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La centralità, nella fase di ricorso, della videoregistrazione del colloquio personale della fase amministrativa: le criticità e

Nel documento I "giudici" della protezione internazionale (pagine 130-134)

LA FASE DI RICORSO GIURISDIZIONALE

3.5 La centralità, nella fase di ricorso, della videoregistrazione del colloquio personale della fase amministrativa: le criticità e

l’importanza dell’audizione giudiziale

La modifica del rito applicabile ai procedimenti di primo grado è stata giustificata dal legislatore sulla base di dati statistici “che

evidenziano una durata dei procedimenti in materia non ancora in linea con gli standard europei”44. E poiché, secondo l’esecutivo, la causa è da imputare all’eccessivo lasso di tempo che intercorre tra il deposito del ricorso e la fissazione dell’udienza di comparizione, è stato introdotto un rito che prevede un’udienza solo eventuale, un’udienza cioè che “non va fissata in ogni caso ma esclusivamente

quando è necessario procedere a specifici adempimenti”45.

Nel disegno del legislatore, lo svolgimento del processo nelle forme del rito camerale non partecipato, ove la comparizione delle parti è soltanto residuale, è stato reso possibile valorizzando la fase amministrativa della procedura.

Infatti nella medesima riforma, il legislatore è intervenuto anche nel versante amministrativo, prevedendo - avvalendosi della facoltà riconosciuta dalla direttiva comunitaria - all’art. 14, l’obbligo di effettuare la videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo dinanzi alle Commissioni territoriali.

Benché tale previsione sia certamente positiva, in quanto idonea a superare le criticità insite nella verbalizzazione del colloquio, la videoregistrazione46, nel caso di specie, risulta inevitabilmente connessa alla fase giurisdizionale di ricorso, costituendo, al contempo, la base della riforma processuale. Il legislatore infatti 44 Cfr. Relazione illustrativa al d.d.l. n. 2705. 45 Cfr. Relazione illustrativa al d.d.l. n. 2705. 46

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non ha soltanto sancito l’obbligatorietà della videoregistrazione ma ha altresì imposto il suo necessario invio al Tribunale da parte della Commissione territoriale. Ne consegue che la videoregistrazione, nel disegno legislativo, venga ad essere concepita in funzione sostitutiva alla possibilità del richiedente di presenziare in udienza, così da consentire lo svolgimento del processo nelle forme del rito camerale non partecipato. Detto altrimenti, nella logica del legislatore, la videoregistrazione del colloquio, svolto nel corso della fase amministrativa e il suo necessario invio al Tribunale, vale a colmare l’assenza della comparizione delle parti, nonché del rinnovo dell’audizione, all’interno della nuova procedura giurisdizionale di ricorso, il tutto nell’ottica della semplificazione e velocizzazione della procedura.

Si tratta di una novità che non va esente da critiche. In primo luogo la misura approntata, vale a dire l’eliminazione dell’udienza attraverso la videoregistrazione, non risulta congrua al fine sopra dichiarato. L’eccessiva durata dei processi, infatti, sembra dipendere dal numero elevato di ricorsi, anziché dall’udienza47. Inoltre, come rilevato dalla dottrina48, poiché la durata media dei colloqui dinanzi alle Commissioni si aggira tra le due e le quattro ore, il giudice dovrebbe comunque procedere alla visione della videoregistrazione, impiegando del tempo, quando invece potrebbe riascoltare direttamente il richiedente nel corso dell’udienza e rivolgergli “chiare e mirate domande, dopo aver studiato il verbale e il ricorso”.

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A. D. DE SANTIS, L’eliminazione dell’udienza (e dell’audizione) nel

procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Un esempio di sacrificio delle garanzie, in QUESTIONE GIUSTIZIA, 2018, n. 2.

48

ASGI, La legge 13 aprile 2017, n. 46 recante disposizioni urgenti per

l’accelerazione dei procedimenti di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale, cit.

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In secondo luogo attraverso la trasposizione della videoregistrazione del colloquio della fase amministrativa nella successiva fase di ricorso e l’obbligo posto in capo alle Commissioni territoriali, di depositare tutta la documentazione istruttoria realizzata, si esalta la natura bifasica del procedimento, rendendo, al contempo, la fase giurisdizionale come un mero prolungamento della prima.

