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Le altre garanzie

DELLE COMMISSIONI TERRITORIAL

R. MOROZZO DELLA ROCCA.

2.3.3 Le altre garanzie

Oltre al diritto di permanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della domanda, il richiedente protezione internazionale, sin dal momento della manifestazione della volontà di chiedere l’asilo e non dalla successiva verbalizzazione, subentra nella titolarità di ulteriori garanzie dettate dall’art. 10, d.lgs. n. 25/2008, ossia il diritto di informazione sui profili sostanziali e procedurali e il diritto di assistenza linguistica. Tali garanzie, unitamente a quella principale di cui all’art. 7, costituiscono i tre pilastri fondamentali in cui si sostanzia la tutela del richiedente.

Alla prima, ossia al diritto di informazione, assolve l’ufficio di polizia, che riceve l’istanza, tramite la consegna di un opuscolo informativo redatto dalla Commissione nazionale asilo20, attraverso cui si rende edotto il richiedente “della procedura da seguire, dei suoi diritti e

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L’opuscolo, previsto all’art. 10, co. 2, del decreto procedure, illustra: a) le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, comprese le conseguenze dell’allontanamento ingiustificato dai centri; b) i principali diritti e doveri del richiedente durante la sua permanenza in Italia; c) le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle; d) l’indirizzo ed il recapito

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doveri durante il procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda degli elementi utili all’esame”21. Recentemente il legislatore, attraverso la l. 132/2018, ha integrato la disposizione, prevedendo l’ulteriore onere dell’ufficio di polizia “di informare il richiedente che, ove proveniente

da un paese designato di origine sicuro ai sensi dell’articolo 2 – bis, la domanda può essere rigettata ai sensi dell’articolo 9, comma 2 – bis”. La previsione di tale onere informativo è direttamente

consequenziale alla introduzione, nel nostro ordinamento giuridico, della figura dei “paesi di origine sicura”, di cui all’art 2 bis del decreto procedure.

Al fine di rendere effettiva tale garanzia, la nuova disciplina stabilisce che il personale dell’ufficio di polizia, deputato ad offrire le suddette informazioni, debba ricevere una formazione adeguata ai propri compiti e alle proprie responsabilità. Inoltre si segnala la previsione che attribuisce al richiedente il diritto a contattare l’UNHCR o oltra struttura di sua fiducia in materia di asilo, a cui può rivolgersi per ottenere un servizio gratuito di informazione sulla procedura di esame della domanda da parte delle Commissioni territoriali, nonché sulle procedure di revoca e sulle modalità di impugnazione delle decisioni in sede giurisdizionale22.

L’altro cardine delle tutele del richiedente consiste nell’assistenza linguistica. Tale garanzia si concretizza nel diritto del richiedente di ottenere le comunicazioni concernenti il procedimento nella lingua da lui indicata o, in caso di impossibilità, nelle lingue veicolari e nel diritto all’interpretariato e alla traduzione degli atti della procedura23.

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Art. 10, co. 1, d.lgs. 25/2018. 22

Art. 10, co. 2 bis e 3, d.lgs. 25/2008. 23

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Il diritto all’informazione, insieme al diritto all’assistenza linguistica, rappresenta una sorta di “precondizione” essenziale, per garantire l’effettività del “diritto di difesa” del richiedente asilo nel corso della procedura, ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Peraltro occorre osservare che il diritto di informazione trova applicazione anche nella fase antecedente all’accesso della procedura, come diritto strumentale alla manifestazione della volontà di chiedere asilo. L’esistenza di tale diritto, preliminare alle garanzie e agli obblighi discendenti dallo status di richiedente, è stata esplicitamente consacrata all’art. 8, co. 1 dalla direttiva 2013/32/UE24.

L’obbligo di informazione sulle procedure di accesso è stato, altresì, sancito dalla Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo25 e più recentemente, in ambito nazionale, dalla Corte di Cassazione26 la quale ha affermato, che “qualora vi siano indicazioni

che cittadini stranieri o apolidi, presenti ai valichi di frontiera in ingresso nel territorio nazionale, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, le autorità competenti hanno

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Art. 8, co. 1, Direttiva 2013/32/UE “qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità di farlo. In tali centri di trattenimento e ai valichi di frontiera gli Stati membri garantiscono servizi di interpretazione nella misura necessaria per agevolare l’accesso alla procedura di asilo”.

