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Lessico famigliare ( 1963 ) di Natalia Ginzburg

letto da Simon Levis Sullam

«Mia madre usciva la mattina dicendo: — Vado a vedere se il fascismo è sempre in piedi». Lessico famigliare di Natalia Ginzburg può essere considerato non solo una memoria familiare, ma un libro sulla storia d’Italia. Le due dimensioni sono strettamente collegate e di qui nasce uno degli elementi di maggiore fascino del libro: vita quotidiana e vicen-de storiche nazionali, figure minute e personaggi storici si intrecciano continuamente in queste pagine. Si tratta di una sorta di autobiografia di gruppo, con al centro la famiglia Levi e i suoi amici: una famiglia ita-liana come tante, numerosa e rumorosa, con i suoi litigi, le sue passioni, le sue abitudini e, soprattutto, il suo linguaggio. Allo stesso tempo i Levi non sono una famiglia qualsiasi, ma si trovano al centro di una rete di rapporti che, nella Torino degli anni Trenta, costituisce il cuore della cospirazione antifascista di Giustizia e Libertà: tra gli amici e familiari a diverso titolo, Carlo Levi, Adriano Olivetti, Vittorio Foa, Leone Ginzburg, futuro sposo di Natalia. Attorno a un piccolo gruppo di amici e parenti, prendono forma avventure politiche (la fuga di Filippo Turati dall’Italia), imprese intellettuali come la fondazione della casa editrice Einaudi, tra-gici atti di resistenza (la morte di Ginzburg a Regina Coeli nel 1944). Si tratta anche di una famiglia per metà ebraica, che appartiene a un am-biente di ebrei assimilati presto colpiti dalle persecuzioni razziali del fa-scismo, e che offre, a partire dalle sue molteplici diversità, uno «sguardo di minoranza» sulla società e la storia italiana.

1. N. Ginzburg, Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1999, p. 83. Ho tenuto presenti di questa edizione l’introduzione di Cesare Garboli (pp. V-XIX) e la Cronistoria di «Lessico famigliare» di Domenico Scarpa (pp. 215-261). V. anche N. Ginzburg, È difficile parlare di sé. Conversazione

a più voci condotta da Marino Sinibaldi, a c. di C. Garboli e L. Ginzburg, Torino, Einaudi, 1999. 2. S. Levi Della Torre, Mosaico. Attualità e inattualità degli ebrei, Torino, Rosen berg & Sellier, 1994, p. 27.

Simon Levis Sullam 59 «Benché tratto dalla realtà, penso che si debba leggere come fos-se un romanzo». I motivi di interesfos-se del libro sono questi e molteplici altri. Uno è esplicitato nell’Avvertenza con cui il libro si apre: l’intrec-cio tra romanzo, cronaca, memoria, storia, sebbene la Ginzburg non usi quest’ultimo termine se non nel senso della storia personale e di fami-glia. «Luoghi, fatti e persone sono, in questo libro, reali», esordisce Na-talia; ma anche: «Se si legge questo libro come una cronaca…»; e infine: «Penso che si debba leggere come un romanzo». O ancora: «Questo è in parte quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile» (pp. XI-XXII). Le differenze tra i generi, le modalità di narrazione, la funzione conoscitiva della letteratura, ma anche i rapporti e le opposizioni tra storia, memoria, finzione: queste forme e dimensioni dell’esperienza e del racconto non possono lasciare indifferente uno storico, sebbene, no-nostante le analogie, gli approcci e le soluzioni che egli adotta siano al fondo diversi da quelli del romanziere o del memorialista.

«Quelle frasi sono il nostro latino […] il fondamento della nostra unità familiare». La struttura narrativa e mnemonica del racconto e, potrem-mo dire anche, lo strumento epistepotrem-mologico fondamentale dell’indagine e della narrazione del passato è nel «lessico» che dà il titolo e, per così dire, genera il libro. Partendo dal ricordo di parole comuni, di modi di dire, di frasi ricorrenti nella sua famiglia, la Ginzburg dà vita al proprio racconto, cogliendo da un lato un nucleo centrale dell’esistenza di ogni famiglia (la scrittrice parla di «nucleo vitale», di «fondamento dell’unità familiare» – p. 22), dall’altro insistendo sul legame antropologico tra lin-guaggio, identità, memoria. Si tratta di un aspetto della condizione uma-na interpretato qui soprattutto attraverso la lezione di Marcel Proust. Di particolare importanza è infatti per la Ginzburg l’ispirazione e il confron-to con il romanziere francese, di cui fu anche traduttrice pubblicando nel 1946 una versione italiana di Du côté de chez Swann. Il riferimento a Proust compare esplicitamente in diverse pagine del romanzo, spesso in chiave decisamente ironica («Disse mio padre: — Doveva essere un tan-ghero!» – p. 53). Come in Proust dal linguaggio emergono, in forme diret-te e indiretdiret-te, allusive o esplicidiret-te, aspetti diversi dell’identità individuale e di gruppo, culturale, politica, religiosa. L’emergere di varianti regiona-li e dialetti, nella pagine della Ginzburg, rafforza inoltre l’impressione di un libro sull’Italia per la rappresentazione che esso offre di diverse real-tà della penisola, nonostante il prevalente radicamento al Nord della fa-miglia Levi; ma anche di diversi strati della società italiana e dei loro ri-spettivi linguaggi, pure a partire da una spiccata componente borghese.

