

In primo luogo in questa raccolta di contributi mi sembrava importan-te dare spazio a una figura emblematica della storia del nostro Aimportan-teneo. Gino Luzzatto (1878-1964), docente di storia economica, insegnò a lungo a Venezia, diventandone uno degli studiosi più stimati. Nei difficili anni della parentesi fascista continuò a insegnare a Ca’ Foscari, nonostante il clima si andasse vieppiù dimostrando intollerante verso quanti non si ri-velavano seguaci e praticanti delle nuove idee. Lo stesso Gentile lo chia-mò a collaborare alla Enciclopedia Italiana, per la quale redasse alcune delle voci più belle, come quelle dedicate alle grandi città mercantili dell’Europa occidentale di età preindustriale. Il Luzzatto infine venne allontanato dall’Ateneo a seguito delle leggi razziali del 1938 e sostitui-to, per sua espressa segnalazione, da Amintore Fanfani. Richiamato nel 1945, ne divenne rettore, carica che ricoperse fino al 1953, anno del suo pensionamento. Il suo insegnamento e la sua attività di ricerca e pubbli-cistica ebbero termine solo con la morte avvenuta nel 1966.

Gino Luzzatto fu anche fecondo pubblicista, collaborando intensa-mente all’«Unità», rivista che aveva fondato con Salvemini nel 1911: in quella sede pubblicò numerosi articoli di forte impegno civile che testi-moniano la sua sentita partecipazione al dibattito politico ed economi-co nazionale. Proprio tra questi mi è sembrato opportuno scegliere il saggio dedicato all’Alto Adige, perché mette a fuoco un problema che si collega a una ancora incompiuta o monca idea di unità nel nostro paese e alla possibilità di risolverla attraverso opportune forme di autonomia, come auspicato da Luzzatto nel suo articolo.

La dichiarazione del 7 febbraio 2011 di Luis Durnwalder, presiden-te della provincia autonoma di Bolzano, di non volere parpresiden-tecipare ai festeggiamenti del 150o dell’Unità nazionale in quanto estranei ai sen-timenti della popolazione di lingua tedesca ha innescato di recente un dibattito che ha reso nuovamente visibile alla maggioranza degli italiani la complessa realtà sociale e politica di questa area. L’afferma-zione del governatore che nella provincia non avrebbero festeggiato in quanto «noi ci sentiamo tedeschi» provocò il richiamo del presidente Napolitano, che sottolineò come il presidente della provincia di

Bolza-1. G. Luzzatto, L’Alto Adige, «L’Unità», 6-13 novembre 1919, ora in Id., Il rinnovamento

dell’economia e della politica in Italia. Scritti politici 1904-1926, a c. di M. Costantini, Vene-zia, Arsenale Cooperativa Editrice, 1980, pp. 209-213.

Leggere l’unità d’Italia

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no non potesse parlare a nome di una pretesa «minoranza austriaca», dimenticando di rappresentare anche le popolazioni di lingua italiana e ladina, e soprattutto come la stessa popolazione di lingua tedesca fosse italiana. La dura e pronta replica del governatore – «Il gruppo linguistico tedesco non ha nulla da festeggiare. Nel 1919 non ci è stato chiesto se volevamo far parte dello Stato italiano» – evidenziava come le aperture auspicate e sostenute dal Luzzatto, sulla cui via con lar-ghezza e in parte con lungimiranza lo Stato italiano, dopo l’esperienza mussoliniana, era proceduto, oggi stiano dando frutti che si ritorcono contro la sensibilità della minoranza italiana e in modo offensivo vanno a ledere il concetto di Unità.

La fluidità dell’attuale situazione esige di usare sempre il condizio-nale, ma non vi è dubbio che in questi ultimi tempi le debolezze del go-verno italiano, in parallelo con il rafforzamento di formazioni politiche sudtirolesi fortemente nazionaliste, hanno spinto la Südtiroler Volkspar-tei (Svp), il partito di lingua tedesca, a intervenire sulla questione iden-titaria per affermare la separatezza della storia e della cultura della comunità sudtirolese in un momento in cui tale partito corre appunto il rischio di essere indebolito da fughe a destra dei suoi stessi elettori.

In questo senso il discorso sull’Unità d’Italia di Durnwalder si è in-serito in un contesto effervescente, caratterizzato dalla esibita riven-dicazione di autonomia e non italianità della provincia, che aveva tro-vato qualche mese prima un momento di estrema visibilità a seguito di un accordo con il governo italiano raggiunto in termini discutibili, ovvero l’astensione da parte dei parlamentari della Svp sulla mozione di sfiducia al ministro Bondi. L’astensione era stata barattata con la con-cessione alla provincia autonoma di Bolzano della facoltà di modificare due monumenti di epoca fascista: quello dedicato alla Vittoria del 1918, posto sul frontone dello scultore Hans Piffrader di piazza del Tribunale a Bolzano (il frontone che rappresenta il duce a cavallo), e il monumen-to all’Alpino a Brunico (o meglio quello che resta dello stesso dopo gli attentati degli anni Sessanta). La natura dell’accordo, il modo in cui la Svp ha ottenuto un risultato a lungo perseguito e forse insperato e che in tutti i casi urta contro un pezzo della storia italiana ai cui simboli la comunità italiana si sente legata (proprio nel momento in cui vede mi-nacciata la sua identità attraverso la cancellazione del proprio passato), hanno scatenato un dibattito e una conflittualità che non mostrano per ora segni di ridimensionamento. Resta, comunque, il fatto che una parte importante, seppur non ancora maggioritaria della popolazione altoate-sina, di lingua tedesca e italiana, è consapevole della strumentalità di questi dibattiti e favorevole all’uso dei monumenti non tanto come sim-bolo identitario, ma come importante testimonianza storica.

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