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Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 23 febbraio 2012, ric. n. 27765/2009, Hirsi Jamaa e altri c. Italia, “La Corte (…) ribadisce quindi l’importanza di garantire alle persone interessate da una misura di allontanamento, le cui conseguenze sono potenzialmente irreversibili, il diritto di ottenere informazioni sufficienti a consentire loro di avere un accesso effettivo alle procedure e di sostenere i loro ricorsi”.

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il dovere di fornire loro informazioni sulla possibilità di farlo, garantendo altresì servizi di interpretariato nella misura necessaria per agevolare l’accesso alla procedura di asilo, a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento”. In altri

termini secondo la Corte di Cassazione “poiché l’avvenuta

presentazione di una domanda di protezione internazionale sarebbe ostativa al respingimento, quest’ultimo è illegittimo allorché sia stato disposto senza il rispetto di tale preventivo dovere d’informazione, che ostacola di fatto il tempestivo esercizio del diritto a richiedere la protezione internazionale, e tale illegittimità si riverbera anche sul conseguente provvedimento di trattenimento, inficiandolo a sua volta”.

In passato, a completamento del sistema di tutele del richiedente asilo, si collocava il diritto di accesso alle misure di accoglienza, come definite dal d.lgs. n. 142/2015, c.d. decreto accoglienza, emanato in attuazione della direttiva 2013/33/UE. Su tale aspetto è intervenuto recentemente il legislatore in senso peggiorativo. Tuttavia, per comprendere la portata della modifica legislativa, è necessario analizzare la disciplina ante riforma.

Dalla manifestazione della volontà di chiedere l’asilo, il richiedente veniva incanalato in un percorso di accoglienza unico, delineato dal d.lgs. n. 142/2016, articolato a sua volta in due livelli, ossia in una fase di prima accoglienza ed una fase di seconda accoglienza. La prima accoglienza avveniva nei centri governativi di prima accoglienza, presso cui il migrante era accolto esclusivamente per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione (ove non completate precedentemente) e di verbalizzazione della domanda di asilo. La seconda accoglienza, vera e propria, era assicurata, a livello territoriale, nelle strutture del Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), ove

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erano accolti, ex art. 14, d.lgs. n. 142/2015 vecchia formulazione, sia i titolari della protezione internazionale, sia i richiedenti che avevano formalizzato la propria domanda. In ogni caso l’accesso alla seconda fase di accoglienza era condizionato alla mancanza di mezzi di sussistenza, sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari.

A seguito delle recenti novità introdotte dal legislatore, la distinzione tra le due fasi è stata sostanzialmente eliminata, sancendo il passaggio da un sistema di accoglienza unico, ad un sistema di accoglienza binario e differenziato in ragione del diverso

status dei soggetti ospitanti, al fine di segnare una “netta differenziazione tra gli investimenti in termini di accoglienza e integrazione tra coloro che hanno un titolo definitivo a permanere e coloro che sono in temporanea attesa della definizione del loro status giuridico”27. Coerentemente con tale spirito riformatore, l’accessibilità alla seconda fase di accoglienza è stata riservata ai soli minori stranieri non accompagnati e ai titolari della protezione internazionale, e non anche ai richiedenti che hanno formalizzato la relativa istanza28.

Quest’ultimi possono solo accedere alle misure previste nell’ambito dei centri governativi di prima accoglienza di cui all’art. 9, d.lgs. n. 142/2015 e soltanto se “risultano privi di mezzi sufficienti a

garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari”29. Peraltro occorre osservare come le funzioni

richiamate dalla disposizione siano volte da una pluralità di centri di diverso tipo: si va dai centri governativi di nuova istituzione, previsti

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Circolare, 18 dicembre 2018, prot. 833774. 28

In conseguenza della modifica, si prevede la trasformazione dello SPRAR in Sistema per i titolari di protezione internazionale e per i titolari di protezione internazionale (SIPROIMI).

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dal decreto accoglienza sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali, ai centri di accoglienza già esistenti, come i centri di accoglienza dei richiedenti asilo (CARA) e i centri di prima accoglienza (CDA). Infine, in caso di esaurimento di posti disponibili in tali centri, le funzioni di cui al co. 4 sono assicurate all’interno dei centri di accoglienza straordinaria – c.d. CAS – istituiti nei casi ed alle condizioni indicate all’art. 11, d.lgs. n. 142/2015. Il risultato della riforma è stato quello di trasformare, in “ordinaria”, l’accoglienza presso le strutture governative o temporanee, sino ad ora considerata una misura straordinaria, eventuale e limitata al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture del sistema di accoglienza territoriale30.

2.4 Dalla formalizzazione della domanda all’esame delle