3. Penso alle riflessioni, anch’esse «familiari» per Natalia, di Carlo Ginzburg. Ad esem-pio: Il filo e le tracce. Vero, falso, finto, Milano, Feltrinelli, 2006.

Leggere l’unità d’Italia

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«Adriano era un minerale-vegetale. La Paola era un animale-vegetale. Gino era un minerale-vegetale» (p. 94). Seppure il termine e la catego-ria siano particolarmente problematici e sfuggenti, Lessico famigliare è anche un libro sulla, o sulle, identità, e può servire a una riflessione e a una critica della questione dell’identità italiana. Ciò che la Ginzburg of-fre, a partire dalla sua esperienza familiare, culturale e religiosa, è una critica delle identità pure e una celebrazione di quelle ibride, elementi del crogiolo di quella italiana. La famiglia di Natalia, come tutte le fami-glie, è una famiglia mista: ad esempio sul piano delle origini geografiche (e ciò si riflette anche nel suo linguaggio) e con particolare urgenza su quello delle identità religiose (e, di nuovo, dei loro riflessi linguistici) per quanto fortemente secolarizzate: «Adriano [Olivetti], invece, usava par-lar bene dei mezzo-sangue […]. Quelli che gli piacevano di più erano i fi-gli di padre ebreo e madre protestante, com’era lui stesso» (p. 94). Così, nel gioco che i fratelli Levi fanno in famiglia e che torna per allusioni in più parti del libro, la conclusione è una critica della «purezza»: «Il gioco consisteva nel dividere la gente che si conosceva in minerali, animali e vegetali […]. Quanto ai vegetali puri, ce n’erano pochissimi al mondo […]. Per quanto cercassimo, non trovavamo un solo vegetale puro tra i nostri conoscenti». Questa critica nasce anche in reazione all’esperien-za e al tema delle persecuzioni razziali del fascismo. In un altro libro celebre su quello stesso mondo, che ugualmente si apre con un capitolo sui linguaggi familiari e le loro commistioni, leggiamo: «L’impurezza, certo: poiché proprio in quei mesi iniziava la pubblicazione di “La Difesa della Razza”, e di purezza si faceva un gran parlare, ed io cominciavo ad essere fiero di essere impuro».$

«La Paola mi disse: — Non si chiama Ferrari. È Turati. Deve scappare dall’Italia» (p. 76). Il nome Italia torna ripetutamente nel Lessico. È spes-so asspes-sociato a degli spostamenti: ma si tratta generalmente di migrazio-ni, esili, separaziomigrazio-ni, come l’emigrazione antifascista nel caso di Turati (ospitato in casa Levi sotto il falso nome di Ferrari); l’esilio a causa delle persecuzioni razziali o per altri motivi politici; o la condizione di apolide di Leone dopo il 1938. Più in generale il riferimento all’Italia è collegato nel libro a sentimenti di precarietà, minaccia, sconfitta politica o paura: «Mio padre diceva: — Se Mario tornasse in Italia, si prenderebbe quin-dici anni! vent’anni!»; oppure: «E poi mio padre non pensava che ancora esistessero, in Italia, dei cospiratori. Pensava di essere uno dei pochi

an-4. «Dietro il lessico c’è la tribù, e dietro la tribù le persecuzioni», scrive Garboli,

Introdu-zione a Ginzburg, Lessico famigliare, cit., p. XV, anche a proposito del rapporto tra roman-zo, memoria, linguaggio e persecuzione ne Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, uscito l’anno precedente il Lessico e forse stimolo più prossimo a scrivere per la Ginzburg.

Simon Levis Sullam 61 tifascisti rimasti in Italia» (pp. 107, 87). In questo contesto manca alcun rinvio esplicito al Risorgimento, se non per un’eco lontana, e mancano anche i termini «nazione» e «patria», svuotati dalla retorica fascista e, negli anni in cui il libro fu scritto, dal prevalere di altri orizzonti e ideali, e forse dalla delusione per come le cose erano andate. In queste pagine sono come messi tra parentesi, ma altrove la Ginzburg stessa ne ricorda la riscoperta negli anni della guerra civile e dell’impegno nella Resisten-za: «Le parole “patria” e “Italia”, che ci avevano tanto nauseato tra le pareti di scuola, perché sempre accompagnate dall’aggettivo “fascista”, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta. D’un tratto alle nostre orecchie risuonarono vere».' Ancora un altro tipo di «vero» e di «parole»: un «lessico», quello ricostruito dalla Ginzburg sul filo della memoria familiare e civile, di cui l’Italia ha ancora bisogno.

6. N. Ginzburg, Prefazione a La letteratura partigiana in Italia 1943-1945, a c. di G. Fala-schi, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 8; cfr. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla

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Il Risorgimento (

1949

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