Il giudice, all’interno del nuovo procedimento, sarà chiamato a decidere sulla base dell’attività istruttoria realizzata nel corso della fase amministrativa, in particolare sulla videoregistrazione, che diventerà la prova regina della decisione giudiziale. In questo modo si finisce per attribuire alla prima fase, ossia quella che si svolge dinanzi alle Commissioni territoriali, un carattere “quasi giurisdizionale” e ciò sembra riconfermato dalle parole utilizzate dal legislatore, all’art. 35 bis, co. 11, lett. c), nella parte in cui definisce la fase amministrativa come “procedimento amministrativo di primo

grado”.

Tuttavia come osservato dalla dottrina49 “quello per il

riconoscimento della protezione internazionale non è un procedimento bifasico eventuale”. Il fatto che la domanda di

protezione vada proposta, in primis, dinanzi a un organo amministrativo e che poi la sua decisione possa essere impugnata di fronte a un giudice “non vale affatto a disegnare un unico

procedimento bifasico”.

La fase di ricorso giurisdizionale, infatti, non è un giudizio impugnatorio classicamente inteso. Benché il richiedente protezione internazionale proponga il ricorso avverso la decisione di diniego della Commissione territoriale, in realtà, l’oggetto del

49

A. D. DE SANTIS, L’eliminazione dell’udienza (e dell’audizione) nel

procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Un esempio di sacrificio delle garanzie, cit.

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giudizio nella successiva fase di ricorso, alla stessa stregua di quel che accade nella fase precedente, è la situazione giuridica soggettiva controversa. La proposizione del ricorso avverso il provvedimento conclusivo della fase amministrativa, dunque, comporta la nascita di un procedimento a carattere giurisdizionale, ma che ha ad oggetto l’accertamento del diritto soggettivo alla protezione internazionale, la cui sussistenza deve essere valutata dal giudice. Si tratta quindi di un giudizio sul rapporto, anziché sull’atto amministrativo. Tale caratteristica discende direttamente dall’art. 46 direttiva procedura nella parte in cui prevede la necessità di garantire, quanto meno nei procedimenti di impugnazione di primo grado, un ricorso effettivo che “preveda un

esame completo ed ex nunc degli elementi in fatto e in diritto (…)”.

Ne consegue che, essendo la fase di ricorso esattamente sovrapponibile alla fase amministrativa quanto all’oggetto del giudizio, la prima sia caratterizzata dai medesimi principi che governano la seconda e ciò risulta confermato dall’art. 4 direttiva qualifiche, co. 1, la quale, nell’affermare l’applicabilità, nella materia della protezione internazionale, del principio dell’onere della prova “attenuato” del richiedente e del dovere di cooperazione istruttoria incombente sull’autorità competente all’esame, parla genericamente di “Stati membri”, presupponendo, quindi, la vigenza di tali principi in ogni fase della procedura, inclusa la fase di ricorso giurisdizionale.

Dal combinato disposto delle norme di cui all’art. 46 direttiva procedure e 4 direttiva qualifiche ne discende che il giudice debba esaminare la domanda con i medesimi strumenti e poteri della Commissione territoriale. E poiché nella maggior parte dei casi le uniche prove disponibili, atte a suffragare la domanda, sono le dichiarazioni orali del richiedente asilo, è necessario, nella

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successiva fase di ricorso, salvaguardare tanto la comparizione delle parti, al fine di assicurare un contatto diretto con il giudice, quanto la rinnovazione dell’audizione giudiziale del richiedente “asilo”, la quale, oltre a costituire il luogo privilegiato di attuazione dell’onere probatorio e del dovere di cooperazione, risulta essenziale ai fini della valutazione della credibilità e dunque del riconoscimento di una delle forme di protezione internazionale.

Nonostante la presenza di innegabili connessioni tra le due fasi, date dal fatto che il giudice sia in grado di ricostruire l’intera vicenda processuale, nonché valutare la credibilità delle dichiarazioni50, anche sulla base degli atti istruttori della fase amministrativa, l’esaltazione del carattere bifasico, operato dal legislatore del 2017, serve soltanto a rendere accettabile l’idea “del sacrificio delle garanzie processuali” nella successiva fase di ricorso, alla quale si finirebbe per assegnare ad essa “una funzione di mero riesame del

provvedimento amministrativo”51, che mal si addice con le

caratteristiche del processo in materia di protezione internazionale.

Nel documento I "giudici" della protezione internazionale (pagine 130-134)